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Autore: Morella    11/03/2018    0 recensioni
Era come se sentisse un fastidio tra le dita, una sabbia che una volta ne riempiva l’intero pugno ma che ora aveva lasciato solo una sensazione di mancanza e fastidio. Cos'era che un tempo teneva stretta tra le dita con presa salda e che poi, un giorno, era scivolata via senza indugio?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Sakura sbuffò.
Ormai tra un’interminabile mansione e un’altra si pizzicava sempre e solo a sbuffare. I ritmi erano serrati, la testa piena e le genti a cui badare davvero troppe. Fermarsi per guardarsi anche solo un po’ dentro era diventata un’impresa.
La vita però proseguiva normalmente.


Una sera percepì che qualcosa non andava. Era come se sentisse un fastidio tra le dita, una sabbia che una volta ne riempiva l’intero pugno ma che ora aveva lasciato solo una sensazione di mancanza e fastidio. Cos’era che un tempo teneva stretta tra le dita con presa salda e che poi, un giorno, era scivolata via senza indugio? Guardò bene quelle mani e la sensazione istintiva di fastidio lasciò il passo, delicatamente, a un sentimento nostalgico, caratterizzato da immensa tristezza e dolcezza.
Quella dolcezza e il caro ricordo che le suscitava la fecero sentire, almeno per un attimo, orrendamente sperduta e sola. Si guardò allora allo specchio, abbozzando un sorriso, per poi voltare lo sguardo. Camminò per la stanza, in tondo, a destra, a sinistra, indietro, in avanti. Poi tornò davanti allo specchio e, appoggiando entrambe le mani ai lati di questo e ingobbendosi un po’, si guardò dritta in quei suoi occhi riflessi, chiedendosi:

Perché mai dovresti tu, col tuo splendore, abbeverare il ventre dimagrato della terra?

Si aggrappava spesso e ostinatamente a questa frase che, probabilmente, era la più bella che le fosse mai stata rivolta. Lo faceva perché racchiudeva in sé un incredibile affetto, stima, condivisione, immensa amicizia. Quelle parole simboleggiavano il bello e il buono che la sua Amica Ino aveva visto in lei. Invero, non avrebbe saputo descrivere quello che si creò quando l’eterna dominatrice ricca d’onore incontrò colei che è forte.
Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco.
Si staccò dallo specchio con una spinta leggera, voltandosi in direzione di una piccola cornice che teneva nascosta tra le altre, raffigurante proprio il profilo di Ino.
Quanto le era stato caro quel profilo? Quanto conforto le aveva portato, a suo tempo, quel profilo?
Prese con disinvoltura la foto e, tenendola al petto, cominciò a volteggiare e saltellare per tutta la stanza, inscenando un bislacco balletto con quello che era ormai l’unico surrogato di quella che era stata la loro amicizia.
Mentre ballava sorrideva di gusto.
Improvvisamente un’altra fitta allo stomaco, quel fastidio bruciante alle mani, un digrigno di denti.
Con la stessa disinvoltura con cui l’aveva afferrata, posò la foto su una mensola alla stessa altezza del suo sguardo. Sprezzante, si dilettò in un soliloquio ad alta voce contro quel feticcio:

“Amica mia.
Te lo ricordi ancora lo splendore che vedevi in me e che mi hai insegnato a scorgere a mia volta?
Te lo ricordi quando l’unica cosa che riuscivo a vedere era il pavimento e tu ci disegnavi una finestra e poi una porta?
Te lo ricordi chi eravamo?
Mi pensi ancora ogni tanto? Sì, che mi pensi. Lo so, me lo hai detto l’ultima volta che ci siamo parlate. E sono anche abbastanza sicura che, esattamente come me, mi rivedi in tutte quelle cose sciocche che riempivano le nostre chiacchiere gioviali; le nostre cose sciocche, quelle che ci hanno fatto incontrare e unire poco alla volta, senza che ce ne accorgessimo.
Mi manchi, amica mia.
Probabilmente di questo non saresti contenta. Tu sei indipendente, cerchi la solitudine e sei fermamente convinta che la vita emotiva di ognuno non possa essere condivisa per troppo tempo, che tutto alla fine si spezza e la parte di noi stessi che reclama indipendenza si ribelli agli invasori. Nasciamo e moriamo soli. Ti infastidisce l’idea che per vivere ci sia la necessità di trovare in qualcun altro un’appendice al di fuori di sé per tirare avanti. Non apprezzi l’idea di avere persone complementari a te o di essere “la persona di qualcuno”, perché ognuno è di sé stesso.
Ma, amica mia, tu sarai sempre la mia persona.
Sei la mia persona non con una connotazione di possesso, semplicemente sei la persona che più di ogni altra ha saputo darmi speranza, starmi accanto, capirmi, insegnarmi ed essere dura e orrenda quando serviva. Come mi hai detto anche tu, ti sei permessa di essere orrenda perché mi conosci. Riflettendoci, non so quanti altri possano dire la stessa cosa. E, fidati, anche io ti conosco.
Quando hai deciso di andartene mi sono spezzata in non so quanti, minuscoli, pezzettini.
La persona che mi aveva fatto notare che in me esisteva un’invincibile estate, la persona che credevo che mai e poi mai avesse potuto abbandonarmi, alla fine lo ha fatto. La sensazione invero non riesco a esprimerla a parole. La rabbia e la tristezza che ho buttato fuori sono state impetuose. Ma alla fine mi trovo ancora qui, a parlarti per vie traverse, ad affidarmi al tuo ricordo.
Mi hai detto che non te la senti di tornare indietro. Forse però non c’è da tornare indietro, si tratta solo di trovare il coraggio per andare avanti, per costruire qualcosa di nuovo.
Deciderai di tornare un giorno, amica mia? Me lo chiedo spesso. Forse ci sono cose e situazioni che non possono assolutamente tornare, ma al tempo stesso restano eternamente presenti.
Si dice che sperare sia una pena. La pena di chi non sa rinunciare.
Mi hai detto che desideri il mio bene e che io sia felice. Mi hai chiesto di avere cura di me. E giuro che lo sto facendo, ci sto provando in ogni modo. Ma in totale onestà sono ben lontana dall’essere felice.
Spero di incontrarti di nuovo, un giorno. Per caso o per destino.
Ciao amica mia.”
 

Sakura rimase per qualche istante in silenzio a guardare la foto di Ino, in compagnia di una singola lacrima che le rigò il viso. Poi un cenno di saluto col capo e mise a faccia in giù la foto, come per coprirla, per cercare di dimenticare quanto possibile.
Provava la tremenda ansia di non essere abbastanza. In cuor suo non era affatto certa che qualcun altro potesse trovare o vedere in lei quello splendore. Anzi, troppo spesso era tornata a pensare che, in realtà, quello splendore non esistesse.
 

Occhi bassi. Accese la radio prima di uscire dalla stanza.
Una canzone così intonava:

Dolce ragazza questi miei pensieri
li affido al vento insieme alle parole
che tu possa ascoltarle nel canto degli uccelli
in un mattino illuminato dal sole

E se domani davvero ci rincontreremo
magari questo mondo sembrerà migliore
inventeremo nuove parole
daremo a ogni petalo un nuovo colore

...promettimi che non mi dimenticherai
 
~

Non so se questo piccolo scritto faccia trasparire l'entità del sentimento che intendevo racchiudere. Non so se sia una buona o una cattiva produzione. È arrivata per necessità.
   
 
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