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Autore: DomenicaSalatino    28/02/2018    0 recensioni
Il regno di Amrat è in lutto per la morte dell'imperatore. Ad ovest intanto, il sovrano del regno di Algol si preoccupa chiedendosi cosa succederà ora che l'imperatrice Ananta è più debole che mai.
I popoli selvaggi del sud, che cercano di riconquistare le terre che gli furono sottratte molti secoli prima, minacciano il precario equilibrio delle forze in gioco.
In un mondo in cui, il potere sembra essere la sola cosa davvero tangibile, una bambina, la principessa, dovrà imparare a crescere diventando donna e regnante di un impero in pieno caos, che rischia di dimenticarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dei rumori attutiti attirarono la sua attenzione facendola voltare appena sullo sgabello di legno intarsiato. Piccoli passi silenziosi sugli enormi tappeti intrecciati.

Tiphereth Lauvi'iah, principessa del regno di Amrat e prima del suo nome, era solo una bambina che aveva compiuto cinque anni due mesi prima; un avvenimento mai festeggiato a causa della malattia di suo padre. Aveva due enormi occhi color cannella in un visino minuto e pallido.

La figlia dell'imperatrice aveva pianto, era evidente dalle guance arrossate e dal modo in cui tirava su con il naso. Un comportamento niente affatto consono a una del suo rango; ma lei era così giovane, così indifesa!

«Madre», fu tutto ciò che la bambina disse. E poi restò come in attesa, aspettando che fosse lei ad aggiungere qualcosa.

Per un istante madre e figlia si guardarono smarrite, l'una e l'altra senza parole, senza sapere cosa fare, a causa della tragedia che le aveva colpite. Poi la più piccola si lasciò sfuggire un singhiozzo, e un altro ancora. Presto le lacrime inondarono il suo volto e non fu quasi più in grado di respirare. Si stropicciò gli occhi con i pugni chiusi, ma nulla fu in grado di fermare quel pianto.

Ananta prese un respiro profondo cercando di ritrovare la compostezza e si chiese come avrebbe fatto quel piccolo, tenero pulcino ad andare avanti. Certo, lei era addolorata, spezzata dentro per quella perdita, ma per Tiphereth suo padre era stato tutto. E il sentimento era stato reciproco. Da quando Nun aveva posato gli occhi su quel fagottino roseo e urlante che era stata la sua bambina, non aveva avuto occhi che per lei. Aveva sempre potuto leggere in lui l'orgoglio che provava nell'aver generato con lei quella straordinaria creatura. I due avevano avuto un rapporto fatto di segrete complicità e tenero amore, diverso da qualunque cosa Ananta avesse mai visto.

Non era mai stata gelosa per questo, perché aveva sempre pensato che il suo momento con Tiphereth sarebbe venuto dopo; quando già cresciuta avrebbe dovuto affrontare il suo essere donna e principessa in un mondo matriarcale; in cui un giorno avrebbe sposato un uomo e creato con lui la generazione successiva. In quel momento avrebbe avuto bisogno di sua madre, dei suoi consigli, della sua guida.

Ora tutto sarebbe stato diverso, loro erano diverse.

«Vieni qui, Tiphereth», Ananta prese gentilmente la mano di sua figlia e le fece spazio sullo sgabello.

La bambina continuava a piangere, segnando il suo cuore con altre profonde cicatrici.

«Tuo padre ci ha lasciati. E questo fa male, molto male. Ma dovresti chiederti una cosa. Lui vorrebbe vederti piangere in questo modo?», Ananta inclinò leggermente il capo e aspettò che quelle parole penetrassero nella coscienza della piccola.

Proprio come aveva sperato, dopo qualche istante, i suoi singhiozzi si affievolirono e il respiro sembrò lentamente tornare alla normalità. Ora la bambina era pronta per ascoltare il resto di quello che aveva da dirle. Non importava se avrebbe capito o meno, con il tempo quelle parole avrebbero assunto un significato. Per il momento bastava che sedimentassero dentro di lei; un giorno avrebbero portato dei frutti.

«Sentirai ogni giorno la sua mancanza, per tutto il resto della tua vita, che essa sia breve o lunga non avrà importanza. Lui continuerà a mancarti. Eppure i vivi devono andare avanti. Devono vivere la propria vita anche per coloro che non ci sono più. Tuo padre avrebbe voluto vederti crescere forte e felice ed è quello che devi fare: vivere».

«Ma fa male», disse semplicemente Tiphereth, portandosi una manina al cuore.

«Devi sforzarti ogni giorno per trasformare il tuo dolore in qualcosa d'altro. Non sarà facile, ma so che puoi riuscirci».

La piccola corrugò la fronte, come se stesse cercando di capire un problema di difficile risoluzione. Nun aveva la stessa abitudine: quando c'era qualcosa che non capiva, l'analizzava, sperimentava, sbagliava e riprovava. Quella bambina aveva così tanti tratti che glielo ricordavano.

«Perché?», ed ecco la domanda più difficile, quella per cui Ananta non aveva una risposta semplice e neanche definitiva.

«Cosa ti dice sempre Lady Nili?», stava scegliendo la via più lunga, ma non sapeva neanche lei cosa dire alla sua bambina.

Un senso di oppressione le calò addosso: dovette combattere con un sentimento che non per la prima volta le si presentava innanzi. La sensazione di non essere una brava madre, di non essere in grado di educare e crescere la futura imperatrice di Amrat.

«Stai dritta e non distrarti?», chiese titubante la principessa.

Quel commento ingenuo le strappò un lieve sorriso velato di tristezza.

«Forse non era l'esempio migliore, dato che Lady Nili dice molte cose».

«Parla sempre tanto e mi annoia a morte con i suoi questo puoi farlo e quest'altro no. Mio padre diceva...», Tiphereth si interruppe sconvolta. Aveva appena parlato di lui al passato, con una naturalezza che aveva raggelato entrambe. Passarono dei minuti prima che Ananta fosse di nuovo in grado di parlare.

«Tiphereth, tu sei una lady e come tale ci saranno molte cose che potrai fare, ma altrettante che ti saranno vietate. Sempre, per tutta la tua vita. Ma tu sei anche la principessa di questo regno e sei diversa da ogni altra lady. Il tuo compito sarà guidare l'intero regno, far rispettare le leggi, proteggere e servire il tuo popolo», cominciò pazientemente Ananta.

«Servire? Ma ci sono già dei servitori, perché dovrei farlo io? E poi, per chi?», chiese la bambina sbarrando gli occhi.

Era evidente che stesse immaginando chissà quale sorta di stranezza.

«Molti credono che essere imperatrici significhi fare tutto quello che si vuole, comandare ed essere al di sopra di tutti. Si sbagliano. Un buon regnante deve fare tante cose, essere tante cose, ma soprattutto amare il suo popolo ed essere un esempio per lui. Esempio significa che anche se non ti senti bene devi dimostrare il contrario e così via», Ananta annaspava nel suo stesso discorso e vedeva chiaramente sul volto di Tiphereth la confusione.

«Vuoi dire che devo dire delle bugie?».

Ananta sospirò ancora. Si ricordò, del giorno in cui Nun aveva sgridato aspramente sua figlia perché lei aveva mentito su dove era stata, e li aveva fatti preoccupare non poco.

«In un certo senso, è come dire una bugia, ma si tratta di bugie a fin di bene. E poi non è bello vedere piangere o star male qualcuno, ed è per questo che sin da oggi non devi più farlo in pubblico. Ciò significa che quando tra poco andremo di là, dovrai trattenere le lacrime e restare composta fino alla fine della giornata. Sono stata chiara?», le ultime parole le erano uscite in un tono assai aspro.

Doveva fare in modo che Tiphereth capisse in un modo o nell'altro.

Si alzò dallo sgabello e guardò sua figlia fare altrettanto, scivolando dolcemente sul folto tappeto azzurro. Si specchiò un'ultima volta per controllare di essere in ordine. Lo scollo dell'abito di lana era rotondo, il corpetto aderente alle sue grazie e le maniche ampie sfioravano appena il pavimento.

Anche Tiphereth indossava un abito simile al suo, della sua taglia. I capelli però erano quasi completamente sciolti. Non glieli aveva mai fatti tagliare, perciò le arrivavano quasi a metà schiena, ed erano leggermente ondulati. La sua cameriera aveva preso le ciocche laterali e le aveva unite in una morbida treccia che aveva poi fermato con un nastro nero di seta. Le bambine della sua età, infatti, non portavano mai i capelli completamente legati. Certi tipi di acconciature erano riservate solo alle donne ormai adulte.

«Sei pronta Tiphereth?», le chiese Ananta.

La bambina annuì e sollevò appena il mento, ricacciando indietro le lacrime che ancora una volta minacciavano di sommergerla. Dopotutto Tiphereth era anche sua figlia.

   
 
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