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Autore: Himenoshirotsuki    22/02/2018    4 recensioni
Le Jinian, un popolo, una leggenda. Dimenticate dagli umani e anche da tutte le altre razze, questa tribù di quasi solamente donne viaggia da una parte all'altra del mondo. Nascoste agli occhi di ogni mortale, sono le uniche ancora in grado di usare la magia elementale, senza che essa, a lungo andare, le corrompa. Nemeria è solo una delle tante bambine della tribù e non ha niente di speciale. Adora sua sorella Etheram e il suo dolce fratellino Rakhsaan, ama combinare guai e, come tutte le sue compagne, si è sempre esercitata nell'arte della magia e della manipolazione degli elementali che vivono in lei per poter un giorno diventare una Jinian. Ma tutto cambia all'improvviso quando la sua tribù viene attaccata da una banda di briganti, vestiti con un'armatura completamente nera e una maschera bianca a coprir loro il viso. Il destino mette Nemeria davanti a una scelta: diventare un vero guerriero e combattere per sopravvivere oppure vivere all'ombra di ciò che il fato ha scritto per lei.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Fuoco 2

19

Fare sul serio

"Il gioco è una cosa seria. Anzi, tremendamente seria."
Jean Paul

Prima che la frustrazione prendesse il sopravvento, Nemeria marciò fino al campo del fuoco. Durga era già lì che l'aspettava. Non appena la vide, le corse incontro, ma si fermò poco prima di investirla.
- Stai bene? Ti hanno fatto del male? -
- No, sto bene. - rispose, allungò le braccia in avanti e le girò per confermare la sua affermazione, - Roshanai dov'è? -
- Non lo so, non è ancora arrivata. -
- Non è puntuale come Sayuri. -
Durga scosse la testa. Si era legata i capelli in una coda laterale, che però non riusciva a contenere tutta quella matassa selvaggia, simile a una criniera.
- Non mi piacciono quei due, soprattutto Zahra. Ha una faccia cattiva. -
"Se potessi, gliel'avrei già bruciata."
Nemeria incrociò le braccia sul petto e conficcò le unghie nella pelle. Si sentiva tremare per la rabbia e la pietra di luna, così come le placche del collare, era un cuore di lava che pulsava al ritmo del suo cuore di carne. Tutto l'oricalco dell'Impero non sarebbe bastato ad arginare quella brama di distruzione che raschiava le ossa della cassa toracica. Era meglio quello dell'ago di ghiaccio che le premeva dalla nuca, doloroso come le conseguenze che avrebbe dovuto fronteggiare, qualsiasi decisione avesse preso.
Si girò verso Durga. La sua vita valeva meno di un granello di sabbia e le sue fiamme non potevano ferirla. L'avrebbe ridotta a un niente ancor prima che se ne rendesse conto: niente lacrime, niente urla, niente sofferenza, non sarebbe rimasto altro che un labile ricordo che il tempo avrebbe smorzato e corroso.
Lasciò andare le braccia lungo i fianchi, si fissò le mani e chiuse appena le dita della destra. La cicatrice che le solcava il palmo era un imperfetto e frastagliato solco bianco. Era solo il segno più visibile che quell'esistenza al di fuori della tribù le aveva marchiato addosso.
- Nemeria? Nemeria, devi stare calma. - Durga deglutì e compì un passo indietro.
- Lo sono. -
Le fiamme asciugarono la paura e si espansero, avviluppando lo stomaco e i polmoni. Tutti dovevano pagare, dal primo all'ultimo, perché nessun mortale era innocente.
Artigliò la spalla dell'amica prima che potesse allontanarsi e la trasse a sé. Durga cacciò un urlo e le graffiò la mano in preda al panico, gli occhi spalancati colmi di terrore.
- Nemeria, lasciami! Mi fai male! -
Le sue parole agonizzarono in muro di fuoco. Nemeria l'afferrò anche per l'altra spalla. Le pelle sotto i suoi palmi si era arrossata e si stava sollevando in bolle contro le dita. Il sangue, caldo come olio di cottura, sgocciolava dai tagli sulle mani e, all'impatto col suolo o della carne viva, sfrigolava disperdendosi in una sottile lingua di fumo. Durga si morse le labbra e l'agguantò a sua volta. I suoi occhi giallo citrino brillarono e divennero due monete d'oro liquido.
- Lasciami. Te lo dico per l'ultima volta. - l'ammonì Durga.
Nemeria non la sentiva, non davvero. Il bruciore all'altezza del petto e del collo era reale, e l'odore della propria carne bruciata era disgustoso, ma non era abbastanza per fermarla.
- Un fiammifero non può bruciare più d'un incendio. - proferì in tono neutro.
Era la sua voce e allo stesso tempo era estranea. Troppo calma, troppo ferma perché potesse appartenere davvero a lei. Tuttavia, quella verità era assoluta e incontrovertibile: nessun elementale era più potente di Agni.
Durga le artigliò le braccia e fece forza per levarsele di dosso, ma Nemeria resistette e mantenne la presa. I suoi gemiti doloranti le si infilavano nelle orecchie, senza però scalfire le sue intenzioni. Lo doveva a se stessa, alla sofferenza che i mortali le avevano inflitto: avrebbe distrutto quell'esistenza di dolore prima che le facesse altro male.
"È davvero questo ciò che voglio?"
Quel pensiero arse in fretta, ma una parte di lei riuscì ad afferrarne i petali di cenere. Tolse la mano dalla spalla di Durga, in uno spasmo strinse la pietra di luna e tirò, non sapeva nemmeno lei se per calmarsi o per toglierselo.
Il dolore l'accecò. Nemeria perse la presa e indietreggiò tenendosi la mano libera sul naso, mentre il sangue che le colava tra le dita. Il suo ansimare si sovrapponeva a quello di Durga, che la osservava impaurita con gli occhi gialli velati di lacrime.
"Cos'ho fatto?"
La realtà la colpì come uno schiaffo. Le spalle di Durga erano piene di bolle, alcune così piene da dar l'impressione di essere lì lì per scoppiare. Altre si erano lacerate e un rigolo di liquido trasparente scorreva lungo le braccia.
- Sei... sei di nuovo tu? - domandò cautamente la bambina.
Nemeria annuì. Sputò a terra e si passò il dorso della mano sotto il naso per pulirsi dal sangue che le aveva sporcato il mento e la bocca.
- Mi dispiace, io... io non so cosa mi sia preso. -
Si accucciò e appoggiò la testa sulle ginocchia. Era troppo: troppa rabbia, troppa delusione, troppa amarezza, troppo dolore. Le emozioni di cui straripava la sua anima le causavano una vertigine così forte da farle mancare la terra sotto i piedi.
- Stavi per perdere il controllo. Ora però devi rialzarti. Se Roshanai ti vede così, si insospettirà e... - Durga deglutì e la sua risolutezza vacillò, - Ti aiuto. -
Nemeria avrebbe voluto fare qualcosa, ma aveva la testa troppo pesante, oltre a un nodo doloroso alla bocca dello stomaco.
- Dammi la mano. - la esortò l'amica.
Protese la mano alla cieca e la mosse nel buio finché non trovò quella di Durga. Il tremore che percorreva il suo braccio disteso era come la corsa di una mandria di cavalli che si ripercuoteva anche a miglia di distanza nel terreno. Nemeria la strinse quel che le serviva perché fosse un appiglio sicuro. Anche così, quando fu in piedi non le parve vero che le sue gambe intorpidite riuscissero a sorreggere un corpo così pesante.
- È la prima volta che ti accade di arrivare al limite? -
Nemeria annuì. Non sapeva nemmeno di che limite stesse parlando, ma era evidente che c'era un punto di rottura dentro di sé che non conosceva.
- Capita a tutti prima o poi, me lo ha detto 'Tep. Prendi un bel respiro, chiudi gli occhi e pensa ad altro. È come quando Sayuri ci ha fatte meditare. Ecco, ripeti il mantra con me: "Sat, Chit, Ananda." -
- Sat, Chit, Ananda. -
- Così, continua. Sat, Chit, Ananda. -
- Sat, Chit, Ananda. Sat, Chit, Ananda. -
Nemeria tenne gli occhi ben chiusi e ripeté il mantra. Avrebbe voluto che il sole si oscurasse, che facesse meno caldo. Persino con le palpebre chiuse poteva sentire lo scoppiettare di un fuoco. Era lontano, incuneato nelle profondità della sua mente, un suono fievole che rimbalzava su un muro di granito, eppure era reale come la mano di Durga e il prurito fastidioso dei tagli sulle mani.
- Non è cosa buona che i cani di diversi padroni socializzino. -
Quando Nemeria aprì gli occhi, Durga era balzata lontano e Roshanai aveva già attraversato metà del campo. Una lunga spada ricurva le pendeva dal fianco fino quasi a toccarle il polpaccio. La kandys che indossava lasciava scoperte le macchie rosee che le punteggiavano le gambe e le dita dei piedi. Se non avesse avuto quel cipiglio aggressivo e quell'andatura da soldato, Nemeria l'avrebbe definita bella, a suo modo.
- Salterò le presentazioni, sapete già chi sono io e io so chi siete voi. - enunciò decisa, - Non ci sarà addestramento spirituale, con me. Alla vostra età dovreste già aver capito qual è il vostro limite, anche perché sono certa che lo avete sfiorato più volte. Mi aspetto che vi sappiate controllare. Se così non sarà, non mi farò scrupoli a fare rapporto ad aghà Koosha. Non pensate di essere speciali o insostituibili: per quanto raro sia il nostro elemento, per una buona somma un mercante di schiavi potrebbe trovare un altro Dominatore anche migliore di voi. -
Nemeria annuì, anche se quel discorso le raggelò il sangue. Sapere di essere arrivata a tanto così dal perdere il controllo... per la Madre, quanto aveva rischiato.
- Seguitemi. -
Tornarono al campo circondato dal quadriportico. La colonna dove Nemeria aveva scaraventato Roshanai era stata ridipinta e la scia di sangue era svanita nel giallo uniforme. Reza li attendeva al centro del campo. Stavolta, oltre ai calzoni e alle calighe, indossava una tunica sbracciata, leggermente aperta sul petto. Scoccò un'occhiata intensa alla Ver'ilef e poi si mise di schiena alla colonna rossa, alle loro spalle. Sentire il peso del suo sguardo sulla nuca procurò a Nemeria un disagio tale da farle venire la nausea.
- Reza e io vi insegneremo a combattere con un'arma. Durga, tu sai già qual è la tua... - disse Roshanai, mentre squadrava la bambina con una smorfia scontenta, - Hai dieci minuti per andare in infermeria e tornare qui. Bada di non perdere tempo o ti verrò a cercare. -
Durga scattò subito. Bruciò la distanza tra il centro del campo e il colonnato in qualche secondo, prima di imboccare le scale. Nemeria la seguì con gli occhi finché non scomparve dietro l'angolo e il senso di colpa le trafisse il petto. Erano delle bruciature superficiali che non avrebbero lasciato alcun segno, ma era stata lei a procurargliele.
"Anch'io avrei bisogno di andare in infermeria."
Quel pensiero estemporaneo deviò la sua attenzione sul sangue che le sporcava la bocca e il mento. Anche il dolore alle spalle, rimasto in sordina fino a quel momento, divenne pungente. La constatazione seguente fu ancora più logica: Roshanai non le avrebbe dato il permesso di andare da Nande. La minaccia della sera prima e il ghigno crudele erano stati chiari indizi.
- Muoviti, mocciosa, non abbiamo tempo da perdere. -
- Roshanai, dovresti fare rapporto a Tara: è proibito danneggiare un gladiatore al di fuori dell'arena. -
Reza passò accanto a Nemeria e la studiò dall'alto dei suoi sei piedi d'altezza. Lei legò le dita dietro la schiena, raddrizzò quanto poté le spalle e tirò indietro quel poco di pancia che aveva. Voleva mostrarsi coraggiosa, ma il solo ricordo della frusta le fece mancare l'aria.
- Lascia stare. Anche se sarebbe la cosa giusta da fare. - Roshanai si gustò la finta espressione granitica di Nemeria, - Che serva da monito ad entrambe: potete giocare a fare le amiche quanto vi pare, ma nell'arena sarete avversarie. Un'esitazione può mandarti al tappeto e, te lo assicuro, la sconfitta è un marchio difficile da rimuovere. -
Nemeria deglutì e fece segno di aver capito. L'aria le si riversò nei polmoni quando Roshanai le ordinò di seguirla con un cenno del capo. Benché le fosse grata per quella decisione, il sapore amaro della vergogna le aveva rattrappito la lingua e asciugato la bocca.
L'armeria si trovava tra il campo d'allenamento del fuoco e della terra. Era una stanza più profonda che larga, con il soffitto a capriate di legno lucido e nessuna finestra. La luce che entrava dalla porta non arrivava nemmeno a illuminarne il fondo. Le rastrelliere erano state disposte lungo le pareti e ospitavano diverse armi, tutte ordinatamente disposte per tipo e materiale. Nemeria ne riconobbe alcune, ma si rese ben presto conto che la maggior parte le risultavano estranee.
Reza marciò fino a una rastrelliera e Roshanai lo raggiunse a rapidi passi, insieme a Nemeria.
- Questa è una qama. - le illustrò, indicando una daga dalla lama lunga e dritta, - Forse la conosci col nome di ghameh. Può essere lunga come questa o corta, simile a un pugnale. Per i combattimenti in arena si usa questa. Dubito però tu abbia la forza e la coordinazione per usare anche uno scudo. -
- Guardala, Reza: si allena tutti i giorni ed è ancora un insetto stecco. - rispose Roshanai al suo posto, - Trovale qualcosa di meno impegnativo. -
L'uomo annuì e tornò a studiare le diverse armi. Erano tutte di metallo, almeno da quello che Nemeria poteva vedere, ma non le parve che nessuna fosse affilata. Probabilmente, rifletté, era una misura precauzionale perché nessuno morisse durante gli allenamenti. Dal canto suo, aveva troppi pensieri per la testa per curarsi davvero di quale sarebbe stata la scelta di Reza.
"In qualsiasi caso, si andrà a sommare alle cose che dovrò imparare a fare, volente o nolente."
- Questa potrebbe andare bene. - Reza sfilò una shamshir senza decorazione e la mise sotto gli occhi di Roshanai, - Niente controtaglio, molto ricurva, guardia a crociera scudata, né troppo pesante, né troppo leggera. Rispetto a una spada normale è meno versatile, ma è ottima per colpire rapidamente senza rischiare di impigliare la lama. -
Roshanai la prese in mano e la soppesò, prima di porgerla a Nemeria. Lei la impugnò e rimase sbalordita nel constatare che riusciva a tenerla senza doversi sforzare troppo.
- Trenta pollici non sono nemmeno tanti. Dovrebbe riuscire a maneggiarla in breve. -
Un ansimare alle loro spalle li avvertì che Durga era tornata. Aveva le spalle e la parte alta delle braccia fasciate già lucide di sudore.
- Quasi puntuale, complimenti. - sogghignò la Syad.
Durga rimase piegata sulle ginocchia giusto il tempo di riprendere fiato. Poi, con quanta più dignità poté, si trascinò fino a pochi passi dalla rastrelliera.
A vederla sorridere come se nulla fosse successo Nemeria provò un misto tra sollievo e rabbia.
- Dalle il kilij. - ordinò Roshanai.
L'arma di Durga somigliava alla sua shamshir, ma era meno curva, priva di pomolo e, cosa che sorprese molto Nemeria, più lunga, nonostante lei e la sua compagna fossero alte uguali.
- Andiamo, abbiamo già perso abbastanza tempo. -
Tornarono al campo al centro, circondato dal quadriportico.
- Durga, tu ti allenerai con Reza. - comandò, poi si rivolse a Nemeria, - Tu, invece, sei mia. -
Roshanai le intimò con un ampio gesto del braccio di mettersi di fronte a lei e Nemeria obbedì. Fece appena in tempo ad agganciare gli anelli del fodero alla cintura che la Syad era già in posizione. Non era molto più alta di Sayuri, forse qualche spanna di più, ma metteva meno soggezione. La Ver'ilef era la personificazione del fuoco: aggressiva, istintiva e i suoi occhi la mangiavano allo stesso modo con cui l'avrebbero bruciata le sue fiamme. Era proprio perché era palesemente pericolosa che, agli occhi di Nemeria, incuteva meno paura di Sayuri.
- Evita la presa a due mani con la shamshir. Non stai impugnando una spada con la lama dritta. -
Compì un paio di mezzi giri attorno a lei, prima di sguainare la spada. La lama era massiccia e incurvata in modo uniforme. L'impugnatura sembrava troppo piccola rispetto alla mano della sua proprietaria, eppure Roshanai non sembrava avere alcun problema a impugnarla.
- Talwar. Somiglia molto alla tua shamshir, come puoi notare. Alcuni pensano che siamo stati proprio noi a introdurla nell'impero Skandaaleshan quando li abbiamo invasi. -
Un raggio di luce rimbalzò sul lato convesso della lama e si assottigliò in una linea brillante sul filo tagliente. Nemeria guardò la punta smussata della propria arma con ben più di un briciolo di apprensione. Lasciò la presa con la mano sinistra e la abbandonò lungo il fianco, prima che Roshanai riprendesse a parlare.
- Ottimo. Adesso rinfoderala e sfoderala il più in fretta possibile. -
Nemeria obbedì. Agganciò la lama parallela alla gamba, così come immaginava avrebbe fatto un soldato, e poi tentò di sguainarla di nuovo. Tirò una, due, tre volte prima di riuscire nel tentativo, e quando riportò lo sguardo su Roshanai il suo naso si trovò a mezzo pollice dalla talwar.
- Prima regola, bambina: nell'arena, il tempo conta. - la colpì col piatto della lama sulla bruciatura sulla spalla, - Mentre tu lottavi contro la tua stessa spada, io ho avuto il tempo di avvicinarmi e di colpirti senza che tu te ne accorgessi. E questo perché hai agganciato il fodero alla gamba del lato forte. Questo significa estrarre l'arma con la mano debole. -
La talwar si abbatté con forza sulla spalla sinistra e Nemeria a malapena riuscì a trattenere un urlo.
-Per trovare presa e angolo sei stata costretta a piegarti in avanti come una pescatrice e questo ti ha lasciato scoperto. Almeno le reti le hai riportate piene? No. - si umettò le labbra screpolate e smorzò una risata in un sibilo, - Anche un idiota alle prime armi sarebbe stato in grado di colpirti. Tieni a mente che i combattimenti all'ultimo sangue sono rari, ma ci sarà sempre un committente abbastanza facoltoso da organizzarli. -
Poggiò la lama contro la sua guancia e spinse finché Nemeria non percepì il dolore dell'acciaio che le bucava la pelle. Non si mosse, mantenne lo sguardo fisso in quello di Roshanai, mentre il sangue scorreva in una lacrima rossa lungo il collo.
- Ma facciamo finta che tu sia sempre molto fortunata e che non ti ritroverai mai a dover lottare per la tua vita. In quei pochi secondi, il pubblico ti ha già marchiato come un'inetta e cominciato a tifare per il tuo avversario. E questo è anche peggio della morte. -
Schioccò la lingua e ripristinò la distanza.
Reza e Durga duellavano vicino a loro, le spade che baluginavano intercettando la luce del sole e diffrangendola in abbaglianti lame sottili. I movimenti lenti e macchinosi della bambina si interrompevano contro quelli fluidi e naturali del suo maestro. Si scambiarono qualche parola senza fermarsi, in quella che sembrava una danza di accoppiamento tra uno scorpione e un serpente.
Una palla di fuoco della grandezza di un pugno le passò accanto al viso ed esplose in un getto di sabbia al limitare del campo d'allenamento. Nemeria tornò a fronteggiare la Syad.
- Regola numero due: non ti distrarre mai. O la prossima volta vedrò di mirare un po' meglio. - ringhiò Roshanai e caricò di nuovo.
Nemeria alzò la shamshir subito, in un riflesso incondizionato che la spinse anche a indietreggiare.
- Ricordati la prima regola. -
La Syad fermò il movimento a metà, con un gioco di polso ruotò la talwar e il colpo calò dal lato, veloce, troppo perché Nemeria potesse fare qualcosa. La punta le morse il collo e le aprì un taglio vicino alla giugulare.
- Togli quella mano dall'impugnatura. -
Non se n'era nemmeno resa conto, così come non si era accorta del cambio di traiettoria, e ancor prima della sua vicinanza. Si asciugò il sangue che colava lungo la guancia. Il suo sguardo si spostò sulla lingua di fumo che serpeggiava dal punto d'impatto della palla di fuoco.
- Come hai fatto? -
- Ah, allora sai parlare. - la sbeffeggiò Roshanai e riprese a girarle attorno, avanti e indietro, avanti e indietro, - Il collare limita il tuo potere, non lo blocca del tutto. Il nostro elemento è il più spettacolare: tutti lo temono e ne sono affascinati. Persino quando ne conosciamo la pericolosità, è difficile resistere alla tentazione. -
Un suo dito scorse sulla lama e si lasciò dietro una scia di fiamme che la avvilupparono. L'acciaio divenne di un rosso incandescente, come se il calore ne avesse risvegliato il cuore e ridato forza all'anima. Nemeria ammirò l'altalenante sfrigolare delle scintille, incantata dal loro avvolgersi sinuoso, così perfetto da far sbiadire tutto il resto.
- Tu... tu non hai alcun collare. - farfugliò.
Il sorriso sul volto di Roshanai divenne una linea infossata nel volto, una falce di luna appena scoperta sui denti ingialliti.
- Solo perché tu non riesci a vederlo. -
Spostò la talwar nell'altra mano e tornò all'attacco. Nemeria lo parò come poté, si spostò di lato e tentò un tondo. La lama tagliò il vuoto. A Roshanai bastarono tre passi per togliersi dalla sua portata e attaccare il fianco scoperto. La punta squarciò la stoffa, abbatté la resistenza della pelle e penetrò nella carne. Nemeria si morse le labbra, incespicò e quasi perse l'equilibrio quando si pestò un piede. Il sangue scorreva attraverso la tunica lacerata in un rigolo vischioso che si infiltrava nella stoffa e l'appesantiva.
- Terza e ultima regola: il tuo avversario non può ucciderti, ma non esiterà a umiliarti davanti al pubblico per farlo divertire. -
La donna macinò la distanza con uno scatto, le afferrò il polso, la costrinse ad abbassare la shamshir e le diede una testata sul naso. Un velo rosso le coprì la vista e Nemeria crollò a terra, lottando per respirare, mentre il sapore del sangue, del suo sangue, le appestava la bocca. Le lacrime, rimaste cristallizzate dietro le ciglia, le bagnarono la ferita sulla guancia e scorsero lungo il collo, mescolandosi alla saliva, alla polvere e alla sabbia che, come sale, bruciava sulle bruciature aperte.
Roshanai la sovrastava ghignando, pareva godere nel vederla a terra, sconfitta, umiliata: era quello il suo modo di vendicarsi.
"Stronza."
Nemeria strinse la shamshir e colpì alla cieca, con tutta la forza e la rabbia che aveva in corpo. Rotolò di lato e fece perno sull'arma per rimettersi in piedi. Il dolore la intrappolava in una rete di fil di ferro, così stretta da far tremolare i contorni all'angolo della sua visuale. Sputò un grumo di sangue e saliva e inspirò dalla bocca per snebbiare la mente. Si rese conto di star digrignando i denti solo quando iniziò a dolerle la mandibola.
- Se la rabbia è l'unica cosa che ti rende combattiva, usala. Attaccami come se dovessi uccidermi e continua finché non mi manderai al tappeto. -
Appoggiò la lama di piatto sul braccio sinistro e l'attaccò di nuovo. Le fiamme seguirono il fendente e si piegarono come steli d'erba sotto un forte vento. Nemeria parò e menò un colpo diagonale, dal viso al fianco. L'acciaio della sua shamshir si scontrò con quello della talwar, scivolò su di esso sulla linea di fuoco in una fontana di scintille.
- Mantieni il controllo. -
Roshanai si disingaggiò, le passò di lato e le sferrò un calcio dietro il ginocchio. La gamba cedette e Nemeria si ritrovò a terra, con le mani aperte sulla sabbia e la testa bassa, il sangue che sgocciolava tra le braccia. Si rese conto di essere distesa solo quando si ritrovò con la faccia schiacciata e la mano di Roshanai che le premeva sul collo. La Syad non aveva nemmeno il fiato corto.
- Queste sono le semplici regole che devi rispettare per vincere uno scontro. Tienile sempre a mente, perché saranno le uniche che conosceranno anche i tuoi avversari. - strinse la presa e sibilò, - Mi hai capita, mocciosa? -
Nemeria sentiva le mani bruciare. Il fuoco di Agni era lì e premeva attraverso i palmi in cerca di una via d'uscita. Solo la pietra di luna sembrava più calda dell'eruzione di potenza che aveva trasformato il suo sangue in magma.
"No..."
Chiuse gli occhi e strinse i pugni in un rantolo gracchiante.
- Rispondi! -
Il peso sul collo aumentò fino a mozzarle il respiro. Nemeria scalciò in agonia, stringendo l'impugnatura della shamshir come se fosse il suo unico appiglio alla realtà.
- Sì! -
- Bene. - la Syad si alzò in piedi e si allontanò di una decina di passi, - Ora alzati. Abbiamo appena cominciato. -
Nemeria si mise a carponi e soltanto dopo che il respiro si fu regolarizzato riuscì a raddrizzarsi. Intorno a loro la vita della scuola continuava come se nulla fosse. Alcuni ragazzi entravano e uscivano correndo dai campi. Nessuno era interessato a quello che stava accadendo. Passavano oltre, come se né lei né Durga esistessero. Nell'indifferenza più totale, Nemeria appuntò lo sguardo su Roshanai e sputò un altro grumo di sangue. Il naso pulsava e la sabbia sulle ferite bruciava più del sale.
- Hai intenzione di fare sul serio oppure hai bisogno di una spintarella? - la provocò la Syad.
La tentazione di colpirla con una fiammata era così suadente da contrastare il calore della pietra di luna e delle placche di oricalco. Nemeria strinse forte il ciondolo, se ne impresse la forma nel palmo finché non le sembrò di non star più andando a fuoco.
"Trattieniti, trattieniti, trattieniti."
Divenne il suo mantra. Se lo ripeté per tutta la mattina e per tutto il pomeriggio, fino a sera. Piuttosto incassava un colpo in più, ma si obbligò a mantenere il controllo. Per ogni volta che finiva a terra, per ogni ferita, riprendeva tra le mani la pietra di luna e pronunciava nella mente quella parola. Avrebbe desiderato scagliarsi su Roshanai e scatenarle addosso tutta la sua rabbia, ma quel gesto l'avrebbe lasciata in balia della fame distruttiva di Agni.
"Devo sopportare. Devo mantenere il controllo."
Roshanai se la prese comoda. Le impedì di mangiare e le concesse solo qualche pausa per andare al refettorio a prendere una brocca di quell'acqua sporca che Nemeria tanto odiava. Ben presto divenne calda e imbevibile. Sia lei che Durga avevano solo quella e se la dovevano far bastare.
Reza provò a buttar lì la proposta di una pausa più lunga, ma la Syad la declinò sempre. La terza volta, l'uomo smise di chiedere.
Ben presto anche la rabbia divenne pasto della fatica. Nemeria ascoltava i consigli di Roshanai, ma non aveva il tempo di elaborarli che la sua attenzione deviava sul corpo e sull'urgenza di parare quei colpi troppo veloci perché potesse davvero sperare di farcela. Le poche volte che riuscì a respingere i suoi assalti non ebbe nemmeno la soddisfazione di vedere il sudore o una smorfia di stanchezza sul suo viso.
Alla fine della giornata, quando terminarono l'allenamento, Nemeria non riusciva a reggersi in piedi. La tunica le si era appiccicata al corpo e sembrava essersi fusa in prossimità delle ferite, diventando quasi un'estensione slabbrata della sua pelle.
Roshanai la fissava con un sorriso soddisfatto, da gatta che ha appena finito divorare la cena. Reza attendeva con le mani intrecciate dietro la nuca, appoggiato alla colonna bianca sul lato sinistro del quadriportico.
- Domani, puntuale al campo del fuoco. - ordinò.
- Sì. - sibilò Nemeria.
- Io ora vado a cena. Tu occupati di pulire l'arma e di rimetterla a posto. - rinfoderò la talwar con un gesto fluido del braccio, - E prima di andare in camera, passa da Nande a farti medicare. -
Non appena Roshanai e Reza se ne furono andati, Durga le fu subito accanto. Profumava di menta, caldo e zuppa d'orzo.
- Ti ha davvero conciata male. -
- Poteva... - Nemeria si interruppe per riprendere fiato, - Poteva andare peggio. -
- Mh, credo che questo sia il peggio del peggio del peggiorissimo. - commentò e le tese la mano per aiutarla ad alzarsi, - Ce la fai ad andare a lavarti? Io vado ad avvisare Noriko di prendere un vassoio anche per te. -
Nemeria annuì, avvertendo i crampi della fame. Masticò i granelli di sabbia tra i denti e si focalizzò sul loro scroccare. Si sentiva in bilico su una corona di fiamme, sospesa in quella condizione pericolante, tra la rabbia e la calma.
- Vuoi che ti accompagni? -
- No, ce la faccio. E, se ci tieni a saperlo, ho anche una gran fame. -
- Non vuoi nemmeno che ti accompagni fino alle scale? -
Nemeria scosse la testa e si avviò senza aggiungere altro. Non aveva la forza né fisica né mentale per sopportare la genuina preoccupazione di Durga. Sentiva di meritarsela ancor meno dopo quello che aveva tentato di farle quella mattina.
Per sua fortuna i bagni erano deserti. Non che ne fosse realmente sorpresa, visto che l'ora di cena era passata da un pezzo. Si lavò in fretta nella vasca fredda, senza curarsi di coprire il seno e la sua intimità.
"Non c'è niente da vedere."
Quando fu pulita, si diresse verso l'harara. Dalla prima volta che gliene aveva parlato, Durga non aveva fatto altro che dirle quanto le avrebbe fatto bene. Dopo la giornata che aveva avuto, Nemeria avrebbe fatto di tutto pur di sentirsi un po' meglio.
Non appena aprì la porta, la nube di vapore che la investì le tolse il fiato per quanto era umida. Inspirò la poca aria fresca che l'attorniava ed entrò. Cominciò a sudare subito, ancor prima di stendersi sulla panca che protrudeva dal muro. Era una strana sensazione, fastidiosa e piacevole allo stesso tempo: il calore scioglieva i nervi ed estrapolava dalla pelle il profumo di menta che pareva innalzarsi assieme assieme al vapore fino al soffitto cesellato in un mosaico di stelle e costellazioni.
"Devo chiedere a Noriko come fa... o parlarne con Sayuri."
Si portò la mano alla radice del naso, ma una pulsazione dolorosa le ricordò che non era il caso. Lasciò ricadere il braccio nella fontanella, immerse le dita nell'acqua fredda e lo ripiegò sulla fronte. Le sarebbe piaciuto essere così leggera come la fragranza degli incensi accesi, avere un'anima volatile che potesse staccarsi dal corpo e fluttuare in alto, lontano dalla scuola, dalla sete di distruzione, da Abayomi e Zahra, e poi salire oltre le nuvole, nel cielo, dominio della Madre, tra le costellazioni e i venti. Allora si sarebbe dispersa in polvere di stelle e sarebbe ricaduta a terra come pioggia per tornare a far parte del Tutto, un'anima tra le anime, respiro e linfa del mondo.
"Troppi pensieri profondi... sudare mi fa male."
Uscì dall'harara con un misto di dispiacere e sollievo, tornò nell'altra piscina a sciacquarsi, asciugò col pestemal e si avviò in infermeria.
Non appena la vide entrare, Nande la squadrò da capo a piedi e sospirò.
- Siediti lì e non muoverti. -
Prese garze, stecche e disinfettante e si sistemò sullo sgabello proprio davanti a lei. Nemeria notò che i letti sotto la finestra erano vuoti.
"Chissà se alla fine sono guariti."
- Verrà il giorno in cui la smetterai di farti pestare. -
Nande esaminò il naso, tastando con cautela la zona gonfia, e controllò le narici. Per quanto toccasse con delicatezza, Nemeria dovette impegnarsi per non schiaffeggiarle via la mano.
- È una frattura lieve, non serve che te lo riallinei manualmente. - aprì un vasetto e le spalmò una crema al profumo di malva, - I primi giorni farà male. Cerca di tenere la testa sollevata la notte quando dormi. Non te lo toccare, se senti troppo dolore vieni qui. -
Quando le ebbe finito di medicare anche le altre ferite, prese un sacchetto che Nemeria ricordava molto bene.
- Te ne do cinque. - le mise le bacche tanu in grembo, appuntando lo sguardo su di lei, - Se fossi una ragazza normale, ti direi di evitare gli allenamenti per le prossime due settimane. L'unica cosa che posso fare è darti queste, con la raccomandazione di non abusarne. Hai visto che effetto fanno. Fattele bastare per il tempo che ti servirà per guarire, perché non ho intenzione di dartene altre. -
Nemeria annuì. Si allungò e divise le bacche tra la tasca sinistra e la destra.
- Noto con piacere che anche i segni delle frustate sono quasi completamente guariti. - osservò Nande, - Le pelle su quelli più profondi è ancora sottile. Direi che fra altri cinque giorni dovrebbe andare tutto a posto. Non hai nemmeno più bisogno delle bende. -
Nemeria scese dallo sgabello e si infilò la tunica, stando bene attenta a non fare dei movimenti bruschi.
- Domani, se riesci, vieni per l'ora di pranzo. Se la tua Syad ti dice che non puoi, presentati prima di cena. Devo prenderti le misure. -
- Misure per cosa? -
- Per vedere se hai messo su peso. Non puoi combattere se sei un fuscellino, anche e sopratutto perché al pubblico non piaceresti. Come in ogni spettacolo, anche l'aspetto degli attori conta. -
- E come farai a sapere se sono migliorata? -
- Tyrron si è premurato di farmi avere le misure iniziali di tutti i suoi gladiatori. È la prassi. -
Si alzò e rimise a posto garze e barattolini nei pensili dietro il tavolo. Il libro di botanica che stava leggendo una delle prime volte che l'aveva incontrata era ancora lì, aperto a poco più della metà.
Mentre si rivestiva, Nemeria si rese conto di non ricordare di essere mai stata misurata durante il periodo in cui era stata a casa di Tyrron. Forse mentre curava le sue ferite, Kamyar si era occupato anche di quello.
"Devo chiedere a Noriko se ne sa qualcosa."
- Ricordati di tenere la testa sollevata e di regolarti con le bacche. - le rammentò Nande.
- Lo farò. -
Nemeria uscì dall'infermeria e si diresse al piano inferiore. Forse sarebbe stato più intelligente tornare prima in camera e cambiarsi la tunica macchiata di sangue e stracciata in più punti, ma aveva troppa fame e si sentiva troppo stanca per tornare indietro. Quando si presentò, nel refettorio solo un altro paio di tavoli erano occupati, tra cui quello a cui sedevano Durga e Noriko. Il posto di Ahhotep era vuoto.
- Ho fatto quello che potevo per tenere la zuppa calda. - disse Durga.
- Non ti preoccupare. Grazie. - le sorrise mesta Nemeria.
Dedicò tutte le sue attenzioni al pappone – perché quello era – ormai freddo. Non aveva voglia di parlare con nessuno o di stare in compagnia, ma non poteva nemmeno prendere tutto e andarsene in camera. Forse avrebbe potuto evitare Durga, ma Noriko dormiva nella sua stessa stanza.
Come se avessero intuito il suo stato d'animo, le due ragazze non tentarono alcun approccio. Nemeria gliene fu grata, perché, anche volendo, con quel costante dolore al naso non avrebbe messo insieme più di tre o quattro parole.
Alla fine della cena, Durga mise a posto il vassoio per lei e Noriko l'affiancò mentre si avviavano fuori. In un certo qual modo, sembrava quasi la stesse scortando fuori: con le spalle dritte e il portamento marziale, agli occhi di Nemeria appariva come un soldato così dedito alla sua missione da ignorare tutto il resto. Persino i segni della stanchezza erano contenuti sul suo viso, ma delinearono le pieghe agli angoli della bocca quando Noriko la storse in una smorfia sofferente.
- Ci vediamo domani, allora. - la salutò Durga.
- Sì, puntuale. -
La bambina scoccò un rapido sorriso anche a Noriko, prima di precipitarsi su per le scale.
- Hai voglia di fare una passeggiata? -
La proposta colse Nemeria impreparata: - Non c'è un coprifuoco? -
- La sola raccomandazione è quella di andare a dormire presto, altrimenti si rischia di perdere gli allenamenti o fare schifo. -
Nell'aria fresca della sera, gli ansiti degli studenti che ancora si allenavano parevano più uno scherzo della stanchezza che un dato reale. Eppure, se Nemeria prestava orecchio, poteva udirli: il sibilare di una lama, lo spostamento d'aria di un pugno, il battito ritmico dei piedi intervallato da quello della corda.
Vieni al campo del fuoco.
Sussultò. Quella voce... era Pavona.
- Vorrei continuare ad allenarmi. - sbottò senza pensarci troppo.
Noriko inarcò un sopracciglio, comunicando tutto il proprio scetticismo.
- In questo stato può essere solo deleterio per te. -
- Se non faccio qualcosa per migliorare, Roshanai mi farà a pezzi. -
- Anche se lo volesse, Tyrron glielo impedirebbe. -
Nemeria scosse la testa. Le sembrava di avere una pallina al posto del cervello, che rotolava nel cranio a ogni minima oscillazione.
- Ci metterò poco, te lo prometto. -
- Te l'ho già detto stamattina, Nemeria. Non devi dimostrare niente. Nessuno ti ha insegnato a combattere, è già tanto che tu riesca a reggere questi ritmi. -
- Appunto perché sono più indietro degli altri devo cominciare a fare sul serio per imparare. - si passò una mano sulla bocca e sfiorò con l'anulare la punta del naso, - Sono stufa di essere la più debole, quella che deve essere sempre protetta. Da quando sono arrivata a Kalaspirit, mi sono nascosta sempre dietro di te, Altea, Hirad e ora Durga. Io... io non voglio più essere così. Non voglio più vivere nascosta nell'ombra di qualcun altro. -
- Nemeria, non puoi pretendere di diventare brava dall'oggi al domani. Ti posso insegnare io qualcosa, se proprio ci tieni, ma prima devi riprenderti. -
- Se tu puoi sopportare l'allenamento con Sayuri con un taglio sulla pancia, io posso fermarmi un'ora a esercitarmi con la shamshir. -
- Sei stupidamente cocciuta. -
- Tu più di me. - la rimbeccò.
Noriko trasse un profondo respiro, si girò e scrollò le spalle. Quando non si voltò, Nemeria seppe di aver vinto.
- Non fare tardi. -
- Ricevuto! -
Imboccò le scale e si precipitò al campo del fuoco. La luce calda dei treppiedi spennellava l'ambiente con un alone dorato sufficiente a illuminarne il perimetro e a schiarire in un grigio sfumato il nero del buio.
- Pavona? -
"Sono qui."
Ci fu un frullio d'ali, poi un corvo planò ai suoi piedi. Inclinò la testa in alto e fissò Nemeria dritta negli occhi. Aveva uno sguardo intelligente, troppo per un animale.
- Sei tu? -
"Sorpresa?"
Il gracchiare che seguì poteva essere interpretato come una risata.
"Purtroppo non ho trovato di meglio per venire qui. Non ci sono molti animali in questa città."
Nemeria si stropicciò gli occhi e si accucciò. Sua sorella le aveva accennato qualcosa del genere, ma le sembrava impossibile che dentro quel corvo ci fosse Pavona.
"Si chiama Proiezione. Gli animali hanno una mente semplice e non hanno le capacità di opporre una reale resistenza. Con gli umani è più difficile, molto più difficile. Anche se avessi potuto, non conosco nessuno che potesse entrare qui dentro senza farsi notare."
- Quindi tu ora stai parlando con me attraverso il corvo, giusto? -
"Sì. La mia mente ha occupato il suo corpo e posso muoverlo come se mi appartenesse."
Nemeria si sentiva un po' stupida a parlare con un animale ed era certa che se qualcuno l'avesse vista l'avrebbe presa per pazza. Per quanto potesse risultare strano, però, Pavona era lì, davanti a lei.
"Ho riflettuto a lungo su quello che ci siamo dette e ho deciso di aiutarti. Io ho ripudiato la mia eredità, ma amavo ogni singolo membro della nostra tribù. Non avrei mai augurato a nessuno di loro un fato tanto terribile."
Gli occhi divennero lucidi, ma Nemeria non avrebbe saputo dire se fosse una sua impressione, un gioco di luci o un vero velo di lacrime.
"Non posso fare molto. Il mio addestramento mi ha portata a padroneggiare appieno solo la terra. Ma qualcosa so e credo che tu debba impararla prima di perdere il controllo."
Nemeria si sentì punta sul vivo. Che lei sapesse ciò che aveva fatto a Durga e Roshanai? La vergogna le imporporò le guance e le arrossò le orecchie.
- Anche noi rischiamo di trasformarci in Jin? - sussurrò e si strinse le ginocchia con entrambe le braccia.
"È più complicato di così. Se mi permetterai di aiutarti, ti dirò tutto ciò che so. Non sentirti in obbligo di dirmi di sì. Posso capire che tu voglia lasciarti alle spalle ciò che è accaduto. Se vuoi, sparirò e non verrò più a tormentarti."
- No. - proferì in un impeto disperato, - No, io ho bisogno di sapere. Quello che mi sta accadendo... non riesco a controllarlo e ho paura di fare del male a qualcuno. Qualsiasi aiuto tu possa darmi, lo accetterò. -
Il corvo la scrutò con i suoi occhi pieni di consapevolezza umana. Fino all'ultimo, Nemeria temette che si tirasse indietro, che sarebbe stata lei ad andarsene e ad abbandonarla in balia di quel potere che non sapeva come domare. Invece Pavona zampettò in mezzo al campo e sbatté le ali un paio di volte, come se dovesse ancora prendere dimestichezza con il nuovo corpo.
"Allora cominciamo."
Il mondo, in quel momento, divenne più luminoso per Nemeria, e non solo perché le fiamme nei treppiedi cominciarono a scoppiettare con più ardore.

Angolo Autrice:

 Sì, sono viva, no, non sono scomparsa. Scusate per questi aggiornamenti lentissimi, ma la sessione (e gli esami) mi stanno letteralmente fagocitando la vita. Allora, ci tenevo a fare un ringraziamento per quello che riguarda questo capitolo: se è uscito così realistico lo devo a Dany the writer, un amico scrittore che ha avuto la pazienza di mettersi lì e controllare che quello che avevo scritto avesse un senso. Se avete tempo/voglia... insomma, se siete in cerca di una persona che, oltre alla sottoscritta, possa allietare le vostre giornate con storie piene di angst, dolore e violenza... non dovete fare altro che andare a visitare il suo profilo. Davvero, merita e non lo dico perché mi ha aiutata, ma semplicemente perché è bravo, sa cosa scrive e dove vuole andare a parare. Dany, se sei in ascolto, batti un colpo u.u A tutti voi che avete letto fino a qui, un enorme, gigantesco grazie. Il prossimo capitolo spero arriverà presto. La mia beta ha una vita che la richiama, quindi... abbiate pazienza <.<
Hime

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