I. Il cortile
C’è un
chiacchiericcio vivace e rumoroso nel cortile soleggiato, un cicaleccio
insistente percorso da squillanti scoppi di risa infantili. I bambini
scorrazzano nel cortile dell’accademia rincorrendosi e sghignazzando;
alcuni stanno appollaiati sull"’erba, sulle panchine, sui rami, e
chiacchierano sbocconcellando il pranzo. Sono una massa mobile e colorata che
approfitta della ricreazione sotto lo sguardo benigno e attento dei sensei.
In quella sinfonia corale di
svagatezza ci sono soltanto due voci discordanti, imperfezioni in quel
pentagramma chiassoso di cui quasi non intaccano la melodia.
Nell’angolo accanto al
faggio, ombreggiato dalle compassionevoli foglie frementi, un bambino si
dondola lentamente avanti e indietro sull’altalena, solo. Le sue braccia
esili stringono le corde che lo fanno ondeggiare e gli occhi azzurri osservano
distrattamente il suolo, senza particolare allegria. Sembrano un po’
smarriti, sotto la zazzera biondissima di capelli, ma quando qualche altro
bambino, per caso e senza badargli, fa scorrere lo sguardo su di lui si tingono
d’insolenza e di baldanza. Nessuno risponde alla sua silenziosa sfida
– richiesta d’attenzione, forse, o semplice voglia di divertirsi
– e anzi, lo si direbbe quasi invisibile ai loro occhi. Se non ci fosse,
non se ne accorgerebbe nessuno. E se mai se ne accorgessero, sarebbero
sollevati. Ma lui esiste, e dimostrerà che ne ha il diritto come e
più di chiunque altro.
Ogni tanto, il bambino fissa
con particolare provocazione, sfuggente, l’angolo opposto del cortile dell’accademia.
Sembra cercare e al tempo stesso voler ignorare il muretto assolato che vi
è collocato: i suoi occhi lo puntano e scappano con sprezzo, come a
manifestare una qualche forma di ostentato rifiuto.
All’altro capo del
cortile, su quel muretto, c’è un altro bambino. Bruno, smilzo e
altrettanto solo, silenzioso. Mangia lentamente, a testa bassa, gli occhi quasi
del tutto celati dalle ciocche corvine di capelli che gli incorniciano la fronte. Lui
però non guarda nessuno e s’isola nell’alterigia, ed il
gioco è capovolto: sono gli altri ad osservarlo senza venire
considerati, ricevendo anzi in cambio secchi rifiuti, sguardi scostanti e
affilati scagliati da fredde iridi nere. Ogni tanto il bambino posa la ciotola e, senza nemmeno alzare la
testa, intreccia le dita sotto al mento e resta lì così, assorto,
cupo. Quando per puro caso, scacciando i capelli dagli occhi, solleva lo
sguardo e sbatte in quello ostile del bambino dell’altalena, le sue
labbra si assottigliano con superiorità e la sua espressione si colma di
sufficienza e disinteresse, mentre volta il capo con tracotanza. L’altro
socchiude gli occhi con antipatia, sembra quasi ringhiare di fastidio.
Comincia tutto da qui: un cortile rumoroso, due angoli opposti e il
silenzio tagliente di due solitudini.