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Autore: themermaidwriter    26/02/2018    2 recensioni
Siamo nella florida e meravigliosa città di Roma nei primi anni del '600 e nelle stanze brulicanti d'arte della favolosa Villa Medici, residenza del Cardinale Ferdinando De Medici, siamo fortunati spettatori di una storia d'amore d'altri tempi; un raro fiore felice che sboccia in un prato di amanti. Privilegiati è dir poco per essere stati ammessi nei suoi preziosi ambienti, ma sempre e comunque grati per poter recepire e fare nostri, i racconti che essi narrano.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Amantes amentes.
Gli amanti son pazzi.


"Avevi detto che il piano superiore era proibito." Hercatia si guardò attorno strabiliata dalla bellezza di quel posto che non aveva mai osato toccare con mano. La balaustra della scala era ornata di preziosi materiali e sfavillanti colori; se li poteva solo sognare mentre percorreva quella scaletta striminzita che dalla "Stanza dei Buffi Uccelli" - come lei la chiamava - scivolava giù per un corridoio segreto e sfociava direttamente negli
appartamenti privati di Ferdinando.
Erano bizzari e dal becco singolare; nemmeno quei colori erano d'uso quotidiano.
Ferdinando li aveva fatti dipingere da un certo Zucchi per poterli studiare. Era sempre alla ricerca disperata di conoscenza quasi quanto ne aveva di donne; diceva che erano queste le cose a renderlo migliore dei suoi nemici: il sapere e il piacere. 
E ogni sala di Villa Medici era stata creata apposta per soddisfare i suoi desideri. 
Ferdinando guardava estasiato quel reticolo di rami e foglie verdastre, ogni volta, prima di scendere giù in quell'utero oscuro privo di vergogna. E indicava entusiasta, una pianta o un rapace sconosciuto, chiamandolo con un nome inpronunciabile.
Non ne aveva mai abbastanza di trasmettere e di sapere.
Così come delle donne; di quelle non ne bastavano mai. 
No, non provava alcun rimorso nei confronti di sua moglie, Cristina Di Lorena, mentre una dopo l'altra, di ogni bellezza e di ogni ceto sociale, sgattaiolava nella sua tana. 
Chi ridendo, chi silenziosa, chi imbarazzata. Ticchettavano tutte giù per i gradini per perdersi nel suo labirinto.
Hercatia ogni tanto si chiedeva cosa Cristina provasse, se sapesse come sapeva lei del suo vizio e se le desse fastidio, almeno un po' di quanto a lei solleticava.
Col tempo aveva trovato sempre più interessante il suo accompagnatore. Le storie che le raccontava provenienti da mondi sconosciuti e le opere che le mostrava di una bellezza disarmarnte, l'avevano imprigionata in un'altra dimensione in cui era lei la protagonista delle sue stesse avventure.
Forse desiderava più il suo essere uomo, che l'uomo stesso.
Ci pensava, si ci pensava mentre tentava di impare ogni volta un nome nuovo di un arbusto.
Magari un giorno, le sarebbe stato utile.
Li ricontava tutte le volte quando usciva per tornare a casa, quasi potessero scappare duranza la sua assenza. Che sciocca. Ma almeno così ripeteva i loro nomi.
Nemmeno quelle piante, le aveva mai viste nel giardino di Villa Medici. C'aveva fatto un giro, assieme a Ferdinando, poco prima di andarsene. Fu davvero un'occasione singolare e qualcosa che, con certezza, non concedeva a tutte le sue amanti. 
Ma a Ferdinando piaceva parlare dei suoi averi e di ciò che ancora non aveva conquistato nel mondo - e che presto avrebbe fatto - e a Hercatia piaceva starlo ad ascoltare, mentre varcavano gli archi fatti di vite verde brillante.
"Perché non camminiamo tra la stessa vegetazione della tua serra? Dove sono quei fiori così spendidi?" domandò distratta da un fiore violaceo che stava per cogliere.
"Non sono fiori di questo Impero." aprì teatralmente un braccio indicandò con la mano un orizzonte invisibile. "Crescono e vivono in terre lontane. Certe cose se le separi, muoiono." La guardò incantato, come se volesse dire altro.
"Ma non vale per tue opere d'arte." rise annusando il fiore che aveva tra le mani.
"L'arte, puoi metterla dovunque, ha bisogno solo d'occhi ammiratori per vivere. Io ho salvato l'arte, l'ho fatta mia ed io sono suo." si esprimeva sempre con tale eleganza e poesia da incantare anche ciarlando di un'orinatoio. 
Hercatia non s'accorse nemmeno di aver percorso buona parte dei Giardini e di stare svoltando per ammirare sotto gli archi la Dea Roma; antica e saggia vegliava sulle menti degli uomini brillanti.
Ferdinando credeva davvero di aver salvato l'arte rubandola dai suoi luoghi d'origine. Persino quelle decorazioni là, quelle che andavano ad adornare il muro adiacente alle scale, tutt'intorno la villa, le aveva trafugate da un tempio.
Hercatia arrivò al punto in cui diventò lecito chiedersi se la sua elogiatissima e silenziosa fontana non fosse stata portata in spalle dal lontano Egitto. 
Le scappava sempre un sorriso quando se lo immaginava; ma sapeva benissimo che Ferdinando l'aveva fatta costruire per il proprio benessere spirituale: lo scorrere dell'acqua lo rilassava e gli faceva da sfondo per le sue preghiere e riflessioni. Più di una volta le aveva raccontato che amava fermarsi per ore a leggere un buon libro sotto il suo fruscio. E a Hercatia pareva davvero che quel suono potesse far dimenticare tutto.
Per quanto riguardava quel suo vizio di portarsi l'arte a casa invece, oh beh, non se la sentiva proprio di giudicare il suo sfrontato egoismo. Anche lei stessa, se avesse potuto, avrebbe potretto tutta l'arte del mondo rubandola dalla sua vista; era ciò che si meritava per esser così bella.
Dopo tutto quel tempo passato a viaggiare per la Villa, Hercatia si spinse più in là e lo pregò di portarla ad ammirare anche le altre meravigliose stanze appartententi a suoi appartamentei privati, ma Ferdinando non ne volle sapere. Era tardi, così disse e lei pensò di aver osato troppo.


"Avevi detto che era probito a tutte." volle sottolineare con accuratezza quel dettaglio.
Ferdinando camminava silenzioso tra una stanza e l'altra, ma senza fermasi, senza volersi spiegare questa volta.
Hercatia guardava tutto ciò che la attraversava con gli occhi di un fanciullo. L'attraversava si, non era lei a camminare all'interno delle stanze, era l'arte a scorrere dentro lei.
"L'arte va proibita solo a chi non sa guardarla, Hercatia." pronunciò le sillabe del suo nome facendole gentilmente cadere sulla punta della lingua, una dopo l'altra, come mai aveva fatto.
Avrebbe dovuto capire che qualcosa di certo significava. 
Nulla per Ferdinando era lasciato al caso.
Aprì le porte intrepido; c'era qualcosa di incantato che passava attraverso le sue fessure e Ferdinando, dovette mordersi la lingua per non svelare in anteprima lo spettacolo.
"E tu, Hercatia, tu hai occhi per amarla e possederla." 
Pensò fosse solo un gioco di parole, ma ancora: nulla era per caso.
Quando Hercatia superò il suo amante e si ritrovò nel bel mezzo della sala, venne accolta da un tepore accogliente e da immagini familiari: era lei stessa ad essere stata ritratta sulle sue pareti. Hercatia guardava l'arte e l'arte guardava Hercatia.
E in tutti e due i casi era sempre se stessa la cosa che ammirava.
"Sei fatta per prenderne parte." Ferdinando si avvicinò a lei prendendola per mano e schioccandole un bacio sulle nocche. "Ed io con te." puntò il dito verso i dipinti che ricoprivano il soffitto a cassettoni, di ogni forma e dimensione.
Erano tutte, meravigliose scene mitologiche e devote ai loro dei.
L'uomo ritratto aveva le stesse sembianze di Ferdinando, ancora più bello di quanto già non lo fosse nella realtà. Con quei suoi capelli ricci e arruffati color miele abbronzato e la sua esile ma allo stesso tempo imponente figura, veniva ritratto in atteggiamenti fiabeschi mentre diffondeva la sua inconsumabile saggezza. Anche quei gesti che faceva con le mani ricordavano un po' suoi;  Se ci si soffermava sulle labbre rosee lo si poteva sentire davvero parlare con la sua voce. 
Era indubbiamente lui ad essere stato dipinto sulle pareti, da buon megalomane qual era. Eppure, se lo si guardava senza saperlo, le pennellate brillanti con cui l'aveva riprodotto sottolineavano sembianze ambigue: c'era qualcosa diverso che non si spiegava.
Come se fosse stato una persona e due individui insieme.
Ferdinando a quel punto non potette più frenarsi; c'era una foga scoppiettante in lui che lo faceva danzare per tutta la sala, indicando, raccontanto e toccando ciò che amava. 
I dipinti, i soggetti e se stesso. Forse tutti insieme, forse veramente.
Era sempre Giove la figura maschile che accompagliava la giovane in ogni scenario. Era Giove, ma non era Giove. Era Ferdinando chiamato col suo nome. Perché se c'era qualcuno su quella terra a portare la gloria e il peso una divinità, quello era proprio Ferdinando.
Si soffermò sui particolari di ogni maniglia, intarzio e pietra preziosa. 
Scivolarono gli occhi, le mani e i pensieri tra le nervature tutte intorno ai quadri. I fiori che vi erano dipinti scorrevano uno dopo l'altro come posati in un lungo canale d'acqua cristallina.
I colori che aveva usato, disse, erano irriconoscibli come gli introvabili della "Stanza dei Buffi Uccelli." Perché per lei, disse ancora, avrebbe trovato i colori perfetti per dipingerla, solo dall'altra parte del mondo.
Hercatia non poteva ancora credere di essere riflessa in ogni increspatura, in ogni gesto.  Persino le figure incappucciate o quelle che sembravano delle statue in miniatura, situate ai bordi dell'ovale centrale, ricordavano le sue sembianze. 
Divinità o mortale che fosse, c'era lei e solo lei e mai come in quelle scene, si trovava così a suo agio e in armonia con il mondo circostante. Seppure fittizzio, era il suo ambiente ideale.
Tutte di uno stampo diverso e un carattere inconfondibile, le immagini raccontavano amore, vita quotidiana e avventure imprevedibili. 
Silenziosi ci si rivedevano lassù, a vivere davvero ciò che stavano guardando.
E per una volta, si rincuorò del fatto che non potesse allungare una mano e confodersi tra le pennellate e vivere quelle avventure, perché in qualche modo, una parte di lei lo stava già facendo.
Sospirò silenziosa e senza parole mentre si godeva il momento. Alzò le spalle mettendosi a ridere mentre realizzava quanta follia ci fosse in quell'inaspettato gesto.
Due amanti che fuggivano e si rifugiavano nell'arte. Scappare senza spostarsi, ma muoversi e contemporaneamente trovarsi in due luoghi distinti a guardarsi come di fronte a uno specchio magico. Era questo il bello di tutto ciò, seppur difficoltoso da comprendere.
"Come si chiama?" era incredibile non gliel'avesse ancora detto.
"La Stanza delle Muse" così l'aveva chiamata. 
Perché niente come lui e lei avrebbero potuto ispirarlo a creare.
Hercatia guardò ancora verso l'alto sperando di non andarsene mai più. 
Era al sicuro, era perfetto. Era quello luogo esatto in cui doveva esistere ed era con chi doveva farlo.  Anche se espicitamente non l'aveva detto, oramai tutto intorno a lei le urlava che fosse palese, che fosse lo stesso anche per Ferdinando.
Lui la amava così tanto da dare il suo volto ad ogni donna rappresentata nella stanza.
Non è, forse questo, l'amore?


the mermaid's notes: bentornati cari lettori, oggi condivido con voi una nuova one shot che mi è stata ispirata da una visita, circa un anno fa, alla mervagliosa Villa Medici situata a Roma (E che consiglio a tutti di andare a vedere!), ma sopratutto dalla storia che si nasconde dietro ai dipinti della "Stanza delle Muse."  ovvero la donna, amante di Ferdinando, il cui volto è stato davvero di ispirazione per tutte le figure femminili presenti nella sala ed insieme ad essa la visione che Ferdinando De Medici aveva di se stesso come Giove. Mentre ero lì ed ascoltavo la guida mi è venuto spontaneo pensare le ultime parole di questa storia (che poi hanno creato l'intera vicenda). C'ho romanzato un po' su: il nome, i pensieri e le sembianze della donna sono totalmente fittizie, così come l'aspetto fisico e la stessa personalità di Ferdinando da cui ho preso ispirazione per caratterizzarlo. La cosa divertente è che l'ho immaginato come un Alberto Angela che non poteva fare a meno di divulgare la sua sapienza in giro per la Villa. Ho cercarto di toccare più punti della residenza per celebrare l'arte che custodisce e spero, anche se è impossibile, di avervi regalato almeno un briciolo delle stesse sensazioni che si provano quando ci si trova veramente lì. Ho mischiato storia e fantasia e spero di essere riuscita nel mio intento.
Come sempre mi fa molto piacere se voleste leggere questa storia e lasciare una recensione, magari raccontandomi la vostra esperienza in questo bellissimo luogo. E ovviamente ringrazio in anticipo tutti i lettori silenziosi che vedo sempre spuntare come anomini sul contatore views. Nulla mi farebbe più felice che leggere la vostra opinione).
Vi saluto e alla prossima.
P.S. il titolo è un proverbio latino che significa letteralemente "Gli amanti son pazzi." 

 
 
   
 
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