La normalità significa ciò cui si è abituati.
Se qualcosa potrà non sembrarvi normale al momento, dopo un po’ di tempo lo sarà.
Diventerà normale.
Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella
Se qualcosa potrà non sembrarvi normale al momento, dopo un po’ di tempo lo sarà.
Diventerà normale.
Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella
Prologo
Quando aprì gli occhi, tutto ciò che vide era un soffitto bianco. Anonimo, sterile, non riusciva a ricollegarlo a nessun luogo in cui era stata. Dove era finita? Cosa era successo? Pochi secondi prima si trovava su un aereo in volo per l’Inghilterra, era partita di notte.. Che cosa era tutta quella luce? Cercò di guardare intorno a sé ma non appena tentò di muovere le pupille cerulee, un capogiro la colse improvvisamente, costringendola a richiudere gli occhi. Si sentiva così debole.
Provò a piegare un braccio ma un dolore lancinante al gomito la dissuase da concludere il movimento. Sentiva come se avesse qualcosa dentro il braccio che le impedisse di essere libera di muoversi. Dopo pochi secondi in cui la confusione regnava sovrana nella sua mente, alle orecchie sopraggiunse un suono statico e ripetitivo. Bip... Bip... Bip... Bip... Tenne chiusi gli occhi e voltò lentamente la testa verso la sua destra, facendola scivolare lentamente sul cuscino morbido su cui stava appoggiata. Nel momento in cui riuscì nell'impresa, si rese conto di avere qualcosa sul viso, all'altezza delle narici, freddo ma abbastanza morbido da non darle troppa noia. Aprì di nuovo gli occhi e si trovò davanti un display che segnava i suoi parametri vitali. Abbassando lo sguardo verso il braccio scoprì cosa l'aveva fatta desistere dal concludere i movimento del braccio. L'ago di una flebo. Non riusciva a capire... Come ci era finita in ospedale. Mentre i dubbi cominciavano a insinuarsi nella sua testa, con quel poco di lucidità che era riuscita a mantenere, notò che la spalla era stata avvolta in una candida benda bianca e sul suo viso percepiva un cerotto, che le dava abbastanza fastidio.
Lo sguardo cominciò a vagare, ignorando la nausea, cercando un volto noto, una persona che potesse darle spiegazioni, chiunque. Finalmente i suoi occhi si posarono sulla figura di sua madre, rannicchiata contro lo schienale di una poltrona verde, addormentata. Sentì il suo cuore che prese a battere all'impazzata mentre tentava di chiamare il genitore. La voce le uscì roca e bassa, come se non avesse parlato per mesi e mesi. Il macchinario cominciò a suonare con un ritmo sempre più incalzante. Un'infermiera che passava di là noto l'anomalia e si avvicinò al letto della paziente. Non appena vide che la ragazza era vigile, corse immediatamente a svegliare la donna assopita accanto al letto. "Si è svegliat... La ten... svegl... Va... dottore...". Improvvisamente sentì le palpebre pesanti. Era così difficile tenere gli occhi aperti.
L'ultima immagine che vide prima di riaddormentarsi fu il volto della madre, pieno di lacrime per il sollievo e la felicità. Poi il buio la riaccolse nuovamente fra le sue braccia, promettendo solo sonno e oblio.
Provò a piegare un braccio ma un dolore lancinante al gomito la dissuase da concludere il movimento. Sentiva come se avesse qualcosa dentro il braccio che le impedisse di essere libera di muoversi. Dopo pochi secondi in cui la confusione regnava sovrana nella sua mente, alle orecchie sopraggiunse un suono statico e ripetitivo. Bip... Bip... Bip... Bip... Tenne chiusi gli occhi e voltò lentamente la testa verso la sua destra, facendola scivolare lentamente sul cuscino morbido su cui stava appoggiata. Nel momento in cui riuscì nell'impresa, si rese conto di avere qualcosa sul viso, all'altezza delle narici, freddo ma abbastanza morbido da non darle troppa noia. Aprì di nuovo gli occhi e si trovò davanti un display che segnava i suoi parametri vitali. Abbassando lo sguardo verso il braccio scoprì cosa l'aveva fatta desistere dal concludere i movimento del braccio. L'ago di una flebo. Non riusciva a capire... Come ci era finita in ospedale. Mentre i dubbi cominciavano a insinuarsi nella sua testa, con quel poco di lucidità che era riuscita a mantenere, notò che la spalla era stata avvolta in una candida benda bianca e sul suo viso percepiva un cerotto, che le dava abbastanza fastidio.
Lo sguardo cominciò a vagare, ignorando la nausea, cercando un volto noto, una persona che potesse darle spiegazioni, chiunque. Finalmente i suoi occhi si posarono sulla figura di sua madre, rannicchiata contro lo schienale di una poltrona verde, addormentata. Sentì il suo cuore che prese a battere all'impazzata mentre tentava di chiamare il genitore. La voce le uscì roca e bassa, come se non avesse parlato per mesi e mesi. Il macchinario cominciò a suonare con un ritmo sempre più incalzante. Un'infermiera che passava di là noto l'anomalia e si avvicinò al letto della paziente. Non appena vide che la ragazza era vigile, corse immediatamente a svegliare la donna assopita accanto al letto. "Si è svegliat... La ten... svegl... Va... dottore...". Improvvisamente sentì le palpebre pesanti. Era così difficile tenere gli occhi aperti.
L'ultima immagine che vide prima di riaddormentarsi fu il volto della madre, pieno di lacrime per il sollievo e la felicità. Poi il buio la riaccolse nuovamente fra le sue braccia, promettendo solo sonno e oblio.