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Autore: _Black or White_    07/03/2018    3 recensioni
Germania, 2003
Accadono cose strane sulla piccola isola di Hiddensee, e ormai sono in tanti ad affermare di averne vista una.
Esistono veramente? E che aspetto hanno? Parlano, capiscono, amano?
Le sirene sono un mistero per la razza umana fin dall'alba dei tempi: nemiciamici da sempre, non possono fare a meno di cercarsi l'un l'altro.
Sarà proprio quell'attrazione irresistibile a portare il giovane Ludwig a conoscere una vera sirena.
Riusciranno i rappresentanti di due mondi tanto diversi a gettare un ponte per la conoscenza pacifica?
Riuscirà un'amicizia tanto impossibile, un amore tanto proibito, a trovare un lieto fine?
[Gerita | Spamano | accenni Pruhun]
[Merman AU]
[Lime HumanxMerman]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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NOTA:
Vi chiedo umilmente perdono, ma ho fatto un errore madornale.
Il Gellen non è il faro di Hiddensee, bensì una riserva di uccelli, dove sta anche un segnalatore (per questo li avevo confusi), posta a sud dell’isola.
Ho già corretto il primo capitolo, e vi chiedo scusa per questo erroraccio.
Buona lettura!





Per questo capitolo vi sarà utile una mappa. Poi capirete il perché.



SING FÜR MICH

2
“IL PRIMO INCONTRO”



Ludwig scalò le basse colline del Dornbusch, affondando con gli stivaletti nella brughiera acquosa.
Sciaf sciaf sciaf
Su, sempre più su; dove l’aria rarefatta odorava di lichene e di prataioli, dove le grandi querce e le conifere della pianura lasciavano il posto a rachitiche betulle bianche, cespugli di fragola selvatica e arbusti di elicriso.
Qualche gru dal piumaggio grigio scuro si spostava nel basso acquitrino, infilando il becco tra un ciuffo d’erica e l’altro, in cerca di gamberetti e uova di rospo.
Con il fiato corto per la salita, finalmente Ludwig raggiunse il sentiero del Schluckswiekberg, l’altura più alta di Hiddensee.
Starnutì violentemente nel freddo del primo mattino, spaventando una coppia di fraticelli assonnati, e si fermò un momento ai piedi del grande faro bianco e rosso: la sua torre slanciata appariva e scompariva, come un miraggio, attraverso le lingue azzurrine di bruma.
Faceva paura.
Gli abitanti più creduloni sussurravano che, nelle notti di tempesta, le anime dei marinai morti annegati strisciassero fuori dal terreno, dalla palude e dalle acque tumultuose; in cerca di pace e di vendetta, infestavano il pinnacolo con grida di ghiaccio e assordante stridere di unghie sul vetro.
Ludwig deglutì, soppesando l’idea di girare sui tacchi e tornarsene a casa, al calduccio, a leggersi un buon romanzo davanti al caminetto.
Il vento s’alzò forte e le mura del faro gemettero, facendo scappare uno stormo di anatre della Sassonia.
Ludwig indietreggiò e fece per lanciarsi in corsa giù dalla collina, ma poi il frammento di un’immagine sbiadita gli aleggiò davanti agli occhi: una coda rossa che s’immergeva tra le onde.
Non poteva, non poteva tirarsi indietro… perché aveva bisogno di sapere, perché erano tre giorni che sognava quelle pinne sparire nell’acqua, perché avrebbe tanto voluto ricordarsi che viso avesse quel ragazzino.
E poi, se si fosse arreso così, senza nemmeno provarci, avrebbe senz’altro deluso la signorina Elizaveta.
Era stata lei a convincerlo, quella fatidica sera.

« Una sirena? » aveva ripetuto, meravigliata.
Per fortuna che Gilbert era in cucina, a tirare fuori il salmone dal forno, oppure l’avrebbe sgridata.
Ludwig aveva annuito, un po’ rosso in viso: non gli piaceva l’idea che la signorina Elizaveta lo considerasse uno sciocco, uno poco serio.
Però lui non aveva nessun altro con cui parlarne.
« Ma è meraviglioso! Che fortuna, eh Ludwig? Io ho aspettato per trent’anni, ma non ho mai avuto l’occasione di vederne una! » aveva sospirato lei, lasciandolo a bocca aperta.
« Signorina Elizaveta… ma allora, mi credi? » le aveva chiesto, sospettoso.
« Ma certamente! » e gli aveva sorriso, facendolo arrossire ancora di più.
« Pe-però il bruder… »
« Oh, lascialo perdere, quel rompiscatole! » e ridacchiando, gli aveva accarezzato la testolina bionda, « Gilbert è un adulto, e quando si diventa grandi si finisce spesso con il perdere interesse per queste cose. Siamo troppo occupati a fare soldi e fama, e ci dimentichiamo di tutto il resto: storie, idee, creature fantastiche e il piacere di cercarle… le sirene, poi, sono sempre state le mie preferite. »
Ludwig si era tutto corrucciato: « Allora non voglio diventare grande. »
Lo aveva detto con una tale serietà che Elizaveta era scoppiata a ridere.
« Come mai, Ludwig? »
« Non voglio perdere interesse. Non voglio dimenticare. »
Dimenticare che esistono le sirene? E come avrebbe potuto?
« Allora cercale. » gli aveva detto lei, con il fuoco negli occhi, stringendogli una manina, « Cercale, e trovale, anche per me. »
« La cena è pronta! » aveva annunciato Gilbert, dalla cucina.
« Da dove comincio? » aveva chiesto frettolosamente Ludwig, ed Elizaveta si era chinata in avanti, riducendo il tono a un bisbiglio.
« Il guardiano del faro. »
Non aveva potuto aggiungere altro, perché Gilbert era sbucato nella sala da pranzo, reggendo una teglia di salmone cotto al forno e insaporito con menta, succo d’arancia e patate per contorno.
« Di cosa stavate confabulando così di nascosto, voi due? » aveva brontolato geloso, ma la fidanzata gli era saltata al collo, baciandolo su una guancia e cinguettando: « Oh, Gil, sembra squisito! »
E lui, stordito come un lepre nel periodo degli amori, aveva balbettato: « M-ma no, è una sciocchezza… »
« Ma quale sciocchezza, questo è un capolavoro! » e, levando trionfalmente coltello e forchetta, si era apprestata a fare le porzioni, « Presto, non vedo l’ora di assaggiarlo! »
Gilbert si era lasciato cadere pomposamente sulla sedia, gonfiando il petto come un tacchino orgoglioso e proclamando: « Beh, lo sai che sono magnifico, no? »
Elizaveta gli aveva tirato un tovagliolo in faccia, dissimulando un’occhiata complice a Ludwig con una risatina canzonatoria.


Ludwig riemerse faticosamente dal ricordo e serrò i pugnetti lungo l’impermeabile giallo.
La signorina Elizaveta contava su di lui: non era l’unico pazzo a volerne sapere di più.
Così prese coraggio e bussò sulla piccola porticina di legno.
Nessuno rispose.
Il faro era una costruzione del 1887, ma le successive modifiche lo avevano reso moderno, completamente automatizzato e accessibile al pubblico.
Ormai, il vecchio Christoph si occupava semplicemente di mantenere la lampada ad alogenuri metallici* ben pulita.
Ludwig bussò ancora, e questa volta una delle quattro finestrelle per l’osservatorio si spalancò con uno schianto, facendolo trasalire.
« Chi diavolo è a quest’ora?! » ruggì un guercio incartapecorito come il papiro egizio, scandagliando la collina sotto di lui.
Individuò Ludwig e sibilò una bestemmia tra i numerosi denti mancanti: « E tu chi sei?! Cosa vuoi?! »
Il giovane tedesco deglutì, chiedendosi se non fosse il caso di darsela a gambe, dopotutto.
« Allora?! » ringhiò il vecchio, « Ah, ho capito… è uno scherzetto da quattro soldi, no? Voi marmocchi non fate altro dalla mattina alla sera! » e venne nuovamente risucchiato all’interno del faro, « Sta’ fermo dove sei, che chiamo subito la polizia! »
Ludwig inorridì.
La polizia? Ma cos’aveva fatto di male?!
Nessun poliziotto, però, gli avrebbe mai dato retta: perché perfino un vecchio pazzo come Christoph Fischer aveva più credibilità di un bambinetto non accompagnato dai genitori.
Lo avrebbero riportato a casa, e Ludwig non voleva che il suo bruder venisse a sapere delle sue ricerche segretissime.
Avrebbe fallito prima ancora di cominciare.
« Per favore, aspetti! » gridò allora, col cuore in gola, « Volevo soltanto parlare con lei! »
Il vecchio guardiano si affacciò di nuovo alla finestrella, con la cornetta di un telefono dell’anteguerra già appiccicata alla guancia: « Cosa vuoi da me, marmocchio? Guarda che se vuoi visitare il faro, devi avere almeno sei anni. »
« Ho compiuto sei anni a ottobre e… » Ludwig scrollò il capo, « Cioè… no, non voglio visitare il faro. Vorrei farle alcune domande, signor Fischer. »
« Uh? » il vecchio si sporse verso di lui, così tanto che Ludwig temette di vederlo cadere e spiaccicarsi ai suoi piedi, « E che cosa diamine vuoi chiedermi, eh? »
« Ecco… » Ludwig si strizzò le mani, nel tentativo di farsi un po’ di coraggio, « Potrei salire, per favore? È una questione molto importante. »
« Ma sentilo… » brontolò il guardiano.
Esitò a lungo, grattandosi il mento ossuto con la cornetta del telefono. Alla fine parve decidersi e sparì dentro la finestrella.
Non si riaffacciò più.
Ludwig sospirò amareggiato, girò sui tacchi e cominciò a scendere cautamente dal Schluckswiekberg, chiedendosi chi altri avrebbe potuto interpellare senza risultare sospettoso, su quella piccola isola.
Uno scatto metallico alle sue spalle, e un ringhio irritato dall’alto.
« Allora?! Non volevi parlare? »
Il visetto del piccolo tedesco s’illuminò di gioia: « Grazie infinite! »
« Taci, e muoviti a salire, che non ho mica tutta la mattina, io! »
Fu così che Ludwig si arrampicò sulla scalinata a chiocciola, annaspando fino alla torre più alta, a 102 piedi da terra.
Quando sbucò nella camera della lanterna, un po’ sudato, rimase immediatamente colpito dal panorama mozzafiato.
Non era mai salito sul faro del Dornbusch prima d’ora, ed era veramente magnifico: si aggrappò alla ringhiera di metallo e percorse con gli occhi spalancati le lisce colline verdeggianti, i tassi che si abbarbicavano ai piedi del faro, gli ontani nelle chiazze paludose; seguì il volo di uno stormo di oche di Pomerania, e poi i sentieri di sabbia bianca che attraversavano i prati d’erba sbiadita, dove il mare, molto più a sud, s’accartocciava in ampie onde schiumose.
Tra quelle acque, da qualche parte…
« Ebbene?! »
Ludwig sussultò, e il vecchio Christoph zoppicò fino a una poltrona tutta malconcia, mezza sfondata, buttata in un angolo della torre.
« Vieni qui, senza nemmeno presentarti, e pretendi di parlarmi a quattr’occhi. Chi diavolo sei tu, moccioso? » mugugnò, infilandosi una pipa tra le labbra spaccate dal sale e accendendone il fornelletto con un fiammifero.
Ora che finalmente poteva vederlo da vicino, Ludwig si rese conto che era davvero molto, molto anziano.
L’occhio destro era chiuso, deturpato da una brutta cicatrice rosa scuro, dall’aspetto piuttosto recente; l’altro, invece, era d’un azzurro perlaceo, quasi bianco, spalancato verso la sua preda.
La rada chioma brizzolata era nascosta da un trapper* d’ermellino rosso, e il corpo scheletrico e ricurvo - come una di quelle betulle tra le dune - da una giacca a vento lunga fino alle ginocchia e un maglione di lana pesante.
Era inquietante, e molto diverso dai pescatori e stallieri di Hiddensee, alti, tozzi e muscolosi.
Ludwig non ebbe bisogno di chiedersi il perché ne avessero tutti paura, e perché lui li evitasse come degli estranei: nel suo unico occhio pallido languiva una dolorosa consapevolezza, come se avesse visto cose che nessuno di loro, nemmeno Ludwig, avrebbe mai potuto capire.
« Che hai da fissarmi tanto? » ringhiò il guardiano, e il giovane tedesco si affrettò a distogliere lo sguardo.
« M-molto piacere, signor Fischer. Mi dispiace di averla disturbata di mattino così presto. Io sono Ludwig. »
« Ludwig? » sbottò il vecchio, mordendo il bocchino della pipa, « Il fratello minore di Gilbert Beilschmidt, direttore della Henni Lehmann*? »
« E-esatto. » Ludwig sollevò nuovamente lo sguardo, un po’ sorpreso, « Conosce bene mio fratello? »
Il vecchio soffiò via dalle narici una nube di fumo puzzolente, accomodandosi meglio sulla poltrona sfasciata: « Ci ho parlato una volta sola, quella notte di tempesta maledetta. Voleva sapere delle sirene. »
Ludwig trattenne bruscamente il respiro; quasi senza volerlo, il suo sguardo corse nuovamente alla cicatrice fresca.
Era così strana: si diramava in cinque lunghi rami, come la zampata di una qualche bestia.
Era troppo grande per essere l’opera di un gatto, o di un cane, e di linci o orsi su quell’isola non ce n’erano.
Qualunque cosa fosse stata, gli aveva strappato via l’occhio senza pietà.
« Allora, marmocchio, cos’è che volevi chiedermi? » soffiando via altro fumo, il vecchio ghignò, mettendo in mostra i pochi denti gialli rimastigli, « Spero per te che non sia qualcosa di strano, o di illegale. »
Ludwig spalancò la bocca, inorridito e anche un po’ offeso: « No! No, niente del genere! Io volevo… uhm… » si mordicchiò il labbro inferiore, cercando di posare gli occhi su qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse quella cicatrice.
« Entro domani, giovanotto. »
« Ecco, io volevo… volevo chiederle appunto delle… delle sirene. »
Strizzò gli occhi, incerto su cosa aspettarsi: magari un urlaccio, un’esplosione di rabbia, di farsi tutte le scale a calci nel sedere, o direttamente di essere buttato giù dal faro…
Di certo, non si sarebbe mai aspettato che il vecchio scoppiasse sguaiatamente a ridere.
Una violenta crisi di tosse asmatica lo costrinse a fermarsi, e dovette sfondarsi il petto a suon di pugni prima di poter continuare: « Mi prendi in giro, ragazzino?! »
Ludwig si erse in tutta la sua microscopica altezza: « Proprio no, signor Fischer. »
« E come mai un nanerottolo come te vuole sapere delle sirene? Non dovresti essere tra i banchi di scuola a studiare, a scambiare figurine dei calciatori con i tuoi amichetti? »
Ludwig abbassò lo sguardo.
Amici? Quali amici?
Nessuno voleva essere suo amico, nessuno gli si era mai avvicinato per parlargli, per scambiare figurine.
Chissà, forse era per colpa del fatto che era lui il migliore della classe, nella piccola scuola elementare della cittadina di Vitte.
Il vecchio lo studiò a lungo, inalando l’ennesima boccata di fumo.
« Capisco. Un altro relitto umano, mh? Solo come un lupo di mare. »
Ludwig non ebbe nemmeno il tempo di offendersi, di protestare, che il signor Fischer si tolse di bocca la pipa, ormai completamente avvolto da una nube grigia, e si piegò in avanti, facendo cantare le molle della poltrona.
« Speri forse che un’altra razza possa salvarti dalla tua solitudine? Per me non è stato così. Quindi, faresti meglio a integrarti per bene con il genere umano, invece di andare a caccia di stupide leggende. »
Ludwig aggrottò le bionde sopracciglia: per quanto rispetto potesse nutrire nei confronti dei grandi, non gli piaceva che quel vecchio, quel perfetto estraneo, gli parlasse così.
Lui non stava fuggendo dagli uomini… no? Era semplicemente curioso.
Chiunque lo sarebbe stato, di fronte a una razza sconosciuta.
« Però… però non sono soltanto leggende. Lei le ha viste, giusto, signor Fischer? »
Il vecchio lo scrutò in silenzio, come se fosse lì lì per negare, e Ludwig non abbassò lo sguardo, neanche quando gli occhi presero a bruciargli disperatamente.
Poi, finalmente, il guardiano si rilassò e tornò a fumare la sua pipa.
« Sì, le ho viste… » scoppiò in una risata rauca e forzata, « E non ce n’è uno, su questo sputo di terra, che mi abbia creduto. Al diavolo! » ringhiò, sbattendo improvvisamente un pugno sul bracciolo della poltrona, « Loro e il loro buonsenso, io so quello che ho visto! »
« Io le credo, signor Fischer!» intervenne accalorato Ludwig, senza riflettere, « Perché l’ho visto anch’io! »
L’occhio sano del vecchio lampeggiò pericolosamente, e il giovanotto si ritrasse.
« Cos’è che avresti visto, eh? »
Accidenti, si era lasciato prendere dall’emozione, e non aveva riflettuto bene prima di parlare.
Christoph Fischer era la sua unica speranza, l’unico faro in mezzo all’oceano che potesse guidarlo verso le sirene… però era pur sempre un vecchio pazzo.
Doveva dirglielo? Poteva fidarsi?
Decise per un compromesso, e gli raccontò una mezza verità.
« Uhm… qualche giorno fa, nel… nel Neuendorf. Stavo passeggiando sul porto di Plogshagen e… ho visto qualcosa che s’immergeva tra le onde. Non sembrava una focena, e nemmeno una foca, però… »
« Però non ci potevi credere. » concluse il vecchio per lui, e Ludwig annuì mestamente.
« Perciò sono venuto da lei, a farle questa strana domanda. »
Il vecchio si tolse la pipa di bocca, soppesandola nella mano grinzosa: « Sei sicuro di voler andare fino in fondo, marmocchio? Queste non sono storielle per pappamolle, o favole prima di andare a letto. Quello che ho visto, per quanto assurdo possa sembrare, è tutto vero. »
Ludwig deglutì.
« Se, nonostante tutto, vuoi comunque che io ti racconti ciò che so… »
Il giovane tedesco cominciava ad avere paura, a rendersi conto che forse quella era una faccenda troppo grande per lui.
Desiderava così tanto risolvere il loro mistero? Anche a costo di perdere tempo, di rovinare quel piccolo, piccolissimo legame che aveva stretto con gli altri cittadini? Anche a costo di perdere la testa?
Se non ci erano riusciti gli adulti, con le loro barche moderne, i loro idrofoni* potentissimi, le loro squadre di ricerca superorganizzate e le loro conoscenze infinitamente superiori alle sue, come diamine avrebbe potuto riuscirci lui, bambinetto di sei anni, tutto da solo?
« Suvvia, West, ti facevo più terra terra. Le sirene mica esistono, no? »
Avevano ragione loro, i grandi: avrebbe dovuto concentrarsi sugli esseri umani, a diventare parte di loro, a integrarsi… perché chi corre dietro alla fantasia, a ciò che non è materiale, rischia sempre di restare con un pugno di fumo tra le mani.
Se vivere su un’isoletta di pescatori gli aveva insegnato qualcosa, era che chi dorme non piglia pesci.
Sollevò il viso, e mentre guardava il mare in lontananza, i suoi occhi azzurri brillarono: « Sì. Sì, voglio che lei mi racconti ciò che sa. Perché non ci chiudo occhio, perché ormai gli esseri umani mi appaiono terribilmente noiosi, perché non so più quello che ho visto. E non è l’idea che le sirene possano esistere a spaventarmi… bensì l’esatto contrario. »
Lo aveva detto, alla fine.
Fece un lungo respiro, e guardò in faccia il vecchio.
Christoph Fischer annuì lentamente, e nel suo unico occhio latteo non pulsavano più indignazione e sospetto.
« Molto bene, giovanotto. »
Anche il tono con cui lo chiamava era molto diverso.
Il vecchio si alzò in piedi e aprì la pesante porta di ferro che conduceva all’abitacolo dell’osservatorio: « Vieni dentro, e siediti. Ti racconterò quello che so. »
Ludwig obbedì, eccitato come il cavaliere che entra nella caverna dell’anziano dragone soggiogato.


Il signor Fischer posò sul tavolo, davanti al bambino, una tazza fumante d’infuso di timo; si sedette sulla cigolante sedia di legno, tra la montagna di scartoffie, vecchi libri, mappe e giornali spiegazzati, e subito il vecchio gattone gli balzò in grembo, accoccolandosi fino ad assomigliare a un polletto pronto per entrare nel forno.
Era un norvegese color antracite, con una meravigliosa criniera di peli bianchi intorno al collo, e perfino Ludwig, che preferiva i cani ai gatti, non poté che ammirarne la placida eleganza.
Prese la tazza e assaggiò la profumatissima bevanda, mentre il vecchio iniziava a parlare.
« Dunque, ovviamente sai che le ho viste per quattro volte, no? Suppongo che ti sia già fatto raccontare della mia penultima, da tuo fratello maggiore. »
Ludwig si scottò quando annuì troppo in fretta, impaziente di sentire il seguito.
« Oh, bene, non sei così sprovveduto come pensavo. » il signor Fischer grattò distrattamente le orecchie del micione, che prese subito a fare le fusa, come un vecchio motorino, « Inizierò dall’inizio. La prima volta le vidi più di quarant’anni fa, quando avevo appena accettato il compito di salvaguardare questo faro. Ai tempi non era mica tutto automatico, e dovevo fare continuamente su e giù per portare il combustile alla lanterna, e pulirla, e chiudere le tendine di giorno, per tenere i vetri protetti dai raggi del sole. Un lavoraccio. Ebbene, fu al sorgere del sole di un giorno qualsiasi, proprio mentre stavo per spegnere la luce e andarmene a letto, che ne vidi una per la prima volta. »
Prrrr prrrr prrrr, il gattone faceva da sottofondo alla storia.
« Abbronzato, muscoloso, con i capelli corti e ricci: a una prima occhiata mi era sembrato un turista, uno di quei giovinastri latini a cui piace mettersi in mostra davanti alla pollastrella di turno. Ma poi s’immerse, e vidi la coda. »
Ludwig risucchiò rumorosamente la tisana, gli occhioni azzurri spalancati, e il vecchio fece spallucce: « Quella prima volta pensai di avere avuto un abbaglio. “Quando il sole spunta all’orizzonte, la rifrazione della luce sull’acqua del mare può giocarti dei brutti scherzi”, liquidai tutto così. Poi, quasi dieci anni dopo, ne vidi una di nuovo. »
Fece una pausa, aspirò una boccata di fumo e la soffiò lontano da Ludwig: « Questa volta era una femmina: una fanciulla dai lunghi capelli scuri, e dagli occhi verde foglia. Stava nuotando a pelo d’acqua, sotto ai ponti del porto di Neuendorf. Fu come se riuscisse a percepire il mio sguardo, perché si voltò verso di me, e un attimo dopo si rituffò in profondità. Vidi la sua pinna, e compresi del perché ne ero rimasto tanto incantato. »
Il signor Fischer sospirò dolorosamente: « Tu sei ancora troppo giovane, non puoi capire. »
Ludwig non replicò, e finì la sua tisana.
No, non riusciva a capire: dopotutto, aveva solo sei anni.
« Beh, la terza volta già la conosci. Una coppia: erano molto lontani, e grandinava così forte che riuscii a malapena a intravederne le code. Sembravano il giovanotto riccioluto e la splendida fanciulla, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Poi, la quarta e ultima volta. »
Il vecchio fece un’altra pausa, studiando per un momento un calendario appeso al muro: « Oh sì, giusto un paio d’anni fa. La vedi questa? » e si picchiettò con la pipa sulla cicatrice rosa acceso, « Era di nuovo lui: il riccio. Stava sonnecchiando nell’acqua bassa della baia, a qualche chilometro dal porto di Kloster. Non sembrava star bene, perché era tutto rannicchiato su un fianco, e si abbracciava la coda, respirando come fanno gli asmatici. »
“Poverino” pensò Ludwig, e subito si stupì di quella sciocchezza.
« Che cosa provò, nel vederne una da così vicino, signor Fischer? » chiese allora, affascinato.
Il vecchio fece spallucce, scosso da un improvviso colpo di tosse: « Mi faceva pena, e mi dimenticai di urlare, di chiamare qualcuno, di scattargli una foto. In quel momento non avevo davanti una creatura fantastica, bensì un essere che soffriva. Volevo aiutarlo, così corsi sulla spiaggia e cominciai a spingerlo verso il mare. Volevo ributtarlo in acqua, pensavo che gli avrebbe fatto bene, visto il suono che faceva mentre respirava. Ma poi… »
Ludwig trattenne il respiro.
Il gattone si alzò sbadigliando, fece una gobba enorme mentre si stiracchiava e poi balzò giù dal grembo del guardiano; si strusciò per un momento contro le gambe della sedia di Ludwig, e poi si allontanò mulinando la vaporosa codona a ciuffi.
« Ma poi…? » insistette Ludwig, impaziente.
Il signor Fischer fece un suono strano con la bocca: una specie di gemito soffocato.
« Quel demonio irriconoscente, non parve gradire le mie attenzioni, perché si alzò di scatto e mi tirò una bella graffiata. Proprio così. » sorrise all’espressione spaventata di Ludwig, « Sull’occhio. Aveva le unghie lunghe e forti, e si portò via buona parte del bulbo. Ero così impegnato a bestemmiare e spruzzare sangue ovunque che non mi accorsi nemmeno quando rientrò in acqua strisciando. »
Il giovane tedesco deglutì pesantemente, impallidito.
E così, le sirene non erano dolci fanciulle che pizzicavano arpe fatte con una conchiglia, incantando i marinai… bensì creature pericolose.
Ludwig cominciava a rendersi conto di non potercela fare da solo.
Finché si trattava di un cucciolo, niente sarebbe potuto andare storto; ma se avesse incrociato il cammino con un esemplare adulto? Nessuno avrebbe potuto prevedere come sarebbe andata a finire.
« Ti ho spaventato, eh? Te l’avevo pur detto che questa non era una storia per mocciosi. » osservò burbero il guardiano, ma Ludwig si affrettò a scrollare il capo.
« Non ho paura! Stavo solo pensando… mi dispiace per il suo occhio, signor Fischer. »
Il vecchio mugugnò qualcosa tra sé e sé, scuro in volto.
« Sì, beh, ormai non importa più. Abbiamo due occhi proprio per situazioni come questa. » svuotò il fornelletto della pipa in un portacenere di vetro, « Ad ogni modo, quella non fu certo l’ultima volta che ebbi un contatto con loro. »
« Ah no? » Ludwig era stupito.
« Nah. Non lo racconto in giro, perché altrimenti si metterebbero tutti a cercarle sul serio, e dopo quell’incidente col mio occhio ci ho rinunciato. Ho capito che sanno difendersi, se vogliono, quindi meglio lasciarle stare. » scoccò un’occhiataccia a Ludwig, che si fece piccolo piccolo sulla sedia, « Bada bene, giovanotto, questo vale anche per te. Va bene guardarle da lontano, al sicuro dalle loro unghiacce, però vedi di non fare il mio stesso errore, eh? Non sopporterei di avere sulla coscienza la testa di un marmocchio di sei anni. »
Ludwig annuì lentamente, concentratissimo: « Glielo prometto. Vada avanti, per favore. »
Il vecchio accavallò le gambe: « Ebbene, è da un po’ di tempo che la sento. Negli ultimi mesi si è fatta sempre più forte, più chiara, come se ogni volta si avvicinasse un po’ di più alla costa. »
Il cuore di Ludwig, chissà perché, cominciò a martellare come un pazzo.
« Che cosa, signor Fischer? » lo incalzò.
Il guardiano rovistò borbottando tra le scartoffie sparse sul tavolo, ripescò una mappa dell’isola e la lisciò per bene davanti a Ludwig.
« Non sono riuscito a delinearne un calendario preciso, ma ci sono notti in cui lo sento. »
« Cosa? Cosa? » Ludwig stava per saltellare sulla sedia, tanto era sulle spine.
« Il canto di una sirena. » il guardiano puntò il dito sulla mappa, e il giovane tedesco salì con le ginocchia sul legno.
« Dal faro non riesco a vederla, ma sembra proprio provenire da queste parti. È sempre la stessa, almeno questo sono riuscito a capirlo. »
Era proprio nella baia di Jeliel, per forza il signor Fischer non era riuscito nemmeno a scorgerla.
Ludwig annuì tra sé e sé, gli occhi che brillavano di determinazione.
Balzò giù dalla sedia e fece un saluto educato al guardiano: « La ringrazio infinitamente per tutto, signore. Adesso devo andare, mi scusi. »
Corse alla porta che dava sulla scalinata a chiocciola, ma il vecchio ricomparve improvvisamente accanto a lui, spaventosamente veloce nonostante l’età.
« Tu sai qualcosa di quella sirena, giusto? » gli chiese, stringendogli una spalla.
Ludwig esitò.
Gli aveva raccontato del porto di Plogshagen per depistarlo, per proteggere, se anche in minima parte, quel bambino.
Perché in fondo non si fidava degli adulti.
« N-no, purtroppo. Però voglio provare ad ascoltare, chissà che non riesca a sentirla anch’io. » e si sforzò di fare una faccia innocente.
« Già… chissà che tu non ci riesca. » il vecchio gli lasciò il braccio e gli aprì la porta, « È stato bello poterne parlare con qualcuno, senza sentirmi dare del pazzo ubriacone. Torna a trovarmi, eh giovanotto? E raccontami delle tue scoperte. »
« Lo farò. » gli gridò il bambino, correndo giù per le scale.
Non era un uomo malvagio, dopotutto, però Ludwig non poteva ancora fidarsi ciecamente.
Lo avrebbe messo alla prova, perché adesso aveva finalmente qualcuno con cui condividere quell’incredibile segreto.
Non c’era tempo da perdere: di volata a casa, e poi a scuola, come un bravo bambino. Non doveva dare nell’occhio, non doveva rovinare tutto, adesso che aveva una pista.


Gilbert russava già da due ore, quando Ludwig sgattaiolò silenziosamente oltre la porta della sua stanza, e poi fuori dal portone principale, in giardino.
La loro villa si ergeva orgogliosa a pochi chilometri dal porto, un po’ in disparte rispetto alle altre abitazioni, nel bel mezzo di un parchetto recintato da un alto cancello gotico.
Era notte fonda, e il respiro del mare slittava verso di lui in folate gelide e prepotenti; Ludwig si strinse nel giaccone e attraversò il vialetto di ghiaia scricchiolante.
S’irrigidì per un momento, quando i tre cagnoni che vivevano con loro gli si avvicinarono, gioiosi.
« Shhh, Blackie, Berlitz, Aster, buoni… state buoni, eh? » e per distrarli, prima che cominciassero ad abbaiare vogliosi di giocare, tirò fuori tre bocconcini di carne di pecora e li lanciò lontano, sul prato.
I cani si lanciarono all’inseguimento, aggrovigliandosi le zampe nel tentativo di divorare anche la parte degli altri, e Ludwig richiuse il cancello con un sospiro di sollievo.
Si mise in marcia sulla strada lastricata, soffiando fiato bianco dalla bocca e stringendo il piccolo involucro di carta stagnola nella sua tasca.
Venti minuti dopo avvistò il boschetto di larici e abeti bianchi, abbarbicato al ripido pendio che conduceva a Jeliel.
Con il batticuore che aumentava man mano nel suo petto, Ludwig lasciò il sentiero e si addentrò tra i tronchi odorosi di resina, camminando su un tappeto di aghi rossastri, scivolando sul terriccio fangoso e incastrandosi più di una volta nei cespugli di olivello spinoso.
Dopo un’estenuante ricerca, individuò il punto perfetto: un avallamento quasi a livello del mare, ben nascosto dall’erba incolta e dai giovani arbusti di pino.
Si accucciò il più comodamente possibile, calandosi il cappuccio sul viso infiammato dal freddo, perché non aveva idea di quanto ci sarebbe voluto, o se si sarebbe fatto vedere quella notte.
Nascose le mani sotto alle ascelle per tenerle al caldo e puntò gli occhioni azzurri sulla linea del mare, che si estendeva immensa e piatta.
E attese.


Si svegliò di soprassalto.
Che ore erano?
Il cielo era ancora nero come basalto, ma il vento si era calmato.
Il cappuccio gli era caduto indietro, e doveva essersi addormentato su di una pietra, perché aveva la guancia tutta graffiata e dolorante.
S’infilò una mano nella tasca e ne tirò fuori l’involucro di stagnola, fece per alzarsi in piedi e sgranchirsi un po’ le gambe intirizzite… ma qualcosa si mosse velocemente nell’acqua, pietrificandolo.
Gli balzò in cuore in gola: davanti a lui, a pochissimi metri di distanza, il bambino lo stava fissando a occhi sgranati.
« Ciao… » sussurrò Ludwig, ma la sirena si ritrasse immediatamente, immergendosi fino quasi a scomparire.
« Aspetta, ti prego! » Ludwig sollevò le mani nel tentativo di calmarlo, e gli sorrise rassicurante, « Non voglio farti del male, non andare via. »
Parve funzionare, ma solo in parte, perché del giovane tritone ricomparve solo la fronte.
Lo stava studiando molto attentamente, ed era chiaro che al primo passo falso se la sarebbe filata senza guardarsi indietro.
Ludwig cominciò a scendere cautamente dalla collina, temendo che a ogni scricchiolio di rametto la sirena sarebbe scappata.
Raggiunse la spiaggia e quella nuotò un po’ indietro, come se non gradisse particolarmente l’accorciarsi delle loro distanze.
« Stai tranquillo, non ti faccio niente. » gli sorrise ancora, e già i muscoli delle guance gli facevano male, perché non era abituato a tutte quelle smorfie amichevoli.
I suoi sorrisi, tuttavia, parvero rilassarlo, perché smise di allontanarsi, limitandosi a galleggiare con metà della testa fuori dall’acqua.
Era una scena incredibile, e ancora Ludwig non poteva credere di non stare sognando: si sentiva inspiegabilmente calmo, nonostante il cuore gli andasse come un treno.
Si fermò un momento per studiarlo attentamente.
Era… era…
Bellissimo.
Fu il primo aggettivo che gli venne in mente.
Un visino dolce, la pelle molto più bruna di quella di Ludwig, capelli lisci - fatta eccezione per un ciuffetto sulla tempia sinistra - e rossi come le foglie d’autunno, che umidi si appiccicavano sulla fronte e intorno ai grandi occhi color dell’ambra più pura, i quali possedevano una pupilla in grado di contrarsi volontariamente.
Sarebbe parso un normalissimo bambino, se non fosse stato per quelle lunghe orecchie di cartilagine increspata, dello stesso colore delle iridi.
Ludwig non poteva ancora vederne il corpo e la coda, nascosti com’erano dall’acqua scura, ma non vedeva l’ora di scoprire di che forma sarebbe stata quest’ultima.
S’inginocchiò piano sulla sabbia: « Riesci a capire quello che dico? »
La sirena annuì appena, e Ludwig ne fu talmente felice che per poco non spiccò un salto verso il cielo.
Le sirene potevano capire la lingua umana! Quello avrebbe reso le cose mostruosamente facili.
Scoprire piccoli particolari di lui, della sua specie, poterlo osservare da così tanto vicino che i capelli gli si erano rizzati sulla nuca per i brividi, e potergli parlare e farsi capire… era una sensazione pazzesca.
« Io mi chiamo Ludwig. » gli disse, indicandosi il petto e poi indicando lui, « Tu come ti chiami? »
La sirena esitò a lungo, poi si erse fuori dal mare per scoprire la bocca ed emise uno strano fischio.
« Come? » ripeté Ludwig, « Non ho capito. »
La sirena fischiò di nuovo.
Era un suono adorabile, ma incomprensibile per il giovane tedesco.
Fu allora che capì: le sirene comprendevano il linguaggio umano, ma non sapevano parlarlo.
« Riesci a dire “Ludwig”? » lo incoraggiò, allargando bene la bocca per mostrargli il labiale, « L-u-d-w-i-g. Coraggio, provaci. »
La sirena inclinò il viso, e per un orribile istante Ludwig temette che se ne sarebbe andata… ma poi quella socchiuse le labbra e mugugnò qualcosa.
« Liuuuu… tviiiiiik… »
Il giovane tedesco dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere: « Non male, ma puoi fare di meglio. Ascoltami bene: Luuuudwiiiig. »
Il giovane tritone gonfiò le guance e si corrucciò tutto nello sforzo: « Liuuuu… Luuuu… dviiiiiik… »
« Ancora. » insistette Ludwig, « Puoi farcela. »
Era carino quando si concentrava, e a giudicare dalla fatica sul suo visino, quella doveva essere la prima volta che parlava fuori dall’acqua.
« Luuuuudwiiiiiiiig! » gridò, e questa volta il giovane tedesco non riuscì a fermarsi in tempo.
Scoppiò a ridere, e la sirena si spaventò di quel suono così strano, allontanandosi dalla spiaggia con un colpo di pinna.
« Oh no, scusami, ti prego! » si affrettò a calmarlo Ludwig, gattonando fino a immergere le ginocchia nella risacca, « Non volevo spaventarti, mi dispiace. Non lo faccio più, non andartene via. »
Il giovane tritone lo scrutò titubante, come se non riuscisse a decidersi se fidarsi o scappare il più lontano possibile.
A Ludwig venne un’idea.
« Ehi, vuoi provare il cioccolato? » e scartò con impazienza la stagnola dell’involucro, « È buono, sai? »
Staccò un pezzetto della barretta di cioccolato al latte, quella che si era portato da casa come spuntino, porgendola alla sirena con un sorriso amichevole.
Quella drizzò le lunghe orecchie ossee, e le sue piccole narici si allargarono confuse.
Poteva respirare, e sentire anche gli odori: altro particolare molto interessante.
« Ha un buon profumo, no? » Ludwig si avvicinò di un centimetro, pianissimo, « Assaggiala. »
Ma il giovane tritone non si fidava ancora, così il piccolo tedesco si mise in bocca il pezzetto di cioccolato: « Hai visto? Non fa male. »
Parve convincerlo, perché gli si fece appresso, nuotando nell’acqua bassa della spiaggia fino a emergere completamente.
Il cuore di Ludwig voleva scappare, e tra poco ci sarebbe riuscito, se avesse continuato a battergli così furiosamente.
S’impose di non strillare, di tenere ferma la mano che reggeva il cioccolato, anche quando la sirena si trascinò sui palmi verso di lui, gli occhi solo per quel cibo dall’odore stranissimo.
Lo prese direttamente con la bocca, e quando si rese conto che si stava sciogliendo, sgranò gli occhioni gialli e arrossì.
« Ti piace? » gli sorrise Ludwig, che si sentiva talmente euforico che presto gli sarebbe venuto un infarto, « Si chiama “cioccolato”. Riesci a pronunciarlo? »
« Sio… cio… cioooooh… »
« Piano, non ti sforzare. È ancora troppo difficile come parola. »
Troppo difficile per cosa? Mica doveva insegnargli a parlare… o forse sì?
Era un’idea meravigliosa! Geniale!
Aveva appena trovato una scusa per poterlo rivedere.
Il giovane tritone stava fissando insistentemente la barretta nella sua mano, così Ludwig gliela offrì con piccoli gesti invitanti, appallottolando la stagnola con l’altra e infilandosela nella tasca.
La sirena la mordicchiò, dapprima un po’ sulle spine, come se si fosse appena resa conto di aver mangiato cibo sconosciuto dalle mani di un essere sconosciuto; ma poi prese confidenza, perché Ludwig sapeva starsene immobile come una statua, per non spaventarlo.
La verità era che se ne stava approfittando per poterlo guardare da vicino, e imprimersi quella visione impossibile nelle retine, come quando si guarda un angelo.
Tra le dita aveva una spessa membrana di pelle, e Ludwig notò, con un piccolo brivido, che le unghie erano già piuttosto lunghe… però aveva la pelle liscia e perfetta, senza scaglie, senza un pelo.
Le branchie erano tre larghi lembi di pelle posti sui fianchi, e in quel momento erano perfettamente chiusi.
Chissà se gli dava fastidio respirare l’aria, si domandò Ludwig, ripensando al tritone sofferente che aveva accecato il signor Fischer.
Poco sotto all’ombelico iniziava ad allungarsi la coda di pesce: rossa come i suoi capelli, aveva una pinna gialla dalle estremità ben divise, non a pagaia come se le era sempre immaginate.
Sull’inguine si adagiava sulla sabbia una lunga pinna ventrale, e sul sedere ne aveva un’altra ancora.
La risacca del mare si riversava sulla sua coda, muovendogliela avanti e indietro, ricoprendogli di sabbia fradicia le squame rosse, raccogliendosi tra uno spazietto e l’altro della cartilagine giallo intenso.
Era talmente reale, lucido e stupendo, che a Ludwig venne un’improvvisa voglia di toccarlo.
« Devo trovarti un nome. » pensò a voce alta, mentre l’altro divorava l’ultimo pezzettino di cioccolata e poi annusava irrequieto il suo palmo, « Ehi… forse, se ti insegnassi la mia lingua come si deve, potresti dirmelo tu come ti chiami. »
La sirena gli leccò le dita, e Ludwig ridacchiò deliziato.
« Ti è piaciuto, eh! Va bene, te ne porterò dell’altro. »
Il giovane tritone sollevò lo sguardo su di lui.
Aveva effettivamente una seconda palpebra semitrasparente, che ogni tanto si distendeva sugli occhi per poi ripiegarsi agli angoli, segno forse che l’aria secca gli stava dando fastidio.
Ludwig doveva lasciarlo andare, lasciare che tornasse a casa, anche se non voleva; si rese conto, con una fitta di tristezza, che avrebbe potuto continuare a guardarlo e a parlare con lui fino all’alba.
« Domani… » cominciò, ma un ramo si spezzò alle sue spalle con un colpo secco.
« West! »
La voce di Gilbert li raggiunse come un fulmine a ciel sereno.
Il giovane tritone trasalì e strisciò sulla pancia all’indietro, buttò la coda di lato per potersi voltare e si rituffò in mare con un balzo.
« No, aspetta! »
Ludwig lo rincorse per i primi due metri, ma ecco che la pinna gialla comparve per un istante tra le onde basse, e quella più piccola dorsale s’inabissò fino a sparire del tutto, inghiottendolo tra i cerchi di schiuma.
Ludwig deglutì: vederlo andare via così, senza nemmeno averlo salutato, senza avergli detto di tornare lì anche domani, era stato duro come ricevere un calcio allo stomaco.
« West! »
Gilbert lo raggiunse scivolando lungo il pendio, portandosi dietro una cascata di sassolini, e lo abbracciò con forza: « Ma sei matto?! Mi hai fatto venire un colpo! Cosa stai facendo qui, a quest’ora?! »
Ludwig cercò di non mostrargli il suo sconcerto, e modulò la voce che gli tremava fra le labbra: « Non preoccuparti, bruder, sto benissimo. Ero… ero solo venuto a vedere le foche. »
« Le foche? » ripeté basito Gilbert, e il fratellino annuì con vigore.
« C’era una foca sulla spiaggia. Era vicinissima e mi sono fermato a guardarla. Vedi… ho letto in un libro che le foche a volte si fermano a dormire sulla sabbia, ma di giorno c’è troppo rumore, e loro non si avvicinano. Così sono uscito di nascosto… » fece una faccia colpevole, e Gilbert sospirò di sollievo, quando comprese.
« Ah, ecco. » si rabbuiò subito, « Però la prossima volta svegliami, che ci andiamo insieme. »
« Ma bruder! » protestò Ludwig, « Tu sei rumoroso come un cinghiale, e non sapresti startene zitto e fermo mentre le aspettiamo. Rovineresti i miei appostamenti! »
Gilbert scoppiò nella sua risata simile a un latrato, lo prese per mano e lo guidò di nuovo tra gli alberi, sul pendio.
« Allora va bene se ti lascio andare da solo? Sei sicuro? »
« Sì, ormai sono grande. »
« Ma sentilo, questo piccolo scienziato impertinente. Va bene West, però la prossima volta avvertimi prima di uscire. Voglio che ti porti dietro il cellulare, e non avvicinarti mai più così tanto all’acqua, d’accordo? Osserva i trichechi, i cetrioli di mare e tutto quel che ti pare, ma resta sull’erba, intesi? »
Ludwig sospirò: si preoccupava decisamente troppo per lui, e non che non potesse capirlo… dopotutto loro due erano rimasti senza padre dopo che era annegato in un incidente in barca.
Perciò annuì, obbediente: « Sì, bruder. »
« E torna per mezzanotte, e portati dietro un cappotto invernale, e una torcia, e… »
Ludwig si voltò per un momento, osservando malinconico il mare sotto di loro.
Gli parve di scorgere, nascosto dietro alle forme di Jeliel, una figurina umana immersa nell’acqua.
Ludwig la fissò intensamente, pensando con tutte le sue forze:
“Domani. Torna domani.”
La sagoma sparì.
Era stata solo la sua immaginazione?
Il cielo andava pian piano rischiarandosi su Hiddensee, tingendo le chiome degli alberi e i tetti di legno di una morbida aura rosata.
Si prospettava una gran bella giornata, ma già Ludwig non vedeva l’ora che arrivasse sera… e il cuore ancora non aveva smesso di battergli all’impazzata.


CONTINUA…



Note:

Lampada ad alogenuri metallici: una lampada a scarica ad alta intensità in cui la luce è prodotta mediante radiazione da una miscela di vapori di metallo, alogenuri metallici e prodotti della dissociazione degli alogenuri metallici

Trapper: cappello d’origine russa, foderato di pelliccia e con lunghe protezioni per le orecchie

Casa di Henni Lehmann: residenza estiva della famiglia Lehmann. Dal 2000 viene usata per eventi e mostre

Idrofono: microfono progettato per captare l’attività acustica sottomarina


Ed ecco il secondo capitolo!

Mi spiace di averci messo un po’, ma, come al solito, devo fare un sacco di ricerche mentre scrivo (infatti sono riuscita a sbagliarmi col Gellen… brava BoW! Un due sulla pagella di Hetalia non te lo leva nessuno!)

A mia discolpa posso solo dire che i miei problemi sono peggiorati, giustamente - _ -

Non quelli fisici, eh, bensì quelli “amorosi”.
Eh, che ci dobbiamo fare? Prima o poi le cose si metteranno a posto.

Spero che la mappa (che poi non è una mappa, ma una foto dell’isola) vi sia tornata utile. È piccola e non si vede una leppa, per via dei 500 pixel da non superare, ma comunque qualcosina dovrebbe ancora capirsi.

Con la viva speranza che vi sia piaciuto questo secondo capitolo, ci rileggiamo nel prossimo!
  
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