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Autore: tixit    25/02/2018    7 recensioni
Brevissima storia su una scelta e tutto quello che è venuto prima.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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4. Un Impegno Inatteso

Oscar sbatté le carte sul tavolo. “Dove è Girodelle?” chiese bruscamente al suo attendente, Albert, che la guardò atterrito. “Allora?”

Oggi era il giorno in cui arrivava il bollettino dall’America. Se Lafayette fosse morto, oggi era il giorno in cui l’avrebbero saputo tutti a Corte.
Se un uomo di Lafayette fosse morto, oggi era il giorno in cui sarebbe arrivata la notizia.
Oggi, quindi, non sarebbe rimasta intrappolata nel Salone delle Guardie. Oggi doveva solo sapere.

Toccava a lei, e toccava a lei saperlo per prima, mentre Lei sprecava fascino e sorrisi tra le dorature degli specchi. Ignara.

Se fosse successo qualcosa avrebbe dovuto raggiungerla, prima che la voce serpeggiasse dietro i ventagli ed arrivasse fino a Lei, cogliendola impreparata, con la pelle viva esposta.
Glielo doveva, anche se Lei non glielo aveva mai chiesto e probabilmente nemmeno ci pensava, ma lei era Oscar François de Jarjayes, era la figlia di suo padre e non si sarebbe rimangiata la sua parola: da ragazza aveva giurato di proteggerla, ritenendolo un grande onore.
Allora non sapeva quanto le sarebbe costato.

Non sapeva che le Regine hanno un cuore vulnerabile da ragazzina.
Non sapeva che le Regine pensano di esserlo per diritto divino, e credono che nulla di male possa capitare proprio a loro.
Non sapeva che nessuno dice dei no alle Regine, e quando a quello ci pensa la vita, fa male più di un ceffone e lei, di ceffoni, era esperta.
Non sapeva, soprattutto, che i nemici di una Regina spesso non maneggiano spade, ma lingue appuntite.

E poi era un modo come un altro per espiare - c'erano altre promesse a cui aveva mancato e non ne era orgogliosa.

Si alzò in piedi e fissò Albert negli occhi, lo raggiunse con lunghe falcate sprezzanti, vedendolo arretrare - come era diverso… non ci provava nemmeno a tenerle testa - poi secca impartì gli ordini “Vai a cercarlo e portamelo qui.”

Lo vide uscire senza voltarle le spalle, a marcia indietro, senza inciampare - ottima educazione, doveva ammetterlo, ma niente oltre quella - poi tornò alla sua scrivania ed aprì il secondo cassetto sulla destra alla ricerca di un vecchio amico.
Svitò il tappo d’argento con noncuranza, poi bevve senza fretta, apprezzando il bruciore nella gola che le quietava la rabbia. Che le toglieva il dolore.

Un’ora dopo un Albert imbarazzato e tremante le comunicò che ieri era finito il turno di quel corvo dannato di Girodelle e che non era a Versailles.




Pioveva.
Parigi faceva schifo con la pioggia, decise Oscar guardando il ruscellare lurido dei rifiuti lungo la strada. Per fortuna che il buio si stava ingoiando quello schifo di giornata - Lafayette non era morto, non stavolta. Lui non era morto. Non era morto nessuno. Lei era al sicuro, convinta che la vita fosse un prato fiorito in modo geometricamente ordinato.

In realtà non sapevano nulla di nulla e festeggiavano il niente: una pallottola avrebbe potuto colpirlo ora, al di là del mare. Ora o il giorno prima. O una settimana prima.
Una nave francese ci metteva 29 giorni per la tratta, carica delle merci americane che le coste inglesi non volevano più, carica delle notizie e delle lettere.

La felicità si nutriva di bugie ed illusioni, di tutte le cose che non sapevi.




Giunta davanti al portone, usò il batacchio con foga. Maitre Corbeau non meritava gentilezza, se l’era filata in licenza a farsi i fatti suoi. Non doveva permettersi mai più.

Scostò il servitore con un gesto imperioso e salì per lo scalone che portava al piano nobile della casa.

“Buona sera,” la voce di Girodelle era irritata e Oscar pensò che forse in casa c’era qualche amante - le si era parato davanti non lasciandola proseguire. Quindi erano stati quelli i fatti suoi per cui l’aveva costretta ad agonizzare per ore, fatti con tette e culo, ma che banalità.

“Non mi fate entrare?” chiese ironica, “Volevo vedere i vostri bicchieri di cristallo e scoprire se sono più belli di quelli di Palazzo Jarjayes.”

Si guardarono a lungo, poi Girodelle disse con cortesia inappuntabile “Il mio lavoro ha un inizio ed una fine. Io sono sempre disponibile per le urgenze, ma c’è una linea netta che separa il tempo della Guardia Reale ed il mio.”

“Non è presentabile?” chiese brusca.

“Chi?”

“La vostra ospite.” poteva sentire il rumore nella stanza di una sedia sposata - molto maldestramente. “E' per questo che mi state trattenendo sul pianerottolo? Forse pensate che io sia un fiorellino delicato che non sa che la gente, nel suo tempo, scopa? O il problema è che ve ne vergognate? Ha un linguaggio così da trivio? La grammatica non è il suo forte? E così fuori posto in questo palazzo che dovete tenerla nascosta?”

Girodelle la guardò a lungo, poi sorrise divertito “Sinceramente pensavo che foste voi a non essere nel posto giusto, ma, in effetti, avete ragione: la grammatica non è il suo forte.”
Scosse la testa, “Passiamo nel mio studio, ditemi quello che mi dovete dire e poi, per piacere, andate. E’ davvero tardi.”

Stava per rispondere molto male, quando vide spuntare dalla porta una bambina, due occhioni azzurri brillanti ed un sorriso sdentato. La vide correre da Girodelle - da suo padre, comprese, nel momento in cui lui la prese in braccio senza sforzo, e si sentì fuori luogo.
Sporca di pioggia, gli stivali luridi di fango, la giacca dell'uniforme aperta sul panciotto, la voglia di litigare sotto la pelle, il fiato che sapeva di alcol. Si vergognò di colpo, felice che non ci fosse uno specchio - e così era questa l’ospite segreta di Girodelle, quella per cui esisteva una demarcazione tra il tempo dovuto a Versailles ed il tempo che Versailles non poteva assolutamente toccare.

Sapeva che aveva due figli, ma li aveva sempre immaginati relegati in qualche castello in campagna, o in un collegio, in un convento di suore, in un posto, insomma, dove di solito andavano messi i bambini fino a che non diventavano adulti presentabili.

Cercò di sistemarsi la divisa, arrossendo sotto lo sguardo perplesso della piccola. Le mani le tremavano e si sentì colpevole - avrebbe dovuto essere lei l'adulto presentabile - sperò che non avesse sentito, o, che, per lo meno, non avesse capito.

   
 
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