George Warleggan aveva trascorso la
notte insonne, preoccupato
da mille pensieri riguardanti l’incontro che avrebbe avuto
con suo figlio e
Ross Poldark, per la prima volta insieme davanti ai suoi occhi, proprio
in
quella casa, pullulante di spiacevoli ricordi per entrambi. Era ancora
così
dannatamente difficile da sopportare l’umiliazione che
provava ogni volta che
si concentrava su Valentine, ma era stata la sua imprevista convivenza
con Ross, in quei pochi giorni di burrasca, ad aver risvegliato in lui antichi
sospetti, a lungo taciuti ma mai dimenticati, riguardo la sincerità del
giuramento di Elizabeth che, concepito per mettere fine ai suoi angoscianti dubbi sulla paternità di Valentine, si era dimostrato tuttavia
insufficiente a persuaderlo del tutto, accecato com’era dalla paura che fosse Ross il vero responsabile della rovina del suo matrimonio.
Per tentare di alleggerire il suo
umore, pensò di recarsi
nella nursery, dove la piccola Ursula riposava indisturbata sotto le
cure della
sua nutrice, anche lei appisolata all’ombra della tenda della
culla. Si
avvicinò con discrezione alla bambina e la
osservò respirare con una calma
quasi surreale per lui, che in quel momento stava vivendo un incubo ad
occhi
aperti. Ursula era la cosa migliore che avesse potuto fare nella vita,
malgrado
il suo ingresso nel mondo avesse comportato la morte di Elizabeth, e
nessun
senso di colpa lo avrebbe mai convinto a cambiare
l’atteggiamento idolatrante che
ogni giorno sentiva di doverle riservare per cercare di dedicare un
po’ di
quell’affetto anche a Valentine.
Catherine, la bambinaia, si
svegliò proprio quando George
prese Ursula dalla culla e lo vide allontanarsi verso la finestra, con
la
piccola tra le braccia, quasi fosse un faro in mezzo al buio che lo
circondava.
A Nampara, Ross si svegliò
quando ogni traccia di neve
sembrava volersi sciogliere sotto la pressione dei raggi di un sole
beneaugurante
ma ancora troppo timido, con la chioma rossa di Demelza sparsa sul suo petto nudo.
Si staccò gentilmente
da lei e, dopo aver indossato la vestaglia, si sedette
sull’orlo del letto per
contemplarla mentre dormiva, stringendosi forte
al cuscino dove solo alcuni secondi
prima lui aveva appoggiato la testa. Così inebriata dal suo profumo, sembrava un
angelo in estasi tanto che Ross
pensò di trovarsi di fronte ad un’opera
d’arte di una bellezza inestimabile e
desiderò che quel momento durasse in eterno, fino a quando
l’incanto non fu
spezzato dal ricordo dell’impegno inderogabile che aveva con
George.
Fece
per alzarsi dal letto,
quando Clowance e Jeremy, scortati sin lì dal fido Garrik,
fecero irruzione.
“Sorpresa!”
Strillò la piccolina.
“Shh!
Stupida, non vedi che la
mamma sta ancora dormendo?” Jeremy la rimproverò
ma, immediatamente, si pentì di
averlo fatto perché l’effetto prodotto dal suo
rimprovero fu ancora più disastroso
di quanto aveva previsto. Clowance, infatti, aveva iniziato a
piagnucolare in
una maniera così rumorosa che fu difficile persino per Ross
tentare di farla
smettere prima che Demelza si svegliasse. La prese in braccio,
facendola
saltellare un po’ sulle sue ginocchia per calmarla, mentre
Jeremy con le
orecchie tappate dalle manine guardava la scena aspettando che sua
sorella
smettesse di lagnarsi.
In
tutto quel baccano, Demelza
continuava a riposare beatamente, muovendosi impercettibilmente sotto
il peso
delle lenzuola, troppo stanca e assorta dai bellissimi ricordi della
notte precedente
per dare ascolto al chiasso intorno a lei.
Ross
girò la bambina verso di sé,
in modo che potesse vederla negli occhi, “E perché
mai avreste voluto
disturbarci così presto?”
Fece una
smorfia talmente buffa che la piccola iniziò a ridere di
gusto.
“Jeremy…”
si voltò verso di lui,
puntandogli un dito accusatorio, “mi ha detto che anche tu lo
sai, non è vero?”
Ross
l’avvicinò a sé,
“E’ proprio
così…e non vedo l’ora di conoscere il
vostro fratellino o la vostra sorellina.”
Clowance
tirò un sospiro di
sollievo, “Lo sapevo che anche tu l’avresti presa
male!”
Ross
guardò Jeremy e insieme
scoppiarono a ridere fragorosamente, lasciando interdetta la povera
Clowance
che era ancora convinta di non aver detto niente di così
divertente in fin dei
conti.
Una
volta ripreso fiato, Ross si
asciugò le lacrime dagli occhi e, con la
complicità di suo figlio, decise di
stuzzicarla un po’.
“Senti,
tesoro: preferiresti un maschietto o una femminuccia?” La
osservò mentre rifletteva
sulla risposta.
“Ovviamente,
se non è troppo
tardi per rispedirlo indietro, preferirei un fratellino.” Ci
pensò ancora un
po’ su, “ Si, è meglio.”
“Non
vorresti una bella sorellina
tutta per te?”
Clowance
gli mise le mani sulla
bocca per zittirlo, “No, no e no!”
Questa
volta Demelza non poté ignorare
il volume della voci che le si agitavano intorno e, avendo ascoltato un
po’
della conversazione che si stava tenendo sul suo letto, sorrise
e decise di intervenire.
“Clowance,
ne abbiamo già
parlato…”
Tutti
e tre si voltarono
contemporaneamente nella sua direzione, visibilmente pentiti di non
essere
riusciti a evitare di disturbarla con le loro chiacchere mattutine.
Clowance si
mise un dito in bocca e abbassò lo sguardo come se fosse
stata appena colta in
flagrante, “Ma papà non vuole un’altra
bambina. Gli basto io, non è vero?”
“Beh,
questo papà non l’ha
detto…” Jeremy si sedette vicinò a
Ross, appoggiando la testolina sul suo braccio vigoroso ma, inaspettatamente, Demelza lo prese da dietro e lo
sistemò
sul lato del letto accanto al suo, sperando che gli
altri due seguissero il
suo esempio
e si sdraiassero insieme a loro.
“In
realtà, amore mio, non sei
l’unica bambina della mia vita...” Ross
iniziò a puntellarsi indietro per
raggiungere il cuscino, trattenendo Clowance tra le gambe,
“Tu avevi una
sorellina che si chiamava Julia. Anche se vive ormai da tanto tempo in
cielo e
tu e Jeremy non potrete mai conoscerla, lei condividerà
sempre un pezzo del mio
cuore con voi…” Cambiò subito tono di
voce, per non rovinare quello splendido
momento in famiglia con ricordi ancora troppo tristi da gestire per due
bambini, “Quindi, che problema ci sarebbe se fosse
un’altra femminuccia?”
Il
suo ragionamento non faceva
una piega, pensò Demelza.
“E
va bene…” Clowance andò a
carponi verso il fianco di Ross ma, prima di stendersi e abbracciarsi a
lui, si
fermò e gli confidò a bassa voce che avrebbe
preferito comunque un fratellino.
“Ti
abbiamo sentita!” Demelza si
sollevò leggermente, sporgendosi oltre i suoi uomini, per
pizzicarle una guancia.
Si
trattava di una situazione
diametralmente opposta a quanto succedeva a Trenwith, ma in quella
scacchiera,
divisa in due schieramenti contrapposti, c’era un pezzo che
era stato
dimenticato e che non riusciva a trovare una collocazione precisa
né nell’uno
né nell’altro.
Valentine
occupava la mente di
George come un problema fastidioso, una zavorra che si sarebbe sempre
portato
dietro e che avrebbe preferito risparmiarsi volentieri, ma abbandonarlo
al suo
destino sarebbe stato come riconoscere davanti a tutti la sua
sconfitta, soprattutto
davanti a Ross.
Il
posto che Valentine impegnava
nella vita di Ross non era poi così diverso. Per lui,
infatti, era un argomento
tabù, o meglio, una macchia sulla sua coscienza che
preferiva ignorare
piuttosto che adoperarsi per rimuoverla, ma era convinto che tornare
indietro
non sarebbe stato possibile e l’irreversibilità di
quel processo non faceva
altro che scoraggiarlo dal provarci.
Demelza, invece, non la pensava
affatto così. Mossa dalla convinzione che sarebbe stato
ingiusto negare il
legame che univa un padre a suo figlio, riteneva che, anche se
Valentine non
avrebbe mai dovuto conoscere la verità, Ross aveva il dovere
di fargli sentire
la sua vicinanza nei momenti di maggiore bisogno. In conclusione, se
per i
Poldark si trattava di un’ombra dai contorni meno labili ma
comunque ancora
indefinita, per Warleggan era proprio il peso consistente che
quell’ombra aveva
nella sua vita reale a peggiorare le cose.
I
bambini furono riaccompagnati
da Ross nella loro cameretta, in modo che Prudie potesse aiutarli a
vestirsi.
Quando tornò da Demelza, la trovò in piedi ad
aspettarlo, avvolta in uno
scialle per ripararsi dagli spifferi; prendendola per la vita, la
avvicinò a
sé e le spiegò il motivo per cui, quella mattina,
aveva una certa fretta di
cambiarsi.
“E’
sempre il solito George,
dunque. Speravo che la nascita della bambina lo avesse
ammorbidito…”
“Non
credo che cambierà mai, amore
mio.” Si staccò da lei per cercare i suoi vestiti.
Demelza
sembrava piuttosto
pensierosa, mentre si scioglieva la treccia davanti allo specchio della
toletta
e iniziava a pettinarsi i capelli, “La perdita di Elizabeth
deve essere stata
un duro colpo per lui.”
“Non
solo per lui…”
Si
girò verso la porta, ma Ross
se n’era già andato, lasciandole un sospetto che
si faceva sempre più simile ad
una certezza: neanche la morte avrebbe potuto far cessare quel
conflitto che
lei ed Elizabeth combattevano da anni dentro di lui e forse, a questo
punto,
era giunta l’ora di una ritirata, almeno da parte sua, visto
che iniziava a
sembrarle davvero impossibile poter vincere contro la forza di un
ricordo ancora
così vivo.