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Autore: Spensieratezza    23/02/2018    6 recensioni
Sam Winchester è adorabile, sveglio e magico. è il fratellino minore di Dean, che il maggiore non sapeva di avere. Capirà ben presto che il suo fratellino è speciale, è magico e deve essere protetto da forze oscure che vogliono fargli del male.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nessuna stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'Sam, Dean e gli Dei '
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Dean Winchester era un tipo senza uno scopo, o almeno, questo è quello che credeva.

Dean Winchester non era un brutto ragazzo. Era biondissimo naturale, di quel biondo che fa tanto impazzire le ragazzine e fa storcere i nasi ai ragazzi.

“Cos’è quel colore da ricchione? Sei ricchione per caso?”

Dean non se la prendeva per certi epiteti.

“Potrei essere un ricchione ricco, vuoi venire a vedere casa mia?”

E qualsiasi fosse l’interlocutore, Dean si godeva la sua faccia esterrefatta, tutt’altro che schifata e Dean aveva la certezza che il tipo gli avrebbe fatto tutto quello che lui volesse, gratis.

Sì, perché, il fascino di Dean non era il suo improbabilissimo conto corrente, ma lui stesso, quella luce che emanava da lui, che gli altri vedevano, ma lui no.

Nient’altro che gelo attorno a me, niente luce, solo le tenebre.




Anche qualora il tipo fosse venuto davvero a casa sua, Dean non avrebbe fatto niente con lui, lo avrebbe solo fatto PARLARE, perchè a Dean piaceva sedurre con la MENTE, più che con il corpo. Lo sfogo fisico durava poco, ma se riesci a sedurre con la mente, l'orgasmo mentale dura molto di più.


Dean non era il tipico ragazzo nerd, complessato, che si rifugiava in un angolino e dava problemi, anzi, se gliel’avessero chiesto a sua madre Mary, lei avrebbe sicuramente risposto che Dean non dava NESSUN PROBLEMA e che lei era stata molto fortunata.
 

Dean non era il tipo a cui faceva piacere fare mostra del suo crogiolante autocompatimento e cercare bramoso, la compassione delle persone. Non voleva neanche cercare la comprensione delle altre persone. Qualcosa gli diceva che le persone non vogliono davvero conoscere gli altri, non i loro scheletri, non i loro fantasmi, no, le persone volevano soltanto che tu gli mostravi di essere pieno di luce, fosse anche una luce fasulla, artificiale.

E lui lo faceva. Si comportava normalmente. Usciva, dormiva fuori e quando sua madre gli chiedeva dov’era stato, lui rispondeva “con una ragazza.”

Quando lei gli diceva: “L’importante è che non è una storia seria.”  Lui gli rispondeva: “Certo che no.” senza lasciar trasparire che a quell’età, a diciotto anni, prendi tutto doverosamente, tragicamente sul serio.
 



Dean andava alle feste ed esibiva un sorriso fasullo, ma convincente, qualche volta si faceva di qualche cannetta e a volta beveva un po’ troppo e restava fuori per non farsi vedere da Mary ubriaco. L’indomani mattina, tornava a casa e addirittura a scuola, con l’aria più rilassata del mondo e quando proprio non riusciva a fingere la felicità, le canne aiutavano.

Quando Mary si lamentava che sentiva i suoi vestiti puzzare sempre di chissà che cosa, Dean faceva in modo di non fumarne più per un tempo lungo o breve, a seconda dei casi.
 

Di suo padre non parlava mai. Aveva lasciato lui e sua madre, quando era ancora troppo piccolo per ricordarselo e da allora non si era più fatto sentire, ma non sentiva la mancanza di un altro genitore che gli rompesse le scatole, così diceva.
 
 
 



Quel pomeriggio, era uggioso, sembrava che stava per piovere. Dean stava rincasando con la macchina, metà del tragitto passato a maledire quella giornata, Annabelle, - un nome tanto grazioso per una fanciulla tutt’altro che piacevole – e la sua stupida collezione di farfalle finte.

“Ma dai, non avrai mica creduto che fossero VERE? Pensavi davvero che tenessi delle farfalle vere nella mia camera? Per chi mi hai preso?”

Dean aveva trovato quel pretesto per scaricarla. La cosa delle farfalle l’aveva irritato non poco, ma non era quello il punto. Il punto era la NOIA.

Sempre la stessa gente grezza..lo stesso stupido cicaleccio..

Dean l’aveva accettato, non desiderava cambiare il mondo, solo desiderava non farne parte o almeno non desiderare di farne parte.
 

Vorrei morire.. pensò, ringraziando che sua madre e altri non potessero leggergli nel pensiero.
 

Nel momento che aveva pensato questa cosa, però, rischiò davvero che il suo desiderio si esaudisse, ma sotto forma di infarto.

Infatti, una visione inaspettata, lo fece quasi inchiodare.

Un ragazzino con i capelli spettinati, sporco e scombussolato, stava attraversando la strada.
 


“Porca put!! “ gridò, frenando.

Ancora scombussolato per quello che era successo, aprì la portiera, per vedere meglio quel disgraziato.

Il ragazzino lo guardò con un’aria impaurita e poi scappò nel bosco.

“Ma che caz…ehi, ehi! Dove stai andando?”
 
Aveva avuto pochissimi secondi per registrare le sue condizioni, ma il ragazzino sembrava coperto di stracci. Aveva una toga come di un monaco e già questo era una cosa stranissima, inoltre era scappato nel bosco.

Pregando che il ragazzino non fosse pazzo, psicolabile, o un assassino insospettabile, o che l’avesse attirato con un inganno, facendolo finire in mezzo a una setta di adoratori del diavolo che l’avrebbero sacrificato a Satana – guardi troppi film, Dean – continuò a camminare nel bosco.
 

“Ragazzino! Ragazzinooo! “
 




Dean uscì dal bosco dopo un po’, sentendosi stupido e idiota. Perché diavolo si era messo a cercare quel ragazzino strambo? Non aveva senso e sicuramente in questo modo l’aveva spaventato ancora di più.

Decise di archiviare la faccenda come un caso strano, ma in fondo la vita era piena di stranezze, no? Servivano a convincerti che in fondo la vita era anche interessante, poi tutto tornava normale. Come presa per il culo non era male, in fondo, dopo un po’ potevi anche riuscire a coglierne l’ironia.
 
 
 



“Uffff..” sospirava Dean, dentro la doccia, insaponandosi per bene e togliendosi di dosso l’agitazione dei minuti prima. Era importante dare un’immagine di sé, che faceva trasparire alle persone che ti stavano intorno, che niente e nessuno poteva turbarti, perché le persone erano magiche. Possono intuire che sei vulnerabile, fragile, psicotico o facilmente preda delle emozioni, semplicemente dai tuoi nervi tesi e dalla tua espressione e da qui si allontanano. Era quindi importante fare il possibile per lasciare scorrere via la tensione dalla tua pelle, dalle ossa, dal tuo corpo, in modo da presentarti sempre impeccabile.

Dei colpi sordi al di fuori arrivarono a turbare tuttavia le sue elucubrazioni.

“Ma che cosa…?” Dean era incuriosito. La curiosità sembrava una cosa buona. Non si sentiva incuriosito così da quando tempo fa percepì il suono come di qualcuno che suonava il pianoforte, chissà dove. Pochi giorni dopo, il suono non tornò più e Dean capì che tutto era tornato alla normalità. Gli eventi fuori dalla norma, non durano mai.
 
 
I colpi sordi continuavano e disturbavano i pensieri di Dean. Si accorse che erano molto vicini. Aprì la porta principale e vide che il ragazzino stava cercando di aprire il cancello.
 

Dean provò adesso la paura. Forse era successo qualcosa a qualcuno che conosceva o forse il ragazzino era stato picchiato o malmenato da qualcuno.

“Ehi! Ehi!” disse Dean, andando a prendere le chiavi per aprire il cancelletto.
 
Il tempo che uscì di casa per avvicinarsi al cancello, il ragazzino era sparito.

“Damn! Questo ragazzino mi farà uscire scemo! Ma cos’ha da scappare tanto??” sbottò Dean.
 



Dean fece un altro giro lungo per cercarlo, senza risultati. Rientrò in casa più furibondo che mai, ma subito notò delle impronte, sporche di fango.



“Oddio..” disse Dean, cominciando a cercarlo. Alla fine lo trovò in camera sua, accucciato contro un angolo, seduto per terra, come se fosse terrorizzato.
 

“Ragazzo.. che ti è successo?” gli chiese cauto Dean.

Il ragazzo dai capelli castani con una frangetta sulla fronte, tirò su con il naso, senza rispondere.

“Posso..posso avvicinarmi? Non voglio farti del male.” disse Dean.

Il ragazzo non rispose. Dean si avvicinò, sentendo i nervi crescere sempre di più.

Quando però gli sfiorò la guancia con le dita della mano, il ragazzino si tirò indietro, sbattendo gli occhi e sussultando.

“Ok, ok, sto lontano. Puoi dirmi almeno come ti chiami e perché sei qui?”

Il ragazzino non rispose.
 
Dean si sentì più ansioso che mai, ma lo guardò meglio. Aveva le scarpe da ginnastica sotto la tunica, da cui si intravedevano quelli che sembravano dei jeans, dunque non era nudo sotto quella cosa.

“Okay, non sembri un selvaggio, o uno cresciuto tra i boschi, quindi..o sei un grande attore e il tuo scopo è derubarmi, o qui la cosa si fa molto strana. Adesso chiamo la mamma e  vediamo di risolvere la faccenda.”
 

A quelle parole, il ragazzino alzò lo sguardo e i suoi occhi si ingrandirono. Dean lo osservò con sguardo curioso e cominciò a digitare il numero sul suo cellulare.
 
 






















Note dell'autrice: 

spero vi piaccia questa storia nuova ^^ io purtroppo dopo un pò sento il bisogno di scrivere storie nuove, l'idea mi ricarica :D 

il motivo del titolo, vi verrà svelato in seguito :D
   
 
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