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Autore: Mari Lace    24/02/2018    2 recensioni
[Cross-over DC/Yu-Gi-Oh!]
Dal primo capitolo:
Shinichi si accorse di tremare. Gin. In più, l’uomo che aveva dato l’ordine indossava una maschera con un corvo… Ricordava fin troppo bene le parole sussurrategli da Akemi in punto di morte.
“«Si vestono sempre di nero, come dei corvi…»” (...)
«D’accordo. Ma come troviamo l’obiettivo di quegli uomini? Devi darmi un indizio», disse Conan, una volta ritrovata la lucidità mentale. Il ladro aveva ragione, non era il momento di perdere la calma.
«L’uomo l’ha descritto così: un ragazzo di circa 17 anni, con i capelli neri e le punte viola, ritti a formare quasi una stella. Ha anche una frangia bionda, insomma non passa proprio inosservato. Ha anche detto che sarà quasi sicuramente spaesato, in giro per la città».

[Scritta per "The crossover challenge!" indetta da Elettra.C sul forum di EFP]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sentiva un terribile fastidio agli occhi. Provò ad aprirli, ma dovette subito richiuderli con una smorfia di dolore. La luce era accecante. Tastando intorno a sé cercò di tirarsi su, ci riuscì poggiando la schiena su quel che, immaginava, era il muro di qualche abitazione.
Schermandoli con la mano li riaprì, più lentamente. La testa gli pulsava.
Ma che..?
Dopo essersi abituato a tutta quella luce, Atem si appoggiò meglio contro il muretto. La vista che gli si proponeva lo stupì.
Non riconosceva niente di ciò che aveva intorno.
Quel posto non somigliava neanche lontanamente a Domino City, né a tutti gli altri luoghi che aveva visitato negli ultimi anni. Non sapeva spiegarlo, ma gli dava proprio una sensazione diversa, come se il mondo si fosse capovolto.
Non era la prima volta che gli succedeva; aveva provato lo stesso senso di non-appartenenza quando Yugi aveva completato il puzzle, risvegliandolo dal suo sonno.
Non avrò viaggiato ancora nel tempo..? considerò preoccupato.
I ricordi della sera prima gli tornarono alla mente, e le preoccupazioni legate a quello strano luogo passarono in secondo piano. Devo trovare Anzu… Era certo di aver sentito la voce della ragazza prima di sparire, ed era terrorizzato all’idea che fosse finita nelle mani del suo avversario.
Ma come avrebbe fatto a trovarla? Non aveva nessun indizio.
Abbassò lo sguardo sul Puzzle che portava al collo per trarne un po’ di conforto.
L’effetto fu l’opposto: il Faraone scivolò ancora più nella disperazione, rendendosi conto di non avere la piramide rovesciata al collo.
Fu solo grazie ad un enorme sforzo di volontà che non cadde nel panico mentre cercava freneticamente di rintracciare Yugi dentro alla sua testa.
Senza ottenere alcuna risposta.
¤
«Ho capito. Grazie comunque, Takagi. Se scopri qualcosa, avvisami immediatamente..! È fondamentale!»
Con quest’ultima raccomandazione, Shinichi attaccò senza lasciare al povero poliziotto neanche il tempo di rispondere.
Quella notte non era stato segnalato nessun individuo sospetto. C’erano stati un paio di furti, ma i responsabili erano già stati catturati e le loro descrizioni non combaciavano con quella riferitagli da Kid.
Così non andava. Aveva finito di controllare il parco di Haido, ma aveva veramente troppi pochi indizi per quella ricerca. Cercare un diciassettenne in giro per Tokyo conoscendone solo l’aspetto era come cercare un ago in un pagliaio, non importa quanto peculiare fosse la sua capigliatura.
Stando alle informazioni del ladro non doveva essere di Tokyo, visto che era “spaesato”. Per questo aveva pensato potesse aver deciso di nascondersi in un parco, ma era un azzardo. Quel ragazzo avrebbe potuto essere dovunque.
Si passò una mano tra i capelli, frustrato. Non poteva farcela da solo, non così.
Prese il cellulare di Shinichi e notò con stupore che c’erano due chiamate perse.
Entrambe da Ai.
La richiamò subito.
«Si può sapere dov’eri finito?» il tono glaciale di Ai gli suggerì che era piuttosto irritata, ma c’era altro. Il detective aveva avvertito una punta di preoccupazione nella sua voce. Sperò di essersi sbagliato, perché l’ultima cosa che gli serviva in quel momento era un altro problema.
«Stamattina il dottore ha trovato qualcuno» disse Ai. «Davanti al muretto di casa tua. Si reggeva a stento, è tuttora molto debole. Agasa l’ha portato qui e ora sta dormendo sul divano» la ragazza fece una pausa. «Non mi dà l’impressione di essere uno di loro, Kudo, ma è sospetto. Che ci faceva lì? E poi ha dei capelli semplicemente assurdi
Shinichi non credeva alle sue orecchie. Capelli assurdi..? Possibile che fosse proprio lui?
Ai si spazientì. Mezzo minuto di conversazione e il ragazzo ancora non aveva parlato. «Il gatto ti ha rubato la lingua?» domandò caustica. «Degnati di venire qui, quando ritrovi la voce. O è chiederti troppo?»
«Arrivo subito» fu l’unica risposta. Shinichi chiuse la chiamata e salì sul suo skate, partendo a tutta velocità in direzione di Beika. L’aveva davvero trovato?
¤
- Parco di Ueno (Tokyo) -
 
Yugi si era svegliato piuttosto confuso. Si trovava fra due cespugli, e non ricordava assolutamente come ci fosse finito. Gli pulsava la testa.
Si guardò intorno spaesato. Poco distante da lui c’era una panchina. La luce del sole era filtrata da alberi tutto intorno a lui. Doveva trovarsi in un parco.
Ma quale? Non gli era familiare. Si alzò lentamente, reggendosi alla panchina. Il suo mal di testa non accennava a diminuire, anzi. In quel modo non riusciva a ragionare.
Si sedette.
L’ultima cosa che ricordava era… lo scontro. Aveva lasciato che se ne occupasse Atem.
E poi quel vortice violaceo.
Venirne risucchiato era stato orribile, Yugi si era sentito spezzare. Ma guardandosi ora sembrava che fosse illeso. Era stata solo una sensazione?
Rimase immobile su quella panchina per un bel po’. Non avrebbe saputo dire per quanto.
Sapeva solo che il mal di testa aveva finalmente iniziato a passargli. Fu allora che successero due cose.
La prima, si accorse di non avere più il Puzzle al collo, e di non aver sentito la presenza del Faraone nella sua mente da quando si era svegliato.
La seconda, sentì una voce. Qualcuno gli stava parlando. Si forzò a concentrarsi sull’ambiente esterno a lui. Una bambina lo stava chiamando.
«Oniisan? Oniisan! Stai bene??»
Yugi ci mise un po’ a capire. La bambina parlava in giapponese, ma aveva uno strano accento. Non l’aveva mai sentito prima. Poteva essere un indizio su dove fosse quel posto.
Provò a parlare, ma aveva la gola troppo secca, gli faceva male. Si limitò ad annuire.
Solo allora si accorse che intorno a loro c’erano altre persone, molte delle quali gli rivolgevano occhiate curiose o compassionevoli.
Doveva avere un aspetto penoso.
La bambina gli sorrise. «Perché sei qui tutto solo?»
«Mari!» l’urlo improvviso di una donna distrasse Yugi, facendogliela cercare istintivamente. Non fu difficile, perché la donna si avvicinò ed afferrò la bambina per un braccio. Squadrò il ragazzo con aria torva. «Quante volte ti ho detto che non devi parlare con gli estranei?» la sgridò trascinandola via.
Quando furono sparite dalla vista, Yugi si alzò. Non sapeva dov’era, ma doveva iniziare a muoversi. Doveva scoprire dov’era finito il suo puzzle, per ritrovare il Faraone. La sua unica traccia al momento era l’uomo con la maschera da corvo, forse trovando lui avrebbe avuto qualche risposta.
Scelse una direzione a caso, sperando lo portasse ad uscire dal parco.
Aveva fatto solo pochi passi che avvertì una mano sulla spalla. Si fermò e si voltò a fronteggiare la proprietaria della mano.
Era una giovane donna. Da come lo guardava sembrava volesse imprimersi il suo volto in modo indelebile. Indossava un’uniforme – doveva essere una poliziotta.
Sforzando la gola dolorante, Yugi parlò. «Posso aiutarla, agente?»
Sentendolo parlare la donna sorrise. Per qualche motivo Yugi avvertì un brivido scendergli giù per la schiena.
«Yes, you probably can, boy»
La poliziotta mise davanti al volto di Yugi quello che sembrava essere un distintivo. Il ragazzo cercò di leggerlo, ma dall’oggetto uscì una nuvoletta di gas.
Perse i sensi quasi immediatamente, finendo fra le braccia della donna.
Alcuni passanti si fermarono, vagamente preoccupati, ma la donna in uniforme li rassicurò in buon giapponese. Il ragazzo aveva avuto solo un calo di zuccheri, disse, e si sarebbe occupata personalmente di portarlo in ospedale per un controllo.
Tranquillizzata così la loro coscienza, i passanti si disinteressarono della cosa e proseguirono per la loro strada, non notando che la presunta poliziotta entrò insieme al ragazzo su una Porsche nera che l’aspettava subito fuori dal parco, e che la direzione presa dalla macchina era totalmente opposta al più vicino ospedale.
¤
Il Faraone si svegliò di soprassalto. Ricordava vagamente di aver incontrato un anziano gentile che gli aveva offerto il suo aiuto. Aveva detto di essere un dottore. Era sembrato sincero, ed Atem l’aveva seguito dentro casa. Avrebbe preferito cavarsela da solo, ma come poteva, non sapendo neanche dove si trovava? In più era debole, troppo debole. Accettando l’aiuto di quell’uomo contava di recuperare le forze e, magari, ottenere un po’ di informazioni.
Dentro casa l’uomo gli aveva preparato un tè. Dopo, ricordava solo che le palpebre gli si erano fatte sempre più pesanti… doveva essersi addormentato sul divano.
Mentre era incosciente, aveva rivissuto la battaglia della sera prima. Le parole dell’uomo-corvo continuarono a rimbombargli in testa anche ora che si era risvegliato.
“«Ti porterò dove ti ho in mio potere!»”
«Ehi, mi senti?»
A riportarlo alla realtà fu la voce di un bambino. Non si era nemmeno accorto della sua presenza.
Doveva avere più o meno sette anni, pensò.
Anche lui aveva, come l’anziano che l’aveva aiutato, uno strano accento.
«Dove sono?» chiese Atem diretto. Era quel che più gli premeva sapere.
Non era del tutto certo di potersi fidare – il sonno improvviso che l’aveva colto era sospetto; avevano messo qualcosa nel tè? – ma, oltre a non avere molta altra scelta, il fatto che non l’avessero legato lo faceva ben sperare.
«A Tokyo, in Giappone» rispose il bambino. Osservava con curiosità il ragazzo ancora steso sul divano, ma non sembrava particolarmente stupito dalla sua domanda. «Chi sei, oniichan?»
Tokyo?
Atem si tirò su a sedere. «Quanto siamo lontani da Domino?» chiese ancora, ignorando la domanda rivolta a lui.
Stavolta il bambino sembrò un po’ più stupito, o per lo meno confuso. «Domino?» ripetè incerto.
«Sì, Domino City. Non la conosci?»
Era strano, Domino era una città piuttosto conosciuta. Era praticamente la Capitale dei Duellanti.
Fu attraversato da un terribile sospetto. Forse la confusione derivava da qualcosa che era avvenuto a Domino?
«Mai sentita, oniichan. È da lì che vieni? Per questo hai uno strano accento?» indagò Conan.
Quel ragazzo aveva i capelli proprio come li aveva descritti Kaito Kid, cosa che non era certo fosse possibile. Le punte sembravano mantenere la forma per magia, non si erano scomposte neanche mentre il giovane dormiva. Sembrava straniero, a giudicare dai tratti del volto, ma parlava il giapponese senza problemi. L’unica cosa strana era la pronuncia.
Chiunque fosse, non c’erano dubbi che l’obiettivo degli uomini in nero fosse proprio lui.
Insomma, quante probabilità c’erano che non una ma due persone avessero quel tipo di acconciatura?
Shinichi, che non aveva mai distolto gli occhi dal volto dello strano ragazzo, colse un lampo di shock seguire le sue parole. Non durò molto.
«In che anno siamo?» chiese Atem, sperando di sbagliarsi. Se era finito in un’altra linea temporale Yugi, Anzu e il Puzzle avrebbero potuto trovarsi letteralmente dovunque – e in qualsiasi momento, per quel che ne sapeva. Non poteva pensarci.
«20**» rispose Conan. Se quella domanda l’aveva stupito non lo diede a vedere.
Questo ragazzo mi incuriosisce sempre di più, pensò il detective, un luccichio nello sguardo.
L’anno è lo stesso. Ma allora..? Atem provò contemporaneamente sollievo e confusione.
Restarono in silenzio per qualche minuto, poi il Faraone si alzò. «Devo trovare i miei amici», disse.
Stavolta Conan sbarrò gli occhi. «I tuoi..? C’è qualcun altro quindi?»
«Sì, o almeno credo» rispose sbrigativo lo spirito millenario. Aveva perso troppo tempo, ora che aveva la certezza di trovarsi nel suo tempo – anche se il senso d’estraneità permaneva – era più ottimista riguardo al trovare Yugi e Anzu. Portò una mano in tasca, e constatò con sollievo che il suo deck era al suo posto. Non era solo.
Vedendo il suo sguardo riempirsi di decisione, Shinichi inarcò un sopracciglio. «Non puoi uscire, oniichan» esclamò, mettendoglisi davanti. «Fuori ti stanno cercando. È pericoloso».
E ancora non ho scoperto chi sei e perché ti cercano, pensò. Shinichi odiava non sapere qualcosa. Non l’avrebbe lasciato andare prima d’aver sentito una spiegazione soddisfacente ed aver pianificato attentamente una strategia.
Se l’uomo vestito da corvo era chi pensava, forse il momento di muovere Scacco Matto all’Organizzazione era finalmente arrivato.
Atem lo squadrò dubbioso. C’era qualcosa in quel bambino che stonava, ma non aveva ancora ben chiaro cosa.
«Mi cercano?» ripeté. «Quindi sai chi sono?»
Il detective sfoderò il sorriso più innocente di Conan.
«Non esattamente. È una storia un po’ complicata» disse, prendendo Atem per la mano e portandolo a risedersi sul divano. «Ora ascoltami attentamente».
Quel ragazzino gli dava decisamente i brividi.
¤
Niente da fare, pensò Kaito scoraggiato. Aveva perlustrato praticamente tutta la città, e non era certo stata un’impresa facile. Per cercare un ragazzo che neanche conosceva aveva perfino ignorato le chiamate di Aoko. Era pomeriggio inoltrato ormai, il sole stava tramontando.
Presto sarebbe stato nell’elemento preferito dal suo alter ego, la notte.
Ma per quanto ci si impegnasse trovare una persona in una città di oltre quindici milioni di persone era quasi impossibile, a meno di essere veramente molto fortunati.
Decise di passare da casa. Poi, prima di uscire nuovamente in perlustrazione, avrebbe chiamato Kudo. Più tempo passava, più era probabile che a trovare il ragazzo fossero gli uomini in nero.
«Non conosco nessuna città del genere! Smetta di farmi perdere tempo, signorina!»
Quell’urlo improvviso lo distrasse dai suoi pensieri. A lamentarsi era stata una signora di mezza età. Doveva essere appena tornata dalla spesa, perché aveva due buste piene in mano.
Il rimprovero era rivolto ad una ragazza alta più o meno quanto Aoko, con i capelli del suo stesso colore, ma più corti. Doveva esserci rimasta male, perché Kaito colse un’espressione esitante sul suo volto. La donna le voltò le spalle e continuò per la sua strada.
Stato d’emergenza o no, Kaito non poteva semplicemente ignorarla.
«Posso aiutarti?» le chiese, poi le mise la mano dietro l’orecchio e fece apparire una rosa bianca. «Signorina?» aggiunse, sfoggiando il suo sorriso più amichevole.
La ragazza guardò lui e il fiore, alternamente, confusa.
«Conosci Domino City?» chiese poi, con un lampo di determinazione negli occhi.
Kaito fece sparire nuovamente la rosa, preso in contropiede. Gli era sembrata disperata prima, ma si stava ricredendo.
«Mai sentita» rispose, quasi dispiaciuto.
La ragazza scosse la testa. «Non è possibile», disse. Fissando lo sguardo in quello del mago, «Deve pur esserci qualcuno che la conosca!» esclamò decisa.
Al ladro ricordò un po’ Aoko quando dichiarava che suo padre avrebbe smascherato Kid.
  
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