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Autore: FeBookworm    23/02/2018    1 recensioni
[Dunkirk]
[Dunkirk][Crossover Dunkirk-La grande fuga]
Londra, giugno 1965.
Farrier e Collins partecipano a un incontro commemorativo sulla II Guerra Mondiale.
E' l'occasione per Farrier per parlare della sua esperienza nel campo di prigionia.
[Dalla storia]
C’è dunque la speranza che si ricordino di loro.
Questo silenzio colmo di rispetto e orgoglio è per voi, ragazzi. Per voi Cinquanta.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In memoria dei Cinquanta

 Londra, giugno 1965

 
Quest’anno Londra ha deciso di festeggiare in grande il ventesimo anniversario dalla fine della guerra. Per la durata dell’intero anno nella capitale avranno luogo mille e più eventi commemorativi in modo che le giovani generazioni possano rendersi conto di quello che è successo. E questo dopo che l’anno scorso, nel ’64, abbiamo commemorato nello stesso modo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Due anni di fila di commemorazioni. Due interi anni.
Molti miei commilitoni ne sono stati entusiasti. “E’ un segno di continuazione, William. Abbiamo combattuto come i nostri padri. E’ giusto che i nostri figli conoscano ciò che è stato in modo che non accada più.”
Dicevano così anche negli anni Trenta, prima dello scoppio della seconda guerra.
Ricordate, imparate e non accadrà più” era il motto di allora. Eppure è risuccesso.
E poi… siamo davvero sicuri che questi giovani, nati in tempo di pace o durante una guerra di cui non hanno ricordo, comprenderanno?
Anche Johnny ha storto il naso a questi due anni di commemorazione. E’ consapevole quanto me che ci sono ferite, fisiche quanto psicologiche, che ancora continuano a sanguinare. Le cicatrici e le ustioni non sono niente rispetto agli incubi della notte.
Ma Johnny non è pessimista come me sulle “giovani leve”. E’ convinto che tutto possa sistemarsi, che tutto possa risolversi per il meglio. E, per quanto mi abbia sempre contagiato col suo ottimismo, questa volta credo che la sua piccola felicità familiare lo stia rendendo cieco di fronte alla realtà. Da quando è diventato padre (“Un miracolo, Will, riesci a crederci? Io e Martha genitori dopo sedici anni di matrimonio. Un vero miracolo!”) vede costantemente l’arcobaleno anche nelle peggiori giornate di pioggia.
E’ solo per lui che oggi sono qui, in questa sala conferenze piena di giovanotti esuberanti e giornalisti impiccioni alla ricerca di eroi di guerra da mitizzare. Mi sono lasciato trascinare qui dal suo entusiasmo, lo stesso di quando all’Accademia di volo mi costringeva a tornare sullo Spitfire per l’ennesima simulazione.
“Non ti costringe nessuno a parlare, sai?” mi dice Martha mentre prende posto di fianco a me con il bambino in braccio:”Nemmeno John parla. Questo è il quarto evento in dieci anni a cui andiamo e non ha mai parlato della sua esperienza personale. E’ qui per gli altri, a dire la verità. In rappresentanza di chi non c’è più.”
“David Dawson” dice subito dopo Johnny sedendosi vicino alla moglie:” E’ per lui che lo faccio. Io sono sopravvissuto a cinque anni di guerra e a non so quante missioni con la RAF. Lui e il suo Hurricane sono stati abbattuti nelle prime settimane. Il suo sacrificio non deve essere dimenticato.”
Sacrificio.
E’ una parola che tra noi commilitoni non diciamo spesso parlando dei compagni caduti. Allora stavamo facendo tutti il nostro dovere, qualcuno ci metteva più impegno certo, ma…sacrificio? Lo diciamo solo in casi estremi o eroici.
Come nel caso di Big X e degli altri.
Buffo, in tutti questi anni dalla fine della guerra ho pensato a quei Cinquanta solo un paio di volte. Ho raccontato tutto a Johnny e poi ad altre due o tre persone e poi basta.
Ma Johnny ha ragione. Il loro sacrificio non deve essere dimenticato.
Per questo motivo alla fine deciso di alzarmi anche io per raccontare la mia storia. Johnny mi segue e si mette alla mia destra, dove è sempre stato nelle missioni che abbiamo fatto insieme.
“Buongiorno a tutti” dico dopo un attimo di silenzio:”Mi chiamo William Farrier, tenente di squadriglia della RAF. Ho prestato servizio nell’aviazione inglese prima come ufficiale istruttore all’Accademia di volo e poi come vice capo squadriglia allo scoppio della guerra. Ho prestato servizio a Dunkerque”.
A quel nome i più anziani tra il pubblico emettono uno strano suono, un misto di ammirazione e terrore allo stesso tempo. Johnny da sotto il tavolo mi dà un colpo per incitarmi ad andare avanti.
“Sì, ero a Dunkerque. Io e John Collins, l’uomo alla mia destra, abbiamo cercato di fare del nostro meglio contro l’aviazione tedesca, soprattutto dopo che il nostro capo squadriglia fu abbattuto. Ho continuato a volare pur sapendo che non avrei avuto abbastanza carburante per ritornare indietro al sicuro. Ho continuato a lottare perché è questo che fanno i veri soldati anche se c’è il rischio di non tornare a casa. E, una volta atterrato, ho distrutto il mio Spitfire in modo che i soldati tedeschi non potessero prenderlo.”
A queste parole partì un applauso orgoglioso da parte del pubblico, ma io non voglio il loro orgoglio o il loro rispetto. Voglio solo la loro attenzione perché la mia storia non è finita qui.
“Fui catturato. E adesso parlo ai più giovani di voi, perché dovete sapere quello che ci è successo, perché noi reduci siamo così disillusi, così arrabbiati.”
Johnny mi passa un bicchiere d’acqua e io lo accetto volentieri. Adesso viene la parte più difficile.
“Stalag Luft III. E’ il nome del campo di prigionia per aviatori in cui mi hanno portato. Si trovava in Polonia ed era organizzato in modo che avessimo l’impressione che nulla ci fosse negato, tranne la libertà completa, per rispetto tra ufficiali di eserciti diversi. Ma era solo una delle ennesime bugie del regime. Certo, non abbiamo subito le atroci procedure dello sterminio degli ebrei né le disumane condizioni in cui vivevano i prigionieri russi. Ma i Nazisti erano molto efficienti nel ricordarti chi era il capo e che un campo di prigionia è pur sempre una prigione all’aperto.”
Vedo tra i ragazzi più giovani una scintilla di interesse nei loro occhi. E allora vado avanti, ricordando tutto.
“Insieme a me in quel campo arrivò anche un ufficiale d’aviazione che veniva chiamato Big X, il cui vero nome era Roger Barlett. Era una delle persone più carismatiche che io abbia mai conosciuto e uno di quegli ufficiali capaci per cui daremmo tutti la vita. Non era il primo campo in cui veniva imprigionato e aveva già tentato più volte la fuga. Il suo obiettivo era di recare il maggiore disturbo ai nostri carcerieri e far loro capire che non ci saremmo mai arresi, se non alla morte. Così organizzò un ennesimo tentativo di fuga, questa volta su larga scala. Coinvolse più persone possibili e, anche se alcuni prigionieri non parteciparono attivamente al piano, ci hanno sempre protetto col loro silenzio. Se siamo durati così a lungo è anche grazie a loro.”
Improvvisamente la mano destra, quella con cui pilotavo il mio Spitfire, iniziò a tremare. Mi succede spesso quando sono sotto stress, un costante ricordo delle ferite del mio animo che non sono ancora guarite.
Ma ecco che Johnny mi dà un altro colpo da sotto il tavolo e io capisco di non essere poi così solo. E allora vado avanti.
“Ci impegnammo nella costruzione di tre tunnel sotterranei. Ben tre, in modo che se i soldati tedeschi ne avessero trovato uno, avremmo potuto concentrare le nostre energie sugli altri due. Mentre alcun di noi scavavano, alti erano impegnati nel cucire le nostre uniformi in modo che sembrassero abiti civili o a creare documenti falsi. Era organizzato tutto nel minimo dettaglio, non pensavamo nemmeno che potessimo fallire. Ma, il giorno della fuga, realizzammo che il tunnel era di quasi una decina di metri più corto rispetto al previsto e non potevamo contare sulla protezione del bosco per sbucare fuori dal tunnel” sento una ragazza sussultare dal terrore, ma io devo andare avanti:”Decidemmo di proceder lo stesso. Circa ottanta di noi riuscirono a scappare prima che le sentinelle ci scoprissero. Roger aveva programmato di farne evadere duecento, ma comunque ottanta persone fuggite dal campo avevano il suo peso. Da quel momento le cose andarono sempre peggio.”
Bevo ancora un goccio d’acqua, cercando di non pensare al groppo che ho in gola. Perché deve essere così difficile?
“Uno degli aspetti dei nostri nemici che non viene mai sottolineato abbastanza è la loro smania di controllo. Normalmente, se dei prigionieri fuggono, li si cerca, certo. Ma se non si trovano, si lascia perdere. Loro no, andarono avanti a cercarci in maniera così minuziosa che solo tre di noi, tra cui io, riuscirono effettivamente a scappare. Agli altri toccò un destino terribile. Undici di noi vennero riportati nel campo e lì vi rimasero fino alla liberazione da parte dei russi. Ma a cinquanta di noi, tra cui Roger…”
Il groppo in gola è diventato un singhiozzo e io non riesco più ad andare avanti.
Guardo Johnny, pregandolo di continuare lui per me, ma il mio amico rimane in silenzio, mettendomi solo una mano sulla spalla facendomi sentire tutto il suo supporto.
“A cinquanta di noi, gli ufficiali più alti in grado che avevano organizzato un piano così perfetto, toccò la sorte peggiore. I Tedeschi fecero loro credere di essere quasi arrivati al campo, li fecero scendere dai camion per sgranchirsi le gambe e poi… li finirono con una scarica di mitragliatrice”.
Sento qualche rumore tra il pubblico, sospiri terribili che mi ricordano il dolore provato dalle vedove.
“Io riuscii a tornare a casa grazie alla Croce Rossa. Tornai in patria qualche mese prima della fine della guerra e da allora ho ripreso il mio lavoro come istruttore di volo alla RAF. Io non sono un eroe di guerra, sono solo un sopravvissuto. Gli eroi sono loro, i cinquanta uomini che fecero quella fine orribile. Per questo vorrei chiedervi di alzarvi tutti e di dire una preghiera per le loro anime. In memoria dei Cinquanta!”
Si alzano tutti, dal primo all’ultimo.
C’è dunque la speranza che si ricordino di loro.
Questo silenzio colmo di rispetto e orgoglio è per voi, ragazzi. Per voi Cinquanta.


Note dell'Autrice:
​Questa storia è nata dopo che ho visto il film "La grande fuga" basato su fatti realmente accaduti. Mi è parso che potesse essere un attimo sequel per la storia di Farrier e quindi ho scritto questo Crossover. 
​Nolan non ci fa sapere i nomi dei protagonisti del film, così nella mia testa sono William Farrier e John Collins. Per il figlio di Mr Dawson ho scelto invece David, che vuol dire "l'eletto", mi è sembrato appropriato come significato dato che poi Collins usa la parola "sacrificio" parlando di lui.

​Vi lascio il link della mia pagina autrice su Facebook in caso vogliate parlarmi/seguirmi ^^

https://www.facebook.com/FedeMorningRockEFP-663566033691978/

-Fé-
 
   
 
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