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Autore: Eilanor    02/03/2018    5 recensioni
|STORIA INTERATTIVA| |FANART|
Raccolta di one shots multishiping e create a partire da una fanart inviata dai lettori.
Nessuna ship o fan art è sgradita.
Per partecipare attenersi al regolamento nel primo capitolo.
CAP 1 - scisaac (Photograh)
CAP 2 - sterek (WANTED - Dead or alive )
CAP 3 - sterek (I'll be there for you)
CAP 4 - sciles (Sorry)
CAP 5 - sterek (Oh Darling, what have I done?)
CAP 6 - thiam (People help the people)
CAP 7 - sterek (Poison)
|RICHIESTE APERTE|
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Personaggi - Derek, Stiles
Coppia - Slash
Rating - giallo
Genere - triste, romantico
Note - ///
Dedicata a NAKIA, che ha fornito la fanart e attende questa storia da mesi.



I'll be there for you

 
 
 

“I’ll be there for you/ When the rain starts to pour/ I'll be there for you/ Like I've been there before”

Sentire quella canzone uscire da un locale mentre un cliente entrava gli fece stirare le labbra in un sorriso amaro.
Era l’intro del suo show preferito e sentirla ora era solo ed emarginato era davvero una presa per il culo, grande almeno quanto veder partire l’ultimo autobus per la stazione; il tutto mentre un tuo compagno di tirocinio si sporgeva dal finestrino sul retro del bus per fargli il dito medio.
Aveva corso fino a sentire i muscoli delle gambe bruciare e i polmoni supplicare per avere più aria, ma era stato inutile. Il bus era partito senza che quello stronzo non facesse nulla per fermare il conducente. Era rimasto a guardarlo andare via a spalle basse, incredulo e tradito. Non avrebbe dovuto sentirsi così, ormai doveva accettare il fatto che non fosse il benvenuto da nessuna parte; non lo era stato alle superiori, non lo era ora allo stage con l’FBI.

“Stupido imbecille, ancora ci speri che ti siano amici? Piantala di fare il coglione e smetti di sperare in qualcosa d’impossibile”

Non era la prima volta che i suoi compagni si comportavano in modo crudele con lui: gli avevano versato la colla nella cartella, gli avevano nascosto il badge, i pranzi e gli appunti sui casi. Non gliene lasciavano passare una, anche a discapito delle persone che dovevano aiutare: giusto quel pomeriggio, quando dovevano lavorare in gruppo su un caso riguardante una morte per sospetto fuoco amico, lui era rimasto con il figlio di uno dei testimoni, che era spaventato da quanto accaduto. Non avevano fatto altro che prenderlo in giro ed escluderlo. Lui non se ne era risentito più di tanto, sapeva come andavano le cose con loro, ma il bimbo era scoppiato a piangere perché “erano stati cattivi come l’uomo che aveva sparato”. Inutile dire che l’indagine aveva fatto un notevole salto in avanti grazie a lui, così come l’odio dei suoi compagni nei suoi confronti.
Quella sera si era fermato a lavorare al caso, coi federali; non lo prendevano in giro come i suoi compagni, ma nemmeno lo ritenevano all’altezza del ruolo che voleva andare ad occupare. Era stato però quasi rilassante lavorare senza che qualcuno lo spintonasse o gli mettesse i bastoni tra le ruote.
Dalle labbra gli sfuggì l’ennesimo sospiro nel vedere l’autobus, l’ultimo, sparire in fondo all’isolato.

---

Era già un ora che camminava e i piedi cominciavano a fargli male.
Certo, avrebbe potuto prendere potuto prendere un taxi, ma poi avrebbe dovuto saltare almeno due pasti e farne uno a base di cracker, ketchup e acqua di rubinetto: non aveva abbastanza soldi, non ne aveva mai; la città era molto più cara di quanto si aspettassero lui e suo padre.
Aveva tagliato tutte le spese il più possibile: si era spostato in un appartamento minuscolo, in cui l’acqua calda non funzionava mai e la connessione internet non arrivava; faceva la spesa in posti sotto marca e la sera non usciva, mangiava solo a casa. Eppure non era sufficiente lo stesso.
Il tirocinio non era retribuito e non voleva chiedere altri soldi a suo padre, ne stava già spendendo troppi per lui.

Così fingeva.

Fingeva coi suoi amici e fingeva con suo papà, una sera sì e una no, quando si chiamavano con Skype, sui soldi, su come viveva e sui suoi compagni di stage. Non provava rimorso nel farlo, non voleva che il suo vecchio si preoccupasse ancora più di quanto già non facesse.
Cosa avrebbe potuto fare poi? Portarlo a casa o andare a parlare coi responsabili del tirocinio? No, grazie, era già abbastanza difficile ottenere il rispetto dei suoi compagni senza che dovesse passare per il lagnoso che ha bisogno di fare la spia alla maestra. L’unica cosa che importava era finire lo stage e finirlo bene, in modo da farsi un buon nome nel dipartimento.
Perciò continuava a mentire. A suo padre, a Scott quando lo chiamava, a se stesso ogni mattina quando si guardava nello specchio sbeccato e opaco del bagno. Si ripeteva sempre che quel giorno sarebbe andato meglio, ma nemmeno lui ci credeva; lo diceva ad alta voce per convincersi, ma la voce nella sua testa gli sussurrava che non sarebbe cambiato nulla, che l’unico cambiamento sarebbe avvenuto quando sarebbe arrivato al punto di non ritorno. Era spaventato a morte da quella voce.
Usciva di casa spaventato e lo restava finché non si immergeva nei casi che venivano sottoposti agli stagisti. Come però doveva tornare a casa o quando qualcuno lo maltrattava la paura tornava e si chiedeva continuamente quando avrebbe raggiunto questo punto di non ritorno e cosa avrebbe fatto in quel momento. Ogni volta che si specchiava e vedeva che i suoi occhi erano sempre meno luminosi o accettava con rassegnazione una nuova cattiveria non poteva che chiedersi quanto tempo gli restava prima di varcare quel confine.
Gli sembrava che gli togliessero la voglia di vivere un poco alla volta. La gioia di essere vivo l’aveva persa anni fa.

“Non vali niente”

Quel pensiero lo colpiva d’improvviso, nei momenti più in aspettati, e per quanto si dicesse che non era vero, che aveva degli amici che gli volevano bene, cominciava a crederci.
Sentì qualcosa sfiorargli il viso, ma non ci fece caso e continuò a camminare; qualsiasi cosa fosse non gli avrebbe fatto più male di quello che gli stava passando. Avrebbe voluto stare meglio di come stava a casa, era fuori dalle superiori, lontano chilometri da tutte le sfighe di Beacon Hills eppure il suo stato d’animo non era cambiato. Sempre cupo, sempre più spento, sembrava che la scuola superiore l’avesse seguito fin dentro l’edificio dell’FBI, con tutte le sue dinamiche e le sue bassezze.
Però non aveva intenzione di tornare a casa: era lì perché se lo meritava, era lì perché voleva diventare un agente FBI. Non poteva farsi fermare da questo. C’erano persone che avevano passato molte cose peggiori, lui non aveva il diritto di rinunciare solo per qualche cattiveria.
Se solo avesse avuto qualcuno con lui però…
Era così difficile resistere a tutte quelle cattiverie da solo, senza nessuno che sapesse, senza che nessuno gli dicesse “Non ascoltarli, tu sei importante. Tu ce la farai”, senza qualcuno che credesse in lui e che raccogliesse i pezzi quando tornava in quel buco d’appartamento in cui dormiva.
Di nuovo qualcosa gli sfiorò il viso e il suo cervello gli disse che arrivava dal cielo, ma nemmeno stavolta guardò in alto: in quella città, che fosse giorno o notte non faceva differenza, il cielo era sempre coperto dai fumi dello smog, conferendole un colore grigiastro in cui era impossibile distinguere pressoché nulla.

Continuò a camminare, coi piedi che si lamentavano ad ogni passo. Mandavano fitte come d’aghi e Stiles sospirò cominciando a procedere un po’ zoppo: aveva le scarpe dell’uniforme, quelle che gli facevano male se le portava tropo a lungo e gli erano sicuramente venute le vesciche. Avrebbe desiderato tornare a casa e trovare qualcuno che gliele sfilasse, gli mettesse i piedi in una bacinella d’acqua per poi medicarglieli, ma non ci sarebbe stato nessuno e a lui restava solo la dolorosa sensazione dello sfregamento della pelle viva conto la scarpa.
La sensazione di essere sfiorato aumentò e si espanse e tutto il corpo; in meno di un minuto si trovò sotto una pioggia scrosciante, ma non si mosse per trovare riparo. Si fermò in mezzo alla strada e fece un grosso sospiro: quella era solo l’ultima delle cose brutte di quella giornata. Una in più o in meno non faceva differenza.
Era già fradicio e, per quanto cercasse di non farci caso, sentiva una morsa stringersi sempre di più intorno alla sua gola mentre il cuore cominciava a battergli furiosamente.

“Non importa, è solo un’altra sfiga. Solo un’altra sfiga. Solo un’al-”

Sapeva che stava per piangere.
Sapeva che stava per piangere e stava facendo il possibile per non farlo, anche se nessuno se ne sarebbe accorto con quella pioggia, anche se non c’era nessuno che potesse notarlo.
Cerco di concentrarsi su altro mentre la pioggia continuava a cadere indifferente, era fermo in mezzo alla strada che si guardava intorno cercando di ricacciare indietro le lacrime.

“I muri degli edifici sono sporchi di smog, ricoperti di graffiti e vecchie pubblicità. Si sta formando un rigagnolo accanto al marciapiede. Non passano auto e le tre serrande alla mia destra sono abbassate, il negozio di elettrodomestici è fallito un mese fa. Più avanti c’è un insegna luminosa, forse di un bar. E-”

La pioggia si fece così fitta che non riusciva a vedere più in là del suo naso. Era di nuovo costretto solo coi suoi pensieri, fradicio ed isolato da quella cortina d pioggia che sembrava essere scesa su di lui e apposta per lui.
Con una fitta al cuore di nuovo tutti i brutti pensieri e le brutte sensazioni esplosero nella sua testa: gli sembrava di aver preso solo scelte sbagliate nella sua vita, si sentiva inutile, superfluo, se non di troppo. Il mondo non aveva bisogno di lui; il mondo non aveva bisogno di un altro incapace.
Perché avrebbe dovuto combattere per sé stesso allora? Nessuno lo voleva, era solo di peso e fonte di preoccupazioni per tutti. Nessuno era mai stato sereno stando al suo fianco. Era colpa sua se Scott era stato morso, aveva trascinato tutti in quella spirale discendente che era il mondo sovrannaturale. Cosa avrebbe combinato se fosse entrato all’FBI? In quali casini avrebbe trascinato le persone che gli stavano accanto?
Lo scosse un tremito di dolore e paura: non voleva cedere a questi pensieri, voleva sentirsi importante, voleva sapere che aveva fatto la scelta giusta e che c’erano persone che avevano bisogno di lui, ma era così difficile senza nessuno a dirglielo. Era così solo che gli sembrava di annegare in quella disperazione.
Aveva bisogno d’aiuto, lo sapeva, ma non riusciva a chiederlo; aveva bisogno d’aiuto come se fosse aria, ma non sapeva a chi chiedere.

«Stiles?»

Il ragazzo sussultò nel sentirsi chiamare per nome; erano mesi che nessuno lo chiama con quel nomignolo affettuoso. Per tutti era “sfigato”, “impedito” o nel migliore dei casi “Stilinski”. Non riconosceva la voce però. La pioggia confondeva i suoni.

«Stiles! Che cazzo ci fai sotto la pioggia?! Vieni qui o ti bagnerai fino all’osso!» ancora quella voce e ancora non riusciva a capire chi fosse o tantomeno da dove provenisse.

Tutto intorno a lui era una cortina di pioggia fitta, che cadeva in goccioloni e lo bagnava come un pulcino.
Poi realizzò cosa stava succedendo. Con un sospiro rilassò i muscoli, tesi e pronti a scattare nel momento in cui avesse capito da che parte arrivava la voce che lo chiamava.
Non c’era nessuna voce, era tutto nella sua testa.

“Sto avendo delle allucinazioni” si chiese con un sorriso amaro “Ho raggiunto il punto di rottura?”

Crollò le spalle esausto, di nuovo deluso dalla vita. Era sfiancate il modo in cui quella puttana si prendeva gioco di lui e delle sue speranze. Si divertiva ad illuderlo solo per poi strappargli via ogni possibilità di felicità.
E lui era stanco di quel gioco crudele, lui era stanco di provare e sperare.

«Stiles! Levati dalla strada!»

Non si mosse.

Che lo investissero pure, tanto non sarebbe passata una sola auto in quel vicolo, se l’avesse fatto sarebbe stata quasi una gradita sorpresa; l’avrebbe apprezzata solo per il gusto di essere di nuovo fregato dalla vita.

«Stiles! Ma che cazzo!»

Ancora quella voce che proveniva da ogni luogo e da nessuno.

Il ragazzo chiuse gli occhi e attese, immobile al centro della strada; attendeva che la voce se ne andasse o attendeva un auto. O solo la fine della pioggia.


Non lo sapeva, l’unica cosa che faceva era aspettare, con le spalle incurvate per il peso delle speranze infrante e gli occhi chiusi rivolti al suolo.


A riscuoterlo fu un rumore.

Passi.

Sentiva dei passi avvicinarsi a lui, in fretta, nonostante il rumore della piaggia.

Subito si fece attento e spalancò gli occhi: era solo e qualcuno si stava avvicinando a lui.
Il suo corpo si mosse più velocemente della sua mente: dopo tutte le volte che si era trovato in pericolo la sua risposta fu automatica.

“Chiedi aiuto. Trova un negozio. Levati dalla strada” procedura standard per evitare di prenderle.

Si guardò intorno, ma la pioggia era così fitta che non riusciva a vedere niente che potesse aiutarlo; assurdamente sentiva i passi avvicinarsi con una chiarezza incomprensibile data la situazione.

Si stava avvicinando e lui era indifeso.

Disperato, si focalizzò sui passi per sapere almeno in che direzione scappare.

Era davanti a lui, verso destra.

Si concentrò in quella direzione, sforzandosi di vedere qualcosa ed effettivamente qualcosa vide: nella cortina di pioggia cominciò a distinguere un’ombra scura che gli si avvicinava, a mezza corsa.

Era impietrito nel guardarla. Sapeva che avrebbe dovuto abbandonare la borsa e scappare o almeno prepararsi a difendersi, ma riusciva solo a stringere la cinghia e ad osservare l’ombra che avanzava.
La curiosità sembrava vincere sul suo buon senso: voleva sapere chi lo stava chiamando.
Mancavano pochi metri ormai.

«Stiles!»

Stavolta non era un grido, era abbastanza vicino per farsi sentire; abbastanza vicino per essere riconosciuto.
Il ragazzo lasciò cadere la borsa a terra e si mise a correre mentre il cuore gli esplodeva nel petto. Il giovane non si fermò, anzi accelerò il passo. Istintivamente aprì le braccia per accoglierlo e Stiles ci si tuffò dentro, senza remore; fu subito avvolto da un abbraccio e subito gli sembrò di poter di nuovo respirare e vivere, ma non bastava, non era abbastanza.

«Stiles, co-»


 

Artista: non reperito



Le labbra del castano furono sulla bocca del giovane prima che entrambi se ne rendessero conto, ma lui non lo respinse; assecondò il bacio, lasciando che il ragazzo si aggrappasse a lui come se fosse la sua unica salvezza.
Come aveva visto il giubbotto di pelle e gli occhi verdi del giovane il suo cervello aveva smesso di pensare. L’unica cosa che riusciva a capire era che non era più solo, c’era una persona amica con lui. C’era una persona amica e voleva starle vicino come mai prima d’ora.
Il fatto che fosse innamorato di lui da oltre un anno era secondario.
Dopo tutte le brutture e le cattiverie subite aveva un bisogno d’amore così disperato che non gli importava nemmeno di rendere palesi i suoi sentimenti; voleva solo stare bene, anche solo per un minuto.
Voleva essere felice e la sua felicità era in quelle labbra.
Erano bagnate, screpolate e la barba gli pungeva la pelle delicata del viso, ma in quel bacio gli sembrava di tornare finalmente a respirare dopo mesi d’apnea. Il suo cuore finalmente batteva al ritmo della sua gioia.
Si separarono pochi istanti dopo, con delicatezza, e il giovane lo guardò corrucciato; la consapevolezza di ciò che aveva fatto colpì Stiles come un pugno allo stomaco. E se stesse per respingerlo? Il cuore gli scese nello stomaco e il terrore gli entrò in corpo, ma la disperazione e il desiderio di essere felici erano più forti.

«Stiles che succede?» chiese il moro confuso.

«Derek, ti prego, baciami e basta» supplicò con la voce già rotta.

Bastò un secondo.
Il secondo più lungo della vita di Stiles.
 

Le labbra del giovane furono di nuovo sulle sue. Una mano scese sulla sua schiena per stringerselo di più contro, mentre l’altra si perdeva nei capelli della nuca. Stiles si aggrappò alle sue spalle con la forza della disperazione e gli si spinse contro alla ricerca del conforto, dell’amore, tanto desiderato.
Non fece domande, Derek. Non fece domande e lo baciò come se da quel bacio dipendesse la sua vita. Delicato, sensuale, innamorato, c’era così tanto che quel bacio diceva di lui.
Diceva “Mi sei mancato”, diceva “Sono preoccupato per te”, diceva “Sono innamorato di te”.
 

Aveva finito un altro giorno di stage, aveva perso l’ultimo bus e aveva camminato per ore; aveva le vesciche ai piedi e la persona di cui era innamorato tra le braccia.
Non importava a nessuno che la pioggia li avesse inzuppati.





Angolo Autrice
Hola, Grazie a tutti per la vostra pazienza, non sono buona a tenere più storie in contemporanea, ma ci sto provando; almeno per queste procedo a forza di OS, così non vi lascio cool dubbio (anche se questa si presterebbe ad un secondo capitolo... ma serve la giusta fanart)
Ancora tre fan art alla riapertura delle richieste. tre e mezzo  e mezzo, va': ho due OS messe scritte e qualcuno potrebbe venire ad aspettarmi sotto casa se non mi sbrigo a pubblicarle. Sono spaciatissima.
Detto ciò, ringrazio tutte voi splendide persone che mi avete seguito, recensito o inserito tra i preferiti; so che la stoprendendo molto lunga con questa raccolta, ma il mio lavoro principale al momento è "Legacy of the Nemeton". Un grazie speciale a Nakia e a tutte le altre persone che aspettano le lero storie, ho i plot pronti, non temete ;)
Con tanto ammmore, ci si vede lì o appena scrivo la nuova oOS.
Grazie a tutti per il vostro sostegno,
Bye ♥
   
 
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