Capitolo
3
Dopo
quella serata passata insieme, nei mesi successivi Maya e Kurama erano usciti
spesso. A volte solamente per poche ore, altre volte Kurama si limitava a
venirle incontro all'università o al tempio di Genkai
e ad accompagnarla a casa, facendo la strada con lei.
Maya
era davvero felice di aver trovato in Shuichi un amico, e si chiedeva come
avesse fatto a non notarlo prima, già dai tempi delle medie.
Si
stava abituando anche alle occhiate della gente, sempre più simili a quelle che
si lanciano ad una coppia di giovani fidanzati. Maya non credeva che lei e
Kurama fossero fidanzati, no, erano amici, almeno per il momento, ma doveva
ammettere, col tempo che passava, che la cosa non le sarebbe dispiaciuta.
Perché
mentire? Shuichi era un bel ragazzo, era dolce e gentile, era premuroso, sapeva
ascoltare e non la trattava come una pazza. Per lei era un sogno passare del
tempo con lui. Ma quasi si imbarazzava anche solo a pensarlo.
Non
lo diceva quindi, tenendoselo per sé, ma ugualmente ci teneva a godersi ogni
secondo.
Soprattutto perché, adesso che l'aveva rivisto dopo tanti anni, si stava
rendendo conto che più tempo passava con lui, più quei sogni di cui aveva
parlato con Kuwabara diventavano nitidi, chiari. Aveva la sensazione che il
vuoto che per anni si era sentita dentro si stesse a poco a poco riempiendo.
Era
una sensazione bella e strana al contempo, che non sapeva spiegare a parole ma
che sapeva essere merito di Shuichi.
Era lui. Era lui che la stava guarendo, e senza neanche rendersene conto.
Nonostante
all'inizio paresse così titubante, adesso anche lui si era fatto più spontaneo,
come se si fosse rilassato, e questo la stava aiutando ancora di più. Non era
certa che ne fosse consapevole, e Kuwabara non sapeva rispondere alle sue
domande. Ma era così, ed era l'unica cosa che le interessava.
Ad
ogni modo aveva deciso che ne avrebbe parlato ancora anche con Shuichi, anche
se lui fin dalla prima volta era parso turbato sull'argomento. Ma lei aveva
davvero bisogno di risposte. Ne aveva bisogno con tutta se stessa.
Sperava
solo che non si arrabbiasse, tutto lì.
"Minamino,
senti..." iniziò quindi, un po' tentennante. Era difficile trovare il modo
giusto per ingranare. Ti sogno ogni notte,
avrebbe potuto dire, ma che senso aveva? Faceva solo la parte della ragazzina
alla prima cotta. Anche se quelli, più che sogni, sembravano ricordi e lei ne
era sempre più convinta.
"Sì?"
"Ah,
ecco...ecco io dovrei parlarti di una cosa."
Kurama
si voltò appena verso di lei, già teso. C'erano tante cose che poteva dirgli
Maya in quel frangente, ma aveva una così vaga sensazione di deja-vu e non riusciva proprio a mandarla via. I primi
tempi aveva rifiutato l'idea che le sue piante potessero fallire, ma adesso
sapeva che Maya era troppo forte e con lui sempre accanto prima o poi sarebbe
successo. Solo non pensava così presto.
Non era certo di saper affrontare l'argomento e la sua reazione.
"Dimmi
pure," fece quindi, cordiale come sempre. Gentile, sì, ma in un certo
senso distaccato. Erano amici, quello potevano concederglielo. Ma altro, ormai,
era troppo tardi. Le aveva fatto troppo male.
Adesso
era sicuramente abbastanza forte da proteggerla, ma come poteva dimenticare
quello che le aveva fatto? E se l'avesse ricordato, sarebbe stata lei la prima
ad odiarlo. Era giusto così. Era stato lui, in fondo, a decidere di mettere
fine a tutto prima ancora che iniziasse.
"Non
è una cosa facile da dire! In verità, avevo già provato ad accennarti
l'argomento, ma, beh, è che non è semplice!"
Kurama
rabbrividì. "Davvero? Di che si tratta?"
"Sì,
dunque..." sospirò Maya, quasi fosse in conflitto con se stessa. In
verità, si sentiva solamente...strana. Ma in fondo, lui era sempre così cortese.
"Non ne ho più parlato perché non ne sentivo la necessità, sì...però,
ecco, ultimamente è successa una cosa. Cioè, non è proprio una cosa in particolare,
diciamo una sensazione, sì. E allora...Minamino, mi stai ascoltando?"
"Ma
certo!" si affrettò ad affermare lui, passandosi una mano fra i capelli.
Glielo stava davvero lasciando dire? Se l'avesse fatto, poi lui che si poteva
inventare? Che era un sogno come gli altri? Il suo potere spirituale era così
forte, in quel momento, non ci avrebbe mai creduto.
Altro,
altro. Doveva trovare altro.
Ma cosa?
"Okay,
sì. E quindi ti stavo dicendo che...io ho come la sensazione che stando insieme
a te mi stia ricordando di qualcosa che avevo dimenticato! E' così, sì. Vedi,
ho sempre avuto un peso opprimente, qui sul cuore, come un vuoto incolmabile,
come se mi mancasse qualcosa. Qualcosa che era stato importante, e che anche se
non mi serviva avrei dovuto ricordare. Mi sentivo così," sussurrò Maya, trafelata,
come se dovesse assolutamente dire tutto e subito o non ci sarebbe più
riuscita. Si era chiesta tante volte in che modo avrebbe potuto portare avanti
l'argomento e adesso che era lì, le era venuto naturale. Doveva approfittarne.
"E
invece adesso, da quando ci vediamo così regolarmente, ho l'impressione che
tutto stia venendo alla luce e che pian piano potrei riuscire a trovare delle
risposte. So che sembra strano, Minamino, credimi, però io...io..."
Kurama
fece per allungare una mano verso di lei, ma la bloccò a mezz'aria. Che doveva
dirle? Che doveva fare?
Di
solito era un tipo pragmatico, trovava una soluzione a tutto più o meno
velocemente, ma adesso non c'era una soluzione. Una bugia colossale o una
verità sofferta. Solo questo.
Che
scelta fare?
"Kitajima, io...ti credo," si ritrovò a dire, prima che
potesse mordersi la lingua. "Non è assurdo o strano. Queste sensazioni che
hai, io- mh?" fu costretto ad interrompersi
prima di poter finire la frase.
Sembrava
che fosse il loro destino, finire fra le grinfie di un demone subito prima o
subito dopo che uno dei due scaricasse l'altro. Che ironia.
Se
quel giorno Hiei non li avesse attaccati, Maya avrebbe dimenticato l'amore per
lui accantonandolo come una normale delusione. Invece le cose erano andate
diversamente. Lei non ricordava neanche di essersi innamorata, figurarsi di
essersi dichiarata.
"Minamino?
Tu?"
"Cambiamo
strada, Kitajima, vuoi?"
"Eh?
Ma...okay," mormorò alla fine, amareggiata. Era quello il modo in cui
voleva cambiare argomento? Maldestro e insensibile, due aggettivi che non
avrebbe mai affibbiato a Minamino. "Comunque puoi anche chiamarmi per
nome, sai? Voglio dire, ci conosciamo dalle medie, anche se non ci siamo visti
per anni...posso farlo anche io? O ti da fastidio?"
"No,
non mi da fastidio, Maya, però penso veramente che dovremmo accelerare il
passo!" berciò a quel punto Kurama, così sbrigativo da sembrare quasi
aggressivo.
Maya,
indispettita, invece di fare come le diceva lui si impuntò. "Che razza di
comportamento è, scusami? Se non vuoi parlare di qualcosa, basta dirlo. Siamo
fra persone adulte e civili, Shuichi, e io credevo che tu-"
A quel punto, Kurama si vide costretto ad intervenire. Se Maya avesse corso,
forse sarebbe riuscita a portarla in un posto più sicuro. Ma adesso, quei demoni
di cui aveva percepito l'energia puntavano proprio a lei. Come aveva temuto,
c'erano demoni a cui le leggi di Enki non interessavano granché. Cibarsi di
Maya, o uccidere lui, avrebbe accresciuto la loro forza e la loro fama, e in
vista del nuovo torneo demoniaco evidentemente non volevano altro.
Afferrò
Maya di peso e iniziò a correre nella direzione opposta a loro, sapendo di
averceli alle calcagna. Per di più Maya non era molto d'accordo con la sua
mossa.
"Che
cosa stai facendo? Mettimi giù subito!"
"Maya,
per favore! Sta ferma!"
"Ferma?
Ma che cosa diavolo ti salta in testa, Shuichi!"
"Ci
stanno seguendo, non lo vedi?"
"Eh?
Ma io, veramente..."
"Lo
so," sospirò a quel punto Kurama. "Perdonami, Maya."
"Come?
Hai detto qualcosa? Che strano, d'improvviso ho così sonno..."
Quando
la vide chiudere gli occhi e accasciarsi, finalmente immobile, fra le sue
braccia, Kurama tirò un sospiro di sollievo. Grazie ai pollini di quel fiore,
avrebbe dormito diverse ore e avrebbe potuto combattere liberamente.
Non
appena raggiunse un posto isolato anche dal resto della cittadina, si fermò di
scatto. Adagiò Maya a terra, ben nascosta e al sicuro, coprendola fino alle
spalle con la sua giacca marrone così che non prendesse troppo freddo, a
dormire in quel modo all'aperto.
Poi
raggiunse i suoi inseguitori prima che loro trovassero lei.
Nonostante
il sonno indotto, però, Maya non rimase immune ai sogni.
Sentiva, in lontananza, così distanti da sembrare quasi in un altro mondo, i
rumori della battaglia. Le urla dei nemici, la voce di Kurama appena soffusa,
quando richiamò la Rose Whip. Erano lì, eppure era
come se non ci fossero; le lame che cozzavano, i lamenti.
Tutto
quello lei l'aveva già vissuto. L'aveva già sentito.
In
un'altra vita, forse. O forse no.
Continuava
a riversarsi nella sua testa l'immagine sfocata di un ragazzo della sua età,
dai corti capelli rossi, che aveva trasformato un filo d'erba in una spada per
affrontare qualcuno di cui non vedeva che il contorno nero.
"Rimani vicino a me, Kitajima!"
diceva la figura del suo sogno. Aveva un tono di voce caldo ed avvolgente.
Preoccupato e allo stesso tempo sicuro.
Un
tono che le ricordò subito qualcuno che conosceva. Qualcuno che aveva rivisto
di recente. Era lì, era sempre stato davanti a lei.
Alle medie, c'erano state svariate sparizioni di ragazzi nel loro quartiere, e
lei aveva subito pensato ad alieni, spiriti. Shuichi l'aveva sempre presa in
giro, ma con tenerezza, dicendole che non poteva essere vero. Ma Maya aveva
sempre pensato che ci fosse una luce, in fondo a quelle pozze verdi, qualcosa
che le diceva che sì, si stava avvicinando, aveva quasi indovinato. Che lui lo
sapeva, ma non poteva dirglielo.
Ma lei non si era mai arresa, mai, perché voleva davvero scoprire cosa ci fosse
dietro, cosa nascondesse Shuichi. Cosa fosse quell'alone di mistero che lo
avvolgeva. Solo che poi tutto era sparito. Come per incanto. Nel nulla.
Come
il vuoto più assoluto che l'avvolgeva in quel momento, come se non fosse mai
esistito.
Ma
qualcosa c'era. C'era sempre stato.
Lì.
Inafferrabile.
"Lo sapevo che eri speciale! Ho sempre voluto
incontrare qualcuno come te. E' così romantico che il ragazzo perfetto sia
anche il mio primo amore!"
La
sua stessa voce le rimbombava nella testa e all'improvviso non capiva più
niente. Quando aveva detto quelle parole? A chi?
I
sogni si erano sempre ripetuti uguali, ogni notti, con un dettaglio in più, ma
mai abbastanza da darle qualcosa di concreto. Eppure questa volta l'aveva
sentito chiaramente. Quella era la sua voce. Proprio la sua.
"Era uno spirito
quello? Ci stavi parlando?!"
"No, devi aver
visto male."
"Non prendermi in giro! Sospettavo che avessi dei poteri!"
Quei
dialoghi sembravano sempre più delle memorie. Erano fissi nella sua testa,
ridondanti. Martellavano, come quando cerchi invano di ricordare qualcosa, ma i
pensieri si perdono fra una miriade di altri.
Le
scoppiava la testa.
"Ti sei fatta male?"
"No! Tu,
piuttosto? Sono pesante..."
"Non è quello il
problema."
Gli
occhi verdi, così strani per un giapponese, l'avevano guardata. E lei vi si era
persa irreparabilmente. Come succedeva ogni giorno, da qualche mese a quella
parte.
Ed
ebbe l'assoluta certezza che non erano sogni. Non erano il futuro, come aveva
detto a Kuwabara.
Erano
realtà. Erano il passato.
"Scappa
via!"
Era
lui. Era la sua voce. Nella sua testa, era la sua voce. C'erano i suoi occhi
infinitamente verdi a guardarla. I capelli rossi stranamente corti. Le labbra
crucciate, ma gentili.
C'era
Shuichi. Sempre lui.
Perché
l'aveva scordato? Di Shuichi non aveva ricordi, a parte il fatto che sedesse
sempre al primo banco, che fosse il primo della classe, che indossasse la
divisa anche se non serviva. Era un compagno di classe e basta.
Questo
pensava, quando Kuwabara glielo aveva fatto ricomparire davanti.
E'
bello rivedere un vecchio compagno.
Ma
aveva avuto ragione il suo inconscio. Stando con lui, il vuoto si stava
riempiendo.
Non
era solo un semplice compagno di classe.
Non aveva solo quei ricordi.
Qualcosa era bloccato, ma c'era. Era lì, nella sua testa.
"Sto sognando?"
"Sì. E' solo un
sogno."
Ma
non era un sogno. L'aveva ingannata.
Si
svegliò di soprassalto, incontrando un soffitto familiare. Al sicuro nella sua
camera, si chiese come ci fosse giunta. L'ultima cosa che ricordava, era di
star camminando con Shuichi. No, anzi. Shuichi l'aveva presa fra le braccia, e
correva.
Poi
il nulla, a parte quei sogni. No. Quei ricordi.
E
se fosse stato come nel suo sogno? Per proteggerla, l'aveva lasciata sola e si
era allontanato. Solo che questa volta, era tornato a prenderla. E forse
l'aveva anche riaccompagnata a casa?
Si
era allontanato per allontanare il pericolo da lei.
Maya
sorrise, portandosi una mano al petto, all'altezza del cuore. In fondo, quello
non era un comportamento così strano. Avrebbe detto che faceva davvero parte
dell'essenza di Shuichi, anche se non sapeva perché. Non avrebbe dovuto
conoscerlo così bene.
Non
avrebbe dovuto sapere tante cose.
"Ah,
ti sei svegliata!"
Sobbalzò,
alla voce alterata della madre, ferma sulla soglia della sua porta. La guardò a
lungo come si guarda un fantasma, poi sbatté le palpebre più volte.
"Mamma? Come...sono tornata a casa?"
"Ti
ci ha riportato il tuo amico, caro ragazzo. Tu invece sei una svergognata! Bere
fino a svenire di prima sera, non farlo mai più!"
"Eh?
Ho bevuto?"
"Non
te lo ricordi neanche! La prossima volta non mi importa se adesso sei
maggiorenne, avrai una punizione esemplare, capito?!"
"Certo,
mamma..." bofonchiò, gonfiando le guance.
Che
scusa pessima che si era inventato Shuichi, non poteva dire che si era sentita
male? Ma forse, in quel caso sua madre l'avrebbe spedita di filato al pronto
soccorso.
Sospirò,
scoraggiata e decisamente confusa.
Come
aveva pensato, Shuichi l'aveva riportata a casa di peso.
Ma
non si sarebbe fermata lì. Aveva bisogno di parlargli, faccia a faccia. E il
prima possibile.
--
Kurama
non aveva dovuto allontanarsi eccessivamente dal luogo in cui aveva lasciato
Maya, per riuscire a combattere contro quei quattro demoni senza che nessuno li
vedesse. Aveva già scelto un posto abbastanza appartato, e la sua mente aveva
architettato un piano rapido e pulito prima ancora che Maya si addormentasse
completamente.
Tolse
la giacca del completo nero che indossava e si arrotolò le maniche della
camicia, mentre li attendeva, e non appena li vide arrivare sfilò la rosa rossa
dai capelli, imprimendo la giusta quantità di energia per trasformarla.
La
frusta cozzò contro la lama di uno dei quattro demoni e la avvolse,
permettendogli di sfilargliela dalle mani senza problemi. Schivò il fendente di
un secondo con un elegante balzo all'indietro e atterrò di nuovo dietro al
primo, la cui testa volò via prima ancora che potesse rendersene conto. Si
chiese vagamente se avessero idea di chi stavano affrontando, o se l'avessero
attaccato senza sapere neanche chi lui fosse. In quel caso, sarebbe stato
davvero sciocco, da parte loro. Kurama non era certo tipo da farsi scrupoli
nell'uccidere.
Non
se non lo riteneva in qualche modo interessante, almeno.
E
quei tipi non lo erano affatto.
Saltò
di nuovo, atterrando sulle mani ancor prima che sui piedi, ma quando si diede
la spinta le scomodissime scarpe di vernice che indossava scivolarono,
facendogli perdere per un istante l'equilibrio. Fu un secondo, ma bastò perché
gli artigli del secondo demone lo colpissero di striscio al braccio. La macchia
di sangue si allargò nell'immediato sulla manica della camicia bianchissima, e
nuova, che stava indossando, e Kurama non perse un attimo di tempo a vendicare
l'affronto, staccando la testa anche a lui.
I
due rimasti si misero sulla difensiva, due passi dietro rispetto a prima. La
volpe alzò gli occhi al cielo, ma quando li riabbassò c'erano due fessure
dorate a fissarli.
O
almeno, è l'impressione che ebbero.
Eppure,
quegli occhi erano ancora verdi, erano ancora gli stessi di prima.
Ma
spaventosi, freddi. Spietati.
"Cosa
ci fate qui, nel mondo umano?" chiese a quel punto Kurama, facendo un
passo avanti.
Loro
indietreggiarono, ma il demone volpe non gliene diede più modo. La pianta
crebbe dietro di loro ad una velocità innaturale, imprigionandoli.
"Cosa...?"
"L'avevo piantata da subito, naturalmente, proprio per quest'eventualità.
La legge di Enki è chiara, mi pare. E' vietato giungere qui nel mondo umano con
intenti omicidi e ancor di più tentare di uccidere un umano."
"Ma
tu non sei un umano!" sbottò quello che non l'aveva ancora mai affrontato.
Kurama storse la bocca, poi scrollò le spalle.
"Sì,
io no. Ma la ragazza che era con me, invece, lo è. Qual era il vostro
intento?"
"Se
anche te lo dicessimo, non ci risparmieresti!"
"Certo
che no. E se non vi uccidessi io ora, lo farebbe chi di dovere una volta nel
Makai. E se anche non aveste intenzione di tornarci, Enki sa che siete qui e
che siete sovversivi. In ogni caso, non sopravvivreste."
Si
rigirò la rosa rossa fra le mani, prima di lanciarla ai loro piedi e piegarsi a
riprendere la giacca scura del completo, ben attento che non si macchiasse
anche quella. Il sangue era tropo difficile da mandar via da quegli abiti, e
poi come lo spiegava a sua madre? Doveva già nascondere la chiazza che andava
allargandosi sulla manica della camicia.
"Volevate
avere una qualche possibilità di vincere il torneo?"
"Il
Makai non dovrebbe stare in mano a tipi come voi! Mangiare umani è normale per
un demone, è nella nostra natura!"
"Naturalmente,"
sospirò Kurama, senza neanche guardarli. "Morite, per favore," soffiò
appena, ignorando i lamenti di entrambi mentre tornava nel luogo in cui aveva
lasciato Maya.
La ragazza dormiva ancora, ma non era un sonno tranquillo. Si chiese come fosse
possibile, una cosa simile. La sua pianta, in teoria, avrebbe dovuto farla
cadere in un sonno privo di sogni per qualche ora, e regalarle delle memorie
sbiadite dei minuti precedenti all'inalazione.
Ma
Maya pareva sognasse, e stava avendo una reazione totalmente inaspettata.
Inarcò
le sopracciglia, perplesso e sempre più ammaliato e stupito dai poteri che
mostrava quella ragazza. Erano persino maggiori di quelli che aveva intuito
avesse quando erano ragazzini.
Non
stare accanto a lui non l'aveva indebolita, come aveva sperato. L'aveva anzi
resa più forte, ma impreparata.
Era
stato davvero uno sciocco a credere che potesse bastare allontanarsi
definitivamente da lei per assopire il suo potere astrale. Ma a quel tempo, ne
era fermamente convinto.