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Autore: Daleko    10/03/2018    2 recensioni
"Lui camminava guardando lei, lei gli trotterellava al fianco fissando la strada. «Ma Nico che ha detto, viene per Olandese?» gli chiese all'improvviso. Alessandro notò lo smartphone crepato che stringeva nella mano destra. «Gli stai scrivendo?» domandò in rimando, occhieggiando lo schermo. «Sì, ma su Whatsapp non risponde» gli mostrò lei: gli ultimi sei messaggi erano stati inviati da Chiara. Alessandro apprezzò mentalmente il non aver trovato emoticon affettuose sullo schermo."
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"«Giuro che questa volta t'ammazzo, questa volta ti... Devi smetterla di tirarmi in mezzo a questa roba, hai capito?» ringhiò il ragazzo al telefono. Ci fu qualche secondo di silenzio riempito solo dalla pioggia. Nicola si era riparato sotto uno dei balconi del primo piano, l'acqua gli schizzava sulle scarpe ma la rabbia gli impediva di sentire freddo. «Senti Nico... Tu non devi rompere i coglioni a me perché tu c'hai i cazzi tuoi per la testa e all'improvviso te ne vuoi tirare fuori, t'è chiaro?». La voce al cellulare era stranamente glaciale, sgarbata, poco familiare. Il ragazzo non fu reattivo come avrebbe voluto."

Storia romantica ambientata all'Università "L'Orientale".

Feb2019: Storia modificata e revisionata.
Genere: Malinconico, Slice of life, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amori sanguigni'
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6.

 

«Grazie per l'aiuto. Sei stato davvero gentile» disse la ragazza di buonumore. Lui sorrise. «Figurati, è stato un piacere. Non potevi di certo portare quattro buste di libri da sola!». Risero entrambi, continuando a discendere lungo la strada. Passando accanto a un bar, lui si fermò. «Ehi, ti va un caffè? Offro io» si propose. L'altra portò la mano destra al mento, come a rifletterci. «Ma sì, perché no? Tanto ci abbiamo messo poco» accettò di buon grado, poi si sedettero a uno dei tavolini esterni. Lui si assicurò di essere notato dal barman all'interno. «Allora, segui con Chiara?» «Già, abbiamo gli stessi corsi. Voi come vi conoscete?» «Oh, eravamo compagne di classe al liceo...» «Ciao ragazzi, cosa ordinate?». Alessandrò alzò lo sguardo sul cameriere, poi lo spostò sulla figura di Cinzia. «Cosa prendi?» le chiese con un sorriso. «Solo un caffè, grazie» «Va bene, allora due caffè e... Puoi portarmi un bicchiere d'acqua frizzante, per favore?». Il cameriere annuì con un sorriso; scriveva la comanda sul blocco note. «Ve li porto subito» concluse sparendo all'interno del bar. I due rimasero nuovamente soli. «Alessandro, ma lo sai che assomigli un sacco a un attore di Bates Motel?» gli si rivolse con tono appena stupito, come se lo avesse già notato da un po'. Il ragazzo alzò le sopracciglia, divertito. «Sul serio? Quale?» «Aspetta, non ricordo il nome... Te lo faccio vedere» sospirò. Infilò una mano ingioiellata nel parka verde, estraendo uno smartphone dalla tasca. Lo poggiò sul tavolino d'alluminio, aprendo un browser per una ricerca. «Uh, figo, è un Samsung?» «Sì, l'esse-sei-edge» confermò lei senza alzare lo sguardo. Trovato l'attore cercato, girò il cellulare per mostrarlo ad Alessandro. «Ecco, lui!» «Ma è Richard!» «Chi?» «Il marito di Isabella, quello degli Altr... Oh. Tu non hai visto Lost, eh?». Lei batté le palpebre, confusa. «È una serie vecchia. Avrei dovuto?» chiese, quasi in tono retorico. Alessandro ghignò. «No, in effetti no. Ha il finale peggiore della storia della televisione. Comunque, che cosa fa in Bates Motel?» provò a riportare la conversazione sul binario principale. Cinzia tornò a sorridere. «È lo sceriffo Romero! Se non l'hai visto, guardalo. È parecchio figo» commentò. Alessandro si limitò a un sorrisetto. «La serie o l'attore?» chiese per stuzzicarla. Cinzia arrossì, riabbassando lo sguardo sullo schermo. «Ehm, la serie. Ovviamente la serie» «Sì, dai, stavo scherzando. Scusami» stemperò la tensione. Arrivarono i loro caffè, Alessandro pagò in monete e rimasero nuovamente soli.
 

*
 

«Che noia... Perché oggi nessuno mi risponde?» borbottava tra sé. Stesa sul letto, in una nuvola di capelli ricci, Chiara continuava a controllare i social in cerca di una notifica che non arrivava. Sbuffò annoiata.
La sua camera era spaziosa, tutta in rosa e piena di peluche, fumetti, fotografie attaccate ai mobili e alle pareti. Un portatile sulla scrivania riproduceva hit latinoamericane, e libri e quaderni aperti lì a fianco supggerivano una sessione di studio terminata, o forse in pausa. La ragazza si alzò a sedere, poi portò il cellulare all'orecchio.
«Pronto?»
«Ciaaao, Ale! Cosa fai oggi? Non hai risposto ai miei messaggi!»
«Oh, scusa Chia', non li ho proprio visti. Ho aiutato Cinzia a vendere dei libri a Napoli, così...»
Chiara fece una smorfia, tornando a stendersi di botto. La voce di Cinzia si fece sentire in lontananza: «Chiaraaaa, raggiungici dai! Siamo ai quattro palazzi!» la invitò esuberante. Chiara alzò gli occhi al cielo. «Scusa Ale, devo andare. Salutami Cinzia, okay?» si congedò rapidamente. Il ragazzo provò a rispondere qualcosa, ma lei interruppe rapidamente la chiamata. Mosse rapidamente il pollice sullo schermo, portò nuovamente lo smartphone a un lato del viso e intanto, con la mano libera, cominciò a massaggiarsi l'altra tempia.
«Pronto?»
«Ciaaao, Ale! Ti disturbo?»
«Chiara, ciao. Perdonami, sono in ritardo a lavoro. Va tutto bene?»
Chiara s'immusonì. «Sì, sì, scusami tu, non sapevo lavorassi di sabato. Buona giornata allora!» «D'accordo, grazie. Buona giornata a te». Click. La ragazza rimase a fissare lo schermo con aria imbronciata, battendo alternatamente i talloni contro una gamba del letto. Sospirò, poi tentò una terza telefonata; al quinto squillo partì la segreteria. «Oh, andiamo!» sbottò indignata. «Almeno Nico che mi dovrebbe delle scuse!» continuò a lamentarsi, rialzandosi a sedere. Alla fine scosse la testa, gettò il cellulare sul letto e andò alla scrivania.

 

*
 

«Mamma quando torna?» si lagnò il bambino. Nicola sospirò, alzando lo sguardo dai libri. «Lo sai che ha il turno di sera, oggi. Perché non vai a guardare i cartoni in salotto?» lo invitò lui, ma Luca incrociò le braccia. «No. Mi scoccio di stare da solo, perché non giochi un po' con me?» «Perché devo studiare questa roba. A proposito, lo sapevi che puoi dire una lunga effe ma non una lunga pi?» «Davvero?» «Prova» lo invitò lui. Voleva approfittare di quel momento per tornare allo studio, ma restò a guardare il fratellino con sguardo divertito. «Ffffff... P... P... P... È vero!» scoppiò a ridere lui. Nicola allargò il suo sorriso. «Lo so. Ora vai a guardare i cartoni» ripeté l'invito. Luca scese dal letto continuando a ripetere le consonanti e a ridere della sua nuova scoperta, poi lasciò la camera richiudendo la porta dietro di sé. Finalmente Nicola poté tornare ai suoi libri, ma slo pochi minuti dopo venne interrotto dal trillo del campanello. «Luca, chiedi chi è!» urlò il ragazzo con irritazione, gettando un'occhiata all'orologio del computer. Sentì la porta aprirsi, poi una voce maschile parlare col fratellino. Si alzò di scatto, aprendo la porta della camera.
L'appartamento era piuttosto piccolo; ingresso, soggiorno e cucina erano concentrati in un unico ambiente, sul quale si affacciavano due camere da letto e un bagno. Dalla sua posizione, Nicola poteva vedere la porta d'ingresso aperta ma non il nuovo arrivato. Mentre la sua testa si lasciava andare a varie supposizioni, la bocca continuava a parlare autonomamente. «Luca, chi è?» chiese avvicinandosi. Luca si voltò a guardarlo, raggiante, con un pacco fra le mani. «È Ale! Mi ha portato un regalo, guarda!» esclamò eccitato, sventolandolo in sua direzione. Nicola si bloccò sul posto. La porta venne chiusa dal nuovo arrivato, il quale si mostrò alla vista del proprietario. «Ciao, Nico. Perdonami, pulivo le scarpe sullo zerbino. Casa tua non è proprio cambiata, eh?» chiese con nonchalance. Nicola non trovò la forza di rispondergli, restando a fissarlo un po' furente, un po' preoccupato. Alessandro si diresse autonomamente verso il tavolo, dove poggiò il casco della moto e la solita borsa, poi sfilò la giacca e tornò all'ingresso, dove se ne liberò sull'appendiabiti. Rimase in jeans, scarpe stringate, camicia e maglioncino di cachemire. Si ravvivò il ciuffo riccio con una mano, raddrizzò gli occhiali sul naso, si voltò verso Luca e gli scompigliò i capelli, con lo stesso gesto che aveva rivolto a Nicola solo cinque giorni prima. «Lo posso aprire?» continuava a ripetere il bambino. «Certo, dai. Aprilo, vediamo se ti piace» lo invitò con voce calda e accondiscendente. La carta da regalo venne strappata senza complimenti e lasciata cadere in terra, e il volto di Luca si mosse in una espressione di totale stupore e felicità. «Ohmio Dio... Nico, guarda! Guarda!!! È l'edizione speciale! È l'edizione speciale, Ale?» chiese conferma al ragazzo, il quale ridacchiò divertito. «Sì, è l'edizione speciale» confermò lui. Luca ricominciò a saltellare. «È l'edizione speciale di Disney Infinity! Wow! C'è pure Hulk!!! Grazie Ale, grazie!!!» continuava a urlare e saltellare fino a restare a corto di fiato. Nicola si mosse verso di lui. «Va bene, ora basta. È tardi, ci giocherai domani» sbottò, tirando via lo scatolo dalle mani del fratellino –il quale cominciò a strillare. «No Nico, dai! Voglio giocare adesso! Per favore! Ma stavo andando a guardare Boing, invece gioco, che cambia?! Chiamo la mamma! Nico, ridammelo!». «Ma sì, Nico, dai, ridaglielo» s'intromise Alessandro. Nicola gli scoccò un'occhiataccia, trovandolo a sorridere maliziosamente. Luca cominciò a piangere e a spingerlo debolmente, così il fratello gli restituì la confezione. «Solo mezz'ora» borbottò. Luca prese il suo nuovo videogioco e corse al televisore. «Ale, ci giochi con me? Ci giochi?» chiedeva intanto. Alessandro, con le mani in tasca e lo sguardo fermo su Nicola, già non gli badava più. «Scusa, Luca, ho da fare con tuo fratello. Più tardi vengo a vedere come giochi, va bene?» gli rispose; poi, senza attendere altro da parte del bambino, recuperò la borsa dal tavolo e si avvicinò all'altro, fermandosi a pochi centimetri da lui e invadendo il suo spazio personale. «Andiamo in camera tua» mormorò. Nicola era più basso di lui di almeno quindici centimetri, così si limitò ad alzare lo sguardo sul suo volto, irritato. Riportò gli occhi sul fratellino, intento a scartare il videogioco, poi strinse le labbra e fece dietrofront. Quando entrambi furono in camera sua, Nicola chiuse la porta a chiave.

«Mi sembrava di averti detto di star lontano da casa mia» sbottò subito dopo. Alessandro si lasciò cadere disteso sul letto, con la borsa sul pavimento accanto a sé. «Forse» rispose annoiato. «E soprattutto di stare lontano da mio fratello» sottolineò. Era ancora fermo davanti alla porta, con gli occhi fissi sull'ospite indesiderato, e sembrava trattenersi anche dal semplice battere le palpebre. «Forse» ripeté Alessandro. Ci fu un momento di silenzio. «Magari potresti anche evitare di portargli regali pagati in questo modo. Ma si può sapere che cazzo ci fai qui?» finalmente chiese Nicola. L'altro si alzò a sedere, scavò nella borsa e ne estrasse un pacchetto di sigarette. «Dovevo parlarti, hai il cellulare scarico. Non te ne sei accorto?». Lo sguardo del ragazzo si spostò dalla figura sul letto, ricercando il suo smartphone. Lo vide sul comodino, collegato al caricabatterie; gli occhi seguirono quindi il cavo del caricabatterie, trovandolo staccato. Al suo posto era collegato il GameBoy di Luca. Nicola sospirò. «No, non me ne sono accort... Oh, ma che cazzo fai?! C'è Luca in casa, stronzo! Spegni quella merda!» gli ringhiò improvvisamente, andandogli incontro. Alessandro si alzò dal letto, continuando a far scattare la zippo per accendere la sigaretta. «Rilassati, apro la finestra. L'odore va via subito» «Non me ne frega niente dell'odore, gli fa male! Spegnila!» «Che rottura di cazzo che sei. Va bene, la poso, felice?» lo accontentò, sventolando la sigaretta parzialmente accesa per assicurarsi che non venisse sprecata. Tornò a sedersi, ripose il tutto nel pacchetto semivuoto, infine lo assicurò nella borsa. Nicola seguì le sue azioni con lo sguardo, fermo in piedi accanto a lui. Aspettò che avesse terminato prima di ricominciare a parlare.
«Allora, si può sapere che vuoi?» chiese. Alessandro si strinse nelle spalle. «Volevo solo vederti, non posso?» rispose battendo le palpebre. Nicola scosse la testa, poi andò a sedersi al computer. «Scherzavo, non fare l'offeso. Ho delle novità, apri il marketplace, che ti mostro» sospirò, alzandosi e avvicinandosi anche lui al computer. Poggiò una mano e un gomito sulle spalle dell'altro, come seduto a un tavolino, e inclinò la testa nell'osservare lo schermo. «'azzarola come sei veloce. Sembri uno di quelli dei telefilm americani, quelli che fanno tutti con la tastiera» notò. Nicola sbuffò. «Basta usare gli shortcuts. Aspetta, sto modificando il circuito» «Perché?» «Perché sì. Fatto» «Da dove risultiamo connessi?» «Dalla Repubblica Ceca. Allora, ecco il marketplace. Ora?» tagliò corto Nicola, voltandosi a guardare l'altro. Il suo viso era così vicino da potergli contare i peli della barba curata, ma gli occhi di Alessandro erano fissi e concentrati sullo schermo. «Perché non usi Torch?» «Perché come search engine fa schifo, okay? Possiamo andare avanti?» «Sì, sì. Ok, vai sul terzo sito da sopra» «Non fai nomi perché hai paura che abbia microfoni in casa o cos'altro?» lo imbeccò Nicola. Cliccò sul link segnalatogli da Alessandro, poi si voltò a guardarlo; gli rivolgeva uno sguardo incuriosito. «Hai dei microfoni in casa?» «No, Ale» «E perché dovrei pensarlo, allora?» «Scherzavo. Cos'è, tu puoi farlo e io no?» «Sarà...». Tornarono a guardare lo schermo. La pagina continuava il suo lento caricamento, così tornarono a parlare tra loro in quella posizione, comoda per Alessandro e molto meno comoda per Nicola. «Però se fai il ricettatore dovresti quantomeno riuscire a dire quello che fai, no?» insisté. Il ragazzo fece una smorfia. «Sei proprio sicuro di non avere dei microfoni in casa?» «Sicurissimo» sorrise l'altro; ne guadagnò un'occhiataccia. «Perché nel caso in cui io fossi un ricettatore tu saresti colpevole quanto me, lo sai, vero?» rispose cautamente Alessandro. Nicola sospirò. «Ale, sto scherzando davvero. Ecco, si è caricata la... Woah!» si bloccò nel guardare lo schermo. L'altro gli batté sulla spalla con la mano poggiata. «Benvenuto nel mercato in cui stiamo per espanderci» gli mormorò all'orecchio, poi si raddrizzò e scrocchiò la schiena. Nicola si voltò verso di lui, grattandosi una guancia con fare preoccupato. «Loro sanno che non è proficuo come quello delle carte di credito, vero? Basta un click per bloccare un account scammato» provò a fargli notare. Alessandro si sedette sul letto, poi si strinse nelle spalle. «Ripeto, non è affar mio. Loro mi dicono di riferirti e io lo faccio. Sei in grado di metter su qualcosa in una settimana?» «...dipende. Di quanti account stiamo parlando?» «Beh, se vogliamo essere concorrenziali...»
La maniglia della porta si abbassò, poi si rialzò e così per un paio di volte. Entrambi si ammutolirono, voltandosi a guardarla. «Nico, perché ti sei chiuso dentro?» arrivò la vocina sottile di Luca attraverso il legno. I due ragazzi si scoccarono un'occhiata; Nicola si girò per tornare al computer e chiudere tutte le finestre, Alessandro andò ad aprire la porta. Rimase lì a guardare il bambino dall'alto. «Luchetto, ciao di nuovo. Allora, com'è il gioco?» provò a fare conversazione. Luca gli sorrise debolmente. «È molto bello. Nico, non mi sento bene» si rivolse di nuovo al fratello, il quale si voltò a guardarlo. Alessandro si spostò dalla traiettoria, poggiando la schiena al muro e infilando le mani in tasca. Il bambino era molto pallido e Nicola si affrettò verso di lui. «Vieni qua, fammi sentire se scotti...» gli si inginocchiò davanti, poggiandogli il polso sulla fronte e sulle guance. «Ricordi cosa ti ha detto il dottore?» «Sì» «Quanto ti senti male da uno a dieci?» «Uhmmm... Sette e mezzo» «Va bene. Credi di riuscire a mangiare qualcosa e aspettare che torni mamma?». Il bambino si strinse nelle spalle. Nicola alzò lo sguardo su Alessandro. «Sei con la moto?» chiese. Alessandro annuì, l'altro sospirò tornando ad alzarsi. «Okay, te ne devi andare. Vieni Luca, chiediamo l'auto a Tina, andiamo» lo prese in braccio, e il bambino gli si aggrappò addosso con i quattro arti. Alessandro recuperò la borsa sul letto, poi uscì dalla stanza spegnendo la luce. 

 

*
 

La stanza si era oscurata rapidamente con il calare della sera. Chiara accese la lampada da tavolo poggiata sulla scrivania, riprendendo a disegnare sul foglio che aveva davanti. Il cellulare sul letto vibrò, lei si voltò a guardare lo schermo illuminato e si alzò per raggiungerlo. «Finalmente qualcuno mi ha ri...» borbottò tra sé, bloccandosi appena preso il cellulare in mano. Rimase ferma per un po', pentendosi di aver spento la musica allegra di un'ora prima, e mentre malediceva il suo batticuore la vibrazione riprese, questa volta continua. Aspettò ancora qualche secondo prima di rispondere. «Chiara?» disse una voce maschile. Lei non rispose, limitandosi a respirare con forza per segnalare la propria presenza. L'altro sorrise al microfono. «Ehi, è da un po' che non ci vediamo, lo so che può sembrare strano ma... Ricordi quando apprezzasti i The Do a casa mia? È stato più o meno a...» «Sì, me lo ricordo» sbottò lei per tagliar corto. L'altro rimase in silenzio per un momento. «Sì, beh... Vengono in concerto a Napoli fra un po', stavo per comprare un biglietto per andarci con Aldo e gli altri, però... È buffo, no? Mi è venuto in mente che volevi ascoltarli e quindi ho pensato di scriverti. Ti va se ci andiamo insieme?».
Silenzio. Silenzio. Silenzio. Il dialogo era stato evidentemente preparato, mentre Chiara non si sarebbe mai aspettata nulla del genere. Le si riempirono gli occhi di lacrime. «Perché, Francy ha da fare quel giorno?» rispose ferita. L'altro sospirò. «No, ci siamo lasciati» spiegò con calma. Ancora silenzio. «Vabbè, senti, perché non ci pensi su? Io il mio biglietto comincio a comprarlo, poi se vuoi hai ancora tre settimane di tempo. Fammi sapere, d'accordo?» le propose con convinzione. Chiara sentiva le lacrime scorrerle sulle guance, così spostò il cellulare dal viso per asciugarselo con una manica. Le ci volle un po' per rispondere in modo tranquillo; non voleva mostrarsi così debole. «Okay, ciao» borbottò rapidamente. «...buon sabato sera, stammi bene» terminò il ragazzo. La telefonata venne interrotta ma lei restò in piedi al centro della camera, ferma a fissare il vuoto, per ancora qualche minuto.

 

*


«Grazie della compagnia. Mi sono divertita, oggi» mormorò Cinzia. Parlavano sottovoce per qualche motivo poco chiaro a entrambi, fermi sotto la metro di Università. Lei dondolava sulle punte. «Allora... Mi sa che ci separiamo qui. Tu vai nell'altra direzione, vero?» chiese conferma. Alessandro annuì senza smettere di fissarla, l'espressione dispiaciuta che stonava con un mezzo sorriso sulle labbra. La ragazza gli arrivava al mento, un po' più alta di Chiara ma non abbastanza da poter essere guardata in viso, se lei decideva di abbassare il capo e nascondersi da lui. Il ragazzo si chiedeva il perché. «Okay, allora... Devo proprio trovare l'abbonamento» scherzava con una mano nella tasca dei jeans. «Forse è nella borsa?» suggerì lui, ma lei lo tirò fuori dal parka. «No, eccolo qui. Stupido abbonamento» scherzò ancora, tornando a guardare il ragazzo davanti a sé. Alessandro intuì una certa atmosfera che non voleva sprecare, così portò una mano alla nuca dell'altra. «Allora, uh...» riprese a parlare Cinzia, ma venne interrotta da un bacio. Chiuse gli occhi e socchiuse le labbra, ricambiandolo. Portò entrambe le braccia al collo di Alessandro, e quando terminò quel bacio lei lo strinse con forza, ridendo. Lui la sentiva tremare e se ne stupì; di solito dava l'impressione di una ragazza forte e intraprendente, mentre in quel momento sembrava sciogliersi dall'emozione. Alessandro ricambiò con piacere l'abbraccio e chiuse a sua volta gli occhi, inspirando con forza l'odore del suo shampoo alla frutta. Le accarezzò i capelli rossi, poi lei lo lasciò andare e lui si raddrizzò, ancora sorridente. Cinzia aveva il volto paonazzo, ma nonostante l'improvvisa timidezza era palesemente felice. «Scrivimi più tardi, okay? Ci vediamo» si congedò. Fece per allontanarsi, poi ci ripensò e Alesssandro la baciò di nuovo. Alla fine lei andò via ridendo dall'imbarazzo e il ragazzo la seguì con lo sguardo finché non sparì sulle scale mobili.
«Evvai!» esclamò sottovoce. Si diresse al capo opposto dell'atrio, raggiante, per raggiungere l'altro binario. Vi arrivò con l'aria sognante.

 



Note dell'Autore

Dovrei seguire il consiglio di un lettore e cominciare a farmi pagare le marchette; nel frattempo, per i curiosi arrivati fin qui, i The Dø sono loro (e no, non hanno nessun concerto in programma in Italia, almeno non nel mondo reale). Colgo l'occasione per rimarcare che tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Buon sabato sera a tutti!
   
 
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