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Autore: Etali    04/03/2018    0 recensioni
Per chi viene da un universo dove armature di tutti i tipi, psicopatici vaganti assetati di potere, gemme giusto un tantino pericolose e qualche titiano con manie di grandezza sono all'ordine del giorno, che sarà mai riuscire a gestire qualche partita di quidditch, lezioni di trasfigurazione, gufi, incatesimi, strillettere e chi più ne ha più ne metta.
Genere: Avventura, Comico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Inizio secondo anno

Lo smistamento aveva luogo nella sala grande. Alzando gli occhi si vedevano le migliaia di candele che illuminavano la stanza, sospese nel cielo stellato del soffitto. Seduto al lungo tavolo dei Grifondoro Steve rivolse l’attenzione al gruppetto del primo anno, che entravano in quel momento.
Si chiese se anche loro l’anno prima avevano quell’aria persa e un po’ spaurita. Poteva vederli tremare di paura (o forse fremere dall’eccitazione, chi lo sa? Magari un po’ e un po’.) Vagò con lo sguardo tra quelle facce nuove, come cercando di battere sul tempo il cappello parlante e individuare i suoi futuri compagni di casa.

I due fratelli del treno si guardavano sottecchi, l’uno tenendo ben stretta la mano in una tasca della veste, probabilmente stringeva la bacchetta recuperata, onde evitare altri inconvenienti.
Altri due, lui bassottino e biondo, lei con il naso all’insù e i capelli rossi, parlottavano fra loro a teste vicine. Tutti loro si guardavano intorno con circospezione e Steve ricordò delle voci che giravano fra i nuovi arrivati delle terribili prove da superare per essere smistati. Magari quei ragazzini si immaginavano di dover sconfiggere un titano o robe simili. Lui non lo aveva mai ammesso, ma anche se era stato terrorizzato al pari del gruppo che si trovava ora davanti, quasi ci era rimasto male scoprendo di dover semplicemente appoggiarsi un cappello sulla testa, senza dover affrontare nessuna grande prova del caso. Il vicepreside prese posto e srotolata una lunga pergamena macchiata di nomi iniziò a chiamare un ragazzo per volta. Un piccoletto in riccioli, occhiali e inciampi si calcò per primo in testa il cappello, che dopo qualche attimo lo assegnò a gran voce a Corvonero.
Il primo applauso lo seguì mentre prendeva posto al tavolo, mantenendo in tutta questa sequenza di operazioni un vivissimo interesse per la pavimentazione della sala.

Da lì fu un susseguirsi di nomi, facce e espressioni incomparabili; i due fratelli vennero smistati rispettivamente il primo in Serpeverde e il secondo in Grifondoro, cosa che suscitò in entrambi un moto d’orgoglio. La ragazza dai capelli rossi, all’apparenza per niente intimorita da quel cappello pieno di pieghe e magia ebbe un lampo di esitazione quando la parola “Serpeverde” echeggiò nella sala, lanciando uno sguardo furtivo all’amico, seduto al tavolo dei Tassorosso, prima di raggiungere i suoi compagni di casa.

Per poco un ragazzo non si guadagnò il titolo di testurbante, facendo scervellare il cappello per ben quattro minuti e mezzo di attesa costellata di brusii in tutta la sala grande. Finalmente, dopo averlo esaminato a dovere il cappello parlante decise di smistare Tony Stark in Corvonero. Avrebbe ricevuto di tanto in tanto negli anni successivi qualche accidente da altri componenti di quella casa, per quella sua scelta, forse anche troppo affrettata. Poco dopo si arrivò finalmente in fondo alla lista, con un ragazzino di nome Visione dall’espressione impassibile e i movimenti meccanici, che venne immediatamente assegnato anche lui a Corvonero.

A quel punto, se doveva dire la verità, Steve non ci vedeva più dalla fame e fu ben felice quando in un applauso finì il discorso del preside e sui grandi tavoli iniziarono a comparire pietanze di tutti i tipi, deliziose come sempre.
 
 
 
 
Bruce era sempre stato un bambino ordinato, come se sapere che ogni cosa era meticolosamente al suo posto avrebbe potuto aiutare il caos eterno che aveva dentro testa, sepolto sotto i riccioli.

Stava sistemando la sua roba nel dormitorio, così come Visione, di posto accanto a lui. Tony invece appena entrato si era buttato sul primo letto che gli era capitato a tiro, reclamandolo come suo. Stava ancora molleggiava sul materasso, dando l’impressione di non avere la minima intenzione di disfare i bagagli.
Un altro ragazzo di nome Stephen, alto e dall’aria tranquilla, completava la camera. Bruce fece scorrere lo sguardo sui suoi compagni di stanza da dietro le lenti.
 
“Loro sono i ragazzi con cui passerò i prossimi sette anni.” Pensò. Poi il suo cervello aggiunse in una dolorosa postilla: “E a cui dovrò mentire per i prossimi sette anni.”
 
Un improvviso senso di disagio gli attanagliò la bocca dello stomaco, sapendo dell’inconsapevole pericolo in cui gli altri rischiavano di trovarsi. Tentò di relegare quei pensieri in un angolino del suo cervello e si infilò sotto le coperte. Gli piacevano quei ragazzi, aveva già iniziato a farci amicizia e non avrebbe rovinato tutto. Lo ripeté a se stesso qualche altra volta, per convincersi un po’ di più, e posò gli occhiali sul comodino, provando a prendere sonno, mentre una falce di luna fuori dalle finestre della torre rischiarava il cielo.
 
 
 
 
 
“Ovviamente”. Pensò Nat, non senza un piccolo moto di amarezza. Serpeverde. Come avrebbe potuto aspettarsi altrimenti. Era sempre stato dato per scontato che quella sarebbe stata la sua casa. Da chi non era ben chiaro. I suoi genitori, l’educatrice, tutti. Alla fine anche lei. Non aveva mai pensato quali affinità potesse avere con altre case, dubbi del genere non erano ben visti fra le mura delle sue stanze, scoraggiati all’istante dallo sguardo severo dell’educatrice. Veniva da una famiglia antica, purosangue e mai stanca di ribadirlo, tradizionalista, come le veniva insegnato in casa; fondamentalista, si diceva nella comunità magica dei dintorni.
 
 Avevano iniziato a insegnarle ogni nozione possibile da quando era stata in grado di tenere in mano una penna d’oca. Sarebbe diventata una strega potente oltre l’immaginabile, la migliore nella migliore delle case, una degna Romanoff.
 
Però, mentre scendeva dallo sgabello per avviarsi a passo sicuro – sempre ostentare un andatura decisa – verso il suo tavolo, incrociò lo sguardo un di Clint, circondato da gli altri Tassorosso e sentì come un pizzicotto nella cassa toracica alla vista della distanza fra loro che sembrava aumentare di miglia e miglia a ogni passo. Per un attimo gli passò per la mente l’immagine di se stessa seduta accanto al suo unico amico, la cravatta dello stesso colore, qualunque esso fosse. Quel pensiero le si dissolse tristemente davanti come in un evanesco. Con i piedi che nascosti dalla divisa sembravano di piombo raggiunse la panca e si sedette accanto a uno studente del secondo anno.
Dopo di lei si aggiunse ai Serpeverde un ragazzino moro e magro e Nat riuscì a cogliere il commento di quello accanto, presentatosi come Bucky:
 
-Com’è possibile che quelli dall’aura inquietante da pipistrello e i capelli unti sono sempre da noi?
 
A completare il tavolo si chiamava Gamora. Il suo nome pronunciato dal vicepreside suscitò un diffuso brusio fra gli studenti. Veniva da una famiglia di noti ex mangiamorte e probabilmente non pochi in quella sala potevano ricollegare al suo cognome un parente caduto durante la seconda guerra oscura. Il grido del cappello parlante non stupì nessuno. “Un’altra Serpeverde per nascita” venne in mente a Nat gurdandola sedersi rigida accanto a lei, senza concedere neppure uno sguardo ai bisbigli che la seguivano.
 
   
 
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