28
PERDONO
La
prima sensazione
che percepì fu quella della morbida seta sotto le mani.
Piuttosto confuso,
Keros aprì gli occhi. Si trovava nella sua stanza, a letto.
Riconobbe subito
gli stucchi e le stoffe scure del baldacchino. Udì il grido
di un'anima
tormentata. Alzandosi a sedere, provò un certo fastidio alla
spalla ed un gran
mal di testa. Decise di alzarsi, cautamente. Era scalzo ed indossava
una
semplice tunica nera senza maniche, legata in vita da una fascia
argento. Con i
capelli sciolti, e qualche fasciatura a coprire le ferite della
battaglia, si
incamminò per il corridoio e lungo le scale. In testa aveva
una marea di
domande, non capiva e non ricordava molte cose. Quando
imboccò il corridoio che
conduceva all'ufficio del re, fu rincuorato dal sentirne la voce.
Lucifero
stava discutendo animatamente con un gruppo di demoni. Keros
riuscì a sentire
solo parte del discorso, che riguardava la fuga di Belzebù.
Il sovrano stava
lasciando precise disposizioni ai presenti sulle zone da setacciare,
con
l'obbligo di portargli il demone vivo, per poterlo torturare di
persona.
“Se
a
trovarlo sarò io…” domandò
Asmodeo “…posso almeno staccargli un
braccio?”.
“Anche
due”
gli rispose il re “Per quel che mi riguarda, puoi anche
staccargli le palle.
Basta che me lo porti vivo, così che possa fargli capire una
volta per tutte
perché non ci si ribella".
Keros
era
rimasto in piedi, fermo, in mezzo al corridoio. Da lì poteva
vedere quel che
accadeva nell'ufficio, senza avere il coraggio di andare oltre. Fu una
delle
serve, intenta a versare il vino al sovrano, a notarlo per prima. Pochi
istanti
più tardi, lo sguardo di sovrano e principe si incrociarono.
Il sangue misto
trattenne il fiato, mentre Lucifero si alzava. Per un momento, il
giovane pensò
che fosse saggio fuggire. Alla fine rimase dov’era ed il re
lo raggiunse,
abbracciandolo forte.
“Perdonami!”
gemette Keros, avvolto in quell'abbraccio.
“C'è
stato
un momento…” ammise il demone
“…in cui ho temuto di non rivederti
più”.
“Perdonami”
mormorò di nuovo il principe.
L'abbraccio
lasciò intravedere una porzione della gamba del sangue
misto, senza più
coprirne i tatuaggi.
“Anche
sulla gamba ha quei segni…” sussurrò un
demone ad un altro.
Keros
udì
quelle parole e si sentì a disagio. Ovviamente anche il re
le aveva udite e si
scagliò in fretta contro il demone che le aveva pronunciate.
Ne spinse il viso
contro il tavolo di legno massiccio, sbattendo rumorosamente la coda in
terra.
“Che
problemi hai?” sibilò Lucifero, ricevendo in
risposta solo balbettii confusi.
“Vi
prego!”
lo raggiunse Keros “Non è assolutamente
necessario! So quanto questi segni non
siano graditi alla vista di molti, purtroppo al risveglio ero troppo
confuso
per farci caso. Chiedo perdono per l'inconveniente”.
“Ma
che
stai…” tentò di protestare il re.
“Piuttosto…”
continuò il principe “…ne approfitto
per ringraziarvi. In guerra avete
combattuto con onore e coraggio, siete formidabili. Il vostro
contributo è
stato fondamentale per il regno”.
In
risposta
si udirono commenti imbarazzanti e di finta modestia.
“Sapete
quello che dovete fare” tagliò corto il re
“Andate. Lasciateci soli”.
Quando
nella stanza rimasero solo re e principe, Lucifero chiuse la porta.
“Come
stai?” chiese poi il demone, mentre Keros distoglieva lo
sguardo.
“Bene…”
mormorò il mezzodemone “Ho solo mal di
testa”.
“Ottimo…”.
“Ti
chiedo
scusa. Davvero” furono le parole di Keros, che ruppero
l’ennesimo silenzio.
“Per
cosa?”.
“Come
per
cosa?! Per… tutto. Per la guerra, per questo casino
e… per Sophia”.
“Oh,
piccolo! Non è stata colpa tua!”.
Il
demone
abbracciò di nuovo il principe.
“Sì,
invece. È stata colpa mia!” insistette Keros
“Io… sono un disastro!”.
“Ragazzo!
Semmai dovrei essere io a chiederti scusa, per averti lasciato solo in
un
casino simile! Tu non hai
nulla di cui
farti perdonare. Anzi, da quel che mi è stato detto, sei
stato molto bravo”.
“Bravo?”.
“Un
perfetto principe regnante. Sono fiero di te. Riuscirai a perdonarmi?
Non
volevo farti vivere la guerra…”.
“Ma…cosa
è
successo? Io ricordo solo che stavo combattendo e… quella
testa…”.
“Siediti…”.
Lucifero
indicò una sedia e versò da bere in due calici,
offrendone poi uno al giovane.
“A
quanti
ho tolto la vita?” mormorò Keros “E me
ne sono reso conto solo nel momento in
cui ho visto cadere la testa di un amico…”.
“Amico?!”
storse il naso Satana “Ha tentato di ucciderti! E non solo
una volta…”.
“Mi
ha
aggredito, è vero. Ma io ho le mie colpe”.
“Ti
avrebbe
ammazzato! Non avevi alternative!”.
Il
mezzodemone bevve un sorso, poi tossendo perché era un
liquore piuttosto forte.
“Hai
fatto
la cosa giusta” continuò Lucifero
“Adesso forse non ne sei convinto, perché
comunque era un tuo compagno di addestramento.
Però…”.
“Ho
ucciso
il figlio del mio maestro! Lui mi ha istruito ed io lo ripago
così?”.
“Alukah
poteva insegnare a suo figlio ad essere meno coglione!”
sbottò il re,
infastidito.
“Ma
quante
altre persone ho fatto soffrire? A quanti padri ho tolto i figli?
Quante donne
aspetteranno invano il loro compagno per causa mia? Quanti orfani
che…”.
“Finiscila!
Tu ti sei difeso! Hai protetto il tuo regno e la capitale. Non avevi
altra
scelta”.
“Ed
uccidendo che cosa ho ottenuto? Vendetta”.
“Se
qualcuno vorrà vendicarsi, lo batterai.
E…”.
“Non
parlo
solo di me! Un giorno potrei avere dei figli, no? E se venissero loro
coinvolti
in questo gioco eterno? Mettere in pericolo innocenti per scelte
sconsiderate!”.
“Keros,
questo è l'Inferno. L'Inferno è rabbia, odio,
vendetta…”.
“E
non
sarebbe ora di cambiarlo?”.
Lucifero
osservò in silenzio il principe, che svuotò la
coppa.
“Come
vorresti cambiarlo?” domandò poi il re.
“Vorrei
cambiare molte cose. Siamo demoni, i demoni cambiano e quindi anche la
loro
casa deve cambiare. Non come gli angeli ed il paradiso”.
“Anche
gli
angeli ed il paradiso cambiano. Magari non esternamente, ma
interiormente
credimi che molte cose sono cambiate. Nulla può restare
immutato”.
“Vorrei
che
tutta questa rabbia e questo odio si concentrasse sulle anime da
punire, sugli
umani peccatori”.
“Intendi
senza più guerre fra demoni? Pura
utopia…”.
“Può
darsi…”.
“Keros… ora
ti senti in colpa. Volevi bene a Nasfer, vuoi bene ad Alukah e ti penti
delle
tue azioni. Ma passerà. Tutto passa, credimi. Vai a fare un
giro, trova il modo
di sfogarti. Poi vedrai che ti sentirai meglio”.
“Però
prima
mi spieghi quel che è successo?”.
Il
re
accarezzò con affetto la testa di Keros. Il principe era
rimasto seduto, coppa
vuota fra le mani, con aria malinconica. Il sovrano, in piedi,
iniziò a
raccontare. Spiegò che Belzebù, da sempre
desideroso di sedere sul trono, aveva
deciso di approfittare della notizia di una momentanea assenza di
Satana. Non
trovando alleati fra demoni antichi, sconfitti troppe volte dal re, si
era
creato un nutrito gruppetto di fedeli fra le nuove generazioni. Promettendo terreni e
ricchezze,
era riuscito a radunare un esercito. Durante la battaglia, Lucifero
aveva
utilizzato il proprio potere e sconfitto i ribelli, riuscendo a salvare
il
principe che nel frattempo era stato circondato. Il giovane, dopo aver
decapitato Nasfer, non era stato in grado di rimanere lucido.
“Quindi
la
guerra è stata colpa mia” sospirò Keros
“Non mi ritenevano all’altezza”.
“La
colpa,
se proprio vogliamo cercarla, è mia. Perché ti ho
lasciato solo. E ti ho
costretto a vivere tutto questo”.
“Ma
io ti
ho tolto Sophia!”.
“Non
sei
stato tu ad ucciderla. Ora smettila di tormentarti. Cerca di rilassarti
e
tentiamo di andare avanti al meglio”.
Il
principe
si lasciò abbracciare di nuovo. Lo sguardo di Lucifero e
l'intero corpo del
sovrano portavano i segni della battaglia e del tempo trascorso nel
mondo
umano. Era pallido, con il viso scavato e gli occhi malinconici. Keros
voleva
chiedere ancora perdono ma non trovò altre parole.
Ascoltò in silenzio altre
cose che il sovrano aveva da dirgli. Poi decise di congedarsi, sentendo
di
nuovo la testa pulsare.
Steso
nella
vasca del proprio bagno privato, il principe fissava il soffitto. Una
lacrima
ne bagnò la guancia ed immediatamente l'asciugò
con la mano, vergognandosene.
Nel silenzio, udì chiaramente dei passi nella camera
adiacente.
“Simadè!”
chiamò.
Il
servo
subito entrò e salutò con un inchino.
“Siete
qui!” parlò “Perdono se non ero al
vostro fianco al momento del risveglio.
Aiutavo Furcas con i feriti e…”.
“Non
devi
scusarti" lo zittì Keros “Il re mi ha raccontato
che lo hai aiutato con
l'armatura”.
“Sì… Ho
tentato di rendermi utile come potevo".
“Passami
l'asciugamano".
Simadè
obbedì, indugiando qualche istante ad osservare il giovane
immerso in acqua.
“Vedo
che i
segni che avete sul corpo sono tornati come
prima…” commentò il servo, senza
staccare gli occhi dal mezzodemone.
“In
che
senso?” mosse le orecchie Keros, uscendo lentamente dalla
vasca.
“Quando
siete stato portato qui, ne avevate anche sul viso ed in buona parte
del corpo.
Ma ora sono come sempre”.
“Non
lo
sapevo. Indagherò sulla cosa. Ora aiutami, devo far visita
ad una
persona".
Non
si
aspettava di ritrovarsi a percorrere un corridoio così buio
e polveroso. Senza
nemmeno una candela, Keros camminò ed udì propri
passi riecheggiare per il
palazzo. Credeva di incontrare servitori, guardie… nessuno!
Fra le mani,
stringeva una pergamena con il sigillo reale. Nell'oscurità,
il mezzodemone
raggiunse la sala principale. Lì una figura, accovacciata,
si voltò di scatto.
Un paio di occhi rossi si illuminarono.
“Maestro"
si affrettò a dire Keros “Sono io".
La
luce rossa
si affievolì leggermente.
“Altezza…”
mormorò Alukah.
Il
demone
vampiro era chino sui resti dell'armatura del figlio e li fissava in
silenzio.
“Maestro,
io…”.
“Non
chiamatemi maestro. Non usate l'onorifico con me. Come da disposizioni,
lascerò
questo palazzo. Lasciatemi solo…”.
“Io
non
voglio che lo lasciate".
Il
mezzodemone si inchinò.
“Ma
che
fate?” si stupì Alukah.
“Sono
qui
per porgervi le mie più sentite scuse. Maestro… So
che avete rinunciato al
vostro territorio per fare ammenda ma… voi non avete colpa
alcuna. E vorrei ne
riprendeste il possesso".
Dicendo
questo, il principe porse la pergamena al vampiro.
“Perché
chiedete perdono? È stato mio figlio a sbagliare. Ed io a
non insegnargli a
stare al suo posto. Voi avete fatto esattamente quel che ci si aspetta
da un
demone".
“Non
avrei
mai voluto arrecarvi un simile dolore".
“Dolore?
La
mia è rabbia. Rabbia per aver cresciuto un figlio traditore.
Vergogna per non
aver compreso che cosa avesse in mente. Sollievo per non aver visto
sterminata
la mia intera famiglia dopo un simile atto sovversivo".
“Non
avete
nulla di cui vergognarvi. Nasfer era un ottimo guerriero, egregiamente
addestrato. Aveva le proprie idee, ma…”.
“Ma
perché
chiedete perdono? Siete stato un perfetto principe, avete guidato la
nazione in
battaglia, preso le decisioni giuste e mantenuto un atteggiamento degno
di
vostro padre. E ora? Ora venite qui a chiedere scusa? Un vero demone
non chiede
mai scusa".
“Un
vero
demone?”.
“Vi
ho
visto in guerra. Avete usato delle tecniche che non appartengono al
mondo
infernale".
“E
con
ciò?”.
“Nulla.
Dico solo che, almeno nell'atteggiamento, dovreste tentare di fare il
demone
completo".
Keros
si
accigliò.
“Maestro…”
rispose poi, con voce ferma “…io vi stimo, vi
rispetto. Non provassi simili
sentimenti, vi insulterei. Perché un demone non deve
chiedere perdono? Siamo
forse divinità? Siamo forse come colui che ha cacciato i
ribelli dal paradiso?
Siamo forse al di sopra di tutto e di tutti, talmente pieni di
sé da non essere
in grado di capire quando si ha commesso un errore? Io non sono Dio, e
non
voglio nemmeno esserlo. Io sono una creatura imperfetta e le creature
imperfette commettono errori. Sono fiero di essere imperfetto. E sono
stufo di
sentirmi costantemente giudicare come fossi una strana bestia. Perfino
voi…”.
“Altezza…”.
“Io
amavo
Nasfer. Durante tutto il nostro addestramento non ho fatto altro che
ammirare
le sue doti ed il suo atteggiamento da vero demone. Volevo essere come
lui.
Volevo essere come voi. Ma io non sono così. E, giusto
perché lo sappiate, il
re stesso chiede scusa. Per essersi allontanato troppo a lungo per
motivi
personali. Evidentemente nemmeno lui è un vero demone".
“Io…”.
Keros
depose la pergamena accanto ai piedi di Alukah, rimasto accovacciato.
“Questo
pezzo di carta vi permette di mantenere la terra ed il palazzo vostro e
di
Nasfer. Se poi proprio volete disfarvi di tutto, dividete fra
confinanti e
donate i vostri possedimenti ad altri che hanno subito perdite".
“Perché
lo
fate?” domandò il vampiro, quando il principe
già si stava allontanando.
“Perché
per
diritto tutto questo spetterebbe a me, che ho ucciso colui che qui
viveva. Miei
sono i territori di Nasfer ed i vostri, dato che li avete riconsegnati
al re
per avere pietà della vostra stirpe. Io mai potrei toccare
le vostre figlie o
la vostra casa. Perciò vi restituisco tutto".
“Ma…”.
“Chiedo
solo di poter avere un palazzo per me. Un singolo palazzo. Dove potermi
ritirare in pace, da solo, se mi verrà voglia di farlo. Il
resto, resta tutto
come prima".
“Oh… altezza…”.
“Perdonami
ancora, Alukah…”.
Senza
dire
altro, il giovane lasciò il palazzo. Vi percepiva l'essenza
di Nasfer. Ricordò
l'addestramento e quel bacio. Quell'unico bacio che mai avevano dato le
sue
labbra. Era meglio rientrare a casa…
“Non
so
perché tu lo abbia fatto…” ammise
Lucifero “…ma se ti fa stare meglio, lo
accetto".
Keros
annuì.
Era
steso a
letto, con sul capo una pezza d'acqua fredda. Aveva un gran mal di
testa. Il
re, seduto fra le lenzuola al suo fianco, tentava di tirarlo su di
morale
raccontandogli stupidaggini.
“Ti
ricordi
quando da piccolo hai rubato i dolci dalla cucina? E li hai mangiati
tutti?
Ricordi che mal di pancia?”.
“Ricordi
quando ti ho bruciato i libri?” rispose il principe
“Ebbene li ho riscritti
tutti. L'ultimo l'ho terminato in Paradiso ed è nelle tue
stanze, fra i
manoscritti".
“Grazie…”.
“Io
mantengo le promesse".
“Bravo
il
mio ragazzo".
Lucifero
passò una mano fra i capelli del giovane e lo
fissò perplesso. Affondò con più
decisione la mano fra i ciuffi rossi.
“Mi
fai
male!” protestò Keros.
“Oh... ma… Qui
c'è una sorpresa!”.
“Di
che
parli? Ho i pidocchi?”.
“Ma
no, che
dici! Vedo un cornino".
“Un
cosa?!”.
“Un
piccolo
corno. E qui eccone un altro. Due piccole corna. Ecco spiegato il mal
di
testa!”.
“Sei
serio?!”.
Keros
si
sollevò a sedere, di colpo.
“Sono
serissimo! Sei un demone! Un vero demone! Il mio piccino ha le corna!
Dobbiamo
festeggiare!”.
“Ma
com'è
possibile?”.
“La
guerra,
il sangue nemico… Chi lo sa? Ma che importa! Hai le corna!
Hai le corna!”.
Il
principe
finalmente sorrise, contagiato dall'entusiasmo del re. Poi si
alzò,
avvicinandosi allo specchio. Erano lì, per davvero. Piccole,
che lentamente
spuntavano, due corna blu. E ne fu davvero fiero.
Eccomi!
Questa volta vi lascio il link per un “GIOCHINO”
a tema Keros. Sarei lieta di vedervi partecipare :)