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Autore: Wings_of_Mercurio    26/02/2018    3 recensioni
Stan sta tentando di rimettersi insieme dopo la rottura con Wendy.
Craig di combattere la sua solitudine.
Tweek di ricostruire la sua vita.
[Staig] [Creek] [Stendy]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Craig, Kyle Broflovski, Stan Marsh, Tweek, Wendy Testaburger
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Scusate l'enorme ritardo. Sinceramente non so cosa avrei voluto farci uscire da questo capitolo; ad ogni modo, ho deciso di pubblicarlo. E scusate anche se è particolarmente deprimente, ma non poteva essere altrimenti. Scusate eventuali errori! Vorrei revisionarlo per l'ennesima volta, ma sento di doverlo pubblicare adesso.
 

31. 00:01



Si era creata un bel po' di affluenza, tra insegnanti, preside, infermieri.
E Stan era ancora fermo, cementificato nella stessa posizione, ad osservare Clyde che veniva cautamente caricato sulla barella, senza essersi ripreso neanche un po'.
Le ragazze avevano insistito perché Bebe fosse visitata, e adesso un operatore era chino su di lei a controllarle la pressione mentre la ragazza sedeva sul retro dell'ambulanza.
<< Lasciatemi andare, ho detto di stare bene! Voglio stare vicino a Clyde! >> si lamentò, gli occhi lacrimosi e arrabbiati, mentre le altre la guardavano con pena. 
La barella  fu presto sollevata e caricata sull'ambulanza.
Craig e Token guardavano inermi la scena. Anche il resto della classe era arrivato, e Wendy, adesso, teneva il capo poggiato su quello della sua amica, abbracciandola intorno al collo.
<< Clyde! >> urlò una voce, e una ragazza, che doveva avere sui venticinque anni, schizzò come un siluro davanti alla vista di Stan, per poi essere fermata dagli infermieri.
<< Come sta? Cosa è che è successo? >> chiese, rivolgendosi prima agli adulti responsabili e poi cercando sulle facce di Token e Craig dei volti conosciuti.
I due le si avvicinarono, ma prima di poterle spiegare la situazione, il preside la approcciò.
<< Lei deve essere la sorella di Clyde? Martha Donovan? >>
<< Sì, sono io >> rispose Martha, trafelata. 
<< Io sono il preside della scuola, molto piacere di conoscerla >>
<< Mio padre sta arrivando >> si giustificò la ragazza, senza che il preside l'avesse chiesto << Io ero solo più vicina >>
<< A quanto pare un altro studente ha aggredito suo fratello. È una situazione complicata... >> iniziò a spiegare il preside, impacciato, nonostante ciò stridesse con la sua presenza da avvenente trentenne palestrato.
<< Vuole accompagnare il ragazzo sull'ambulanza? >> chiese un infermiere, in procinto di chiudere gli sportelli.
Martha annuì, ignorando completamente il preside.
<< Mi scusi, possiamo parlare di questo un altro giorno? >> chiese, provata.
Clyde aveva perso la madre. Doveva essere difficile, trovarsi in una situazione d'allarme come quella, per una famiglia già distrutta, pensò Stan.
Il preside semplicemente annuì. Bebe fu fatta scendere, non senza proteste, e Martha salire su. 
Gli insegnanti stavano rientrando. Miles aveva detto loro che potevano raccogliere le loro cose e tornare a casa, ma Stan ancora non si muoveva. Non sapeva cosa fare.
Fu in quel momento che gli occhi di Craig lo trovarono, e il ragazzo prese a marciare verso di lui a grandi passi.
Stan sentì appena il panico sfiorarlo, che Craig lo aveva già raggiunto, stringendolo forte per un braccio e iniziando a trascinarlo dietro l'edificio.
<< Vieni >> gli comandò, rude.
<< Lasciami! Mi fai male! >> si lagnò, come un bambino imbronciato, mentre svoltavano l'angolo.
La presa di Craig era stretta, ma ad infastidirlo non era tanto quello, quanto il fatto che il suo tocco gli bruciava sulla pelle.
Come a rispecchiare quanto appena detto, Craig lo mollò improvvisamente, tirandosi indietro come se anche lui si fosse scottato. O forse fu solo la realizzazione di essere troppo vicino a lui.
Stan lo guardò accigliato, tenendosi il braccio laddove aveva lamentato dolore.
<< Che diavolo...? >> chiese, retoricamente.
<< Mi sono rotto il cazzo, sinceramente, con tutti questi segreti! Che cazzo è successo, a Tweek? >> ribatté Craig, nervoso come Stan non l'aveva mai visto.
<< Perché cazzo lo chiedi a me? >> rispose Stan. Non intendeva davvero rispondere così, perché capiva che Craig doveva essere parecchio agitato e confuso, ma lo era anche lui, e non voleva essere aggredito mentre era ancora scosso.
<< Perché tu! Hai cercato di dirmi qualcosa con le tue frasi criptiche senza dirmi un cazzo! E ognuno continua a fare il misterioso! Clyde è in ospedale! Perché? Tu lo sai! Sai che cazzo gli è preso a Tweek, quindi perché non me lo dici? Ho il fottutissimo diritto di sapere?! >>
Stan lo guardò incredulo << Perché non era mio dovere, dirtelo, santo cielo! Perché non te la prendi con il tuo cazzo di ragazzo?! >> sputò, prima che riuscisse a fermarsi.
Craig gli restituì un'occhiata allucinata, poi schioccò la lingua esasperato, chiudendo gli occhi per un attimo e massaggiandosi la fronte con le dita << Davvero, Stan? >> chiese, riaprendo gli occhi e allargando le braccia in un moto di stizza << Ti sembra il momento per le tue stronzate da diva? >>
Stan non seppe nascondere quanto quelle parole lo ferirono << Fottiti >> disse, cercando di sgattaiolare via.
Per quanto gli riguardava, la questione era chiusa. Non avrebbe mai più parlato a Craig.
Tuttavia, Craig gli afferrò una spalla, facendolo voltare di nuovo verso di lui, per poi mollarlo.
<< Per favore >> disse, ridimensionando il tono << Posso sapere cosa è successo? >>
Stan abbassò per un attimo lo sguardo, prendendo anche lui un lungo respiro << Mi dispiace >> disse << Sto tutto cagato in mano. Cielo >> esalò, portandosi i palmi delle mani sugli occhi e sfregandoseli. Poi si guardò intorno, a disagio. A questo punto, non aveva più senso essere discreti, o tentare di tutelare Tweek, perché ormai il danno era fatto.
<< Hai sentito Kyle, no? >> esordì cauto, cercando gli occhi di Craig, ma dovette distogliere i suoi perché quello sguardo, quegli occhi blu che lo fissavano impazienti, erano troppo, da reggere, per lui che non poteva più permettersi di guardarli come prima << L'anno che Tweek non è stato con noi, quello in cui tu, Clyde e gli altri vi siete trasferiti nella nostra classe... bèh, lui era in clinica. Ricovero volontario, prima ancora che Cartman potesse... >> si fermò, riguardando Craig, e sospirando di frustrazione quando si rese conto che il suo discorso fosse sconclusionato.
<< Cosa c'entra Cartman? >> chiese Craig, con il petto che gli si appesantiva sempre di più. Tweek era particolare, senza dubbio, e aveva un suo modo di vedere le cose, ma l'idea che potesse avere problemi più gravi, tanto da restare un anno in una clinica psichiatrica, gli sembrava tutta un enorme scherzo. Come se Clyde e gli altri compagni dovessero uscire fuori dai cespugli delle aiuole da un momento all'altro per gridargli allegramente che fosse su una Candid Camera, e che tutto fosse organizzato.
Anche se quello che aveva visto, non poteva essere organizzato. 
Vide gli occhi di Stan illanguidirsi leggermente.
<< Eravamo appena usciti da scuola >> raccontò Stan, guardando di lato, come se stesse seguendo il flusso dei suoi pensieri << Stavamo tornando a casa, insieme, come facevamo sempre: io, Kyle, Tweek, Kenny, Cartman e Butters. Tweek era stato strano tutta la mattina, non ho idea del perché, sinceramente, ma era abbastanza silenzioso, quindi nessuno di noi gli stava prestando particolare attenzione. Non so neanche che cazzo successe, perché io ero dietro a parlare con Kenny, ma comunque Cartman iniziò a prenderlo in giro come tutti i giorni. Quel culone di merda >> spiegò, nervoso. Adesso avrebbe proprio voluto una sigaretta << Non mi ricordo neanche che cavolo gli disse, tipo qualcosa sul suo leccare il culo a Kyle, ed altri insulti, che però non ricordo. Comunque assolutamente niente di nuovo, rispetto agli altri giorni. Cartman lo prendeva in giro tutto il tempo, specialmente se Tweek si metteva a raccontare cose strane, e aveva preso a farlo più spesso da quando Tweek era diventato amico di Kyle. Solo che quel giorno Tweek diede di matto, improvvisamente... >> poi si bloccò, perché da quel momento in poi i suoi pensieri diventavano confusi, solo sprazzi di ricordi che la sua coscienza aveva tentato di seppellire.
Craig cercò di inspirare per scacciare l'angoscia che lo stava inghiottendo.
<< L'ha aggredito come con Clyde? >> domandò, piano, quasi come se dirlo ad alta voce lo rendesse effettivamente reale.
Stan osservò il ragazzo con dispiacere << Peggio. Cartman è finito in ospedale per due mesi, con una costola incrinata, una gamba rotta e il tutore. Lui... lo spinse sul marciapiede, poi gli calciò la gamba sul dislivello, rompendogliela >> abbassò gli occhi, stringendoli e cercando di scacciare la nausea. Non era sicuro che fosse l'esatta collocazione degli eventi, però era successo. Nessuno era intervenuto in quel momento; neanche Kenny, era riuscito a muoversi, e Stan ricordava solo che aveva perso il comando del suo corpo, in quel frangente, osservando la scena come se non si trovasse davvero lì. Tweek era diventato un'altra persona, una furia omicida che non riconoscevano.
<< Cartman non ha mai saputo difendersi. Tweek... l'ha colpito un sacco di volte, a pugni e a calci. Ha provato a strangolarlo >> ricordò, sentendosi quasi venir meno, al ricordo di Cartman che annaspava alla ricerca di aria, e dei suoi occhi rossi << Questo è quello che è successo... >> decretò, il tono più basso, concedendo finalmente un'occhiata a Craig.
Il ragazzo però, non lo stava guardando. Fissava a terra, le braccia incrociate e uno sguardo corrucciato in volto.
Stan deglutì; vedendo che Craig non diceva nulla, continuò: << Smise solo quando Butters chiamò il suo nome, ed era come se fosse appena piombato lì, come se non riconoscesse le mani che stavano ancora intorno al collo di Cartman. Non posso dimenticarmi la sua faccia spaventata. Ebbe un attacco di panico, e scoppiò a piangere. Non è colpa sua, non può controllare quello che gli scatta in testa >> tentò di dire, a disagio, come se dovesse giustificarlo davanti a Craig.
Dio, non voleva sembrare pronto a parlare male di Tweek, e arrossì, quando si rese conto di star pensando solo a se stesso e a come potesse apparire agli occhi di Craig.
A quel punto, Craig tirò fuori il pacchetto di sigarette, e ne sfilò una. Quando se l'accese, Stan desiderò con tutto se stesso averne una anche lui, ma non osò chiedergliela.
<< Perché non me l'hai detto? >> gli chiese il ragazzo, gli occhi lucidi adesso puntati su di lui.
Stan tremò davanti ai suoi occhi. Avrebbe voluto fare qualcosa, consolarlo, come tutte le volte che Craig aveva consolato lui, e invece  si ritrovò a stringere solo i pugni nella sua giacca, perché non poteva. Non poteva mandare al diavolo tutte le parole e stringerglisi addosso, perché ormai niente poteva essere preso con leggerezza. Distolse lo sguardo anche stavolta.
<< Te l'ho detto, non ero io a dovertelo dire. Tweek meritava una vita normale, dopo tutta la merda che ha attraversato. E sinceramente speravo che non arrivasse di nuovo a questo punto... >> 
In realtà, tutto il tatto che Stan e gli altri stavano usando, Kyle compreso, era una sorta di ammenda per la colpa che sentivano per aver abbandonato un loro amico nel momento del bisogno, e Stan lo sapeva.
Si decise a guardar Craig negli occhi << È stato bello, quello che hai fatto, comunque... Non dire a Miles che era stato lui, intendo >>
Craig annuì.
Stan indugiò, prima di dire le parole successive << Craig.. non essere troppo duro, con lui... >> era una sorta di preghiera, una in cui Stan stava riponendo tutte le sue colpe e la sua responsabilità, ed una che suggellava la sua resa, sul ragazzo che gli stava di fronte.
Craig inspirò un altro po' di fumo, e annuì, con gli occhi sfuggenti e lucidi. 
<< Tutto ciò che conta adesso è Clyde >> lo informò Craig << Scusami per averti fatto perdere tempo >> disse, poi si guardarono per un'ultima volta.
Negli occhi di Craig c'era dispiacere, e forse anche un po' di vergogna, per aver preteso spiegazioni da lui. Dal canto suo, Stan non era sicuro che i suoi non esprimessero la malinconia che stava provando.
Craig gli fece solo un cenno della testa, senza neanche un grazie, e si voltò per andarsene.
Stan sentì la sua mano scivolare fuori dalla giacca, come se volesse protendersi verso l'altro, e invece rimase ferma, aggrappata al bordo della tasca.
Era il momento di lasciare andare tutto.


Il pavimento era lercio. Il pavimento era lercio e lui ci era seduto sopra. E anche se era lercio, non gli importava, perché tanto comunque non riusciva a metterlo a fuoco, attraverso la sua visione traballante.
La puzza degli scarichi gli prendeva alla gola, soffocandolo, ma lui era l'unico ad essersela cercata, quando aveva pensato bene di nascondersi vicino ad una delle cabine del bagno della palestra. 
Non riusciva a fermare i singhiozzi che lo scuotevano, non riusciva a controllare i tremori. Dallo specchio sul lavandino, riusciva a scorgere un anziano signore in camice che lo osservava, curioso; dietro di lui, i corridoi azzurri e soffusi, così sterili, dell'ospedale psichiatrico. 
Vattene, cercò di dirgli, telepaticamente, mentre si stringeva i capelli e strizzava gli occhi sul mare di lacrime che glieli aveva sommersi. Tu non sei reale! Non guardarmi! 
Ma al di là dello specchio c'era davvero la clinica; se vi si fosse guardato,  si sarebbe ritrovato dall'altra parte, senza poter tornare indietro.
Pianse più forte. Non l'aveva fatto. Non aveva aggredito Clyde. Doveva essere un incubo, non poteva essere seduto su un pavimento sporco. Lui odiava lo sporco.
Si tirò le gambe più vicine, come se così facendo, potesse proteggersi da una realtà che non gli apparteneva. Perché quello avrebbe dovuto essere il suo anno, quell'anno che aveva imbottito di speranze e aspettative.
E invece adesso era solo un patetico mucchio di carne e sudore che riempiva coi suoi lamenti gorgoglianti quattro pareti dimenticate da Dio. Solo. Senza nessuno che volesse più avere a che fare con lui. Tutti, adesso, avevano lo stesso sguardo di Craig, nella sua testa. Tutti pieni di rabbia e disprezzo. 
Non dovrei esistere, si disse. Perché dovrebbe esistere qualcuno sbagliato come me? 
Qualcuno che fa del male alle persone, senza motivo. 
Non aveva mai provato una paura così vivida, così asfissiante, che gli stringeva il cuore in una morsa, e la cosa peggiore era che avesse paura di se stesso, di quelle mani che a quanto pare non erano sue perché non riusciva a controllarle, del suo cervello che lo chiudeva fuori come se non fosse il padrone del suo corpo. Tra quanto avrebbe di nuovo sperimentato quell'alienazione? Non voleva vivere con un corpo del genere. 
Non voleva uscire fuori di lì, e subire ancora la caccia alle streghe. 
Avrebbe voluto essere lontano, segregato da qualche parte, irrangiungibile, ma questi sentimenti stridevano e urlavano contro il suo odio per le pareti troppo azzurre del luogo nello specchio.
Non stava guardando, Tweek, non voleva vedere, ma sentiva chiaramente le luci anonime e bianche accendersi cigolando nel bagno, uguali e fredde come quelle della clinica, nonostante in realtà le luci fossero spente e l'ambiente, interrato, fosse illuminato appena dalla calda luce esterna, che proveniva da un finestrone in alto.
Si rifiutò di guardare anche quando lo scalpiccio di scarpe da ginnastica troppo consunte provenne dal corridoio. Qualcuno si fermò davanti all'ingresso dei bagni.
<< Sei qui >> disse, la voce amichevole e giocosa, che risultò troppo fastidiosa, comparata con la situazione.
<< Vattene! >> si sentì dire Tweek, più bruscamente di quanto avesse voluto. Non perché volesse stare da solo, ma più perché era spaventato di avere gente intorno.
<< Perché? Mi piace questo posto. Mi ricorda casa mia, solo con meno topi >> lo informò Kenny, avvicinandosi.
Un angolo delle labbra di Tweek si incurvò leggermente verso l'alto, ma lui non aveva niente da ridere. Proprio niente. E che cavolo aveva Kenny da essere così tranquillo? 
<< E poi comunque devo pisciare. Due in uno, no? >> ridacchiò l'altro, non potendo scorgere la reazione di Tweek, la cui testa era seppellita tra le sue braccia e le ginocchia.
Sentì la cabina accanto a lui aprirsi, e poi  il croscio dell'urina sulla ceramica. 
Si strinse le mani nei capelli, non riuscendo a trattenersi dal riprendere a singhiozzare. 
Aprì gli occhi solo quando sentì Kenny uscire e lavarsi le mani sotto il getto del lavandino. 
<< Perché... s-sei venuto? Ngh! >> chiese, con la voce tremolante e patetica.
Kenny si voltò verso di lui, sorridendogli << Non vorrai mica restare da solo? Comunque non devi preoccuparti, Clyde sta bene, si è ripreso >> mentì, e Tweek lo seppe, perché il sorriso di Kenny era finto << Quindi perché non usciamo fuori? >>
Le viscere di Tweek si mossero come se fossero piene di vermi, al solo pensiero di lasciare quell'angolo.
<< Non voglio >> sussurrò, appoggiando la fronte alle ginocchia.
<< Bèh, allora vuol dire che staremo qui. Te l'ho detto, non mi dispiace questo posto >> così dicendo, prese il cestino dei rifiuti ai piedi del lavandino e lo rovesciò, mettendolo contro la parete dove si trovava Tweek, poi vi si sedette sopra.
<< Vattene >> gli intimò ancora Tweek, nervoso. Kenny non doveva sprecare il suo tempo con lui. Non c'era motivo per lui di restare, anche perché Tweek non poteva difenderlo da se stesso. Se era riuscito a sopraffare Clyde, che era ben piazzato, figurarsi uno come lui. 
<< Che amico sarei se me ne andassi? >>
Parlarci a scuola non fa di noi degli amici, avrebbe voluto dirgli Tweek, ma tacque, perché Kenny McCormick era sempre stato gentile con lui. Lo era con tutti, e non l'aveva mai respinto. E Tweek non poteva respingerlo, anche perché era l'unico, a quanto pareva, ad essersi interessato a lui. Continuò a stringersi nervosamente le mani intorno ai capelli, aprendo e chiudendo i pugni, sentendo le sue braccia tremare e scivolare intorno alle sue gambe.
Restarono per un po' così, in silenzio. Tweek ancora si rifiutava di guardare Kenny, che se ne stava paziente sul suo sgabello improvvisato senza battere ciglio.
Poi lo sentì tirare fuori il suo vecchio cellulare, e scrivere qualcosa.
Tweek sentì le lacrime calde scivolargli dalla punta del naso e finirgli sulle cosce. Adesso piangeva per Kenny, perché il suo buon cuore non doveva fargli perdere tempo con lui. 
Fu dopo un po' che sentì altri passi, più concitati dei precedenti, fuori dalla porta. L'istinto di Tweek fu quello di alzare gli occhi, i quali si scontrarono con quelli sgranati e lucidi di Kyle, così verdi da far male. 
Il ragazzo indugiò sulla soglia, e la sua mano si strinse leggermente allo stipite della porta, alla quale si era appoggiato. I loro volti si contrassero in una smorfia di pianto contemporaneamente, poi Kyle corse su di lui, piegandosi e stringendogli le braccia intorno, la testa appoggiata nell'incavo tra la testa e la spalla di Tweek.
Kyle si lasciò sfuggire un singhiozzo, e pianse senza trattenersi, e faceva male, perché Kyle era il tipo di persona che piangeva per rabbia, il più delle volte, non certo per cose come quella. 
Tweek si lasciò andare sulla sua spalla, non trattenendo più niente.
Poi, d'un tratto, il suo cellulare squillò, un orribile suono che lo riportò alla realtà. Con mani tremanti, lo raggiunse nella tasca mentre allontanava Kyle, la faccia che era diventata ormai una maschera di lacrime e muco. 
Era sua madre.
Rispose, sentendo la nausea prendergli a tradimento lo stomaco.
<< Ma-mamma? >>
"Noi siamo qui, tesoro. Fuori scuola. Dove sei?" gli aveva chiesto lei, anche la sua voce distorta dal pianto "Esci, andiamo a casa".
Tweek non rispose, non ci riuscì, pianse solo più forte, a telefono, e annuì, anche se sua madre non poteva vederlo, ma non sapeva in che altro modo esprimere quel sì. Improvvisamente si sentì sollevato.
<< Ma -ngh!- ma... mamma è fuori... >> cercò di dire a Kyle.
Il ragazzo annuì, comprensivo << Andiamo >> disse solo, con una vocina flebile, quasi come se si fosse sforzato per farla uscire. 
Lo aiutò ad alzarsi, poi gli afferrò la mano, stringendogliela, e Tweek seppe che non gliel'avrebbe lasciata finché non fosse stato al sicuro con i suoi.


Devo dire che scrivere questa parte è stato difficile, un po' per la tristezza della scena, e un po' perché non trovavo ispirazione. Io sono solita trarre ispirazione dalla musica, e mi è davvero difficile trovare delle canzoni che si addicano a Tweek.
Non so quanto possa interessare, ma avevo intenzione, magari nell'ultimo capitolo, di inserire una lista di canzoni che mi hanno aiutato nella stesura di questa storia, alcune proprio specificamente per certe scene.
Ad ogni modo, voglio scrivere qui le due che mi hanno accompagnato per questo capitolo, che mi hanno aiutato a pensare e a scrivere di Tweek, e poi magari che ne so, ascoltatele se volete un po' di atmosfera!
The Who - Behind blue eyes
The Servant - Body


  
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