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Autore: Hanji Phi    23/02/2018    0 recensioni
Ladybug e Chat Noir salvano Parigi ogni giorno -ma cosa nascondono i loro Miraculous? Qual è la loro storia?
Chissà... magari sono destinati a rincorrersi nei secoli lasciando piccole tracce del loro passaggio.
Estratto:
[...]
Il respiro le morì presto in gola.
Il suo cuore, invece, prese a battere ad una velocità inaudita, provocando un frastuono inarrestabile dentro di lei.
Occhi verdi in occhi azzurri e l’infinità dello spazio e del tempo ad unirli e a separarli.
[...]
Genere: Angst, Fluff, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio, Plagg, Tikki
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Roma, 65 d.C., Nerone della dinastia Giulio-Claudia (54-68 d.C.)
 
Le suntuose feste alla reggia, benché considerate un onore, avevano sempre avuto un che di soffocante ai suoi occhi. Non c’era angolo che non riflettesse la lucentezza dell’oro che permeava la Domus Aurea, e in alcun modo era possibile celarsi allo sguardo degli ospiti dell’Imperatore.
Situazione difficile per chi cercava di mimetizzarsi fra le ombre.
«Afrania!»
Dando le spalle agli affreschi colmi di creature fantastiche -creature che abitavano i miti e di cui l’Imperatore Nerone aveva voluto circondarsi- realizzati nella nuova sezione della villa, la ragazza si voltò al suono del suo nome.
«Oh, Pomponia» salutò con garbo, attendendo che la giovane donna la raggiungesse e riprendesse fiato. «Non dovresti correre in quest’edificio. E’ poco consono ad una nobildonna e pericoloso sotto gli occhi dei servitori del nostro Pater Patriae
«Smettila subito, Dru. Non ho intenzione di vivere nel terrore dell’Imperatore» disse la ragazza, utilizzando il nomignolo di cui solo lei e la sua famiglia potevano usufruire, ma pronunciò il tutto in un sussurro, lanciando qualche occhiata lungo il corridoio occupato da invitati sparsi qua e là.
«Non usare il mio nome in pubblico!»
«Nessuno ci farà caso, dato che tutti si rivolgono a te con il nome della tua famiglia» le ricordò, facendo un gesto incurante con la mano, come ad allontanare figurativamente la questione.
Dru alzò gli occhi al cielo, ma decise di non perorare oltre la propria causa.
«Beh, cosa posso fare per te?»
Cecilia -si riservava di pensarla almeno con il suo nome proprio, consapevole che nessuno avrebbe spiato i suoi pensieri- le si fece più vicina, attendendo che tre uomini in vesti eleganti e pieni di drappeggi si allontanassero con i loro calici e le loro risate.
«Più che altro cosa posso fare io per te. Tuo padre mi ha mandata qui a cercarti con mio fratello, dato che sei sparita dalla sala del banchetto insieme a Lollia e Marco, e speravo di riuscire a rubarti qualche istante per chiacchierare. Ormai si è fatta ora di tornare a casa»
Le labbra di Drusilla quasi si piegarono all’insù per il sollievo.
Le piacevano le feste, ma non quelle alla Domus Aurea. Circondata da tutta quell’ostentazione di ricchezze, era andata alla ricerca di una scusa per distanziarsi un attimo dal chiasso del banchetto. Avendo bisogno d’aria, ma non potendo allontanarsi dalla famiglia da sola, si era unita ai due Lollio, fratello e sorella, intavolando una cortese discussione sulla bellezza della serata e sui meravigliosi affreschi creati dall’artista al servizio dell’Imperatore, Fabullo.
In verità lei li trovava piuttosto rigidi e pretensiosi, ma non aveva potuto fare a meno di fermarsi davanti a quelli raffiguranti le bestie alate e le altre creature fantastiche.
Le stesse che combatteva da mesi protetta dalla magia degli Dei, al fianco di Deus Nicat.
Stringendosi nella sua stola, Dru sorrise all’amica e fece per risponderle, quando una voce profonda si intromise.
«Perdonate l’interruzione, mie signore, gradite qualcosa da bere?»
Io conosco questa voce.
Il pensiero la colpì come una tempesta, imprevedibile e furioso, e solo l’abitudine dettata dal suo rango nobile le impedì scattare sul posto per il bisogno lacerante di scoprire a chi appartenessero quelle parole.
«Grazie, ma non serve. Stavamo andando via»
La replica di Cecilia arrivò come ovattata alle sue orecchie.
Si voltò lentamente, sollevando di poco il mento quando si rese conto che il loro interlocutore aveva qualche centimetro in più sulle due ragazze.
Il respiro le morì presto in gola.
Il suo cuore, invece, prese a battere ad una velocità inaudita, provocando un frastuono inarrestabile dentro di lei.
Occhi verdi in occhi azzurri e l’infinità dello spazio e del tempo ad unirli e a separarli.
Dru mosse un passo indietro. Il servitore, invece, rimase rigido e in tensione, unico segno del suo sgomento gli occhi spalancati e le labbra dischiuse.
Quello sguardo le era così caro e familiare, così distante ma così vicino, che nel suo cuore facevano eco insieme, ad ogni battito, la desolazione lasciata dalla sua perdita e la gioia del suo ritorno, stordendola e restituendole un tesoro prezioso di cui non era stata a conoscenza fino a quel momento, ma che non avrebbe più lasciato andare anche a costo della vita.
Era, ovviamente, bellissimo, quasi in maniera dolorosa.
Aveva paura di aprire bocca, di lasciarsi sfuggire il bisbiglio del suo nome -o peggio, la sua litania, Nicat, Nicat, Nicat.
Lui non fu altrettanto cauto.
«Siete voi…»
Lo struggimento e il desiderio che animavano il suo tono la fecero quasi cedere al desiderio di gettarsi fra le sue braccia, anche solo per dare un po’ di tregua alle sue gambe tremanti.
Non riusciva a distogliere lo sguardo. Non riusciva ad impedire che i suoi occhi si inumidissero nel tentativo di prendere le redini del turbinio di emozioni dirompenti che si stavano abbattendo silenziosamente su di lei dall’interno.
Provò più volte a dire qualcosa, ma la consapevolezza di trovarsi di fronte al suo partner nella lotta contro il male, senza la maschera, e di aver al contempo ritrovato ricordi che non le appartenevano, ma per i quali avvertì un istantaneo moto di protezione e riconoscimento, l’aveva impietrita sul posto.
«Dru!»
L’esclamazione alterata della sua amica la riscosse da quella momentanea perdita di cognizione.
Avrebbe voluto rimproverarla per aver usato nuovamente il suo nome, soprattutto davanti ad una terza persona, ma conoscendola aveva sicuramente tentato più volte a scuoterla a suon di Afrania!, senza ottenere alcun risultato. Inoltre, che fosse proprio lui ad aver sentito non era affatto motivo di allarme.
Drusilla gli avrebbe affidato la propria vita ogni giorno -di certo lo faceva durante ogni combattimento.
Cosa potevano essere al confronto alcune regole sociali non rispettate?
«P-Pomponia-»
«Andiamo. I tuoi genitori ti aspettano» le ricordò l’amica con sguardo eloquente, riportandola definitivamente coi piedi per terra.
Annuendo, si strinse le braccia intorno e fece per abbassare lo sguardo e girarsi, ma esitò.
In un momento di spavalderia dettata dal bisogno cocente di rivederlo, alzò il braccio e si sfiorò il collo, curandosi di lanciare al giovane un’occhiata che non lasciasse alcun dubbio.
Il ragazzo, con quegli occhi verdi che conosceva così bene, la pelle abbronzata e parzialmente occultata da una serie di modesti drappeggi bianchi e una cintura di scarsa qualità legata in vita, riconobbe il segnale e strinse le palpebre, annuendo impercettibilmente.
Le guance le s’imporporarono lievemente e cercò in tutti i modi di reprimere il sorriso che voleva farsi strada, prepotente, sul suo volto.
Voltandosi, si incamminò lungo il corridoio con Cecilia al seguito. Decise quindi di concentrarsi sul tono urgente dell’amica, che chiedeva una spiegazione per la scena a cui aveva assistito.
Drusilla non poteva offrirle la verità, nonostante le due si conoscessero fin dalla nascita e Cecilia avesse la sua totale fiducia.
Quello che faceva -quello che lei e Nicat facevano, combattendo contro i mostri di cui l’Imperatore, nella sua follia, si serviva per le sue persecuzioni contro i monoteisti- rappresentava già un rischio indicibile per lei e la sua famiglia, che ovviamente era all’oscuro del compito che gli Dei le avevano dato e a cui non avrebbe mai potuto ribellarsi.
Coinvolgere anche lei sarebbe stato sconsiderato e irresponsabile, e Drusilla era troppo riflessiva per cadere nella tentazione di condividere quella parte della sua vita con lei.
Il ruolo che ricoprivano, per cui avevano giurato di proteggere gli innocenti, combattere la malizia che aveva corrotto il cuore dell’Imperatore -al punto da portarlo ad uccidere i suoi stessi consanguinei e la moglie e appiccare un enorme incendio alla città che governava- e mettere fine al male che dilagava nell’Impero, era un peso accolto con consapevolezza e orgoglio.
Drusilla l’aveva creduto dal momento in cui era diventata Ladybug e si era detta che quella doveva essere una missione assegnatale dagli Dei.
Ora, dopo essersi ritrovata faccia a faccia con l’uomo nelle cui mani risiedeva la propria vita, un profondo ed egoistico desiderio ardeva nel suo cuore con fiamme più alte di qualsiasi fuoco. Pregò che la sua piccola protettrice, Tikki, le concedesse qualche ora di felicità.
«Drusilla Afrania Emilia, esigo sapere chi fosse il giovane schiavo che ci ha fermate poco fa»
Un sorriso dolce spezzò il contegno usuale del suo viso, e si fermò proprio davanti all’uscio della porta che conduceva alla sala del banchetto.
Girandosi verso l’amica, usò le sole parole che sperava potessero placare tanto Cecilia quanto lei, anche solo momentaneamente.
«Nessuno. Solo qualcuno che ho conosciuto tanto tempo fa»
 
Puff! Capitolo 2, eh?
A quanto pare sono davvero tornata.
L’esame di storia è andato, ma non il mio spulciare fra i secoli. Stavolta, sono tornata sui passi dell’Impero Romano e una delle sue figure più controverse, un nome che a molti sarà familiare.
Ho messo insieme alcuni cenni storici e usanze sociali e le ho rimescolate a mio piacimento. Per questo motivo ho deciso di darvi qualche delucidazione in merito al mio uso delle fonti e/o altri dettagli:
1) Forse lo sapevate già, ma nell’antica Roma solo gli uomini avevano diritto all’assegnazione di tre nomi: praenomen, nomen e cognomen. Le donne, invece, prendevano solitamente la denominazione della gens familiare al femminile -nel caso delle protagoniste di questa piccola OS, abbiamo la gens Afrania e la gens Pomponia. O per lo meno, in pubblico. Nel caso in cui fossero in possesso di un nome proprio, questo doveva essere usato da pochissime persone della cerchia intima a cui apparteneva la ragazza, principalmente i familiari.
2) Com’è che lo Chat Noir della situazione è diventato Deus Nicat? Dubito il Deus necessiti di spiegazioni. Nicat, invece, sì. Me lo sono ricavato unendo nigrum e cattus -rispettivamente nero e gatto-, dato che usare le due parole complete ha fatto storcere il naso sia a me che al povero micetto nella mia mente.
3) Ancora, la costruzione della Domus Aurea va dal 64 d.C. al 68 d.C., sotto il Principato di Nerone. E’ preceduta dal Grande Incendio, che, si vocifera, fu appiccato dallo stesso Imperatore. Aiutò i cittadini offrendo rifugio dalla distruzione causata dal fuoco, ai fini di ingraziarsi il favore del popolo, ma le dicerie fecero presto a diffondersi. D’altronde, un uomo capace di uccidere madre, moglie e fratello -nonché molti aristocratici e altri esponenti della società poiché sospettati sommariamente di congiura contro la sua figura-, di certo non sembra qualcuno che possa farsi degli scrupoli. Per far cessare le voci, additò i cristiani come colpevoli dell’incendio, legittimando la persecuzione messa in atto contro di loro e trovando al contempo un capro espiatorio.
Fine della lezione! Ricordo, come sempre, che le mie sono ricerche nate da curiosità e bisogno di uno sfondo storico più o meno accurato, perciò prendete tutto con le pinze e, prima di fidarvi, trovate le vostre fonti. La storia può rivelarsi terribilmente interessante quando la si insegue per interessa personale!
Baci, alla prossima epoca!
Hanji Phi
   
 
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