Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: phoebeinside    11/03/2018    0 recensioni
“Sono serio.” Avvicinandosi lentamente, Jimin abbassò il tono di voce, scoprendo però un lato di sè piú vulnerabile e sincero. “Voglio solo─”
Taehyung percepí delle dita accarezzare il dorso della sua mano, delicatamente. Non riuscí ad allontanarla di scatto, si sentí come inerte, in trappola nel suo stesso corpo che non voleva rispondere ai comandi.
Notò come lo sguardo di Jimin si fosse abbassato per osservare le loro mani, o meglio l’azione dolce delle sue dita. Tuttavia i suoi occhi rimasero fissi sul volto dell’agente. Nemmeno la sua vista voleva agire come severamente comandato dal cervello.
I capelli morbidi neri, le ciglia curve, la pelle liscia, le labbra piene.
“Riparare le cose.”
Jimin risvegliò Taehyung dall’incantesimo sotto il quale lui stesso, inconsciamente, lo aveva accompagnato.
Spezzandosi, l’agente ricordò. Namjoon, le priorità, il luogo, la persona davanti a sè, ciò che gli aveva fatto. Ricordò e ricordò e ricordò.
Tre anni sono un lungo periodo durante il quale covare rancore.
“Non esiste più nulla da riparare, agente Park.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Slash | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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朝 - dynasty (or morning.)



 

[22 Dicembre 2016, 7:38 – Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

 

Neve.

 

  Le orme impresse nel soffice bianco del terreno, causate dai passi decisi e irrequieti del giovane, diretti verso il vecchio edificio, dovevano essere un errore. Lasciare tracce è un errore, nel suo lavoro.

L’inverno aveva già raggiunto il suo apice, freddo e tranquillità circondavano le strade, deserte a quell’ora della mattina. Il ragazzo si strinse nel cappotto, affondando le mani nelle tasche e il naso nella sciarpa, inalando il profumo che essa nascondeva. Orchidee, sembrò essere l’origine di quell’essenza, promemoria e vago ricordo di due occhi sorridenti e guance paffute, delle quali preferiva non parlare. Era la sua stagione, l’inverno. Non solo per il giorno del suo compleanno - festeggiamenti in famiglia e con amici gli apparivano solo come lontani miraggi. No, il freddo e l’atmosfera cupa che quel periodo regalava alla città di Incheon portavano in grembo sentimenti e bellezze ormai da lui dimenticate. Una tazza di cioccolata calda, un camino acceso, coperte pesanti. Una risata acuta. Il giovane scosse la testa, cacciando allo stesso tempo sia i capelli castani dal viso, sia i pensieri nelle profondità della sua mente. Continuò il suo veloce cammino finché non notò l’insegna rovinata del negozio verso cui era diretto: “문 도서관 - Biblioteca Moon”. Aprì la porta di legno, superandone la soglia e dicendo addio all’amata bassa temperatura, per essere accolto da 20 gradi di puro calore, dal profumo di libri usati e dal suono di un piccolo campanello.

 

“Benvenuto. Come posso esserle utile?”

Una ragazza sulla ventina lo squadrò dalla sua scrivania al centro della stanza, con interesse. Il ragazzo quasi sentì la mancanza della precedente responsabile, un’amorevole cinquantenne che ormai lo aveva preso in simpatia. Deve averla licenziata, pensò, avvicinandosi alla giovane senza togliersi la sciarpa e il cappotto, ancora con le mani nelle tasche. La biblioteca era una delle più antiche della città, l’edificio ricordava una casa di montagna: prevalentemente di legno e decorato con colori scuri, era l’ideale per rifugiarsi in un luogo caldo e lasciarsi andare alla piacevole accoglienza che scaffali pieni di libri potevano regalare. Il giovane si definiva egli stesso un lettore appassionato, che amava perdersi ogni volta nel fascino di quell’atmosfera. Ma nonostante la modesta biblioteca risvegliasse il suo desiderio di confortarsi su un comodo divano leggendo un qualsiasi romanzo, la preoccupazione verso un determinato hyung affrettò l’eliminazione di quei pensieri dalla mente.

 

Incrociò lo sguardo della ragazza, lanciandole un’espressione seria e impassibile. Sembrava essere incerta sul da farsi, continuando a far oscillare la propria penna e mordendosi il labbro per quella che doveva essere l’ansia dei primi giorni di un nuovo lavoro. Percependo la pressione di quello sguardo, la giovane sbatté le palpebre più volte, prendendo coraggio.

“Signor—?”

 

“Taehyung. Kim Taehyung.”

 

“Oh.”

 

La ragazza sembrò riconoscere il nome al volo, spalancando gli occhi e farfugliando scuse. Cercò qualcosa in un cassetto, ricevendo come risposta solo un quieto silenzio. Controllò di aver preso l’oggetto giusto, analizzandolo velocemente e rischiando di farlo cadere. Nuove reclute, giudicò silenziosamente Taehyung, prima di dare attenzione al braccio teso davanti a sè. Prese quella che doveva essere una piccola chiave dalle mani indecise e tremolanti della giovane. “Grazie.”

 

Si diresse verso la stanza vicina, non accessibile al pubblico, aprendone la porta. Quella sala era molto più ampia e desolata; vi erano custoditi i manoscritti più antichi e in fase di restaurazione. Le grandi e piene librerie non mancavano, poste ai lati e accompagnate nel centro da teche impolverate. Taehyung raggiunse la fine della stanza, salendo le semplici scale e fissando lo sguardo su uno scaffale a lui ben noto. Regalava uno strano tipo di piacere e senso di quotidianità conoscere quel luogo come il palmo della sua stessa mano, dopo i lunghi anni trascorsi nei suoi meandri. Per un lettore interessato come lui, il dover condividere quello spazio con milioni di storie e carta consumata non era affatto un dispiacere. Come se al di là del muro non ci fossero altrettanti documenti e aneddoti di avventure.

 

Squadrò i libri davanti a sé, trovando ciò che stava cercando. Hong Kildongjŏn.

In realtà il manoscritto originale, che portava nelle sue pagine l’impegno e il sudore di colui che si pensava fosse l’autore, Hŏ Kyun, era contenuto in una scatola di ferro. In mezzo alle varie opere del periodo, il suo involucro appariva con un foro sul proprio dorso, facilmente giudicato da occhi comuni come un segno d’usura. Taehyung sospirò e avvicinò la piccola chiave, incastrandola nell’improbabile serratura e girandola lentamente, facendo scattare di colpo un meccanismo interno alla libreria, i cui spigoli di destra si spostarono leggermente in avanti, muovendo la polvere circostante. Avvicinando le proprie mani al lato in legno, spingendo verso di sè il grande ostacolo, il giovane la aprì come se fosse una semplice porta. I suoi occhi furono accolti da due aperture automatiche in ferro, nel luogo in cui doveva invece esserci la parete: queste si divisero e Taehyung entrò nel piccolo spazio, un ascensore.

 

Premette con nonchalance uno dei tanti pulsanti e l’ascensore sembrò muoversi. Aspettò, sentendo i primi fastidi della calda temperatura accompagnata dal suo abbigliamento troppo invernale; si arrese e iniziò a togliersi la sciarpa, sentendone subito la mancanza. Ma il sentimento fu breve. All’aprirsi delle porte in ferro, il confortevole silenzio della normalità venne invaso dalla rumorosa realtà. Dalla sua vera vita. Discorsi sotto voce, rumori di tasti premuti velocemente, persone frettolose che attraversavano la stanza sfrecciando di fronte a lui.

 

Casa dolce casa. Taehyung era consapevole che il luogo in cui dormiva e mangiava non era quello, esisteva un appartamento non lontano da lì, in un quartiere tranquillo, sempre a Incheon, in cui il giovane aveva trovato rifugio nei pochi giorni in cui non doveva essere altrove. Ma ciò che aveva davanti a sè era quello che più si avvicinava ad essere la sua famiglia: nonostante la quantità di persone presenti, forse una sessantina in tutto, il ragazzo aveva trovato conforto in quell’atmosfera professionale ma allo stesso tempo amichevole, ormai da anni. Dalla morte dei suoi genitori e dal giorno in cui un vecchio uomo gli fece visita durante il loro funerale. Ma quello era il passato e il ricordo di un’altra persona saggia e generosa invase di nuovo la sua mente.

 

Attraversò la hall e le scrivanie sparpagliate per la stanza, salutando con un cenno chi sembrava aver abbastanza tempo da distogliere lo sguardo dai propri impegni e riconoscerlo. Differentemente dalla biblioteca, lì quasi ogni cosa era in ferro, grigio e nero dominavano l’atmosfera, dai vestiti delle persone agli oggetti da loro portati; ma non mancavano le storie improbabili e le scartoffie da compilare. Taehyung si sentiva un’eccezione nello spazio cupo, illuminato solo dal neon delle lunghe lampadine appese al soffitto: cappotto beige scuro sbottonato e sciarpa bordeaux ormai slegata e in mano. Un tocco di colore in un oceano monocromatico.

 

Superando il flusso di gente indaffarata, il ragazzo scese delle scale poste in un angolo, attraversando un paio di corridoi e arrivando alla sua destinazione. Salutò con un sorriso Minyeong, segretaria e braccio destro di quello che si potrebbe chiamare il dirigente di quel luogo; era una giovane ragazza castana dal viso dolce e carattere deciso, vecchia amica (e forse molto più) del suo capo. Capo che Taehyung vide appena spalancò la porta del suo ufficio: con le braccia conserte e un’espressione seria: Seokjin, perso nei suoi pensieri, non era l’unico nella stanza.

 

Kim Seokjin era il responsabile dell’agenzia. La Moon Korean Intelligence era sì indipendente, ma molto conosciuta, forse uno dei migliori servizi segreti al mondo. Era nata sotto la guida di un vecchio uomo, a cui Taehyung doveva la propria vita, che aveva iniziato dal nulla, con poche reclute. Reclute ricercate, con talento, che addestrava per missioni segrete. Ma fu molto di più. Fu come un padre. Allevò con durezza e serietà, ma allo stesso tempo la sua lealtà fu un pregio che in molti non riuscirono a duplicare.

Finché non morì. E con lui morirono anche tutte le certezze. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Lasciando ogni persona dell’agenzia senza parole e nella confusione più improvvisa. Da allora il loro vero capo era sconosciuto, era una voce modificata, che contattava strettamente solo Seokjin, il quale si limitava a eseguire i suoi ordini. Si vocifera che egli sia niente meno che il figlio del loro vecchio capo, forse tenuto nascosto durante tutti quegli anni. Ma nonostante le chiacchiere e le persone che abbandonarono l’agenzia alla sua morte, il vecchio uomo aveva lasciato un videomessaggio nel suo computer, nel quale incitava ognuno di loro, nel caso gli fosse successo qualcosa, a continuare il proprio lavoro e a fidarsi ciecamente di chi l’avrebbe sostituito. Lealtà e rispetto convinsero molti a restare, ma non eliminarono le incertezze.

 

Se essa poteva essere vista come una piccola repubblica, Seokjin ne sarebbe stato il primo ministro, colui che prendeva le decisioni e che metteva in primo piano la propria reputazione, sotto il comando di una persona ignota, un sorta di presidente. Era un capo comprensivo ma allo stesso tempo preciso; benché andasse d’accordo con tutti, quando si trattava di dover affrontare discorsi seri diventava un’altra persona. E fu così che l’agenzia continuò con il proprio dovere, forse perfino migliorandone le qualità, provocando invidia in altre famose società di servizi segreti. Riguardo ciò Taehyung non si esprimeva: tutti erano d’accordo nell’affermare come egli fosse una delle migliori spie, e non solo della compagnia, ma per il ragazzo si trattava di saper fare il proprio dovere. Semplicemente lo faceva senza errori.

Complimenti e pacche sulle spalle lo accoglievano al rientro da ogni sua missione, alzando la sua media autostima. Era conosciuto per essere uno dei pochi fuoriclasse, un 007 coi fiocchi, per le sue abilità di osservazione: il suo pregio infatti, oltre all’aspetto, era proprio la capacità di analizzare ogni situazione e trovarne sempre la soluzione. Il suo difetto, però, erano le emozioni. Non che compromettessero le missioni o altro, nessuno sembrava averglielo fatto notare, ma in passato il ragazzo si ritrovò a dover fare i conti con esse e a rischiare la propria vita, oltre quella di una seconda persona.

 

Ciò gli fece tornare alla mente che nonostante tutti lo ammirassero per le sue qualità, alla fine della giornata non era l’unico che meritasse stima. Molti suoi amici nel campo erano tra i migliori e Taehyung era secondo solo ad un altro determinato agente. A parere dei colleghi non vi era una vera e propria disputa o classifica, i due andavano di pari passo, ognuno con i propri pregi e difetti, ma il giovane sapeva che un piccolo ostacolo lo allontanava dall’essere il primo, il migliore, e quel dettaglio era qualcosa che l’altro agente invece priorizzava. L’insensibilità.

Nonostante ciò, ogni suo dovere, di qualsiasi tipo, il ragazzo lo portava a termine, con o senza quella qualità. Non aveva mai deluso Seokjin.

 

Il capo si trovava in piedi a fissare il tavolo, al quale erano sedute altre persone. Si accorse dello sguardo su di sè e rivolse un cenno a Taehyung, che si unì a loro e si sedette vicino a Bogum, amico e suo quartermaster. Tipo tranquillo e silenzioso, Bogum in realtà nascondeva un carattere solare ed estroverso; si conoscevano da molto tempo, li divideva una differenza di età di due anni ma entrambi scoprirono presto di riuscire ad andare d’accordo come fratelli. Quando Taehyung iniziò la sua carriera da spia, Bogum gli fu affidato come braccio destro: quartermaster era colui che guidava l’agente nelle missioni, concentrato davanti a diversi schermi e incaricato di informare la spia tramite un apparecchio posto nell’orecchio di essa. Era un ruolo fondamentale e ogni agente poteva fidarsi del proprio compagno. Molte volte Bogum salvò il giovane da situazioni complicate, finendo poi per essere ringraziato davanti a bottiglie di soju; ormai Taehyung lo considerava come un famigliare, come un fratello maggiore.

 

“Mi chiedo ancora come possa essere successo”

 

Un’altra voce nota, diretta verso Seokjin, attirò lo sguardo di Taehyung, che notò la presenza di Seoyoon e della sua quartermaster, Inyeong. Erano entrambe dello stesso anno, uno in più di lui, e il giovane ebbe l’opportunità di vederle in azione più di una volta. Mentre Song Seoyoon era un agente della Moon Korean Intelligence da anni, Taehyung poteva vantarsi di conoscere il passato di Park Inyeong. La ragazza fu reclutata per caso anni prima, ma i risultati del suo addestramento furono positivi e invidiabili. Una mattina, infatti, Inyeong si trovava a far colazione in un bar di Monaco, dove era andata a trascorrere una vacanza; la ragazza era ossessionata da tutto ciò che riguardava lo spionaggio, leggeva libri, studiava articoli, ricercava dettagli.

 

Successe che Seoyoon fu mandata in missione nella stessa città, a rintracciare un giro di spacciatori di droga che avevano rubato molto più che stupefacenti. L’agente si ritrovò a fingere un’improvvisa copertura  con una sconosciuta mentre il suo sospettato si guardava intorno sentendosi osservato e seguito. La sconosciuta si rivelò essere proprio Inyeong, che strappata al suo piacevole thè e pc pieno di ricerche, venne abbracciata improvvisamente dall’agente. Seoyoon la lasciò andare poco dopo, inseguendo lo spacciatore, e la ragazza rimase immobile e sconcertata per l’accaduto. La sera stessa Inyeong scoprì di condividere l’hotel con la strana giovane e iniziò a parlarle della sua passione per lo spionaggio. Una cosa tirò l’altra e dopo che Seoyoon fu seguita dalla ragazza durante la sua missione, facendo rischiare la vita ad entrambe, l’agente decise di portarla con sè alla base centrale, da Seokjin. Questo, dopo aver notato le ottime capacità informatiche e aver constatato le conoscenze in ogni ambito, offrì ad Inyeong un posto da quartermaster. Da allora le due erano inseparabili. Taehyung andava molto d’accordo con loro e invidiava quel legame: flirtare e scherzare, nel suo rapporto con Bogum, era inconcepibile. Ogni volta che le vedeva, però, il sorriso delle giovani contagiava anche il suo e dopo pochi mesi l’amicizia si instaurò velocemente.

 

“Lascia raramente il suo laboratorio e quando lo fa, manca solo per diverse ore.”

Il suono di quella frase attirò lo sguardo di Taehyung verso Jeon Jungkook, un giovane agente con cui condivideva diversi anni di allenamenti e prove. Il ragazzo era arrivato nell’agenzia poco prima della morte del vecchio capo, non aveva ancora fatto parte di una missione ma presto sarebbe stato il suo momento: era ben addestrato e nonostante l’età – aveva ventun anni, era il più giovane tra loro – possedeva forze e abilità di agenti con molti anni in più d’esperienza. Taehyung considerava lui e Namjoon i suoi migliori amici, se il termine migliore amico poteva davvero esistere nel loro campo. Jungkook stava proprio parlando del loro hyung, Kim Namjoon. Si occupava delle ricerche scientifiche e tecnologiche: aveva sempre qualche curiosa creazione da regalar loro, che fossero armi o microchip. Passava la maggior parte del suo tempo alternandosi tra ufficio e laboratorio, entrambi in quell’edificio, e da quel poco che sapevano, il giovane adulto era sparito da quasi due giorni. Il che era strano. E Seokjin, che lo conosceva bene, poteva confermarlo. Il capo dei sei presenti, visibilmente frustrato e sotto pressione per quelle frasi, alzò lo sguardo dal tavolo e liberò le braccia incrociate per poggiare le mani sulla sua superficie.

 

“Non abbiamo sue notizie da 36 ore. Gli è successo sicuramente qualcosa.”

Prima che potesse aggiungere altro, una voce sconosciuta a Taehyung prese la parola, confermando i dubbi di tutti. Il ragazzo che sembrava aver parlato era seduto all’altro capo del tavolo, con le braccia conserte e un’espressione seria diretta verso Seokjin. Quel viso sembrava familiare, ma Taehyung non lo conosceva. Doveva averlo già visto da qualche parte.

 

“Taemin-ah, non possiamo prendere decisioni affrettate.”

Taehyung registrò velocemente il nome della faccia sconosciuta e si unì al discorso dicendo la sua. Namjoon era una delle persone a lui più vicine e l’idea di stare immobile mentre l’amico poteva trovarsi in pericolo non gli andava giù.

“E’ Namjoon, hyung. Non possiamo star fermi e non far nulla.”

 

“Lo so bene anche io, Taehyung. Non sto dicendo di non intervenire. Ma dobbiamo prima indagare sull’accaduto.”

 

“Come pensi di procedere, quindi?” Dopo un momento di silenzio, Bogum prese la parola e questionò Seokjin, che sembrò aspettare proprio quella domanda. Taehyung poggiò la sciarpa sul tavolo e aprì ulteriormente il cappotto. La questione avrebbe richiesto più tempo del previsto, e per quanto odiasse non poter andare subito alla ricerca di Namjoon, doveva seguire gli ordini dei suoi superiori, mettersi comodo e ascoltare qualsiasi cosa il loro capo avesse da dire. La temperatura della stanza però continuava a infastidire il suo desiderio di freddo invernale, e aspettò quindi a levarsi del tutto il cappotto. Si raddrizzò sulla propria sedia e incrociò le braccia, pronto per sentire l’idea di Seokjin.

 

“Finché non avremo ulteriori informazioni, chiederò solo la partecipazione di quattro agenti. E’ per questo che vi ho chiamati quí. Due di voi andranno a controllare il suo appartamento, gli altri due l’ufficio e il laboratorio. Ho bisogno invece che i quartermaster analizzino ogni minima informazione in nostro possesso riguardo Namjoon, prima che sparisse. Carte di credito, spostamenti, persone con cui ha avuto contatti nell’ultimo mese. Tutto può essere utile.”

 

I sei condivisero il piano attraverso un muto consenso. Bogum e Inyeong iniziarono da subito a connettersi con i loro pc, seguiti a ruota da quello che doveva chiamarsi Taemin. Quartermaster quindi, pensò Taehyung. Doveva essere stato probabilmente affidato a Jungkook per la sua prima missione.

 

“Domande?” Seokjin si rivolse un’ultima volta a ogni viso davanti a sè, guardandoli con un’espressione decisa. Poteva fingere, rimanere lucido e concentrato sul da farsi, ma teneva a Namjoon tanto quanto loro.

 

Taehyung, nonostante la preoccupazione per l’amico, aveva sentito bene le parole del suo capo e qualcosa non gli tornava. Quattro agenti? Nella stanza, oltre ai quartermaster e Seokjin, erano solo in tre. E il suo dubbio venne confermato quando scoprì il ruolo di Taemin.

Lui, Seoyoon e Jungkook. Se la matematica non era un’opinione, mancava un agente alla lista. Possibile che fosse Seokjin e che li volesse accompagnare in quella missione? Non aveva mai preso parte a nessuna di esse per anni, nonostante avesse potuto, date le sue capacità.

“Hai parlato di quattro agenti, ma siamo solo in tre.”

 

“Oh. Giusto.” Seokjin sembrò ricordarsi di un dettaglio, di una persona, in realtà. Aprì la bocca per esprimere quello che sarebbe stato un rimprovero diretto all’agente non presente quando Taemin, impegnato a digitare sul suo pc e con lo sguardo fisso verso lo schermo, lo avvisò del ritardo.

 

“Sarà qui a momenti, hyung. Penso sia stato trattenuto da una questione.. Personale.” Il quartermaster sorrise maliziosamente prima di tornare impassibile e dare la piena attenzione al suo lavoro.

 

Taehyung percepì il tono di familiarità del ragazzo. Non era il braccio destro di Jungkook, ma del misterioso quarto agente. Guardò Seokjin, seccato per il comportamento di quello sconosciuto, ricevendo in cambio solo un’espressione distaccata e disinteressata. Jungkook e Seoyoon sembravano aver già formato squadra, confrontandosi l’uno con l’altra e definendo i dettagli della loro missione.

 

Taehyung sospirò infastidito, non sarebbe stato immobile ad aspettare il quarto agente, vi era in ballo l’incolumità del suo migliore amico. Si alzò dalla sedia di colpo e Bogum, altrettanto preso dal suo portatile, sorrise per l’impazienza del giovane.

 

Il ragazzo si avvicinò alla porta, seccato, rivolgendo a Seokjin un’ultima frase prima di uscire e portare a termine il proprio dovere da solo. “Non starò qui ad aspettare un idiota ritardatario mentre Namjoon—”

 

La porta davanti a lui si spalancò con forza e qualcosa in Taehyung bloccò le sue parole.

Non fu pronto a ciò che gli si presentò davanti.

 

Capelli neri come le piume di un corvo circondavano un viso a lui ben noto. Così noto da sapere come quelle ciocche fossero altrettanto morbide e profumate. L’essenza di uno shampoo che preferì non ricordare. Ma la sua memoria decise da sè e il corpo allenato, definito e abbracciato da vestiti scuri e attillati sembrò fargli tornare alla mente molto più del semplice profumo di orchidee. Taehyung fissò il giovane davanti a sè. Guance piene, occhi maledettamente affascinanti, portamento fiero. Anche se il ragazzo lo stava guardando a sua volta, inespressivo, sapeva che poteva vantarsi anche di un sorriso ampio e perfetto, di quelli capaci di illuminare una stanza.

 

Quel volto era la ragione per cui Taehyung era uno dei migliori e non il migliore.

Odiava quell’agente con la stessa intensità con cui gli aveva, un tempo, voluto bene.

 

Si concentrò sulla situazione allontanando i pensieri riguardanti i momenti lontani negli anni. Era lui il quarto? Doveva condividere la missione con quell’agente? Il ragazzo notò il disaccordo esplicito negli occhi di Taehyung, osservò qualcosa sul tavolo e gli sorrise.

 

«Dimentichi la sciarpa.»

L’espressione orgogliosa, la consapevolezza dell’effetto che gli provocava, l’aura di sicurezza ed egocentrismo. Il giovane gli si avvicinò con una scintilla di sfida negli occhi. Nonostante la differenza di altezza, sapeva come far notare la sua presenza.

 

Taehyung non smise di guardarlo con rancore, stringendo la sciarpa appena recuperata in un pugno per reprimere il desiderio di picchiarlo. Non era il tipo da cogliere l’attimo e seguire istinti di rabbia, la sua abilità principale era osservare e analizzare, infine agire. Ma la persona davanti a lui lo stava provocando a modo suo, abbassando lo sguardo sulla sua sciarpa e tornando fastidiosamente a sorridergli, sempre immobile e silenzioso; se esisteva  qualcosa che Taehyung odiava più dell’agente davanti a sè, quella era proprio l’arroganza. Arroganza che in quel caso nascondeva coscientemente molto altro.

 

Non ci sarebbe stato verso. Taehyung non avrebbe accettato di lavorare assieme a lui per niente al mondo. Il suo partner era un manipolatore, egocentrico e orgoglioso. Era il tipo di persona al corrente della propria bellezza e delle proprie capacità al punto tale da vantarsene apertamente e sentirsi superiore rispetto agli altri. Era molto più di questo, erano rimasti in lui dei lati positivi e pregi nascosti, reduci di un carattere completamente innocente, ma Taehyung non poteva lasciarsi intrappolare da essi. Di nuovo.

 

Era diverso, mutato negli anni. Era uno sconosciuto ai suoi occhi. Era un ricordo sfocato e doloroso. Era fuoco e calore e Taehyung amava l‘inverno. Era—

 

“Park Jimin. Finalmente.”

 

 

 

 

 

[22 Dicembre 2016, 10:20 – Yonghyeon-dong, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud]

 

  Finalmente il freddo dell’inverno.

Taehyung lo accolse con soddisfazione mentre percorse in moto la strada verso l’appartamento di Namjoon. Il vento, la velocità e il piacere della guida erano gli unici lati positivi della giornata. Cercò di non lasciar sviare i propri pensieri sulla spiacevole sorpresa di poco prima e sulle previsioni di una collaborazione difficile con l’agente a cui era stato assegnato. Guardò le strade poco trafficate riflettere il grigio scuro di quella tarda mattina. Incheon non era mai stata una città allegra d’inverno, non come lo poteva essere la famosa capitale, e Taehyung apprezzava proprio quello. Discrezione e tranquillità.

 

Individuò l’edificio in cui abitava Namjoon, un triste condominio di innumerevoli piani, nel quale l’appartamento dell’amico non spiccava per accoglienza e felicità di arredamento. Se Taehyung ricordava bene, per le poche visite, l’abitazione del giovane uomo sarebbe stata una delle poche al piano terra, nascosta ma allo stesso tempo ovvia a occhi indiscreti. “Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista”, gli aveva consigliato l’amico, una delle rare volte in cui lo aveva incontrato nel suo appartamento.

 

Taehyung scese dalla moto e la lasciò vicino al marciapiede; entrò nell’edificio, ricordandone ogni angolo e seguendo la propria memoria. Discreto e tranquillo, appunto. Come la città in cui vivevano e come sembrava essere ogni cosa a cui il giovane teneva.

 

Dopo un lungo corridoio, Taehyung venne a scontrarsi con una visione tutt’altro che riservata e riguardosa: un agente a lui ben noto era poggiato sulla porta dell’appartamento di Namjoon, con le braccia conserte, gamba piegata e un’espressione annoiata. Il volto che sperava di non dover più incontrare lo accolse con un sorriso ironico e si spostò dalla sua posizione.

 

“Meglio tardi che mai.”

Jimin fece il suo commento fastidioso senza aspettarsi una risposta, piegandosi e iniziando prontamente a lavorare sulla serratura elettronica della porta. Non si sorprese di averlo visto in quel posto prima del suo arrivo, Taehyung non sapeva come ma era certo che ogni volta, in ogni occasione, Jimin sarebbe stato sempre un passo più avanti di lui. Come se il passato e il carattere arrogante del giovane non fossero già ostacoli alla sua pazienza. Dopo pochi secondi scattò un ingranaggio e l’agente sorrise soddisfatto, le note che erano solite risuonare all’apertura o alla chiusura della porta indicarono la professionalità del lavoro di Jimin, che lasciò entrare il ragazzo nell’appartamento per primo.

 

 

Gli occhi dei due vennero a contatto con stanze buie e pareti scure. Eccetto per una sola camera, che sembrava essere quella da letto: i muri della quale erano tappezzati da migliaia di fogli e carte, mappe e post-it, stampe con immagini troppo scientifiche per la loro conoscenza in materia, fili rossi che collegavano vari appunti e spilli pressati contro determinate zone di una carta geografica rappresentante la Corea del Sud. Namjoon doveva aver lavorato a qualcosa per conto proprio. Si avvicinarono per analizzare ogni oggetto presente su quella parete, immaginando si trattasse di ricerche biotecnologiche e di collegamenti tra persone politicamente importanti, i retroscena delle quali non ispiravano fiducia.

 

“Inquietante.”

 

“Se solo avessi metà dell’intelligenza e delle conoscenze di Namjoon, capiresti di cosa si tratta. Ma per te è più facile giudicare l’apparenza, no?”

Non perdonandogli di aver offeso un amico, Taehyung finalmente aprì bocca e fu ovvio come le prime parole in serbo per l’agente fossero scortesi e accusatorie. Rimase concentrato verso il muro e i documenti davanti a sé, regalando al ragazzo solo silenzio e rancore.

 

“Ehi, tranquillo. Nessuno sta offendendo nessuno.”

Riprendendosi dalla critica, Jimin alzò le mani in segno di resa, analizzando il comportamento e il volto dell’agente, che perse subito interesse nella conversazione.

 

Taehyung notò la strana combinazione delle zone che il filo rosso collegava tra la mappa e le immagini. Non avevano alcun senso. Se le foto dei diversi uomini potevano significare qualcosa, le spille puntate sulla cartina indicavano molte volte un punto del mare, dove non vi erano né isole né possibili luoghi sotterranei. Solo profondità e acqua.

Si allontanò dalla sua posizione, voltandosi e dirigendosi verso la parete opposta, in silenzio e sovrappensiero; una possibile soluzione stava vagando nella mente di Taehyung, dopo tutte quelle osservazioni e dubbi, e il giovane sperò di aver ragione.

 

Percependo il silenzio e la tensione, Jimin smise di leggere il documento sulla scrivania che lo aveva attirato poco prima, voltandosi verso l’agente con rassegnazione, pensando che se la fosse presa per la critica a Namjoon e non capendo il suo comportamento infantile.

“Seriamente? Silenzio e impazienza sono le uniche cose che hai imparato in questi anni, Taehyung-ah?”

 

Lo sguardo di Taehyung rimase fisso davanti a sè, dopo essersi girato per analizzare nuovamente i collegamenti tra i fili rossi. Quando il giovane sorrise e diede la sua totale attenzione alla parete, Jimin lo guardò sempre più confuso.

 

Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista”

 

Jimin lo raggiunse e mimò il comportamento del ragazzo, osservando come da quella prospettiva i fili rossi creassero una breve sequenza di lettere, che l’agente ripetè ad alta voce. “G A L —”

 

“Seul National Charity Gala.” Taehyung lo interruppe, soddisfatto del proprio istinto e ricordandosi di aver già sentito parlare di quell’evento.

 

“24 Dicembre. Dopodomani.”

Ovviamente Jimin doveva essere molto più informato di lui riguardo le questioni sociali: nel tempo libero era il tipo da andare a ogni festa, elegante o meno, creare contatti e svagarsi, lasciandosi trasportare dalle proprie pulsioni.

 

Taehyung si avvicinò nuovamente alle foto sul muro, una ventina di ritratti rappresentati diversi famosi benefattori dalla dubbia credibilità. “Dove gli uomini più influenti dello Stato fingono pietà e generosità, tra i quali…”

 

“Im Jaebum.” I due agenti nominarono quel nome contemporaneamente, incrociando finalmente lo sguardo per l’azione inaspettata.

 

Perdendosi negli occhi dell’agente e nei ricordi che essi gli facevano tornare alla mente, Taehyung non si lasciò influenzare dall’espressione sincera di pura sorpresa di Jimin, annotandosi mentalmente di dividere il lavoro dalle questioni personali. Per un attimo il ragazzo gli era sembrato determinato ad aggiungere qualcosa, mentre lo guardava serio e interessato, ma Taehyung ruppe il contatto visivo, riportandolo verso il muro, e decise di strappare la foto di Jaebum dal filo rosso che la collegava alle altre. “Esatto.”

 

I due uscirono dall’appartamento, pronti a tornare all’headquarter con importanti informazioni e una possibile pista.

“La tua capacità d’osservazione è rimasta la stessa, Taetae.”

 

Taehyung raggiunse la propria moto sentendo risuonare nella sua mente quel fastidioso soprannome, che lo fece voltare verso Jimin con un’espressione seccata e un incredibile desiderio di allontanarsi da lui il più possibile.

“Hai perso da tempo il diritto di chiamarmi in quel modo, agente Park.”

 

Si mise il casco e accese il motore, senza preoccuparsi dello sguardo di risposta dell’agente; posizionò le mani sulla sua moto e le strinse per la rabbia che i ricordi gli stavano provocando.

Non rimase in tempo per sentire la risposta di Jimin, chiara e decisa.

“Ne dubito.”

 

 

 

_____


“Seriamente?”

 

“Agente Jeon, noto che bussare non è tra le sue ottime abilità.”

 

Dopo aver spalancato con rabbia la porta dell’ufficio del suo capo, Jungkook si bloccò poco distante dalla scrivania di questo e irritato si limitò a guardarlo serio, con le braccia conserte, evitando di rispondere alla provocazione con parole che avrebbe potuto rimpiangere. Seokjin non sembrava essere minimamente turbato per l’umore del giovane, quasi... preparato. La contesa tra i due sguardi silenziosi si spezzò quando l’agente non riuscì più a contenere il suo disaccordo.

 

“Essere finalmente un agente operativo. Collaborare con un quartermaster. Chiedevo solo questo.”

 

“Ed è ciò che hai ottenuto.”

 

“Nessun nome, nessun ID, nessuna voce. Questo è ciò che mi è stato dato.”

Quando quella mattina Jungkook era andato a richiedere l’auricolare personale e i codici identificativi sul proprio quartermaster, il giovane ricevette solo il primo, sentendosi rispondere con un informazioni riservate riguardo i suoi dubbi verso quello che sarebbe stato il collega.

 

“Quando ne avrai bisogno, il tuo quartermaster si farà sentire.”

Seokjin rimase seduto e continuò a osservare i propri documenti, giudicando la questione del giovane superficiale e di poco conto. Vicino ai fogli disordinati poggiava un anello d’oro: non portava molti accessori, ma Jungkook lo riconobbe come il suo gioiello portafortuna, non dimenticava mai di indossarlo. Si schiaffeggiò mentalmente per aver perso tempo a osservare i dettagli dell’anello al posto di controbattere.

 

“Dipenderà la mia vita da questa persona, e nemmeno conosco le sue qualifiche. Per quello che so potrebbe essere un robot.”

Con un sorriso sarcastico l’agente cercò di rimanere calmo e immobile, nonostante il comportamento del suo capo.

 

“Non è affatto un robot.”

Rispondendo con una leggera risata, Seokjin finalmente alzò lo sguardo dalle sue carte per posarlo su Jungkook. Indicandogli l’uscita con gli occhi, lo invitò ad uscire.

“Se non ricordo male, hai un compito da svolgere.”

 

“Punteggio massimo in ogni test per arrivare a questo. Incredibile.”

L’agente chiuse la porta di legno sbattendola e uscì dall’atrio con passi veloci e furiosi, superando Minyeong quando questa provò ad avvicinarsi per chiedergli cosa fosse accaduto.

 

La ragazza si sorprese per l’umore del giovane, ma continuò il suo cammino verso la piccola cucina posta in fondo alla stanza, principalmente utilizzata per la preparazione di bevande calde e pranzi non previsti. Da essa vide uscire Bogum con due caffè e lo seguí con lo sguardo finché l’agente non sembrò fermarsi alle spalle di Taehyung.


“Park Jimin, quindi?”

Quando Taehyung tornò alla base per consultare Seokjin riguardo le nuove informazioni, venne accolto da una porta chiusa, un ufficio occupato e una pacca sulla spalla ormai per lui riconoscibile. Il quartermaster offrì il caffè all’amico con la scusa dell’attesa; in realtà Taehyung sapeva bene di cosa volesse parlare il ragazzo, ma lo lasciò fare: quando Park Bogum voleva dire qualcosa, nonostante fosse diretto e certe volte brutale, semplicemente lo diceva. Potrebbe sembrare inopportuno e scontroso a occhi comuni, ma il giovane aveva imparato a conoscerlo e previde il suo sorriso divertito.

 

“Ironia della situazione, Jungkook ha il tuo stesso problema.”

 

“Un collega che preferirebbe cambiare con un qualsiasi altro agente?”

 

“Più un quartermaster, in realtà. Gli hanno affidato una voce sconosciuta: ‘vietato conoscere identità e persona’, a quanto pare.” Bogum riferì all’amico quel dettaglio con un tono sarcastico e due occhi al cielo. “E’ comprensibile che si sia arrabbiato e abbia chiesto spiegazioni a Seokjin. Avrebbe preferito qualcuno tra le sue conoscenze. Mentre tu, Tae…”

 

La pausa nella frase del ragazzo fece alzare lo sguardo perso di Taehyung nel bicchiere di plastica e nel caffè. Lo guardò facendogli cenno di continuare liberamente, ciò che avrebbe voluto fare in ogni caso, con o senza consenso, perché Bogum era fatto così. L’amico sospirò e piegò leggermente la testa, fissandolo con curiosità ed esplicitando il suo dubbio. “Tu non ti sei lamentato. Sarebbe stato comprensibile, ma no. Non hai detto nulla. Disinteresse o rassegnazione?”

 

“Entrambi.” Distogliendo l’attenzione dell’espressione dubbiosa del ragazzo, Taehyung tornò a guardare l’unica cosa che poteva dargli forza ed energia tali da evitare l’argomento: la caffeina. Pensò al fastidio di dover collaborare con Jimin e alla ragione per cui il suo istinto non l’avesse spinto a lamentarsene con il suo capo. “Non avrebbe senso discutere. Seokjin ha già deciso e non cambierà idea. Il nostro obiettivo è trovare Namjoon, non importa come.”

 

“Forse è proprio per quello che ti ha affibbiato uno come Park.”

Taehyung capì al volo il significato di quelle parole. Era sentimentalmente compromesso essendo il migliore amico della persona scomparsa; nel suo caso le emozioni erano una variabile che non avrebbe potuto controllare facilmente. E come per completare un’arma perfetta, Seokjin aveva fatto la scelta saggia di trovare proprio l’agente che non si lasciava influenzare dai sentimenti. Nonostante fosse stato ipocrita da parte sua, essendo lui stesso molto vicino a Namjoon, il suo capo aveva scelto per il bene del gruppo e dell’agenzia, e il fatto che Jimin fosse il più inappropriato per questioni personali non lo toccò minimamente.

 

Sospirando e perdendosi nei suoi pensieri, Taehyung non fece caso all’uscita furiosa di Jungkook dall’ufficio del loro capo e non ricambiò il cenno di saluto di questo, quando Seokjin si affacciò alla porta e gli chiese di far rapporto. Riferì ogni informazione trovata quel giorno e si limitò ad aspettare ulteriori ordini: era una questione di priorità. Namjoon era la prima. Ogni altro problema sarebbe stato sorpassato e tollerato, per la buona riuscita della loro missione.

 

Fu così che, ripetendosi quelle frasi e trattenendosi dal discutere, Taehyung non obiettò quando Seokjin espose loro il suo piano. Andare al Seul National Charity Gala con gli altri agenti sotto copertura non era un problema. Cercare di nascosto informazioni nell’ufficio di Jaebum mentre gli altri lo avrebbero trattenuto? Un gioco da ragazzi per spie professioniste come loro.

 

Presentarsi in quel luogo fingendosi il marito di Park Jimin rappresentava invece una pessima idea.

 

 


 

[24 Dicembre 2016, 21:27 – Sogong-dong Palace, Jung-gu, Seoul, Corea del Sud]

 

Im Jaebum amava definirsi un ricco filantropo, benché tenesse sotto controllo e nascosta ogni attività illecita da lui sponsorizzata. Non era mai stato nel mirino della loro agenzia, occupandosi di semplici giri di droga o piccoli atti criminali, per i quali il famoso uomo d’affari riusciva ogni volta a incolpare dipendenti di basso rango. Era uno dei pochi uomini influenti e allo stesso tempo carismatici, otteneva inviti a qualsiasi festa per il suo aspetto piacevole e la sua presenza importante. Il Seul National Charity Gala sarebbe stato organizzato proprio nella sua villa a Seul, un ampio edificio costruito a immagine dei templi greci, ma avente all’interno un’architettura tipica dell’ottocento francese. A Jaebum piaceva dare sfoggio del proprio lusso, avrebbe decorato e abbellito ogni cosa, aggiungendo distrazioni e invitando più persone del previsto, per espandere la propria fama e acquisire nuovi contatti. A quel tipo di eventi, l’uomo era solito portare con sé la moglie, Kim Yongsun, nonostante questa fosse abituata a vivere in America, in Pennsylvania: la sua presenza aveva il compito di creare una falsa e felice facciata per un matrimonio ormai a pezzi. Si diceva infatti che l’uomo avesse gusti sessuali differenti da quelli accettati dalla società coreana, e la donna, dal viso apparentemente docile e innocente, accettò di continuare quella farsa, piuttosto che divorziare, per i soldi e il potere dell’influente marito.

 

“Dovrei incolpare i gusti di quel Jaebum.”

Piegandosi per allacciarsi i mocassini neri, Jungkook cercò di scherzare sulla loro copertura.

“Se non si sentisse attratto dagli uomini, in particolare da quelli sposati, non saremmo in questa situazione.”

 

Taehyung nascose un sorriso. Similmente a lui, Jungkook aveva il compito di fingersi sposato con Seoyoon. Ma per quanto la missione non fosse affatto complicata, sapeva che per il giovane sarebbe stato difficile: eccetto riguardo le poche amiche, il ragazzo non riusciva a rapportarsi con le persone del sesso opposto al suo. Femmine per lui voleva dire ansia. Non riusciva a iniziare una conversazione qualsiasi o a comportarsi in modo casuale in quelle situazioni. Era il difetto che più rimpiangeva, essendo importante e necessario, nel suo lavoro, saper flirtare senza esitazioni e avere la capacità di estorcere ogni informazione anche attraverso atti sessuali. Non era vergine, aveva avuto le sue scappatelle ai tempi del liceo, ma con gli anni Jungkook scoprì la ragione per cui Seokjin non gli avesse conceduto ancora una missione. Il suo addestramento sarebbe stato perfetto se non fosse stato per quel piccolo difetto. L’obiettivo di quella sera dipendeva tanto da Taehyung e Jimin quanto da lui e Seoyoon, e si concentrò quindi per non compiere il benché minimo sbaglio, né con la compagna né con il nuovo anonimo quartermaster.

 

“E’ solo per una sera.” Cercando di tranquillizzarlo, ma allo stesso tempo confortando se stesso, Taehyung iniziò a piegare la propria cravatta, guardandosi allo specchio della limousine e tenendosi lontano il più possibile dagli occhi indiscreti di Jimin, che lo stavano analizzando da capo a piedi dall’altra parte dell’auto.

 

“Ehi, tesoro. No. Dai, non fare la gelosa.” Seoyoon si trovava in un angolo della macchina, vestita in un ampio abito blu, cosparso verso l’orlo di brillantini, e concentrata a parlare con la voce nel suo orecchio, tenendo piegata leggermente la testa. L’azione faceva oscillare gli orecchini di Swarovski contro il suo collo, creando riflessi e giochi di luce nel piccolo abitacolo, ma la ragazza sembrava principalmente presa dalla sua conversazione.

 

“Fanno sempre così?”

 

Jimin questionò curioso i due agenti seduti di fronte a lui, aggiustandosi la giacca blu scuro.  L’aspetto che gli donava un outfit così elegante era quasi fastidioso: nonostante fosse stato già attraente di suo, i pantaloni sottolineavano le curve del suo fondoschiena e dei muscoli delle sue cosce, la camicia appariva aderente, segno della presenza di addominali abbastanza scolpiti, e giacca e cravatta rendevano il tutto più affascinante e coperto. E Taehyung avrebbe voluto mentire, fingendo di non aver notato ogni piccola cosa.

 

“Mh?” Jungkook si rivolse all’agente valutando la domanda. “Ahh. Sta parlando con Inyeong. Sì, ogni volta. E non solo in missione.” Il giovane aggiunse una leggera risata alla sua frase e guardò la collega con un’espressione divertita. Il rapporto tra le due era sempre un piacevole spettacolo e faceva sì che il ragazzo si sentisse più a suo agio. Scacciò via velocemente dalla mente ogni preoccupazione riguardante il nuovo quartermaster convincendosi che l’avrebbe sentito parlargli nell’orecchio quando la situazione lo avrebbe richiesto.

 

“Una volta sul campo vedrai di cosa sono capaci. Non c’è collaborazione più unita della loro.” Con il solito tono infastidito principalmente diretto all’agente davanti a sè, Taehyung rispose seccato e finì di sistemarsi i gemelli delle maniche della sua camicia, alternando lo sguardo tra il finestrino scuro e l’interno illuminato. Iniziò a gesticolare con l’anello sulla sua mano destra, simbolo di un falso amore di un altrettanto falso matrimonio. Il piccolo oggetto d’oro gli provocò una stretta allo stomaco. Era notte fonda, presto il gala sarebbe finito come tutte le missioni, non c’era motivo di perdersi in futili pensieri. Sarebbero arrivati di lí a poco.

 

“Ouch. Questa è un’offesa, Tae.” La voce nel suo orecchio provocò l’apparizione di un raro sorriso che il ragazzo fu veloce a nascondere, notando la scomoda attenzione di Jimin su di sè. Nonostante ciò, ringraziò mentalmente Bogum per la distrazione momentanea.

 

“Taemin ed io saremmo felici di obiettare.” L’agente Park sembrò sorridere a sua volta per qualcosa che solo lui poteva sentire.

 

La limousine si fermò e i quattro ammirarono la vista dell’entrata per la villa, luminosa e grande. Tutto era bianco e oro e pieno di luce, parecchia gente era già presente e si stava incamminando verso la porta principale, salendo le scale di marmo.

 

Jungkook tolse l’attenzione dall’ampio edificio per primo, tornando a questionare Jimin e il suo orgoglio mentre la porta dell’auto veniva aperta dal loro autista.

“Vi considerate tanto bravi?” Aspettando la risposta, Jungkook porse cordialmente una mano a Seoyoon per scendere insieme a lei e aspettare i due colleghi.

 

Jimin gli sorrise e li seguì fuori dalla limousine, senza mai distogliere lo sguardo da Taehyung.

“Oh no, Jungkook-ah.”

 

Una volta che tutti e quattro furono alla base della scalinata, l’auto li lasciò e il ragazzo si avvicinò a Jungkook per parlargli sottovoce.

 

“Non siamo bravi, siamo perfetti.”



 

_____

 

 

“Perchè non ci spostiamo in un luogo più appartato?”

 

La malizia nella voce di Jimin invase l’orecchio destro di Taehyung, dove l’apparecchio elettronico consentiva ai quattro agenti di comunicare e ascoltarsi a vicenda. Taehyung fece una smorfia di disgusto e continuò a cercare con lo sguardo, in mezzo ai tanti invitati, la porta che lo avrebbe condotto all’ufficio di Jaebum. Senza interrompere la sua ricerca, il ragazzo si portò alle labbra il bicchiere di champagne, sorseggiandone poco e ripensando a quell’uomo d’affari, a come si era presentato per ultimo alla festa e al modo in cui aveva subito avvicinato Jimin, interessato.

 

Ringraziando mentalmente la scelta di Jaebum di flirtare con l’agente, Jungkook sembrava essersi allontanato insieme a Seoyoon, presentandosi ad altri uomini e donne influenti insieme alla finta moglie, velatamente in cerca di informazioni. Taehyung, dal canto suo, dovette rimanere a fianco del suo discutibile consorte, sopportando le frecciatine e lo sguardo chiaramente inappropriato di Jaebum, evitando di intromettersi nel loro discorso. Poco dopo si scusò, dicendo di doversi servire del bagno, lasciando il tempo a Jimin di convincere l’uomo d’affari del suo matrimonio privo di passione e ormai fallito (al suono di quelle parole, davanti allo specchio del bagno, Taehyung si limitò ad alzare gli occhi al cielo).

 

Jaebum si lasciò trascinare dall’agente lontano dagli invitati, impaziente di avere a che fare con un altro tipo di impegni. I due avevano continuato a flirtare fino al raggiungimento della prima camera da letto della lussuosa villa, l’uno impaziente di conoscere più a fondo il coetaneo, l’altro determinato a distrarlo. Da lí in poi il compito di Taehyung sarebbe stato decisivo: una volta individuata la stanza dell’ufficio di Jaebum, avrebbe solamente dovuto evitare le voci nel suo orecchio (eccetto quella del suo quartermaster) e cercare ulteriori informazioni riguardanti Namjoon.

 

Ma mentre l’agente si trovava concentrato ad analizzare le scartoffie trovate nei cassetti dell’ampia scrivania di Jaebum, la voce di quest’ultimo risuonò nel suo orecchio.

 

“Peccato che tuo marito non riesca a farti provare piacere, hai un corpo perfetto.”

 

La leggera risata di risposta di Jimin e il rumore di vestiti che cadevano per terra scatenarono un cambiamento d’espressione sul volto di Taehyung, che cercò di non origliare - per quanto fosse necessario farlo al fine della loro completa sicurezza - e di continuare imperterrito la sua missione. Anche quando ai suoni precedenti se ne aggiunsero di nuovi e meno innocenti.

 

Jaebum era un uomo di parola, stava compiacendo Jimin e tutti e tre gli agenti potevano ben sentirlo. Mentre Seoyoon e Jungkook riuscivano a colloquiare con Yongsun e ignorare lo spettacolo che proprio suo marito stava regalando loro, Taehyung ebbe molta piú difficoltà. Ma una volta trovato un fascicolo di documenti che portava il nome di Kim Namjoon, l’agente si perse in una veloce ma attenta lettura.

 

Sfortunatamente, piú leggeva piú si rendeva conto che quei fogli contenevano solo informazioni di base del suo amico: dati, carriera, ricerche, nulla di sospetto. Niente che potesse indicare il movente di un possibile rapimento. Nonostante ciò, Taehyung fotografò per sicurezza i documenti, che in pochi secondi vennero inviati all’hard disk dell’headquarter; rimise ogni oggetto al proprio posto, tornando con la testa, ma soprattutto le orecchie, alla realtà.

 

“Meriti di essere baciato ovunque.”

 

Jaebum non aveva smesso di riempire Jimin di complimenti, non a caso l’uomo d’affari aveva un debole per gli uomini sposati: l’idea di poter avere qualcuno di moralmente irraggiungibile e allo stesso tempo il piacere di sentirsi dire quanto fosse migliore di tutti quei mariti inetti, lo eccitavano. E in quel momento non solo Jaebum poteva definirsi attraversato dal piacere. Ma Taehyung non voleva scoprire la ragione dei gemiti che sentiva uscire dalla bocca di Jimin, i quali arrivavano dritti al suo timpano, per poi scendere senza pudore in altre zone.

 

“Cosa stai aspettando, Taehyung-ah?”

Bogum gli ricordò della missione. Scosse la testa e riprese da dove aveva interrotto la propria fuga, ripetendosi mentalmente di rimettere ciò che aveva trovato nel posto in cui l’aveva trovato.

 

Ma neanche il suo quartermaster seppe cosa dire quando, nell’attraversare l’ufficio di Jaebum, Taehyung sentí chiamare il proprio nome tra i gemiti di Jimin.

Si bloccò, sorpreso. Per quanto volesse mascherare quell’azione come una mossa astuta del migliore agente menzognero al mondo, Taehyung sapeva alla perfezione riconoscere una messa in scena da una parola, o meglio un nome, detto per istinto, per sbaglio.

O forse no.

 

Jaebum non sembrava averla presa altrettanto bene, fermando ogni contatto, rivestendosi e arrabbiandosi con il giovane. Taehyung doveva andarsene dall’ufficio il prima possibile, mentre Jimin cercava di dare spiegazioni al cosiddetto filantropo. Molto probabilmente quest’ultimo avrebbe raggiunto gli ospiti nell’enorme sala, ma l’agente non poteva in ogni caso farsi cogliere in flagrante.

 

Illustrandogli la via d’uscita piú veloce, Bogum concluse le indicazioni con un tono divertito. Sarebbe arrivato un commento prima o poi da parte sua, eppure Taehyung lo zittí. “Hyung, no.”

 

“Come vuoi, Kim. Ma ti avverto che tra sei metri incrocerai tuo marito e Jaebum.”

 

L’agente continuò il suo cammino lungo il largo corridoio finchè non sentí due voci vagamente vicine discutere tra loro. L’abile recitazione di Jimin portava con sè scuse e spiegazioni frettolose, mentre Jaebum sembrava deciso a ignorarlo e ritornare dai suoi invitati. Poco dopo, quando Taehyung li raggiunse e richiamò il compagno al suo fianco, fingendo innocenza e ignoranza, la messa in scena dei due potè finire. Jaebum lo squadrò da capo a piedi, con un’espressione seccata e acida, distogliendo lo sguardo disgustato nel momento in cui Taehyung circondò la vita del marito con il proprio braccio.

 

Scomparso il filantropo dietro le porte di vetro d’ingresso alla sala, l’agente non lasciò la presa, voltandosi verso Jimin e scoprendo di come l’altro non avesse mai smesso di fissarlo. Perchè?, avrebbe voluto chiedergli, Perchè il suo nome?. Eppure l’unica cosa che gli uscí dalle labbra, dopo aver trovato il coraggio di non cadere davanti allo sguardo dell’agente, fu un sarcastico: “Infallibile, agente Park?” seguito da un’espressione che voleva esclamare tutt’altro che vittoria. Liberò il suo braccio dalla vita di Jimin senza guardarlo negli occhi, appoggiando l’indice dell’altra mano contro l’orecchio.

 

Non fece in tempo a pronunciare il nome di Bogum, quando un enorme improvviso boato, seguito da un’altrettanto forte colpo d’aria, fece volare i loro corpi contro il muro, seguiti dai frammenti vetrosi della porta e cadendo subito dopo al suolo.

 

Il suono incessante che impediva all’udito di Taehyung di funzionare gli permetteva solo di contare sulla propria vista: una bomba doveva essere scoppiata in una stanza della villa adiacente alla sala, fiamme e polvere coprivano il caos che lo circondava, ma all’agente importava principalmente altro. Si girò di scatto per cercare il corpo di Jimin, ritrovandolo piú distante del previsto ma cosciente. L’agente gli stava urlando qualcosa, ma Taehyung poteva solo guardare le sue labbra muoversi e ringraziare il cielo che fosse ancora vivo.

 

“...Sanguinando!”  

 

“Taehyung-ah?”

 

Quando il suo udito riprese a funzionare, l’agente assicurò a Bogum di non avere ferite gravi, nonostante il suo sguardo fosse rimasto fisso su Jimin. Quest’ultimo lo raggiunse, piegandosi verso la sua gamba e ripetendo “Dio, stai sanguinando!”. Taehyung finalmente capí a cosa si riferisse, abbassando gli occhi sulla propria coscia e notando sia il pezzo di vetro che il  sangue perso. Rifiutò però l’aiuto di Jimin, medicandosi la ferita da solo.

 

“Jungkook, Seoyoon.”  Jimin aspettò una risposta attraverso l’apparecchio. Taehyung lo guardò preoccupato, pronto a rimettersi in piedi e andare a cercarli.




 

Jungkook, Seoyoon.

 

A metà serata, quando sapeva che Jaebum stava accompagnando Jimin in una delle sue stanze, Jungkook notò di non essere l’unico a conoscenza di quell’informazione. Yongsun, concentrata nei discorsi con la coppia di agenti e delle sue conoscenti, aveva cambiato espressione da quando il marito non si era fatto piú vivo.

 

Nonostante ciò, non aveva dato segni visibili di irascibilità. Tutto stava procedendo al meglio: Seoyoon, in quanto donna, riusciva a entrare nelle grazie di Yongsun e conversare animatamente, cogliendo in modo velato informazioni. Dal canto suo Jungkook poteva considerarsi una figura meno coinvolta: in disparte ma sempre in bella vista per gli sguardi delle donne, l’agente si limitava a pochi commenti e preferiva concentrarsi nell’osservazione. Tutto andava secondo i piani. Nessuna parola dal suo quartermaster, e nessun motivo per riceverne alcuna.

 

Quando Yongsun si scusò e fece per allontanarsi, Jungkook colse l’occasione per seguirla e continuare la conoscenza, magari fino a sedurla e ricavarne qualcosa. Ma le intenzioni del giovane furono subito respinte quando l’agente, dopo aver afferrato il braccio della donna e chiesto se avesse avuto bisogno di qualcuno con cui parlare, si sentí rispondere un no secco e accompagnato da un sorriso falso. La reazione non ferí il suo orgoglio ma provocò profondi sospetti verso l’impazienza di Yongsun di allontanarsi. La donna fu cosí di fretta che non si accorse di un dettaglio: un anello d’oro sul pavimento attirò l’attenzione di Jungkook, che prese l’oggetto, quella che probabilmente era la fede nuziale, e lo nascose nella tasca interna della sua giacca.

 

Fu nel momento stesso in cui l’agente stava passando lungo le vetrate che affacciavano al giardino, che l’azione della bomba lo colpí e lo gettò a terra, incosciente.

 

Jungkook, Seoyoon.

 

Iniziando a tossire per il fumo, Jungkook si sentí le costole premere contro i polmoni. Gli scappò una flebile risata, che non riusciva nemmeno a udire, rivolta verso il grigio offuscato che la sua vista gli offriva. Cercò di muoversi dalla sua posizione, sapendo bene che piú tempo avesse passato tra le fiamme e il fumo, piú avrebbe rischiato la vita; eppure nulla. I muscoli delle gambe non rispondevano ai suoi comandi.

 

Quando cominciò a temere il peggio, Jungkook sentí due braccia circondargli il busto nella faticosa impresa di alzarlo e farlo camminare. La persona che lo stava aiutando doveva essere allenata, riuscendo a sopportare il suo peso, praticamente tutto su di essa. Portando un braccio intorno al collo del suo salvatore e lasciandosi trasportare - strisciando - tra le macerie, Jungkook poteva ipotizzare che fosse una donna, nonostante non riuscisse a focalizzare il suo sguardo sul viso della sconosciuta.

 

Anche una volta steso per terra, nel giardino sicuro e lontano dal caos, l’agente vide solo un viso sfocato. Sorrise, e tra i colpi di tosse riuscí a rilasciare un “Seoyoon, grazie.” comprensibile.

 

La persona al suo fianco non gli rispose, decidendo invece di ignorarlo e guardarsi intorno frettolosa, per poi valutare e coprire le sue ferite. Nel girare il capo, Jungkook notò l’ondeggiare della sua chioma, anche se non riuscí a metterla a fuoco. In quel preciso istante capí di aver commesso un errore. Seoyoon gli avrebbe risposto, l’amica non portava vestiti comodi e neri e soprattutto, non aveva i capelli mossi.

 

Jungkook, Seoyoon.

 

Forse anche per colpa della realizzazione, una forte fitta alla testa gli provocò un dolore insopportabile e Jungkook riuscí solo a chiedere, tra denti stretti e un tono forzato, “Chi sei?”

 

L’agente notò la donna bloccarsi e guardarlo. L’attimo durò pochi secondi: la sconosciuta si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa, incomprensibile per la condizione del suo udito, dopodichè Jungkook venne accolto solo dal buio e il rumore delle fiamme, abbandonato sul prato.

 

“Jungkook, Seoyoon.”

 

Dopo aver ripreso totalmente coscienza, l’agente si sollevò da terra per poggiarsi sulle proprie mani e sentí con sollievo di aver riacquistato anche l’udito. Tempismo.


“Jungkook!” Seoyoon gli corse incontro e lo abbracciò preoccupata, dopo aver controllato che non avesse gravi ferite. A quanto pare, anche la vista era tornata alla normalità e Jungkook notò i numerosi graffi sulla pelle della sua partner, per poi vederli danzare davanti a sè, sentirsi girare nuovamente la testa e perdere i sensi.
   
 
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