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Autore: Il_Signore_Oscuro    20/02/2018    2 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO XXV
Morire, dormire, forse sognare
(Carlo)
 
 
 
Camminava avanti e indietro da così tanto tempo che ancora un po’ e avrebbe lasciato il solco sul pavimento. Sul suo petto, la tunica da notte scollata lasciava intravedere il corpo asciutto. Ma Carlo non ebbe maniera di concentrarsi sulla bellezza del suo amato, poiché le parole del Principe eruttavano dalle sue labbra riempiendo la stanza di urla e sbraiti.
«Ti rendi conto?» il suo viso s’era fatto paonazzo, un velo di sudore solcava la fronte «Prendersi gioco di me a quel modo. Come fossi l’ultimo dei baroni!»
Carlo sbuffò, roteando gli occhi e lasciandosi cadere con la testa sul cuscino.
«Un mercante! Mi ha dovuto difendere un mercante!»
«Che ne dici di venire al letto?» brontolò Carlo, la voce arrochita dal sonno incipiente.
«Ma mi stai ascoltando? O sto tenendo un monologo qui?!» rimbrottò lui, con fare acido.
Quelle parole furono fastidiose come una frustata sulla schiena. In Carlo montò un irritazione tale che ciò che aveva da dire, rimestato per giorni e giorni in un autoimposto silenzio, esplose fuori senza che il cavaliere potesse frenarsi.
«Per il Redivivo, non ne posso più delle tue continue lamentele su qualunque cosa accada in questo fottuto mondo! Abbiamo un’occasione per trascorrere in pace una nottata, solo io e te, senza nessuno che possa romperci le scatole. E tu non fai altro che urlare e sbraitare in merito a questa o a quella cosa!»
La faccia di Alfonso era tale che, dire fosse sconvolto sarebbe parso un eufemismo. Carlo non poté negare a sé stesso di provare un certo piacere nell’averlo finalmente zittito. Ma il suo compiacimento non durò più di qualche secondo: sul viso dell’Argona, alla sorpresa si sostituì una rabbia feroce, acuita dalla stizza.

«Oh, scusami grande e nobile cavaliere, non intendevo affliggere con le mie questioncine da niente il tuo bisogno di romanticismo da poemetto per fanciulle».
Carlo sentì gli occhi pizzicare, gli ultimi residui di sonno vennero spazzati via, mentre balzava giù dal letto e un incendio gli montava in corpo.
“Quanto vorrei picchiarlo!”
«Sei un coglione!» urlò «Se mi hai preso per una puttana d’alto borgo da scoparti quando più ne hai voglia e contro cui inveire quando sei adirato, hai sbagliato di grosso caro mio» era una fortuna che le pareti fossero di roccia spessa e i suoni non si riversassero nei corridoi e nelle altre stanze del castello.
In ogni caso, Carlo non sarebbe rimasto lì a farsi insultare, e fece per avviarsi verso la porta. Quando una mano gli bloccò la spalla, con presa salda e sicura.
«Andiamo, non fare così. Stavo scherzando…» disse lui, abbozzando un sorriso, con tono più mite.
«Stavo scherzando un par di palle!» si scostò da quel contatto con una brusca scrollata, trattenere le lacrime richiese uno sforzo sovrumano «Verrà un giorno in cui non potremo continuare a far ciò che più ci pare. Dovrai sposarti, avrai una moglie e dei figli. Qualcosa che con tutta probabilità toccherà fare anche a me. Perché loro vogliono così, perché a questo dannato mondo sembra non ci sia nulla di più importante, a cui interessarsi, di quello che due uomini vogliono fare della propria vita. E il poco tempo che ancora ci rimane tu lo butti via così! Non facendo altro che scaricarmi addosso ogni tua minima frustrazione, ogni minima paranoia che ti fai in quella dannata testaccia che ti ritrovi!»

Il viso di Alfonso si incupì, Carlo non poté negare di provare un po’ di dispiacere per esser stato tanto diretto “ma non potevo evitarlo, mi ha portato all’esasperazione”. Il Principe si passò una mano sul volto e, fermando le dita alle labbra, sospirò pesantemente.
«Non è mica detto che le cose debbano per forza andare così» replicò.
“Sei un illuso”.
A Carlo sfuggì un sorriso amaro «Forse per me, caro il mio Principe. Ma questo non vale per te: è nel tuo destino continuare la stirpe. Tuo padre non permetterà mai che il nome Argona si estingua con te»
«Mio padre è vecchio e malato, non può vivere per sempre» berciò Alfonso in risposta «e non potrà decidere per me quando sarà nell’altro mondo»
«E va bene, forse non tuo padre.» concesse il cavaliere «Ma per quanto credi che il popolo acconsentirà al fatto che, chi lo guida, non abbia eredi diretti? Per quanto credi di poter arginare il rischio di una guerra civile, o quello di congiure per toglierti il potere?!» Carlo deglutì «Io ti amo Alfonso, e proprio per questo non posso accettare che il prezzo di quel che proviamo l’uno per l’altro sia un insensato spargimento di sangue, sangue innocente!»

Lo vide dal suo viso quanto le sue parole lo avessero colpito, nel profondo. Quegli occhi azzurri, che spesso brillavano per l’eccitazione di una battaglia o in preda all’ira, adesso erano illuminati da qualcos’altro. L’ombra di lacrime che Alfonso teneva con tutta la sua forza per sé, dinanzi all’inevitabilità del suo fato, ora così innegabilmente chiaro dinanzi a lui.
Il cavaliere tornò ad adagiarsi sul letto, la voce lasciò la sua bocca con note incrinate
«Adesso vieni qui, dormi accanto a me. Stanotte che ancora possiamo»
Alfonso Argona, uno degli uomini più potenti di Clitalia, principe ereditario della Costa Orientale, si accoccolò tremante fra le braccia del suo cavaliere. Tutti conoscevano l’Argona come un uomo prode, coraggioso e testardo fino all’inverosimile. Un guerriero forgiato nelle compagnie mercenarie di Ellenia, amato e rispettato da qualsiasi soldato avesse avuto il privilegio di militare sotto il suo comando. Fra le centinaia, forse migliaia, di persone che lo avevano conosciuto o avevano sentito parlare di lui, Carlo Cangramo era l’unico ad averne appreso le debolezze. L’unico che accoglieva in sé la bellezza della sua fragilità.
La schiena di Alfonso tremò, scossa dai singulti, dai singhiozzi che aprivano il varco alle sue lacrime, ai suoi lamenti.

“Mi dispiace, mi dispiace Amore mio” e lo strinse ancora più forte, gli baciò le spalle, intrecciando le dita alle sue. “Mi dispiace per tutto, per la vita che saremo costretti a vivere. Mi dispiace per aver contribuito ad anticipare la fine di questo nostro amore. Se solo sapessi, se solo tu sapessi che è stata la mia famiglia a suggerire quel matrimonio di cui ancora non sai nulla… che diritto ho mai avuto di adirarmi con te, quando chi è più in torto qui sono io? Chissà se in un altro luogo, in un altro tempo, saremmo potuti essere felici. Magari una vita in cui né io né te avremmo avuto importanza per il resto del mondo. Saremmo state due persone i cui occhi e i cui desideri sarebbero stati solo l’uno per l’altro. Magari fosse così: da un sogno del genere non vorrei ridestarmi mai”.
Così Carlo sussurrò dentro sé, mentre le lacrime percorrevano anche le sue di guance, insieme a quelle del suo principe. Qualche goccia strisciava sul corpo di Alfonso, macchiandogli la tunica. Altre scivolavano nelle labbra e il cavaliere ne sentì in bocca l’aroma insieme così amaro e salato. E infine il giovane Cangramo si addormentava, sognando un luogo lontano: dove la realtà era un’immagine sfumata, un ricordo presente appena nei flutti della memoria.
Dove Carlo e Alfonso non erano più un cavaliere e un Principe, ma solo due innamorati. Un sogno lontano, da cui non svegliarsi mai.




NdA: Hola chicos, come andiamo? Scusatemi per l'estrema brevità di questo capitolo ma credo che, nonostante sia corto, risulti comunque abbastanza denso. Spero non vi abbia deluso. In realtà mi da un po' al c***o il fatto che i capitoli ultimamente mi stiano uscendo un po' troppo brevi, ma la mia musa sembra volere così. Prometto che cercherò di porvi rimedio!
Potrebbe passare un po' di tempo fino al prossimo aggiornamento (sì, avrete un po' di respiro FORSE) perchè mi aspetta una settimana abbastanza piena e non ho un'idea del tutto chiara di cosa tratterò nei prossimi capitoli: cioè, so dove voglio arrivare, non so come allungare il brodo per arrivare gradatamente. Vedrò di inventarmi qualcosa.

Un abbraccio,
Il Signore Oscuro
   
 
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