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Autore: rainbowdasharp    26/02/2018    1 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11: Sottosopra


“C'era ancora così tanto da dire e l'elfo lo diceva, senza remore alcuna. Le sue mani si fecero sempre più sicure, nel tenere le mie e nel guidarmi nei boschi. Mi insegnava l'incanto di quella natura sempre verde, di quelle acque sempre pure; a volte cantava e tutto quel regno sembrava accompagnarlo, nota dopo nota. Eppure, tra un vocalizzo e l'altro, vedevo la luna – anche se in pieno giorno; faceva capolino lì, alle sue spalle, squarciando il mezzogiorno come l'invadente imperatrice fredda e glaciale che era. Mi invitava, mi tendeva la mano. Non ricordi, mi diceva, per quale motivo ti sei messo in viaggio? La tua gente soffre, lui ti trattiene. Non fidarti.

Erano solo attimi ma, per quanto brevi, quegli sprazzi di follia mi lasciavano brividi di terrore addosso. Non mi fidavo della luna, ma il dubbio era seminato.”


 

«Quindi hai il ragazzo».

Per poco Leo non si strozzò col proprio tè, sotto lo sguardo diffidente di sua sorella e quello offeso di Arashi – Ritsu? Non contava, immaginava; stava dormendo sul divano come un bambino.

Pensava che rivelare loro l'inizio (anche se ormai erano passati due mesi...) di una nuova relazione li avrebbe resi felici per lui; invece, sembrava che le loro reazioni divergessero completamente da quello che la sua mente aveva previsto (non che fosse così raro ma, c'era da dire, che lo scrittore si rendeva conto che la normalità non faceva per lui e di certo in molte occasioni si aspettava reazioni positive; ma quello era un argomento da considerarsi normale, quindi perché?).

«Sì, beh... è quello che ho appena detto» borbottò, pulendosi con una manica della felpa le poche gocce di tè che colavano lungo il suo mento. «... non ne sembrate felici, però».

Gli ci era voluto molto coraggio per sbottonarsi finalmente riguardo Robin con i suoi amici; in qualche modo, temeva che loro non approvassero soprattutto dopo la burrascosa fine della sua storia con Izumi. Sapeva anche bene che non erano d'accordo con la sua politica di boicottaggio del predestino, ma nonostante questo lo avevano sempre sostenuto senza battere ciglio – nelle sue avventure, nelle sue storie, nelle sue delusioni. Non capiva quindi perché, adesso, Ruka e Narukami si stessero scambiando una lunga occhiata che valeva più di mille parole, probabilmente, per loro – un sguardo simile a quello che un capitano di una nave lancerebbe al suo secondo in comando di fronte all'avvicinarsi di un'onda anomala.

(Altra cosa strana: l'assenza di Isara. Ritsu era arrivato, da solo, mosso forse dalla volontà di bere del buon tè e poi si era accasciato sul divano per dormire. Non sembrava aver molta voglia di parlare, il che metteva fuori gioco forse il suo ipotetico unico alleato in quella stanza.)

«No, non è questo» disse Arashi, portandosi la mano sotto il mento, con aria pensierosa. «Non pensavo che saresti stato pronto così in fretta ad una nuova storia, tutto qui».

Leo deglutì. «Ci frequentiamo da due mesi». Ruka per poco non lasciò cadere la sua tazza. «Lo so, ok, è stato improvviso, soprattutto visto com'è andata con Izumi, ma—va tutto bene. Con Robin sto bene».

Fu Ruka la prima ad allentare il silenzio che seguì quell'ammissione con un sorriso; era evidente, qualcosa non andava. Anche l'ultima volta che si erano visti tutti assieme, in quella stessa casa, Leo aveva notato che sua sorella e il biondo si lanciavano di continuo occhiate eloquenti, come se stessero nascondendo qualcosa e non avessero alcuna intenzione di coinvolgerlo.

E solo gli extraterrestri sapevano quanto non gli piacesse essere tenuto all'oscuro delle cose.

«Così si chiama Robin. È straniero...?» chiese Naru ed ecco che improvvisamente la conversazione prendeva uno sviluppo normale; ma Leo ormai era irritato, nonché sospettoso (come prima di sapere della carriera da violinista di Robin e del suo talento nascosto; ma era acqua passata, quella e giustificava di più il suo compagno che conosceva da poco più di due mesi che non i suoi amici e sua sorella).

«In parte» si limitò a rispondere, diffidente.

«E il libro come va?» Ruka parve cogliere la sua poca voglia di continuare la conversazione e cambiò argomento. Sua sorella sapeva bene come prenderlo:gli occhi dello scrittore si illuminarono, perché ormai il suo romanzo poteva dirsi quasi ultimato, anche se...

«È quasi finito» ridacchiò, approfittandone per prendere un altro pasticcino (era ancora incartato con gli stessi pirottini, quelli con scritto “pasticceria Suoh” ma in quei giorni il consumismo non era in cima alla lista delle sue preoccupazioni maggiori). «L'editore mi sta correggendo un capitolo per volta, anche se... il finale non mi convince ancora» ammise, leccando via alcune briciole del dolcetto dall'angolo delle labbra.

Per un attimo, si perse di nuovo nel suo libro.

Era davvero giusto che il cavaliere tornasse dalla sua gente? Inizialmente, pensò, era così che lo aveva immaginato: avrebbe lasciato il paradiso terrestre e, con ciò che aveva appreso in quella terra magica, avrebbe aiutato il suo popolo a scampare dall'epidemia. Un vero eroe, in grado di rinunciare all'amore quasi stregato dell'elfo per compiere la sua missione.

Ma qualcosa non quadrava – non era sicuro che, dopo tutta quella paura, quella fatica e quei sentimenti covati per l'elfo fosse giusto dividerli così, a quel modo, per semplice senso del dovere.

Chissà perché quell'idea, che all'inizio per prima lo aveva spinto fin là, adesso lasciava un gusto involontariamente amaro in bocca: sembrava che, più che il finale, il primo ad essere cambiato fosse lui – credeva davvero nelle battaglie solitarie contro tutto, tutti e persino se stessi? Dopo aver scoperto la vera natura dei Dissidenti, dopo aver trovato un po' di pace con Robin al suo fianco?

«Sono sicura che troverai qualcosa di migliore, allora. Ci riesci sempre». Sorrise di rimando a Ruka, sentendosi sollevato; lei sapeva quanto non sopportasse sentirsi dire che era già ottimo quello che aveva scritto e che, invece, se qualcosa non lo convinceva era perché poteva davvero migliorarsi.

Le giornate si erano allungate, ormai; quando nel tardo pomeriggio uscì dalla sua casa natale, nonostante non mancasse molto all'ora di cena, c'era ancora il colore soffuso e rosso del tramonto nel cielo. Quei mesi erano stati... assurdi, se ne rendeva conto; prima il Predestino che bussava alla sua porta, poi Robin e ancora i Dissidenti... di nuovo Robin. Provò a controllare il cellulare, ma sapeva che quel giorno doveva presentare una relazione importante ed era improbabile che riuscissero a sentirsi prima di sera.

Dopo l'episodio del teatro, aveva cominciato a raccontargli molto di più della sua quotidianità; gli narrava di Tori e del suo maggiordomo Yuzuru, in pratica il terzo coinquilino della casa, oppure gli diceva come avesse composto qualche nuovo accordo, passo dopo passo, con il violino; o, ancora, come stesse cominciando ad ambientarsi meglio all'università, con i suoi compagni che avevano iniziato a capire che non era snob, ma solo un po' goffo ed impacciato. Avevano, in poche parole, trovato un loro piacevole equilibrio che spesso si risolveva in lunghe chiacchierate al telefono o passeggiate che duravano giornate intere, mano nella mano.

Stava bene. Per la prima volta, si sentiva davvero bene. E sapeva che, non poi così lentamente, si stava avvicinando il momento in cui glielo avrebbe detto chiaramente, senza alcuna esitazione.

Aprì la portiera della macchina e vi salì a bordo, gettando un'occhiata al tomo che stava sul sedile del passeggero: era “Amore surreale”, lo stesso che Shu gli aveva dato quando Leo, disperato, gli aveva chiesto aiuto nel cercare i Dissidenti. Il libro che, anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva letto e sfogliato davvero, nella folle ricerca di una scappatoia, di una via d'uscita.

Beh, ora non ne aveva più bisogno: era libero. Libero dall'amore fatto su misura, rigido e povero; libero dalla paura di poter smettere di scrivere da un momento all'altro – libero da quello che tutti consideravano “giusto”. E aveva tutta l'intenzione di entrare nella libreria Itsuki, a testa alta, per dire a Shu che lui, il suo Destino, lo aveva gettato e amava, amava comunque immensamente. Non meglio, magari, non di più: ma era stato lui a scegliere.

Mise in moto la macchina e, ingranando la prima, si lasciò alle spalle senza pensarci troppo su sia la casa dei suoi genitori che quegli strani complotti che aveva percepito, ma non colto.

 

Parcheggiare in centro era, ovviamente, un inferno. Alla fine si era arreso e aveva lasciato l'auto in un parcheggio a pagamento, non troppo distante dalla libreria Itsuki – non aveva neanche idea se Shu fosse effettivamente in negozio; l'ultima volta che si erano visti, dopotutto, l'uomo aveva accennato ad un viaggio...

Beh, poco male. In caso di assenza del proprietario, avrebbe lasciato quel fastidioso volume al suo giovane assistente, Mika.

(A dirla tutta, sperava di non trovare Shu al suo arrivo; se l'avesse incontrato, avrebbe dovuto come minimo chiedergli scusa. Era piuttosto sicuro che non avesse voluto dirgli dei Dissidenti per evitare che si mettesse nei guai, ma... beh, non era un bambino, era solo disperato – ma questo, purtroppo non leniva in alcun modo né il senso di colpa né una sorta di perversa mancanza che sentiva dell'uomo).

Entrò nella libreria guardingo, gettandosi occhiate nervose intorno ma, ovviamente, niente era cambiato durante quei mesi: era tutto al suo posto, in quell'ordine compulsivo e maniacale che lo aveva sempre messo in soggezione. Fu solo dopo qualche attimo che, da dietro uno scaffale particolarmente imponente, spuntò la nuca corvina e scompigliata di Mika, con un quadernone tra le mani e una penna semi nascosta dal lobo del suo orecchio.

«Signor Tsukinaga!» esclamò, entusiasta e per poco non gli corse incontro; gli brillavano gli occhi, neanche fosse il suo compleanno. E poi, pensò Leo “Signore a chi?” «Sono felice di rivederla! Shu era molto preoccupato» bisbigliò con tono concitato, prima di togliergli il librone dalle mani e poggiarlo sul bancone, un po' più ordinato del solito. Sembrava starsi dando un gran daffare. «Fortuna che Naru mi ha detto che stavi bene!»

Stava per ribattere che dubitava fortemente che Shu si fosse mai preoccupato di lui (se non per mandarlo a quel paese), quando il nome pronunciato dal ragazzo suonò alle sue orecchie estremamente familiare – dopotutto, non c'erano molte persone che conosceva che potevano corrispondere all'appellativo “Naru”.

«... Conosci Arashi?»

Il volto del ragazzo si tinse di un leggero rossore e si nascose per quanto possibile nel cappuccio della felpa che indossava; gli sfuggì un accenno di risata imbarazzata, un atteggiamento decisamente eloquente.

«Naru non... te lo ha detto?» esitò, ancora immerso nel suo piacevole disagio da ragazzo impegnato. Leo scosse la testa, incredulo – Arashi? Quell'Arashi che non gli diceva di star frequentando qualcuno? Assurdo. Lo scrittore avrebbe potuto elencare quasi a memoria, una per una, quasi la totalità delle cotte del biondo per tutte le volte in cui gliene aveva parlato. «Ci frequentiamo da qualche mese. Era venuto qui per parlare con Shu e--»

«... A parlare con Shu» ripeté Leo, sempre più allibito.

Il mondo quel giorno aveva deciso di capovolgersi o cosa?

Il rapporto tra Shu e Arashi non era mai stato dei più rosei: sin da quando Leo aveva preso a frequentare la libreria Itsuki, il modello si era categoricamente rifiutato di aver a che fare con lui, ritendolo un “bruto altezzoso, chiuso nella sua fortezza di libri polverosi”. Shu, d'altro canto, non aveva una grande opinione di Arashi, che considerava frivolo e superficiale, “fatto di belletti ed artifici senza cuore alcuno” - era nello stile di Shu, dopotutto, essere melodrammatico.

Quindi, da quando i due parlavano tra loro? Che cosa si era perso, in quei mesi di vita tutto sommato gioiosa? Era forse in arrivo l'apocalisse? Gli alieni finalmente stavano per invadere il pianeta? Giusto in tempo a rovinare la sua felicità – la tempistica, in effetti, sembrava dar ragione alle sue ipotesi ellittiche.

Mika annuì, probabilmente chiedendosi perché Leo sembrasse così sconvolto dalla cosa. «... E Shu è qui?»

C'era ancora del rossore sul volto di Mika e, adesso, si fece persino più intenso. «B-Beh, ecco, veramente al momento sarebbe occupato... !» Occupato? Leo assottigliò lo sguardo, sempre più sospettoso. Si voltò nella direzione dell'Altro, oltre la soglia dello Specchio incantato di Shuu – che cosa poteva avere da fare che fosse più importante di Leo Tsukinaga che tornava come un figliol prodigo al suo cospetto? Era sicuro, dopotutto, che Shu avrebbe interpretato il suo ritorno in quel modo, come un'ammissione del torto e che non avrebbe mancato di accoglierlo con tutti i sbeffeggiamenti del caso, pronto a far pesare la sua vittoria più della massa di Giove intero.

Invece, era occupato.

Non aveva mai trovato Shu intimidatorio, ma ne aveva sempre rispettato le stranezze e gli spazi perché lo considerava un suo alleato, se non un amico e lui per primo sapeva quanto un mondo proprio, in cui rifugiarsi quando si voleva stare soli, fosse necessario. Ma quel giorno era diverso: c'erano troppi comportamenti strani intorno a lui, troppe variabili che la sua mente non riusciva a spiegarsi – Ruka, Arashi... adesso anche Shu?

No, non poteva sopportare che la sua unica certezza, in quanto persona metodica e portatrice massima di paranoie come il saggista riguardo qualunque cosa che anche solo odorasse di cambiamento, decidesse improvvisamente di chiuderlo fuori.

Si sentiva lasciato indietro.

Prima che Mika potesse fermarlo, indaffarato com'era a consultare il registro dell'archivio per sfuggire forse all'imbarazzo che ancora sembrava colorare il suo volto, Leo girò sui tacchi e si diresse proprio lì, dove Shu fuggiva alla realtà; lì dove regnava incontrastato, dove il mondo seguiva le sue idee, la sua estetica, la sua visione delle cose.

In un attimo, aveva oltrepassato il corridoio pieno di ninnoli e cianfrusaglie e fu di fronte all'ufficio. Mika troppo tardi lo aveva seguito, richiamandolo con una certa enfasi ma senza alzare troppo il tono di voce per non disturbare l'Imperatore dello Specchio – il rosso aveva già abbassato la maniglia.

Quello che si presentò ai suoi occhi aveva del paranormale.

La prima cosa che Leo vide fu un paio di spalle ampie, troppo ampie perché appartenessero a Shu, il vestiario troppo semplice perché fosse quello di Itsuki – spartano, una camicia a quadri e un paio di jeans dall'aria un po' logora; una nuca di capelli rosso fuoco lievemente chinata verso il tavolo, e due braccia, dal colorito pallido, che si aggrappavano a quella stessa schiena.

Fu solo in un secondo momento che mise a fuoco il volto di Shu, i capelli rosati lievemente scompigliati come mai aveva visto in vita sua, naso e bocca parzialmente nascosti contro il collo dell'uomo che gli stava dinanzi. Era seduto sulla scrivania, le gambe divaricate, così da far posto allo sconosciuto. Abbandonato a quest'ultimo.

I due erano talmente presi da quello che stavano facendo che non si accorsero neanche della sua intrusione – Leo stava assistendo, forse a ciò che Shu più tentava di nascondere: i suoi sentimenti. Non si riteneva uno stupido, né un ingenuo: era ovvio che tra i due ci fosse la complicità ormai acquisita dei baci, delle carezze, delle egoistiche richieste che sotto forma di sospiri lasciavano le labbra del saggista.
Non seppe bene per quanto rimase lì, fermo sull'entrata, prima che Mika lo trascinasse via e in un silenzio concitato chiudesse la porta, pregandolo di tornare in negozio, lontano dal mondo privato di Shu – il mondo in cui non solo era il re, a quanto pareva, ma si concedeva pure le emozioni e i piaceri umani, rivelando la carne sotto la sua scorza fatta di pagine e metallo.

Lo stoico, monolitico Shu, chiuso tra i libri e le stoffe, che si lasciava amare seduto scomposto sulla scrivania, lontano dagli occhi giudizioso di Madamoiselle, riflesso dei suoi stessi, che non avrebbero mai accettato un simile comportamento – neanche da se stesso.

L'imperatore cieco, Shu Itsuki.

 

Non aveva idea di come fosse tornato a casa.

La sua mente era stato un turbinio di pensiero sin da quando un Mika nel panico più totale lo aveva implorato di dimenticare quel che aveva visto e gli aveva assicurato tra mille scuse che avrebbe detto al suo datore di lavoro che era passato, quel pomeriggio.

Non seppe neanche come riuscì a parcheggiare la macchina senza distruggerla. Era così assurdo pensare che ogni sua certezza sembrava essersi frantumata nel momento in cui il suo sguardo si era concentrato su Robin e sul suo lavoro, tralasciando il resto.

Tutto era capovolto.

La sensazione era quella di trovarsi improvvisamente proiettato di anni avanti nel futuro, dove ogni cosa era familiare e al contempo diversa – un universo alternativo in cui il tempo era trascorso per tutti... tranne che per lui, apparentemente.

Ancora inebetito, la mente che viaggiava da un lato all'altro della città nel tentativo di trovare una qualche spiegazione logica (a cui, almeno per una parte dei suoi interrogativi, era già arrivato ma questo non significava che fossero ipotesi semplici da accettare), giunse nel viottolo che portava al portone del suo condominio e...

«Thanks, God! Sei arrivato!» L'unica voce in grado di svegliarlo dal suo torpore fatto di incomprensioni, dubbi ed interrogativi e l'unica visione capace di cancellare tutto, in un istante: Ruka e Arashi e i loro complotti, Shu e il suo amante... puff, spariti. Come per magia. Al loro posto, un sorriso genuino si formò sulle sue labbra.

Robin gli era venuto incontro con un'espressione preoccupata sul volto; prese a tastarlo prima prendendogli il viso tra le mani e poi lungo tutto il corpo, come per accertarsi che stesse bene – inutile dire che Leo lo lasciò fare, più che divertito da quell'atteggiamento da madre preoccupata.

«Sono sobrio e sono rientrato prima delle otto. Non sapevo di avere un coprifuoco» lo prese in giro e, prima che Robin potesse rimproverarlo come l'aggrottarsi delle sue sopracciglia poteva suggerire, lo ammutolì con un bacio leggero, sulle labbra. «Credevo fossi impegnato, oggi» aggiunse, senza nascondere però che la sua presenza fosse una sorpresa più che gradita.

«Lo ero, ma...» titubante, Robin gettò un'occhiata verso il portone, dove stava una scatola bucherellata che il giovane doveva aver lasciato a terra non appena lo aveva visto arrivare. «Ho provato a chiamarti, ma non rispondevi al cellulare, quindi son venuto direttamente qui».

Ed era vero: sul cellulare di Leo, come si premurò di controllare, c'erano almeno quattro chiamate perse da parte del suo ragazzo; possibile che, durante il viaggio di ritorno, fosse stato così preso dai suoi pensieri da non aver sentito il telefono squillare?

«Scusami, è stata—una giornata strana» cercò di scusarsi, mentre si avvicinava incuriosito allo scatolone non cogliendo così l'espressione impensierita del moro; provò a sollevarne la copertura per sbirciare dentro e... ritrovò il suo sguardo ricambiato da due occhioni ambrati e infreddoliti di un gatto minuscolo che, al primo cenno di luce, subito rispose con un miagolio confuso. «... Che ci fai con un gatto... ?» chiese Leo stupito, prima di introdurre una mano nella scatola, per far sì che il piccolino potesse annusarlo e così si abituasse al suo odore. Aveva un debole terribile per i gatti, gli era praticamente impossibile resistere.

«L'ho trovato vicino al cancello della mia facoltà. Qualcuno deve averlo lasciato lì... Non me la sono sentita di non prenderlo, ma—Tori è allergico agli animali. Quindi, ecco, ho pensato...» ma la sua voce si spense, incerto su come proseguire. Era ovvio cosa intendesse chiedergli – se poteva tenerlo lui, con sé.

«Saliamo, ne parliamo al caldo».

Leo non ebbe bisogno di molte parole per essere convinto, a dirla tutta; il micio sarebbe rimasto da lui così, in qualche modo, Robin avrebbe potuto continuare ad occuparsene, seppur saltuariamente. Il giorno dopo, gli assicurò lo scrittore, si sarebbe premurato di portarlo dal veterinario e di procurarsi tutto il necessario per prendersi cura di lui – per il momento, avevano provato a fargli una cuccia di emergenza nella scatola, con una coperta calda e gli avevano versato un po' di latte riscaldato in un piattino da caffè e poco altro.

«Come vuoi chiamarlo?» gli chiese il moro, mentre si assicurava che il cucciolo si rifocillasse un po'; ad onor del vero, sembrava avere parecchio appetito. Leo, nel frattempo, aveva cominciato a spogliarsi: era sua (onesta ed innocente) intenzione quella di farsi una doccia, ma... beh, Robin era lì. Non c'era niente di male nel provocarlo un po'.

«Dovremmo decidere insieme, ti pare?»

«... E immagino tu debba denudarti, per decidere. So che la tua ispirazione ha ogni tipo di provenienza, ma...»

Non ne sembrava dispiaciuto, però, a giudicare da come lo guardava tanto che Leo accennò una risata. «Rifletto meglio sotto la doccia. Volevo chiederti di fartene una con me, in effetti».

Robin, seppur con un po' di rossore, non poté fare a meno di replicare con un mezzo sorriso sghembo e un gesto, molto semplice: cominciò a sbottonarsi la camicia.
 


Note: frase più ricorrente, "non riesco a credere di essere riuscita a postare!" In effetti, sto procedendo un po' a rilento e non per mancanza di idee o voglia di concludere questa storia, ma un po' per una serie di impegni che continuano ad accavallarsi e da cui non riesco a districarmi!
Parlando del capitolo, invece... diciamo che inizialmente non era mia intenzione dare così tanto spazio alla quotidianità di Robin e Leo, così come non avevo previsto di inserire così spesso Ruka, Arashi e persino Shu; ma una persona che cos'è, senza chi lo sostiene e chi gli vuole bene, al suo fianco? Come ho già detto, mi piacerebbe avere modo di approfondire un po' parecchi personaggi - anche alcuni che non sono neanche comparsi, qui - in una raccolta futura di one-shot, ma non volevo che l'universo di Leo girasse solo intorno al Predestino o a Robin. Anzi, sono felice di poter dire che la parola Predestino è quasi scomparsa dalla semantica degli ultimi capitoli, perché ormai per lui non è più una preoccupazione.
Per ora, almeno (...).
Il prossimo capitolo dovrebbe però segnare la Svolta che immaginavo sin dal principio. Ormai è chiaro che ci siano tante cose non dette, non chiarite tra Leo e chi lo circonda ed è mia intenzione provare a concentrare gran parte del colpo di scena (che, onestamente, non credo sia proprio così incredibile) nel prossimo capitolo. Eh.
Non so quando riuscirò a postare, perché tra una decina di giorni sarò a Cartoomics (E PORTERO' LEO, INCREDIBILE!!!!) e ho in mente e in programma una collaborazione con un'amica che spero possa piacere a non solo chi legge questa fic.
Alla prossima ~

 

   
 
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