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Autore: sakichan24    09/03/2018    0 recensioni
Tutti ad Unima sanno che Mirton si è trasferito ad Alola, ma nessuno a parte lui sa il perché. Quello che Mirton non sa, invece, è che ad Alola troverà proprio quello che non voleva trovare.
La causa del suo aspetto malato non era certamente la troppa ansia o la monotonia della sua vita, come cercava di far credere. Era qualcosa di molto più complesso e profondo, che doveva essere tenuto nascosto a tutti i costi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Antemia/Shauntal, Mirton, Moon
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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Quando scese dall’aereo, si sentiva addirittura peggio di quando fosse partito. Aveva ragione: era stato difficile superare quel lunghissimo viaggio.
Mentre aspettava che scaricassero le sue valigie dalla stiva, cominciò a guardare fuori dai finestroni dell’aeroporto di Akala. Il cielo era azzurrissimo, molto più di quanto non lo fosse a Unima, e faceva anche più caldo. Antemia era stata saggia nel consigliargli di vestirsi a strati.
Subito fuori si vedevano le piste di atterraggio e decollo dell’aeroporto, e sullo sfondo il mare più cristallino che Mirton avesse mai visto.
Recuperati i suoi bagagli, uscì dall’aeroporto.  Doveva dirigersi verso il porto per raggiungere l’isola di Ula Ula, più precisamente la città di Malie, dove aveva trovato una casa a basso affitto.
Fuori tirava un venticello fresco che sapeva di estate e salsedine. Mirton inspirò profondamente per godersi quell’aria pulita. Per un attimo, pensò che forse avrebbe potuto aiutarlo davvero.
Preso il traghetto, si ricordò che doveva far sapere che era arrivato sano e salvo - più salvo che sano, ma comunque.
Prese il telefono e mandò un brevissimo messaggio ad Antemia, chiedendole di far sapere a tutti quanti che stava bene.
Malie gli piacque subito come città: molto tranquilla e caratteristica.
La casa che aveva trovato era molto vicina al porto, fortunatamente: la individuò subito.
Davanti alla porta lo aspettavano i padroni di casa, una coppia abbastanza anziana che lo accolse con estrema gentilezza.
- Benvenuto, signor Mirton! O, come diciamo qui... Alola! - salutò la donna, stringendogli la mano. Il Superquattro ricambiò il saluto, cercando di nascondere il proprio malessere.
- Spero che il viaggio sia andato bene - disse l’uomo, prendendo le sue valigie e aiutandolo a portarle in casa.
Una volta dentro, i due mostrarono gli ambienti a Mirton, a cui ogni stanza piaceva più della precedente. Il salotto era piccolo, ma molto confortevole: c’era un divano verde molto morbido, un tavolo con tre sedie e una poltroncina accanto ad una finestra che dava sulla strada. La cucina aveva tutto ciò di cui c’era bisogno e sia la dispensa sia il frigo erano già stati riempiti dai padroni di casa. La camera da letto dava invece sul porto e la donna gli assicurò che guardare l’alba da quel punto era meraviglioso, raccomandandogli di fare quell’esperienza almeno una volta nella vita.
Ma più che il mare e i dettagliatissimi racconti sull’alba, quello che catturò l’attenzione di Mirton fu lo scatolone di cartone appoggiato sul letto. Il suo cuore cominciò a battere più forte. Era davvero riuscito ad arrivare senza problemi?
- Oh, certo, - disse il vecchio, interrompendo il filo dei suoi pensieri - questa è arrivata stamattina. Conteneva alcuni oggetti che non sarebbe riuscito a portare in aereo, giusto?
- Ah, ecco... Sì... sì, esatto,. - balbettò Mirton, - ci sono dentro delle... cose fragili.
Cercò di calmarsi. Se il pacco era arrivato fino a lì, voleva dire che nessuno si era accorto di quello che conteneva. E i due gentilissimi signori non avevano motivo di sospettare il contenuto.
Eppure aveva una paura matta di essere scoperto.
- Forse è meglio se lo lasciamo riposare, caro, ha affrontato un lungo viaggio per arrivare qui.
Mirton ringraziò nel suo cuore la donna.
I coniugi gli consegnarono le chiavi di casa, gli spiegarono brevemente dove avrebbe potuto andare a fare la spesa e gli lasciarono un bigliettino col loro numero di telefono in caso di necessità.
Rimasto solo, Mirton si precipitò verso il pacco appoggiato sul letto. Non ce la faceva più ad aspettare, era rimasto troppo tempo senza quella.
Lo aprì con molta cautela: dentro c’erano le fotografie che aveva preso dalla mensola del camino di casa sua ad Unima, qualche libro che avrebbe occupato troppo spazio in valigia e un astuccio. Mirton lo prese in mano e lo aprì: dentro, a sua volta, in mezzo a un sacco di matite spuntate, penne e gomme c’era un piccolo sacchettino di carta. Lo strappò, impaziente, e recuperò un po’ di tranquillità solo quando vide intatte le bustine di plastica che contenevano la sua polverina bianca preferita.
***
A Mirton bastarono poche settimane per abituarsi alla tranquilla vita di Alola. Passò i primi giorni ad esplorare la città di Malie e il suo promontorio, prima di spingersi verso il Villaggio Tapu e il Percorso 15. Tutto sommato, quel posto gli piaceva: le persone erano gentili, i Pokémon erano belli a vedersi e fare quelle lunghe passeggiate lo aiutava a stare meglio.
Spesso, però, ripensava a casa propria e una fortissima malinconia lo rapiva. Si ricordava dei giorni in cui era Superquattro ad Unima, quando poteva uscire a divertirsi con i suoi amici e riusciva ancora a fare a meno della droga. Cioè, non che non ne avesse mai proprio fatto a meno: un po’ di erba ogni tanto se la concedeva, quando aveva bisogno di rilassarsi. Ma quella era facile da tenere sotto controllo, non gli aveva mai dato problemi.
Ma un giorno un suo compagno di giocate al casinò lo aveva convinto a provare della cocaina. Così, tanto per divertirsi. E Mirton non si era tirato indietro: un po’ perché era veramente curioso di provare, un po’ perché voleva vedere cosa sarebbe successo a giocare con gli effetti di quella roba in corpo. Si sopravvalutò, pensando di essere in grado di gestirne le conseguenze.
Le prime volte non furono così male: si sentiva un pochino più sveglio, più reattivo e si divertiva. Così la prese un’altra volta, e poi un’altra ancora. E in poco tempo non riuscì più a farne a meno.
Quando l’aveva realizzato, ormai era troppo tardi: aveva cercato di smettere da solo, ma non ci era riuscito.
Aveva anche valutato l’idea di andare in una clinica apposita, per poi scartare l’idea quasi subito: sarebbe stato impossibile nasconderlo agli altri Superquattro e aveva paura delle reazioni che avrebbero avuto a saperlo. Perciò aveva cercato di nascondere la cosa per un po’ di tempo e poi era partito.
Tuttavia, si vergognava tantissimo dello stato in cui si era ridotto: da Superquattro, avrebbe dovuto essere un esempio di virtù per tutti gli Allenatori di Unima. Ma aveva fallito nel suo compito, e ritirarsi gli sembrava la cosa più saggia da fare. Qualcun altro di più meritevole avrebbe preso il suo posto.
Anche ad Alola aveva cercato di liberarsi dal suo vizio, ma non era ancora riuscito. Nel primo cassetto del comodino c’era ancora il bigliettino con i nomi di persone da cui Mirton aveva cominciato a rifornirsi ad Alola: erano organizzati in una specie di gruppo che gli ricordava vagamente il Team Plasma, ma era infinitamente meno pericoloso. Si accontentavano di spaventare bambini, rubare Pokémon per poi farsi beccare in pochi minuti e pochi altri affari: forse il traffico di droga era l’unica loro attività che portasse qualche reddito.
Si facevano chiamare Team Skull.
Sapeva che comunque non era molto carino finanziare un giro di quel genere, ma non poteva proprio farne a meno.
Quel giorno aveva deciso di andare a fare un giretto sul Percorso 15 col suo Sharpedo. Aveva scoperto, tra l’altro, una cosa abbastanza interessante: il Pokémon Brutale era in grado di rompere gli scogli che si trovavano in acqua senza farsi male.
A dir la verità, quell’area non gli piaceva particolarmente: era semideserta e c’erano poche cose interessanti. Nel Villaggio Tapu non c’era nulla che valesse la pena vedere e l’ex Supermarket Affaroni era diventato noioso già la terza volta che ci aveva messo piede.
Però non aveva molti altri posti dove andare, e quindi tornava sempre lì.
Quello di cui non si era accorto è che già da qualche giorno veniva osservato.
Un uomo dai capelli grigi e gli occhi rossi aveva cominciato a seguirlo, incuriosito dalle capacità di Sharpedo. Normalmente non si sarebbe scomodato per vedere un tizio strano che andava in giro col suo Pokémon senza disturbare, ma quella volta era diverso. E, quando vide che il tipo strano aveva finito il suo giro di routine, gli si avvicinò.
- Alola, piacere di conoscerti - lo salutò, con un tono di voce piatto, - io mi chiamo Augusto e sono il Kahuna di quest’isola. Non penso di sapere il tuo nome.
Mirton rimase sorpreso. E, subito dopo, lo assalì il terrore di essere stato scoperto. Gli capitava sempre quando qualcuno gli parlava per la prima volta.
- Ahm, il piacere è mio - cominciò a balbettare, cercando di sembrare calmo, - in effetti... No, credo che non ci siamo mai visti. Io, ecco, mi... Mi chiamo Mirton, sono... ero un Superquattro della regione di Unima. Sono qui... perché... in vacanza. Sì, sono in vacanza. - concluse. Le mani gli tremavano.
- In vacanza... - ripeté Augusto. Se quello che gli avevano detto gli abitanti di Malie, cioè che era lì da più di sei mesi, era vero, si trattava indubbiamente di una vacanza molto lunga. Ma non gli importava parecchio di indagare oltre.
- Spero che Ula Ula ti piaccia. Stavo dicendo, ho da chiederti un favore.
Mirton si sentiva svenire. Come mai quello non si sbrigava a parlare?
- Ho visto che il tuo Sharpedo è in grado di frantumare gli scogli - continuò il Kahuna, non sembrando notare il disagio del suo interlocutore, - e volevo chiederti se fosse possibile registrarlo nel Poképassaggio. Sai cos’è, vero?
Il battito del cuore di Mirton diminuì notevolmente. Ma effettivamente non aveva mai sentito parlare di Poképassaggio.
Augusto gli spiegò brevemente che lì ad Alola non esistevano le Macchine Nascoste, ma alcuni Pokémon addestrati per certi compiti come spostare in volo le persone, spingere massi, attraversare specchi d’acqua eccetera; e lo Sharpedo di Mirton sarebbe stato un ottimo aiuto per gli Allenatori che compivano il giro delle isole.
- Io... Uhm, penso...
Non era molto sicuro, in realtà. Rompendo gli scogli del Percorso 15 ci si apriva la strada per Poh, che era tenuta in mano dal Team Skull. E Mirton aveva paura che, se qualcuno fosse andato a ficcare il naso e avesse scoperto quello che succedeva, avrebbe sicuramente fatto più fatica a procurarsi droga. E sapeva di non essere in grado di resistere senza.
C’era anche da dire che se qualche forza di polizia avesse voluto entrare nella cittadina non avrebbe di certo aspettato il suo Sharpedo. Forse non c’era nulla da temere.
- Sì, va bene. Per te è ok, Sharpedo?
Il Pokémon emise il suo verso, che Mirton interpretò come un assenso.
- Perfetto - rispose Augusto, - dovremo metterlo in una Ball particolare in modo che possa essere trasportato nel luogo in cui c’è bisogno di lui. Grazie, signor Mirton.
   
 
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