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Autore: Rei Murai    04/03/2018    3 recensioni
«Che poi, ma davvero con tutti i posti che ci sono ti sei infilato dentro il mio bagno?».
Ma sta parlando da solo o con me? No perché alle volte è così deficiente da porsi quesiti e rispondersi da solo ma se non replico mi da dello stronzo e se lo faccio, comunque mi becco un insulto.
Che bella cosa l’amicizia.
“Si” la plancia si muove, la punta rivolta verso il segno di affermazione. Inarco un sopracciglio: mica l’ho toccata a sto giro quella cosa.
[MadaHashi BroShip]
Genere: Comico, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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NdA: Ho passato il pomeriggio a cazzeggiare con Elisa sulla possibilità di avere Madara ad infestare il bagno di casa e, tra una chiacchiera e l’altra è uscita questa OS senza pretese.
Ci tengo a sottolineare che, parte per brevi momenti (tipo mezzo rigo) non ho mai mosso il personaggio di Madara e men che meno quello di Hashirama, quindi vi chiedo scusa se risulteranno OOC in modo vergognoso.
Che dire? Spero che questo piccolo esperimento vi piaccia e allieti un po’ questa giornata, io intanto viaggio verso Milano con un pc che cerca di prendere fuoco T___T’’
Buona lettura.
 
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Good Life.

La vita, quando si muore, è tediosa.
Sì, lo so che è un cazzo di controsenso, ma vi giuro: non c’è niente di più noioso di essere morti e non poter disporre a proprio piacimento di un involucro corporeo con cui sfogare la propria frustrazione. Prima di tutto dover imparare – nuovamente - a gestire la propria forma è difficile.
Non difficile nel senso di complicato ma difficile nel senso di rottura di coglioni immane!
Non puoi muoverti liberamente; non puoi afferrare cose e lanciarle contro i coglioni che passano per strada; non puoi metter bocca negli affari di famiglia quando fanno cazzate… Insomma, non ti danno modo di fare proprio niente, ma devi stare a sentire tutte le stronzate che aggradano a loro, perché anche da morto non esiste un singolo posto dove tu possa startene davvero in pace. Non il primo periodo almeno. La tua tomba viene invasa, ogni giorno c’è qualche coglione che piange, che viene a parlarti. Quando raggiungi il secondo stadio e inizi a poterti muovere, ti rendi conto che sei solo. Non fraintendermi: a me piace stare da solo.
Ci sguazzo nella mia cazzo di privacy! Non sono mai stato bene come da quando sono morto.
Alla lunga però, la mancanza di qualcuno da infastidire con le proprie teorie manca, così bisogna trovare un modo alternativo per sfuggirle. Ci si ritrova, inevitabilmente a cercare un contatto.
C’è chi cerca altri fantasmi, chi torna dai famigliari, chi insegue e perseguita l’ex fidanzata.
Io personalmente ho cercato un modo tutto originale per scrollarmi di dosso la solitudine: per questo motivo, dopo anni di esercizio, mi sono infilato nel bagno di questo schifo di catapecchia che il suo padrone osa chiamare casa.
Credo di non aver mai visto un posto così sporco, infestato da scarafaggi e decadente in tutta la mia fottuta esistenza ma, ehi, chi sono io per giudicare?
Non è che poi mi interessi molto: sono due giorni che provo costantemente a fargli cadere quella cazzo di mattonella in bilico sulla nuca mentre caga.
Sia ben chiaro: non voglio ammazzare nessuno – non ancora almeno.
È che ho pensato: gli faccio uno scherzo.
Uno di quelli innocenti, di poco conto.
Se poi ci rimette le penne perché il suo corpo è fottutamente fragile quelli sono cazzi suoi.
Mal che vada ci ho guadagnato qualcuno con cui parlare.
Così, come dicevo, ho iniziato a creare una serie di eventi a catena in questa casa: prima mi sono infilato all’interno della doccia e dopo vari tentativi continui, mentre si faceva il bagno, ho fatto partire un getto di acqua talmente tanto bollente da fargli rischiare un’ustione.
Un'altra volta, mentre cercavo inutilmente di fare esplodere i vetri in faccia a quel coglione di suo fratello – ha iniziato a spalare merda sulla mia famiglia e io, certi atteggiamenti, proprio non li tollero – sono apparso all’interno dello specchio per una frazione di secondo: lo stronzo è schizzato talmente tanto in alto e talmente tanto veloce che ha lasciato le scarpe incollate al pavimento come quelle cretinate che si vedono nei cartoni animati.
Ora ha un bellissimo ciuffo bianco tra i folti capelli argentati.  Si nota poco a dire la verità ma ne vado fiero comunque.
Un altro scherzo che mi sono dilettato a fare è stato quello di far esplodere, per puro caso eh! Non è che fosse mia intenzione, la valvola del termosifone; praticamente dentro quel bagno ci vivo: ne ho fatto il mio quartier generale, non è che abbia poi molto da fare da quando sono venuto a mancare. L’acqua è schizzata bagnando ovunque e il botto è stato talmente improvviso che credo di avergli quasi causato un infarto!
Sono quisquiglie, piccole sciocchezze.
Però Hashirama Senju le ha prese sul serio: un giorno è venuto addirittura a casa con un monaco buddista:
«Qualcosa sta infestando il mio bagno. Non è che potrebbe liberarmi dello spirito che vi abita?»
Mi Sono messo comodo, attendendo di vedere i risvolti del loro complicato ed inutile lavoro: il monaco ha snocciolato qualche mantra tenendo tra le mani il suo rosario, una luce bianca ha illuminato le pareti e qualcosa è uscito scivolando oltre il vetro della finestra.
«Tutto risolto» ha risposto il ciarlatano con una certa soddisfazione. Il coglione l’ha anche pagato profumatamente e il risultato è stato che ora, nel quartiere, c’è qualcosa che molesta le passanti.
Ogni tanto mi affaccio a controllare: pare abbia preso di mira una bambina dai capelli rosa che fa questo pezzo di strada tutte le mattine.
Vatti a fidare dei monaci, insomma.
Per fargli capire quanto sia stato inutile il loro lavoro e quanto infinitamente sia stato deficiente, il bersaglio successivo è stato il lavandino.
Mi ci sono messo di impegno con quello, oh sì.
Ho passato un’intera notte ad invertire i tubi dell’acqua e ad allentare le manopole che ne controllano la chiusura: vederlo prima saltare per via dell’acqua bollente sul viso e poi completamente zuppo per via dei getti del lavandino è stato alquanto esilarante.
Però, come dicevo all’inizio, quella mattonella mi sta dando problemi; sta lì, in bilico da giorni, senza decidersi né a cadere né a fare niente altro.
Un vero supplizio.
Potrei lasciare perdere. Dopotutto ci sono altri mille modi per protrarre i miei scherzi fino a che non crepa per malattia o per altro, ma io con quella mattonella mi ci sono impuntato!
Voglio vedergliela proprio piombare di piatto sulla nuca. Magari contornata da qualche schizzo di sangue, che non guasta mai.
 
«Madara, se tu?».
Mi volto lentamente, il coglione (finalmente, oserei aggiungere) si è accorto che l’intervento del religioso è stata una perdita di tempo, ma è così stupido da pensare che – dal piano dimensionale nel quale mi trovo – possa rispondergli.
Entra dentro il bagno con fare circospetto, le occhiaie talmente profonde da far quasi credere che sono giorni che non dorme e i capelli scompigliati.
Non sarebbe strana la sua mancanza di sonno dato che quando mi annoio mi metto a lanciare cose contro il muro, dopotutto dormire non sembra rientrare tra le cose di cui un fantasma ha bisogno. L’altro giorno Hashirama stava mangiando una cheesecake con le fragole e ho avvertito il bisogno di divorarla; è da quando sono morto che non metto qualcosa sotto i denti, ma era più una reminiscenza del mio stato corporeo precedente. Anche volendo ingoiare qualcosa, non credo che riuscirei effettivamente a digerirla, e niente mi assicura che non scivolerebbe oltre i miei piedi spiaccicandosi al terreno: mica siamo in “Casper[1]” dove il cibo mangiato diventava a sua volta un fantasma nutrendo quello grasso.
Ma torniamo al mio ospite: tiene tra le mani una tavola Ouija, cosa diavolo crede di fare?
Si siede sul pavimento e tira fuori dalla tasca la plancia, osservandosi attorno attraverso il vetro: sta a vedere che ha guardato qualche film Horror di dubbia qualità e ha trovato geniale l’idea di fare qualche cazzata delle sue.
Va bene vuoi giocare? Giochiamo.
Poggia la plancia sulla tavola in legno, le dita poggiate su di essa e chiude gli occhi rilassando le spalle.
«Voglio solo parlare con te» asserisce facendo scrocchiare il collo in modo fastidioso.
Se avessi fiato sbufferei per il modo in cui si sta comportando ma, ahimè, i miei polmoni sono deceduti assieme al cadavere in putrefazione che hanno lasciato dentro quella scomoda bara.
«Sei qui?».
Attende.
Attendo anche io.
Mi fisso attorno cercando qualcosa che si muova, un segno, una qualsiasi stronzata. Così finisce che restiamo entrambi con il naso all’insù: lui cercando qualcosa e io cercando di capire cosa cazzo attende.
«Madara?» prova di nuovo e il mio corpo viene scosso da un brivido.
La finestra si spalanca, qualcosa entra nella stanza e la plancia si muove d’improvviso verso il “No”; o si sta facendo trasportare dalle sue cazzate o qualcosa gli ha mosso le mani con violenza.
Eh, ma questo è compito mio, che cazzo!
Mi avvicino alla tavola, poggio le mani sulle sue e sposto verso il “Si”.
Sembra facile.
Vai via fantasmino di seconda categoria, lo stronzetto vuole parlare con me, non con uno sconosciuto.
«Sei davvero tu?».
Ma che sei scemo? Ti ho già detto di sì, che cazzo!
Come si muove questa cosa? Oh ecco.
“C”… “O”…”G”…
«-glione» resta interdetto qualche secondo, batte le palpebre confuso e alza la testa. «Coglione ci sarai!» risponde piccato mandandomi successivamente a fanculo.
E io che volevo solo rassicurarlo sul fatto che non stesse parlando con l’anima della sua vecchia nonna confusa, quella che è morta di Alzheimer.
Provo a muovere di nuovo la plancia ma è bloccata.
Lui non fa resistenza con le mani, quindi evidentemente c’è un modo specifico e mi devo attenere a delle stupide ed inutili regole.
«Beh, potresti smettere di infestare il mio bagno? Che ne so, magari passare alla sala o al giardino… Inizia a diventare inquietante oltre ogni modo, questa faccenda».
“No”.
Secco. Lapidario. Freddo come la tomba dove mi avete chiuso!
Hai idea di quanto faccia schifo essere divorato da dei fottuti vermi? Se io devo subire certe umiliazioni, tu dovrai scendere a patti con il fatto che ti guardo mentre caghi.
E poi la mattonella è ancora lì, mica mi sta bene che continui a non cedere alle mie pressioni!
«Ma come “No”? E dai Madara! Con tutto quello che puoi fare come fantasma vuoi stare davvero ad infestare il mio bagno?».
“Si”.
Mi piace qui. Ha un’aria famigliare ormai.
C’è l’angolino dove lancio cose durante la notte, il lavandino che ancora perde, la mattonella… Sbaglio o si è spostata un po’? non ti serve andare al bagno al momento, vero?
«Sei sempre stato un deficiente, ma mica pensavo fino a questo punto».
“Fottiti”
“Si” e “No” per le domande e massimo una parola per rispondere alle frasi lunghe? Questo gioco di merda deve essere stato fatto per i fantasmi scemi o quello scemo è il mio migliore amico che non sarebbe in grado di capire più di una parola alla volta.
Fatto sta che mi sto annoiando, ora.
«E che hai intenzione di fare, mh?».
Oh, questa la so! È facile!
“Scherzare!” muovo la plancia ma Hashirama sbianca all’improvviso.
Per una canzonatura simile? Davvero? Abbasso lo sguardo, non mi sono nemmeno reso conto di essermi seduto di fronte a lui a gambe incrociate.
La plancia si muove ancora, lentamente, assieme alle mie mani
“-re”.
Non capisco proprio perché stia tremando, davvero.
«Puoi ripetere?» chiede con un filo di voce.
Scuoto il capo, sorridendo anche se non può vedermi e riprendo a muoverla: “U”… “C”… “C”… Mi blocco. Le mani fanno resistenza ma qualcosa cerca di spostarle ancora.
Questo giocattolo deve essere difettoso. Perché al posto di scrivere “scherzare” sta scrivendo “uccidere”? Uccidere cosa poi? Mica lo voglio ammazzare io, questo coglione.
Lui molla la presa sulla plancia e il contatto si interrompe.
Mi fisso attorno, avvertendo una strana sensazione – come se qualcosa mi stesse pisciando in testa – ma a parte noi qui non c’è nessun altro.
Si alza, esce dal bagno e vi fa ritorno poco dopo, la voce tradisce un certo panico.
«Non è divertente» scandisce e si abbassa tirando su la tavola «vattene dal mio bagno e vai a molestare la tua famiglia o qualche anima pia in mezzo alla strada. Sono troppo vecchio, io, per queste cose». Disse il rincoglionito che ha acquistato una tavola per parlare con gli spiriti.
Gli farei il verso ma temo non mi sentirebbe.
Che poi è una bella fregatura anche questa: posso far muovere oggetti, posso interagire con una cagata come una tavola di legno ma se parlo non mi sente nessuno.
Esce dal bagno e lo seguo, avventurandomi dietro di lui. Si sposta verso la sala e accende un incenso, sedendosi al tavolo, poggiando il giocattolo di fronte a lui. Grazie al cielo ora possiamo metterci comodi a parlare. Davvero inizia ad essere noioso limitarmi a scherzare senza avere nessuno con cui ridere delle mie bravate.
«Che poi, ma davvero con tutti i posti che ci sono ti sei infilato dentro il mio bagno?».
Ma sta parlando da solo o con me? No perché alle volte è così deficiente da porsi quesiti e rispondersi da solo ma se non replico mi da dello stronzo e se lo faccio, comunque mi becco un insulto.
Che bella cosa l’amicizia.
“Si” la plancia si muove, la punta rivolta verso il segno di affermazione. Inarco un sopracciglio: mica l’ho toccata a sto giro quella cosa.
Stai a vedere che quel fantasma di prima sta ancora a girare qui attorno.
Hashirama sobbalza, tira indietro la sedia e la fissa.
«Questa cosa non dovrebbe funzionare se non ci tengo le mani sopra!» sbotta livido in volto come l’ho visto solo quando sono morto. E pensare che poteva rimetterci le penne con me, che egoista.
«Si è mossa e allora? Che sarà mai» ribatto incurante, dimentico che non può sentirmi. Il silenzio cala sulla stanza e restiamo entrambi ad osservare il giocattolo.
Si porta le mani ai capelli, li tira indietro con un gesto esasperato e inizia a camminare frenetico per la stanza.
«Cosa diavolo ho fatto? Sei arrabbiato con me perché tu sei morto e io no? È per questo che vuoi farmela pagare Madara? Non è colpa mia quello che è successo!»
Scoppio a ridere e lo osservo: arrabbiato? Io? Macché! Volevo solo romperti un po’ le palle, dai! Uno scherzo innocente.
La plancia si muove di nuovo, punta lettere una dopo l’altra, velocemente. “Uccidere” scrive di nuovo e io mi sento un deficiente.
Effettivamente sono morto solo io. Stare soli è noioso… non mi dispiacerebbe se venisse anche lui da questa parte.
«Tutto questo è ridicolo» borbotta e si avventa sul telefono, pigiando i tasti agitato.
Io osservo il lampadario che oscilla sopra di lui: sarà l’aria che tira ma se gli cadesse in testa, considerando che è in ottone ed è pesante, forse gli spaccherebbe l’osso del collo.
Che assurdità. Sai che faccio adesso? Prendo la tavola Ouija e la butto nel camino, tanto è acceso.
Così impara a buttare i suoi soldi in cazzate.
«Pronto? Buona sera sono Hashirama Senju, il vostro tempio è venuto a fare un esorcismo presso la mia abitazione due settimane fa».
È proprio un bambino, non è cambiato affatto da quando eravamo piccoli. Oddio, forse è diventato più imbecille ma quando ti sposi un’arpia è normale dare forfeit.
Afferro il giocattolo, lo alzo come se non avesse peso e sorrido compiaciuto. Da quando sono qui riesco a fare molte cose, ma è la prima volta che riesco a toccare e sollevare davvero un oggetto: la mia forza sta aumentando e credo che, in fondo, sia anche merito di questa stronzata.
Mentre Hashirama blatera di un secondo esorcismo soppeso la situazione: non è un oggetto che il mio migliore amico dovrebbe tenere in casa, ma dopotutto mi permette di parlare con lui. Però è anche vero che travisa quello che dico.
Che situazione di merda.
Muovo la plancia con un dito, scrivo qualche parola e mi compiaccio ancora di più nel constatare che il vincolo, gli obblighi e le regole di questa puttanata si sono finalmente sciolti.
Dietro di me lui sussulta, inizia a balbettare. Mi volto ad osservarlo e mi dispiaccio un po’ della sua reazione e di starlo spaventando a questo modo: forse ora dovrò limitare gli scherzi, farmi da parte per un po’ in modo che possa digerire la situazione.
Quante cazzate! Dovrebbe essere un uomo no? Si sta comportando come una donnicciola. Getto il giocattolo nel fuoco senza pensarci e questo immediatamente si infiamma. La plancia, ancora a terra, sembra un oggetto totalmente inutile adesso.
«La prego si sbrighi a venire!» chiude la chiamata e si siede a terra, osservando il fuoco. Tiro un calcio all’oggetto indifeso sul pavimento e questo arriva fino ai suoi piedi, colpendolo in modo quasi affettuoso. Mi viene nuovamente da ridere: se solo potesse vedermi in questo momento capirebbe che è tutto un malinteso.
Probabilmente finiremmo di scolarci la sua bottiglia di pregiato Whiskey parlando dei bei tempi andati, quando eravamo entrambi vivi.
I sentimenti umani sono così volubili, penso mentre il sorriso mi muore sulle labbra – ma posso davvero chiamarle a questo modo? Dopotutto non ho più un corpo fisico, sono solo un ammasso di energia – e mi sento invadere da una rabbia cieca. Salto sorpreso quando il bicchiere sul tavolo esplode con violenza e Hashirama si rannicchia contro il muro, coprendosi la faccia con le braccia.
Ma l’ho rotto davvero io quel fottuto bicchiere? Sono davvero io quello che sta facendo tutto questo? Ci deve essere una cazzo di spiegazione logica! Magari è qualcuno che c’è l’ha con lui, che lo vuole morto e mi sta usando! Qualcuno che non riesco a vedere perché è su un piano ancora differente. Magari uno che è morto anche dopo essere morto.
Hashirama cazzo! Cerca di capire che io con queste stronzate non centro niente, vediamo di finirla una volta per tutte! Non puoi pensare davvero che potrei farti del male.
Una seconda esplosione, questa volta è il vaso. Poi una terza, la luce si spegne e io non riesco più a vederlo.
Il suo respiro si fa pesante ma non sembra intenzionato a muoversi dal punto in cui si è rannicchiato.
Mi avvicino, mi accuccio di fronte a lui e allungo una mano nel buio, sfiorando il suo corpo e attraversandolo.
«Vai via, vai via, vai via…» continua a ripetere sotto voce, trema il coglione come se davvero io fossi un pericolo.
Beh magari lo sono, ma non di certo per lui.
Sfioro la plancia con le dita e la alzo come ha fatto prima questo deficiente. Stava guardando dentro il vetro, giusto? Se non mi ricordo male, una volta attivato quello schifoso giocattolo, tramite la lente posta al centro, si possono vedere i fantasmi.
Un mucchio di cazzate.
La avvicino all’occhio, vi scruto all’interno e sobbalzo.
Un urlo squarcia il silenzio della stanza e le mie mani sono coperte di sangue.
 
«Quindi, mi dicevi: come sei morto?» l’uomo anziano si accende una sigaretta. Osservo il fumo che sale lentamente verso il cielo e sorrido amaramente.
«Un fottuto incidente in macchina, sai quando si dice che le donne non dovrebbero guidare? Ecco, io ne sono il cazzo di esempio». Annuisce, fuma pacatamente seduto sulla panchina e osserva i ciliegi che si stanno riempiendo di fiori. «E lei invece?».
«Cancro ai polmoni. Il medico mi aveva detto di smettere di fumare ma io non gli ho dato retta».
«I medici sono tutti coglioni» gli rispondo convinto e mi siedo accanto a lui.
Questo posto è tranquillo, c’è un buon odore. E poi quella bambina dai capelli rosa che veniva inseguita dal demone ha preso servizio come Miko[2] al tempio qui vicino: il suo canto è confortante.
«E lui?» l’uomo indica con un cenno del capo il mio migliore amico. Hashirama è in piedi vicino alla femmina che ha sposato e sta sorridendo al marmocchio di otto anni che hanno messo al mondo assieme.
«È una storia complicata: pare che chi porta rancore dentro arrivi ad ammazzare i vivi» alzo le spalle «Evidentemente qualche cazzone c’è l’aveva con lui e l’ha ucciso. Tanto di guadagnato per me».
Il vecchio mi osserva curioso per un secondo, poi torna ad osservare i fiori fumando.
La morte è proprio noiosa.
 
[1] Casper è un film del 1995 diretto da Brad Silberling, basato sul personaggio omonimo protagonista di cartoni animati e fumetti. Venne distribuito nei cinema statunitensi il 26 maggio 1995 e in quelli italiani il 16 novembre successivo.
[2] Il termine miko (巫女?) indica le giovani donne che lavorano presso i templi shintoisti
   
 
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