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Autore: cassiana    29/06/2009    4 recensioni
Emyn Arnen, Quarta Era: sono i primi tempi del matrimonio tra Eowyn e Faramir e sebbene sembra andare tutto per il meglio, Eowyn si sente irrequieta, scontenta della vita che ha scelto. Durante una sortita di Faramir contro alcuni banditi che vessano la popolazione, la Bianca Dama prende una decisione che la porterà a scoprire sè stessa e i suoi veri sentimenti.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eowyn, Faramir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Abbandona la spada Bianca Dama

 CAPITOLO II.
          


        Quella prima notte si accamparono in una radura poco distante dalla strada. Eowyn scambiò qualche battuta con gli altri giovani cavalieri, ma si tenne in disparte, attenta a non farsi scoprire. Al di là del fuoco poteva scorgere il Sovrintendente parlare con i suoi uomini, il fuoco creava ombre mutevoli sul suo volto virile. Anche da lì poteva riconoscere la preoccupazione sul suo viso. Beregond fece una battuta che Eowyn non riuscì a sentire ma che fece aprire il volto di Faramir in una schietta risata.  Il fuoco crepitava e fiammelle erratiche danzavano intorno ad esso, un ciocco si frantumò con fragore liberando mille scintille che si levarono alte nella notte. Quando il gruppetto di uomini intorno a Faramir si sciolse fu chiaro a tutti che era il momento di riposare. Il fuoco fu ridotto a brace, i soldati addetti al primo turno di guardia si sistemarono ai propri posti, gli altri si apprestarono a dormire qualche ora. Eowyn si rintanò nel suo cappuccio stringendosi il mantello addosso.
        La mattina successiva si alzarono di buon’ora, i ranger non avevano più tanta voglia di scherzare, si preannunciava una giornata faticosa e dura.
Prima di dividere gli uomini in due gruppi Faramir volle fare loro un discorso. Scese da cavallo per portarsi allo stesso livello dei suoi soldati e pronunciò poche e vibranti parole.
        - Vedo molti giovani fra voi, ragazzi che non hanno conosciuto la Guerra. Giovani che guardano spavaldi di fronte a sé. Io vi dico: questa è una piccola scaramuccia, ma avrete paura. Tenetela accanto a voi come una buona amica, occhi aperti e nervi saldi. E ricordate: si può morire anche per mano di un uomo.
        Eowyn l’osservava andare avanti e indietro, la schiena dritta, i capelli neri legati in una  coda bassa, la voce calda e autorevole. Non era stato un discorso retorico o altisonante, ma in esso la Dama Bianca aveva potuto leggere la preoccupazione sincera di un comandante verso i propri uomini: era per questo che essi lo amavano e lo avrebbero seguito ovunque lui avesse chiesto loro di andare. Faramir rimontò a cavallo e fece cenno ai suoi uomini di seguirlo. Il drappello si mosse con ordine e si allontanò verso sud. Il Sovrintendente e i suoi attendenti avevano elaborato un piano per prendere di sorpresa i briganti e stringerli in una tenaglia che non desse loro scampo. Per questo aveva diviso i ranger in due gruppi: gli uomini che aveva con sé avrebbero attraversato la foresta con l’intento di attirare l’attenzione. Nel frattempo il gruppo di Beregond si sarebbe mosso furtivo verso l’Anduin con lo scopo di tagliare ogni via di fuga ai fuorilegge. Il drappello procedeva velocemente, le fronde degli alberi frusciavano lievi sopra le loro teste. I cavalli allargarono le froge, sbuffando e calpestando pesantemente il terreno morbido, muovendo le orecchie avanti e indietro, captando ogni rumore del bosco affatto silenzioso: schiocchi, trilli, ronzii e il lieve tintinnio dei finimenti. Faramir sedeva impettito sul suo grosso baio, concentrato sull’imminente azione. Dardeggiava con occhiate fugaci la foresta intorno a lui, attento ad ogni minimo dettaglio. Con un movimento della mano bloccò gli uomini che disciplinati si fermarono, in attesa. Il Principe sollevò il viso e annusò l’aria: sotto l’odore aromatico delle felci, della terra smossa e dei gelsomini intuì, nella brezza, una lieve traccia di fuliggine. Di nuovo, con la mano indicò la direzione da prendere. Mablung annuì e a sua volta ordinò ai suoi uomini di seguirlo. Il sole era alto e disegnava sul terreno trine e arabeschi di luce che confondevano la vista. I fianchi dei cavalli avevano cominciato a ricoprirsi di sudore così come gli uomini che trasportavano. Procedevano ora con maggior cautela, certi che si stessero avvicinando sempre più all’accampamento dei banditi. Sebbene quello fosse il momento meno opportuno la preoccupazione per la felicità della moglie era riuscita ad infiltrarsi tra le riflessioni del comandante. Una marea di ricordi frammentari e disordinati riempirono la mente di Faramir: immagini di Eowyn, del suo volto sorridente o imbronciato, del suo corpo flessuoso che tanto amava accarezzare. Ma non aveva né il tempo né l’attenzione necessari per soffermarcisi ed analizzarli, così si trasformarono in una sorta di confuso caleidoscopio confortante e fastidioso ad un tempo. Un grido improvviso lo distolse dalle sue meditazioni. Poco distante da lui un uomo col mantello dei ranger giaceva a terra, una freccia conficcata nella spalla destra.
        - Tutti giù, adesso!
Urlò Faramir balzando egli stesso a terra. Prontamente i ranger seguirono l’ordine. Faramir fece cenno a Mablung di occuparsi del ferito che fu immediatamente trascinato al riparo. Gli uomini guardavano nervosamente intorno a sé. Faramir  vagliò attentamente ogni alternativa; l’idea era quella di attirare i fuorilegge fuori dall’accampamento, ma così l’imboscata avrebbe avuto inizio troppo presto e in trappola sarebbero finiti loro. Un tonfo sulla sinistra attirò la sua attenzione: un movimento tra il fogliame indicò che qualcuno stava scappando. Il principe scattò al suo inseguimento, mentre i ranger si sparpagliavano a raggiera per coprire un’area maggiore. Faramir strizzò gli occhi nel tentativo d’individuare il fuggitivo, le gambe pompavano veloci trascinandolo nel loro impeto, indifferente del cuore che batteva fragorosamente contro il petto e dei rametti che gli sferzavano il volto. Si fermò all’improvviso, incespicando davanti alla scena che si presentò ai suoi occhi. Due dei suoi ranger erano riusciti a tagliare la strada al fuggiasco e lo stavano trattenendo a terra mentre questi si dibatteva grugnendo.
        - Fermo, dannazione! – urlò uno dei due uomini mollandogli uno schiaffone violento. Faramir si avvicinò:
        - Tiratelo su. – ordinò e quando quello fu in piedi, Faramir si rese conto che era poco più di un bambino. Fu colto da un moto di compassione, si chiese cosa potesse spingere un ragazzino di quell’età ad unirsi ad una banda di criminali che depredavano e vessavano senza pietà la povera gente. Forse era stato lui stesso uno di quei disgraziati, forse la fame, le privazioni. Ma non era quello il momento per simili riflessioni, Faramir indurì il volto e si parò davanti al ragazzo il cui viso ostentava spavalderia, ma i cui occhi erano colmi di paura.
        - Hai ferito uno dei ranger dell’Ithilien. E’ un reato molto grave.
Esordì Faramir pacato ma con una nota aspra nella voce. Il ragazzino deglutì e sgranò ancora di più gli occhi. Gli uomini in verde lo tenevano saldamente per le braccia.
        - Sei in arresto. Normalmente verresti portato a Osgiliath o forse addirittura a Minas Tirith. Ma aspetterai il tuo giudizio ad Emyn Arnen.
Un lievissimo sorriso sollevò uno degli angoli della bocca del prigioniero. Faramir se ne accorse e sorrise a sua volta.
        - Ti portiamo lì perché non credo sarai al sicuro con i tuoi ex amici. Sai, non gradirebbero un traditore tra loro.
Il suo tono era colloquiale, quasi gentile, ma il prigioniero impallidì.
        - Perché ora ci dirai dov’è l’accampamento, quanti uomini vi sono, se ci sono sentinelle e altre informazioni interessanti.
E incrociò le braccia in attesa. In cuor suo odiava doversi comportare a quel modo ma sapeva quanto fosse necessario. Con quel tipo di persone funzionava la durezza più che la gentilezza o comprensione. Così rimase impassibile mentre il piccolo prigioniero ricominciava a divincolarsi. I suoi custodi lo strattonarono violentemente  imprecando, fino a costringerlo ad immobilizzarsi di nuovo. Il ragazzo, come se avesse capito che quel comportamento non avrebbe portato a niente di buono, abbassò di colpo le spalle, arreso. Col volto chino cominciò a parlare.
        Un uomo era intento ad affilare il suo coltello, la pelle abbronzata e segnata dalle cicatrici era coperta da una patina di sudore. Accanto a lui un compagno sputò un bolo di erba pipa. Poco più in là altri uomini attendevano alle loro mansioni, chi trasportava l’acqua dal fiume, chi rastrellava i tetti di paglia delle sbilenche casupole di quella sorta di villaggio illegale. C’era nell’aria odore di erba secca e sterco di cavallo. Un rombo attirò l’attenzione  degli uomini, qualcuno guardò verso l’alto, molti scattarono in piedi sguainando le armi e con l’impeto di un uomo solo i ranger furono loro addosso.




Spazietto Autrice:

Grazie a tutti per i commenti!

Mannu: A te non ti dico niente, solo grazie dell'impegno che hai di metterti lì a leggere cose di ne sai poco! * squeee!*
Cleo92: Bè grazie, davvero. Felice che ti sia piaciuta!
Semplicemente_Black: Eccolo, che ne pensi? Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!
evening_star: Spero che questo secondo cap. sia stato all'altezza del primo e che continui a seguire la storia!




   
 
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