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Autore: Sistxh    03/03/2018    3 recensioni
La prima cosa che dovete sapere leggendo queste pagine è che non vi è un vero e proprio inizio.
Né una vera conclusione, a dirla tutta. Questa è la mia versione dei fatti.
Questi sono i miei pensieri riguardo tutto quello che è successo e se state leggendo, quasi sicuramente è perché sono morto.
Qui non ci sono bugie -che è poi quello che vi aspettavate da me- solo la realtà dei fatti.
Diffidate di quello che vi è stato detto, l'Oscurità è una forza cosmica troppo vasta per comprenderla.
Datemi del cinico, freddo e disumano ma io non sono mai stato tipo da accettare le cose sulla parola,
e si dà il caso che sappia che la mia storia non è altro che trama e metafora, che è poi ciò di cui sono fatte tutte le storie.
E ciò che le rende un successo o una leggenda, è come la storia viene raccontata, e da chi.
Altri hanno già avuto l'occasione di raccontare la loro versione dei fatti.
Questa è la mia. Partiamo dal giorno in cui sono nato...
-Benjamin Solo.
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Han Solo, Kylo Ren, Luke Skywalker, Nuovo personaggio, Principessa Leia Organa
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Klelia and Kylo Trilogy.'
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                                                                                                           IX.
 
"Lessi che dopo la Grande Guerra, i Jedi erano diventati un'organizzazione
unificata sotto l'Alto Consiglio Jedi, reinterpretando il Codice;
fra i nuovi regolamenti vi erano il celibato e il voto di castità,
quindi il divieto di creare legami,
perché nella filosofia Jedi il distacco dalle emozioni e dai piaceri terreni
permetteva di raggiungere il massimo grado di illuminazione
e quindi di percepire al meglio la Forza.
L'Ordine Jedi riorganizzato si era concentrato sull'eliminazione dell'affetto,
perché esso poteva distrarre lo Jedi dall'agire per il bene della comunità
e poteva portare al lato oscuro della Forza.
Anche se fondamentalmente il problema non era tanto innamorarsi,
ma avere paura di perdere l'oggetto del proprio affetto.  
Però io non potevo farci nulla,
i miei non erano sentimenti che potevo smettere di provare in un solo giorno,
con un unico tentativo; c'era un legame fra me e quella sconosciuta,
un qualcosa che non riuscivo a spiegarmi.
Nessuno avrebbe saputo nulla, probabilmente era frutto della mia  immaginazione,
l'avevo creata per sentirmi meno solo...
ma quello che provavo era così dannatamente reale!
Mi sarebbe piaciuto essere la sua ombra,
arrampicarmi sulle sue ossa al sorgere del sole,
in fondo trovare qualcuno simile a me,
qualcuno che mi potesse completare, non sarebbe stato poi così male."
 
 
La luna aveva vegliato sulla sua anima, ora la luce dell'alba illuminava il suo corpo, sul quale erano impresse le ombre della lotta del giorno prima. Ben era sveglio da un po', ma non aveva la forza di alzarsi per valutare le sue condizioni, sentiva un dolore che gli pulsava nelle viscere, proprio dove Jai lo aveva colpito ripetutamente, un dolore profondo e caldo, ma non in modo piacevole. Si sentiva come se qualcuno gli avesse ficcato la mano lì dentro e stesse stritolando i suoi organi con forza. Strinse i denti mentre cercava di mettersi in piedi, quando ci riuscì provò una fitta all'addome che lo fece trasalire. Cominciò a respirare lentamente e profondamente finché il dolore non si affievolì. Raggiunse lo specchio e fissò se stesso o almeno l'immagine distorta di se stesso; lo specchio gli mostrò ciò che il mondo vedeva, un ragazzo ferito col volto gonfio e pieno di lividi, invece dentro di lui vi erano rabbia, frustrazione, paura e fu proprio per questo motivo che non si riconobbe.
 
Restò ad osservarsi per un paio di secondi, poi lentamente si toccò il viso con una mano. Aveva vari tagli, uno sullo zigomo destro, l'altro sopra il sopracciglio sinistro e l'ultimo sul labbro inferiore, che gli bruciava tantissimo. La macchia violacea sull'occhio si era scurita, e così ora aveva l'aspetto di un occhio nero; i lividi parevano galassie senza stelle. Pacatamente si tolse la tunica che indossava e la lasciò cadere a terra, il suo addome era viola e gonfio dove avrebbe dovuto essere liscio, fortunatamente non c'era sangue da nessuna parte. Ben era tormentato dai sensi di colpa; aveva fallito, non era riuscito a seguire gli ordini di Snoke e dello zio. Non era riuscito nemmeno a resistere alle provocazioni di Jai, si era lasciato andare, preso da impulsi violenti, aveva ceduto all'Oscurità.
 
Fu pervaso da una sensazione di panico, che iniziò sotto forma di un irrigidimento del petto, come se i suoi muscoli non volessero lasciare entrare l'aria, i polmoni non riuscivano a muoversi contro le costole improvvisamente pesanti, ma invece di soffocare poi arrivò il respiro superficiale. La sua mente divenne statica, i suoi pensieri non avevano senso, lo portarono a ricordare gli eventi che stava cercando di dimenticare e istintivamente il suo pugno entrò in collisione con lo specchio. Voleva provare qualcosa di diverso, qualcosa di più forte per distrarsi da quello che sentiva dentro; il suo cervello archiviò il suono nella categoria "vetro infranto", mentre le schegge si infilzavano violentemente nella sua mano come un milione di piccoli coltelli. Quando finalmente permise alle sue palpebre di aprirsi, vide che il pavimento era macchiato di rosso, il sangue frammenti di vetro e gocciolava dalle ferite. Finalmente si sentì intorpidito. Da bambino non avrebbe mai immaginato che la sua vita sarebbe diventata così vuota e mai avrebbe pensato di trovare conforto nel dolore fisico.   
 
Qualcuno bussò alla porta, Ben si riprese e mandò giù un groppo di saliva, schiarendosi la voce. 
"Chi è?" chiese allarmato. 
"Sono io, Luke. Ti ho portato la colazione." 
"Un attimo." disse e cominciò a camminare nervosamente per la stanza. 
Non sapeva cosa fare. Insomma, non voleva farsi vedere in quello stato e una mano piena di schegge non era una cosa facile da nascondere, inoltre non poteva nemmeno rivestirsi, avrebbe sporcato la tunica e sentito altro dolore; così, non curante si avvicinò alla porta e l'apri con la mano sana. La figura dello zio gli si parò davanti, indossava una tunica marrone, aveva i capelli e la barba perfettamente in ordine e stava reggendo un vassoio con sopra vari alimenti. 
"Buongiorno." lo salutò Luke sorridendo. 
"Buongiorno, grazie per la colazione." replicò Ben facendolo entrare. 
L'uomo posò il vassoio sul tavolo vicino alla finestra e si guardò intorno, il suo sguardo si soffermò sul pavimento, in particolare sui pezzi di vetro frantumato. 
"Che cosa diavolo è successo?" chiese corrugando la fronte, mentre si girava verso Ben. 
"Oh, niente, ieri notte nel buio ci sono andato a sbattere contro." rispose il ragazzo agitando le mani in modo scombinato. 
"Con la tua mano?"  
"Come hai..." 
"Pensavi che non me ne sarei accorto?" chiese avvicinandosi "Forza, fammi vedere." lo intimò. 
Ben sospirò e si arrese, allungò il braccio verso Luke, che delicatamente si mise a controllare la mano. 
"Non hai ancora tolto le schegge." osservò Luke. 
"Non ne ho avuto il tempo."  
"Ma perché lo hai fatto?" chiese curioso; in risposta Ben abbassò il capo pieno di vergogna.  
"Va bene, non lo voglio sapere, ma vorrei almeno aiutarti... posso?" 
Ben annuì e lui gli indicò il letto "Siediti, ti insegno qualche tecnica di guarigione." 
"Possiamo usare la Forza anche per curare le nostre ferite?" chiese Ben mentre si sedeva sul letto seguito dallo zio. 
"Sì, il potere può essere utilizzato anche sugli altri attingendo alle loro energie, facendo però attenzione a non sfiancarli e a sortire l'effetto opposto," cominciò a spiegare "a causa della complessità di questa tecnica dovrai concentrarti profondamente, per cui mentre la utilizzerai non potrai muoverti, ma ti aiuterà a sanare le ferite e riuscirai a far scomparire anche quei lividi."  
"Sono pronto." Ben chiuse gli occhi, affidandosi al suo maestro. 
"Bene, inspira ed espira... visualizza le ferite." 
"Le vedo."   
"Ora immagina di risanarle, immagina di vederle scomparire." 
 
Piano piano le schegge cominciarono ad uscire dalla mano e a cadere a terra. Ben si concentrò e percepì il flusso sanguineo rallentarsi portando alla formazione di coaguli, poi le cellule si aggregarono l'un l'altra riparando i tessuti lacerati. 
"Vai, ci stai riuscendo." lo incoraggiò Luke. 
I lividi si schiarirono, i tagli superficiali scomparirono e delle ferite sulla mano non rimasero altro che cicatrici.
Quando Ben si sentì sollevato, aprì gli occhi e si girò a guardare lo zio al suo fianco. 
"Sei stato bravissimo."  
Il ragazzo si toccò il torace nudo con entrambe le mani, non riusciva a crederci, non aveva più nulla, non provava dolore.  
"Ci sono riuscito!" esclamò felice, guardandosi la mano, ora sana, poi scoppiò a ridere e abbracciò lo zio. "Grazie." 
Luke allargò gli occhi, era stupefatto, ma poi sorrise dolcemente "Questa è solo una delle tante cose che imparerai, io ho fiducia in te." 
Ben si staccò da quell'abbraccio e si alzò dal letto per aprire l'armadio e cercare qualcosa da indossare. 
"Come ti ho detto ieri preferirei che tu restassi a meditare, noi invece andremo in escursione al villaggio Kalikori." disse Luke alle sue spalle. 
Ben afferrò una tunica bianca "Se tu la consideri la scelta migliore, allora resterò qui." commentò mentre la indossava. 
"Torneremo nel pomeriggio, fatti trovare pronto per l'allenamento."  
Ben annuì, osservando Luke avvicinarsi alla porta. 
"Non dimenticare di mangiare la colazione."  
"Non lo farò e grazie mille ancora per avermela portata."  
"È stato un piacere." disse Luke sorridendo, prima di uscire dalla stanza. 
Ben si sedette e osservò quello che c'era sul vassoio, ovvero uova strapazzate, per contorno dei pomodori e da bere di nuovo quel latte dall'aspetto strano ma dal sapore delizioso. Cominciò a mangiare in silenzio, nel frattempo dalla finestra vide Luke uscire dal tempio, avvicinarsi agli altri discepoli e gesticolare. Il ragazzo ipotizzò che stesse spiegando i dettagli dell'escursione, dopo aver finito di parlare infatti gli allievi annuirono e si misero in marcia. Ben fissò le loro figure farsi sempre più piccole man mano che si allontanavano.
 
                                                                                                              *** 
Quando finì di fare colazione, prima portò il vassoio nella sala pranzo poi uscì dall'edificio. Fuori un brivido gelido era sospeso nell'aria. Tremò e gli venne la pelle d'oca. «Fa freddo», disse e si strofinò le mani sulle braccia per scaldarsi. Si diresse verso il sentiero che il giorno precedente aveva percorso assieme allo zio, il dolce profumo arrendevole della rugiada mattutina impregnava la foresta; vi era un odore che non apparteneva alla terra. Le ombre scure degli alberi voluminosi e dei cespugli circostanti erano diventate la spina dorsale della foresta, in piedi come protettori passivi di un luogo pacifico. 
 
Era metà mattina, il sole era sbocciato nel cielo con un bagliore caldo e morbido. Gli animali selvatici erano coraggiosi ma cauti nell'immaginare il loro nuovo visitatore, osando avvicinarsi per dare un'occhiata allo straniero che disturbava la loro pace. Il ronzio di numerosi insetti riempiva l'aria, piccole rane gracidavano mentre speravano di catturare uno spuntino facile. Ben passò vicino ad un ruscello, il suono ipnotico dell'acqua che scorreva attirava gli animali per bere, per assaporare la fredda sensazione dell'acqua dolce. Gli alberi danzavano nel vento, mentre Ben continuava la salita. D'un tratto una folata gelida gli mise a nudo la colonna vertebrale, Ben voltò il capo a destra e tra gli alberi scorse una cascata adiacente ad un piccolo lago. 
 
Al diavolo la meditazione, pensò. Era sudato e aveva voglia di farsi una gran bella nuotata, specialmente dopo la fatica che aveva impiegato per salire quella ripida montagna. Si avvicinò, l'acqua era del tutto priva di movimento, il bacino era probabilmente profondo quanto le montagne intorno erano alte. Si sedette su un tronco d'albero per togliersi gli stivali, ma non si fermò lì, in pochi secondi fu senza vestiti addosso. Toccò leggermente l'acqua con le dita del piede destro e notò quanto fosse dannatamente fredda, nonostante gli implacabili raggi del sole. Con lentezza entrò nel lago, l'acqua fredda agiva sulla sua pelle come una pozione, rimuovendo l'irritazione e sostituendola con una pace meditativa. 
 
Si ritrovò a pensare ai suoi genitori... Han gli aveva "insegnato" a nuotare. Era una giornata torrida, i suoi genitori avevano deciso di andare al mare e lui aveva paura d'entrare nell'acqua. Una volta lì si era bloccato sulla riva, Leila gli era stata vicina per ore ad incoraggiarlo, fallendo miseramente, poi era arrivato Han. Con dolci parole lo aveva distratto e senza che se ne accorgesse lo aveva preso e gettato nell'acqua. In un primo momento il piccolo Ben era scoppiato a piangere, chiamando disperatamente la mamma; Leila si era lanciata verso di  lui ma Han l'aveva afferrata per un braccio.  
"Deve farcela da solo." le aveva detto.
Così erano rimasti a guardare mentre il piccolo smetteva gradualmente di dimenarsi e cominciava a ridere restando a galla. 
 
"Mi mancate." sussurrò a sé stesso, poi si immerse sotto la superficie sfuggendo alla noiosa resistenza della gravità; cominciò a nuotare per raggiungere la cascata. Quest'ultima, da lontano, era stata come un silenzioso torrente bianco che si riversava sugli affioramenti rocciosi. Mentre Ben si avvicinava, si rese conto invece che il rumore aumentava costantemente, fino a quando non fu nel pennacchio di vapore acqueo che pendeva dalla cascata. Alcune ciocche di capelli aderivano al suo volto e si passò una mano fra i capelli cercando di sistemarli. Una voce gli arrivò alle orecchie come una nevicata d'inverno; silenziosa, leggera e lenta. 
 
"Ancora tu?" chiese la voce alle sue spalle.
Si voltò per scoprire chi fosse ma in fondo già lo sapeva; una ragazza.... quella ragazza. Era nuda, proprio come lui, rispetto alle altre volte i lineamenti del volto erano più definiti ma la faccia completamente sfocata. Ben non se ne era reso conto, forse troppo preso da colei che aveva di fronte, ma aveva cominciato a nevicare. Intricati disegni di ghiaccio fluttuavano dal cielo candido, ogni fiocco turbinava e danzava. Dalla bocca della ragazza uscì un respiro pallido che entrò in contrasto con l'aria intorpidita. 
 
"Nevica?" la ragazza batté le palpebre pensierosa mentre il gelo la baciava pazientemente sul viso.
Sembrava affascinata dalle morbide e polverose illusioni di luce che si posavano sulle sue ciglia.  
Ben non si sentiva più le dita, la neve cadeva sempre più forte e l'acqua della cascata scendeva sempre più fitta. L'ambiente che lo circondava abbracciò il colore bianco della neve e sentì la vita scorrere nelle vene. La situazione era strana perché faceva freddo ma loro due non lo sentivano, erano l'unica fonte di calore, al centro di tutto, chiusi nella loro bolla. Il giovane Solo si fece coraggio e adagio si avvicinò. 
"Tu porti in te il riflesso di me stesso, ti ho sognato, ho desiderato la tua esistenza." le strinse la vita, con la paura che qualcuno fosse in procinto di strappargliela via dalle braccia. Lei fece scorrere una mano tra i suoi capelli, Ben chiuse gli occhi e si rilassò sotto quel tocco delicato, poi sentì un soffio caldo sul collo, seguito da un tenero tocco di labbra.
La ragazza gli baciò il lobo dell'orecchio, dolcemente, con il giusto accenno di passione, passò veloce sulle clavicole e si diresse alle sue labbra che aspettavano impazienti. Ben le accarezzò dolcemente la guancia poi la baciò. Il mondo scomparve mentre i loro respiri si mescolavano. Il bacio fu lento e morbido, confortante in un modo che le parole non sarebbero mai state; lei fece scorrere le dita lungo la sua schiena, lo tirò più vicino finché non ci fu più spazio tra loro e Ben sentì il battito cardiaco contro il petto; lei divenne un fuoco vivo, così selvaggia che ebbe il timore di bruciarsi il cuore. I baci divennero più difficili e più urgenti, Ben fece scivolare una mano intorno alla sua vita, le strinse forte il fianco affondando le unghie nella sua carne e facendola gemere. Sembrava che fosse lì veramente, ma sapeva che da un momento all'altro sarebbe sparita; infatti, proprio quando la ragazza gli aveva cinto il bacino con le gambe facendo entrare in contatto il suo sesso con l'erezione del giovane, tutto finì.
 
Ben restò a guardare il vuoto e si rese conto che tutto era ritornato come prima, la neve si era dissolta assieme alla ragazza. Il pensiero fisso del fallimento tornò a tormentarlo perchè, come in precedenza, si era lasciato andare agli impulsi. 
 
   
 
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