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Autore: Iryael    11/03/2018    2 recensioni
Ratchet racconta in prima persona l’esperienza della DreadZone: l'arrivo, la finta libertà dei gladiatori, le giornate scandite dai combattimenti, la fuga.
«All'inizio mi rifiutai di capire che quel che pensavo dei gladiatori, in realtà, era l'immagine che i mass-media vendevano agli spettatori. Ma il mio rifiuto non durò a lungo: bastarono pochi giorni a farmi aprire gli occhi.
Non esisteva paragone migliore del circo: noi gladiatori eravamo le fiere; mentre gli Sterminatori, le brillanti stelle dello spettacolo, erano domatori che si alternavano sulla pista dell'Arena.
Poi c'era lui, Gleeman Vox. Lui che aveva l'abito rosso del presentatore e coordinava la baracca, guadagnando sulla nostra pelle.
Fama, soldi e belle ragazze erano la nostra gabbia dorata. Quella vera, esplosiva, ce l'avevamo chiusa al collo.
Aprire gli occhi mi fece incazzare di brutto.
Nessun circo poteva permettersi di tenere un drago in gabbia. E loro - Vox e compagnia - l'avrebbero capito presto.»

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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Big Al, Clank, Gleeman Vox, Nuovo Personaggio (Takami Kinomiya), Ratchet] [Probabile OOC]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ Terzo intermezzo ]
Balle? Magari!
 
Presente. 17 febbraio 5408-PF
Metropolis, 93esimo settore, attico del Khelith Building
 
«Mi prendi per il culo?!»
La voce dell’avvocato echeggiò nel salone. «Come faccio a difendervi se la tua verità è la parafrasi di una sessione di DnD???»
Ratchet, seduto sul divano, si lasciò andare a una risata. “Una sessione di DnD”: il paragone era perfetto.
Si limitò a fare spallucce e guardare lo xarthar con una luce di sincera comprensione. «Mi piacerebbe, sa? Sapere che questa cosa è frutto della fantasia... sarebbe una liberazione. Potrei tornare alla routine comune, così “moderna” e “scientifica”. Potrei smettere di considerare il lato magico di ogni singola disavventura che mi capita. Sarebbe un ritorno all’universo nel quale sono nato. Tornerei a fare il meccanico e a sistemare le cazzate di Qwark.» disse con sincero entusiasmo. «Sarebbe una vita onesta, no? Un giusto mix di adrenalina e pace.»
Incrociò lo sguardo di Riklis. Lo xarthar ascoltava con attenzione, ma non sembrava affatto intenzionato a scendere dalla sua posizione.
«E allora sono giorni che parliamo di cosa?» domandò in tono ostile.
«Parliamo di una faccia della realtà che ci torna scomoda.» replicò Ratchet. «Perché vede: se io l’accompagnassi su Catacrom Quattro, al tempio di Rad’uhr-kaa, potrei effettivamente farla parlare con qualcuno dei finti semôke. Ovviamente non posso perché col processo in corso non posso lasciare il pianeta, ma mi piacerebbe. Almeno le fornirei una prova inconfutabile di questa parafrasi, come l’ha chiamata lei. Invece ci dobbiamo accontentare di questa.»
Allungò una mano in avanti e materializzò la chtanna. Le achta comparvero l’istante dopo e subito si dispersero per la stanza, come se qualcuno avesse soffiato nello sparabolle. Una di esse volò vicino all’avvocato, che per riflesso si ritrasse.
«Ho imparato a controllarle. E poi lei, in quanto organico, possiede un’anima.» Non era certo che ciò valesse anche per la professione scelta; dopotutto si diceva che gli avvocati fossero creature senz’anima. Tuttavia decise di non giocarsi i rapporti con una battuta cretina e concluse con un più sobrio: «Non ha nulla da temere.»
Si chinò e, con un gesto fluido, appoggiò la chiave sul tavolino. Riklis passò uno sguardo veloce da lui all’oggetto.
«La prenda. Non morde mica.» invitò allora il padrone di casa.
L’avvocato considerò l’idea di rifiutare, ma si fermò. Il fatto che il lombax l’avesse definita una prova lo rendeva curioso, poiché implicava che lui per primo credesse nelle sue parole, sebbene astruse oltre ogni livello. Così, riacquisito il savoir-faire professionale, seguì l’invito.
Non appena la chtanna fu nelle sue mani le achta svanirono senza lasciare traccia. Allo stesso modo le rune incise sulla sua superficie, fino a quel momento perlescenti, persero la loro luminosità e tornarono ad essere semplici intarsi.
Riklis osservò il fenomeno con occhio critico. Poi, adocchiato il grilletto per l’utilizzo della pinza, decise di continuare la sua analisi in quella direzione. Attivò i meccanismi con le sue lunghe dita curate; osservò la pinza aprirsi, ma sul metallo non vide riverberare alcuna luce.
Allora appoggiò la chtanna sulle ginocchia, inclinandola in modo da adocchiare l’interno senza rischiare di spararsi una scarica energetica in faccia. Premette di nuovo il grilletto nascosto nell’impugnatura e osservò con attenzione.
Di nuovo: non successe nulla. La piastra fra i rebbi non emise bagliori e non fece rumore.
Deluso, abbandonò l’analisi e rimise l’attrezzo sul tavolino.
Ratchet, allora, se ne impossessò nuovamente, ed ecco che le cose cambiarono all’istante: le rune tornarono bianche, le bolle di energia ricomparirono, e quando infine tirò il grilletto per l’utilizzo della pinza lo xarthar poté notare la carica energetica che brillava fra le piastre.
Lo xarthar si sentì pungere dalla selettività dell’oggetto. «Be’, alla fine è un’arma ad accensione biologica. È chiaro che a me non risponda.» concluse, risentito. «Non mi è chiaro invece perché lei la consideri una prova.»
«Perché sto cercando di farla avvicinare a quel lato magico che lei crede una palla colossale.»
«Certo che è una palla! Sono un avvocato; non posso dare per buono l’argomento “magia”.» replicò in tono esasperato.
«Magari però può prendere in considerazione che non esiste uno straccio di legge fisica che spieghi l’approvvigionamento energetico della chtanna. O il comportamento di queste
Gli bastò un minimo di concentrazione perché le achta si radunassero tutte intorno allo xarthar. Chiudere le dita, trasformando la mano in un ipotetico prisma, fu solo un tocco di platealità per dimostrare che le sfere rispondevano al suo comando. Peccato che Riklis non apprezzò.
Si vide arrivare addosso quelle specie di palle da tennis e la prima reazione fu alzare il braccio e deviarle. Quelle, però, si fermarono a quaranta centimetri dalla sua linea delle spalle. Lo xarthar si ritrovò a guardare da vicino come l’arcobaleno di colori pastello sembrasse liquido sulla superficie luminosa. Lo trovò inquietante e, storcendo il naso, cercò di scacciarle. Fu come attraversare un ologramma tiepido, esattamente come aveva descritto il lombax. Come una beffa, le biglie luminose rimasero dov’erano.
«Una volta un cane ha provato a inseguirle mentre mi esercitavo.» raccontò il lombax, allontanandole un po’ dal suo ospite. «Avrebbe dovuto vederlo: è stato uno spasso!»
«Jeetwak troverà una spiegazione plausibile.» lo freddò l’avvocato. «È solo questione di tempo, signor Ratchet.»
«Jeetwak è indietro di sette anni rispetto a noi della Phoenix.» replicò facendo spallucce. «E mi creda che in questo periodo abbiamo visto davvero molte cose “impossibili”.» aggiunse mimando le virgolette. «Se quel gufo riuscirà a spiegarne esaustivamente anche una sola gli offrirò una cena.»
«Gliela offrirà dal manicomio se non mi darà qualcosa con cui ribattere.»
Ratchet si zittì di colpo. Era conscio che credere al suo racconto richiedeva una grande apertura mentale, ma quella reticenza era fastidiosa.
«Va bene. Allora sentiamo la voce della scienza, le va?»
E materializzò il chatter.
L’avvocato gli fece cenno di procedere, e l’immagine di Clank riempì l’olovisore al secondo squillo. «Ciao Ratchet. Oh, vedo che sei in compagnia. Buon pomeriggio signor Riklis.»
«Anche a lei.» salutò lo xarthar, affettato.
Il robottino si rese conto dell’espressione funerea dello xarthar e dedusse che fosse accaduto qualcosa di negativo. «Ci sono novità?» domandò, cauto.
«Ho raccontato al signor Riklis il finale di Catacrom Quattro.» lo informò il lombax. «Sostiene che il signor Jeetwak troverà una spiegazione plausibile a tutto l’ambaradan magico uscito dalla mia bocca.»
Clank adocchiò l’arma sulle ginocchia dell’amico, poi mostrò all’avvocato un’espressione perplessa. «Ha già esaminato la chtanna?»
Lo xarthar annuì. «È un oggetto interessante, ma verrà presa come un’arma ad accensione biologica.»
«La capisco; lo credemmo anche noi all’inizio. Tuttavia tenga in considerazione che se il discorso andasse ad approfondirsi saremmo in svantaggio. Essa infatti non risponde in maniera canonica alle leggi che governano questa tipologia di armi.»
«Abbiamo prove di ciò?»
«Un hard disk pieno, se le interessano. Sette anni di ricerche e teorie che non coprono solo la chtanna, ma gran parte delle anomalie che Chaos ci ha mostrato nel corso del tempo.»
Lo sguardo dello xarthar si fece bramoso. Certo che gli interessavano. Era sempre buono dimostrare l’incompetenza dei suoi avversari, Jeetwak per primo. Non poteva e non voleva restare indietro.
«L’unico inconveniente è che sarebbe imprudente inviarne il contenuto con mezzi convenzionali. Temo di doverla invitare a Capital City.»
«E io accetto volentieri il suo invito.»
* * * * * *
Quella sera,
appena Riklis andò via
 
Ratchet accompagnò la porta d’ingresso. Il clack! che produsse nel chiudersi ebbe un ché di definitivo che gli permise di rilassarsi.
Sasha poteva dire tutto quello che voleva sulla bravura dello xarthar; ma lui sentiva qualcosa, a pelle, che lo teneva con la guardia alta tutto il tempo.
Tornò nel salone e guardò il chatter con cui aveva contattato Clank. Fu istintivo: lo prese e fece partire una seconda chiamata. E Clank, come prima, comparve sull’oloschermo al secondo squillo.
«Ciao.» salutò pacatamente. «Vedo che l’avvocato è andato via.»
«Sì, per oggi abbiamo finito...»
Lasciare la frase in sospeso insospettì il robottino. «...Ma?»
«Sono dubbioso. Sarà stata una buona idea insistere sulla natura della chtanna?»
«Dipende. Gli hai detto di averla usata anche sulla Ferox?»
Ratchet si ritrovò a guardare altrove. «Avrei dovuto? Sono abbastanza sicuro che non ci siano più testimoni.»
«Allora insistere non è stata una buona idea.»
«Volevo evitare di portare l’ennesima difficoltà in tribunale.»
«Nobile intento, ma pessima esecuzione. Appena chiudiamo il collegamento parlerò con Takami. Vedrai che c’inventeremo qualcosa.»
«Hn. Vi ringrazio.»
Passò qualche istante di silenzio in cui Ratchet, sovrappensiero, si lisciò la coda. Poi mise da parte i propri pensieri e domandò: «Tutto bene a Marcadia?»
«Sì, Takami è abbastanza tranquilla. Segue le lezioni senza mettersi eccessivamente in mostra e, anche quando il gap esperienziale è drammaticamente visibile, riesce quasi sempre ad ignorare i coetanei più molesti.»
«Continua a tenerla d’occhio, per favore.» ricordò Ratchet. «È quel quasi che mi preoccupa. Se si sfogasse su qualcuno...»
«Sarei qui per fermarla, lo so.» anticipò il robottino, nel tono annoiato di chi una frase l’ha sentita decine di volte. «Ma ritengo improbabile uno sviluppo simile. E poi ha imparato a chiedere consiglio anche agli altri Araldi.»
Sulle orecchie di Ratchet si rizzò il pelo.
«Se consideriamo che prima reagiva senza dire niente a nessuno, e invece adesso chiede consiglio a ben tre persone...»
«Tienila. Lontana. Da loro.» sillabò piccato. «Me li immagino i loro consigli! Quei due portano guai anche dormendo!»
Seguì un attimo di silenzio. Clank alzò una mano davanti alla bocca, poi scoppiò in una delle sue risate.
Passato il primo momento di stordimento, il lombax capì.
L’aveva punzecchiato.
E allora gli venne spontanea una mezza risata. Il suo tono, dopo, fu molto più tranquillo. «Sono di nuovo iperprotettivo, eh?»
«Già. Un simpatico papà chioccia.»
«Ehi! È abitudine!»
«Come no!»
«Li conosci i termini del mio patto!»
«Ah ah ah!»
* * * * * *
Il giorno dopo, 18 febbraio 5408-PF
Galassia Solana, Marcadia, Capital City
 
Il volo atterrò con puntualità impeccabile allo spazioporto intitolato ad Orjon Uruho, il primo cosmonauta cazar.
A fare ritardo sulla tabella di marcia del signor Riklis fu tutto ciò che seguì: il viaggio dalla pista alla struttura principale, il taxi da fermare, il traffico nel tragitto fino all’Accademia e la perquisizione ai cancelli di quest’ultima.
Quando mise piede all’interno del campus era ora di pranzo e desiderava fermamente qualcuno su cui sfogare i nervi. Tuttavia optò per sfogarsi su un pasto veloce. Aveva un nome, dopotutto: mica poteva mandarlo agli inferi davanti a centinaia di potenziali clienti!
Perciò seguì il viale fino all’enorme piazza centrale. Una caffetteria faceva bella mostra di sé, con l’insegna olografica e i tavolini di polimero color ferro. Era prevedibilmente gremita di cadetti e l’aria era piena di un brusio allegro. Nessuno faceva caso alla statua bronzea che, poco distante, commemorava l’attacco subìto otto anni prima. Lo stesso Riklis non gli dedicò più di un’occhiata, trovandola particolarmente insignificante. Era rimasto più impressionato dal muro di cinta, che con la sua pietra nera e le incisioni dorate ricordava i nomi di tutti gli allievi periti nel medesimo attacco.
A tradimento il chatter vibrò all’interno della giacca. L’avvocato si distolse dalle considerazioni artistiche e rispose senza guardare chi fosse.
«Buongiorno.» esordì la voce pacata di Clank. «Circumnavighi la piazza in senso orario: ho riservato un tavolino sotto la statua commemorativa.»
«Grazie per l’avviso. La raggiungo immediatamente.»
Chiuse la chiamata e seguì le indicazioni. Trovò Clank seduto al tavolino più vicino alla scultura. Avvertì subito una certa freddezza rispetto al resto della piazza, come se quell’angolo fosse in una bolla.
«Immagino che abbia scelto questo punto per una questione di intimità.» affermò dopo i saluti.
«Ho solo considerato la facilità d’incontro. Non avrei saputo come condurla se fossi stato là in mezzo.» replicò il robottino, accennando alla folla chiassosa e famelica.
«Una mossa intelligente. Tiene fede alla sua fama.»
Clank studiò il sorriso aperto dello xarthar. In quanto di sottospecie verdesca, due file di denti triangolari riempivano lo spazio con un candore quasi accecante; tuttavia l’atteggiamento con cui l’avvocato sorrideva suggeriva anche qualcosa di losco. Il robottino comprese una volta di più cosa intendesse l’amico quando – dopo la sessione di racconto con l’avvocato – discutevano delle sue impressioni a pelle.
«E io trovo intelligente il modo in cui distorce ciò che Ratchet le racconta. Anche se, immagino, tacere di Chaos le costerà un bel po’ di fatica.»
«Indubbiamente.» confermò con noncuranza. «Ma ne va dell’immagine del mio cliente. Non posso tollerare che la gente creda che l’eroe che ci ha salvato tre volte sia un pazzo senza speranza.»
O non puoi tollerare il danno che questa nomea arrecherebbe alla tua immagine? – pensò Clank, senza mostrare espressioni.
«Appena scopro chi ha pagato Vip64 per queste interviste deposito una querela a suo carico.» borbottò l’avvocato in modo poco professionale, forse, ma molto in tono con il suo umore.
«Io e Takami abbiamo un’idea a riguardo, ma nulla più di una speculazione.»
«Oh.» la verdesca si ricordò solo in quel momento dell’umana. «La signorina come sta? Il signor Ratchet ieri sembrava in apprensione.»
«Guardi lei stesso.» ed indicò un tavolo non troppo distante, dove la lunga coda di cavallo di Takami dondolava mentre la ragazza parlava gesticolando con altri tre allievi, ciascuno proveniente da un corso diverso. Dopo alcuni istanti il robottino aggiunse: «È vero che la storia del ruggito le ha causato qualche problema, ma la direttrice Donno è stata molto pratica nel distogliere l’attenzione di tutti.»
«In che modo?»
«Coinvolgendola nelle esercitazioni dei cadetti più anziani; utilizzandola come elemento di difficoltà aggiuntiva. Scene come questa sono prassi da qualche giorno: i suoi compagni di corso sono più curiosi riguardo all’esercitazione che verso il racconto a puntate.»
«Dunque la sua immagine qui non ha ricevuto gravi danni.»
«No, non particolarmente.»
Ignara di essere al centro dell’attenzione, al suo tavolino, la ragazza mimò un’esplosione e la tavolata si aprì in una serie di esclamazioni eccitate. L’avvocato si ripromise di scambiare due parole anche con lei, poi riportò l’attenzione su Clank.
«Sul serio i dati contenuti nel suo hard disk sono così confidenziali?» domandò.
«Forse no.» concesse l’altro. «Però la prudenza non è mai troppa, soprattutto quando si è nel bel mezzo di una causa.»
«Suvvia, sono dati che non concernono il dibattimento in corso. Se non sono sensibili potevamo essere anche meno discreti.»
Clank si limitò a materializzare l’hard disk ed appoggiarlo sul tavolino. «Gli dia un’occhiata e mi dica cosa ne pensa, per favore.»
* * * * * *
Passò l’ora di pranzo, poi il mezzo pomeriggio e finalmente i soli si avviarono al tramonto. Riklis non si era mosso dal tavolino e Clank era rimasto con lui nella coscienza che, per quanto fosse un bravo avvocato, non fosse un tuttologo. Perciò trascorse il giorno con l’imponente figura dello xarthar, a tratti in silenzio e a tratti spiegando ciò che – per errore o per ignoranza – l’altro chiedeva.
A fine giornata, con il tavolino coperto dal computer e da un certo numero di vettovaglie vuote, Riklis aveva le idee più confuse di quella mattina, quando era partito. Se possibile la chtanna era diventata un mistero ancora più fitto per chi, come lui, voleva trovarle una spiegazione scientifica. Non c’era una legge che fosse una in grado di spiegare il comportamento dell’oggetto. Combinandone un certo numero, invece, si poteva imbastire una spiegazione decente, ma bisognava chiudere gli occhi su condizioni fondamentali per l’applicazione delle suddette. Questo gli stava piantando un chiodo nel cranio.
«Non posso inserirla nel racconto per Vip64, non posso...» continuava a borbottare. «Se non parlo di Chaos non posso citare neanche quell’affare...»
«Buonasera!» la voce di Takami interruppe il mormorio dello xarthar, che alzò lo sguardo in tempo per vedere l’umana sedersi di fianco al robottino.
«Bah. Buonasera.» bofonchiò.
«Non si sforzi, la prego. La vedo preso dal computer.» replicò la giovane. Poi si rivolse a Clank: «Puoi dirmi per cosa ha attraversato mezza galassia? Abbiamo guai?»
Il robottino l’accontentò e, al termine della spiegazione, strappò alla ragazza un «Accidenti!» e il commento: «Gran gingillo. Ci credo che ha dei problemi.»
«Credevo che qui avrei trovato soluzioni...» mormorò l’avvocato. «Invece ci sono solo domande.»
«Ma la risposta che cerca esiste.» asserì lei, sicura delle sue parole. «Una, unica e completa. Solo che accettarla comporterebbe ribaltare la sua visione delle cose.»
«No, grazie, niente magia.» tagliò corto Riklis. «Ci vuole la scienza e ci vuole quanto prima. Dobbiamo battere sul tempo Jeetwak, che ha a disposizione tecnici migliori dei nostri.»
«Jeetwak?» domandò, inacidita dal ricordo dell’altro avvocato. «Ha davvero intenzione di parlare della chtanna in tribunale? Perché allora dovremmo introdurre anche Rakta, la spada che non perde mai il filo, e poi l’arma mutaforma Amsu, e poi Alakdan col suo veleno inestinguibil–»
«No!» la interruppe la verdesca, gridando tutta la sua esasperazione in quell’unica sillaba. «Quello che intendo è che anche quella canaglia segue Vip64. Se noi scriviamo della chtanna lui cercherà di capire di cosa stiamo parlando e, se vogliamo evitare che questa storia arrivi in tribunale, dobbiamo evitare di offrirgli punti a cui aggrapparsi.»
«Be’, avvocato, onestamente non capisco per cosa si preoccupa. Se la chtanna non va in aula allora va bene inventarsi una storia qualunque. Perché non confeziona bene la loro spiegazione migliore anziché sbattere la testa cercandone un’altra?»
«Perché la vostra spiegazione più plausibile – cito il file letto un’ora fa – fu smontata tre anni addietro da miss Chaos.»
Takami si ritrovò a battere le ciglia più e più volte. Non ricordava che la toksâma avesse fatto una cosa simile. «Sì, ma tre anni fa non eravamo più nella DreadZone. Non è necessario raccontarlo.» obiettò.
Clank, poi, rincarò: «Senza contare che è vero che Chaos ci smontò la teoria, ma al quartier generale della Flotta ci sono alcuni ingegneri che hanno studiato la chtanna e che la teoria l’hanno confermata. Potremmo far leva sulle loro conoscenze.»
Riklis inspirò a lungo ed espirò lentamente, valutando la situazione. Se anche a dei tecnici specializzati era parsa una teoria verosimile, cosa gli impediva di accorparla al racconto fasullo da portare alla redazione? Forse il fatto che era una spiegazione semplice? Ma che fosse semplice tornava comodo: la rendeva più facile da manipolare. E allora cosa?
La risposta lo raggiunse con una parola a lui molto familiare: testimoni.
Ma porca di quella–!
Si era talmente immerso sulla natura della chtanna che aveva dimenticato il contesto da cui l’aveva estratta!
Un errore grossolano per uno che si definiva il meglio del meglio. Doveva rimediare subito. Doveva tornare a pensare oltre. E questo portava ad una domanda. «Crede che potrebbero saltare fuori degli ex gladiatori a guastare il racconto?»
«Non credo che altri oltre a Vox e Ace Hardlight sapessero davvero con cos’avevano a che fare, e oggi non possono più parlare. Oltretutto quei burloni di Dallas e Juanita, col loro sensazionalismo, misero in circolo ogni genere di voci, rendendo difficile a chiunque capire cosa fosse vero e cosa no. Ritengo perciò improbabile che qualcuno degli eroi superstiti esca fuori gridando alla menzogna: se lo smentissimo e a nostra volta lo accusassimo di diffamazione la sua carriera sarebbe finita.»
Seguì una pausa di silenzio. Riklis metabolizzò il discorso lentamente, valutando ogni parola. Quando però il quadro fu completo non poté fare a meno di sorridere con orgoglio.
Una contro-querela per diffamazione, eh? Mi piace come ragiona.
Era deciso, quindi: nel capitolo successivo avrebbe descritto la chtanna come l’ava delle armi moderne, dotata di un primitivo sistema di riconoscimento biologico e di un rudimentale circuito per gli impulsi emp.
E se Jeetwak obietta gli sigillo il becco con gli studi degli ingegneri della Flotta. Comunque vada sarà un successo.
* * * * * *
Due giorni più tardi, 20 Febbraio 5408-PF
Pianeta Kerwan, Metropolis, 93esimo settore
 
DING!
L’ascensore si fermò e le porte si aprirono sull’attico del Khelith Building. Lo sguardo cadde per inerzia sul corridoio e Riklis, come al solito, si disse che quei teli di plastica facevano proprio schifo. Davano un senso di incuria e abbandono, mentre invece erano lì per assicurare una buona manutenzione.
Attraversò l’ambiente a passi misurati e si fermò davanti all’ultima delle due porte. Si concesse un attimo per ammirare la serratura che il suo cliente aveva fatto installare dopo il suo passaggio e le labbra accennarono un sorriso. Chapeau al lombax: contro quella lì avrebbe dovuto inventarsi ben altro che sgraffignare le chiavi per sorprendere il suo cliente.
Suonò il campanello e Ratchet venne ad aprire quasi subito. Lo fece accomodare nel salone con poche parole e sedette sul divano di fronte al suo senza fare commenti. Lì per lì lo xarthar non fece caso al suo comportamento, ma dal colpo di coda con cui il padrone di casa allontanò il chatter dal cuscino lo xarthar fiutò aria di maretta.
«Posso chiederle cosa non va?» azzardò.
«Cazzate di condominio.» fu la risposta, carica di una consistente dose di rabbia. «C’è una legge che mi permetta di rinsavire l’amministratore a mazzate?»
Un cupo senso di divertimento si annidò nel petto dell’avvocato, che mostrò un sorriso. Le questioni di condominio erano la telenovela del circolo forense. Quando qualcosa sembrava andare bene ecco spuntare l’imprevisto, un po’ come fra Lance e Janice.
«Già, suppongo di no.» continuò il lombax. «Torniamo a noi. Ha ottenuto le risposte che voleva dal viaggio a Marcadia?»
Riklis scambiò un’occhiata con il suo cliente, per capire se faceva del sarcasmo in tono asciutto. Tutto ciò che vide, però, fu lo sguardo limpido di chi aspetta solo una risposta, senza pregiudizi di sorta.
«Ho ottenuto più domande che risposte.» ammise. «Tuttavia ho trovato anche un modo per implementare la chtanna senza dover citare dettagli magici o presunti tali.»
«Sarebbe?»
«Scrivendo di riconoscimento biologico e sostenendo che integri impulsi emp.»
Ratchet fece spallucce. «Suona onesto. Lo pensarono anche Al e Clank, sulle prime.»
«Ben più che sulle prime. Da quant’ho letto la teoria resse fino a tre anni fa.»
Questo gli fece guadagnare un altro genere di attenzione da parte di Ratchet, sul cui volto comparve una chiara sfumatura di allarme.
«Sul rapporto non era specificato cosa successe, ma so che c’entra miss Chaos.» si affrettò a dire l’avvocato. «Magari potrebbe parlarmene lei.»
«Magari è meglio di no.»
Si rese conto di essere stato troppo secco nel rispondere; così a mo’ di scusa aggiunse: «Fu una complicazione di una missione su Torval. Una missione secretata. Non posso dirle di più.»
Riklis si limitò a stringere le labbra e annuire con aria condiscendente. «Capisco. Allora non chiederò oltre.»
Sì, non avrebbe chiesto oltre a lui. Ma il suo istinto gli suggeriva che valesse la pena di farsi restituire un favore e leggere il fascicolo. Dopotutto si trattava di una missione assegnata tre anni prima alla USS Phoenix, ambientata su Torval e successivamente secretata. Quante mai ce ne potevano essere?
Annotò mentalmente chi contattare e subito dopo, in tono cheto e professionale, tenne fede alle ultime parole scambiate con Ratchet. «Cosa successe dopo la vostra prima vittoria nella DreadZone?»
Il lombax lo squadrò per qualche istante, studiando i suoi lineamenti con la stessa nota di allarme con cui gli aveva risposto di no. Lo sentiva a pelle: lo xarthar aveva mentito. Tuttavia, considerando la situazione generale, decise lo stesso di concedergli il beneficio del dubbio.
«Eravamo destinati a rimanere una settimana intera in quel buco marcio. La gara era fatta, quindi non ci rimaneva che guadagnare qualche punto extra e cercare di spiegare di Chaos agli altri.» cominciò a raccontare. Lo xarthar, però, avvertì che qualcosa del racconto non gli tornava.
«Aspetti.» Lo xarthar, con le sopracciglia ravvicinate, lo fermò alzando un dito. Poi, non convinto, materializzò dai guanti un plico di fogli rilegati con una spiralina. Lo aprì ad una pagina contrassegnata da un post-it rosso e, dopo un paio di secondi, distese i lineamenti. «...Ecco qui: lei aveva detto che Chaos le aveva esplicitamente vietato di parlare della sua esistenza. Perché parlarne?»
«No, sta sbagliando. Chaos mi aveva vietato di parlare del regalo che mi aveva fatto.»
«Parla di–»
«Della capacità di scampare alla folgorazione.» chiarì Ratchet. «Non mi aveva mai vietato di parlare della sua esistenza. E poi ero convinto che Chaos fosse solo apparenza: una mortale qualunque, come me e lei, avvocato. Di conseguenza, ero convinto che parlarne con Al e Clank non avrebbe portato niente di male.»
«E si sbagliava?»
La domanda strappò un sorriso ironico al lombax.
«Perché, lo mette anche in dubbio?»

 

   
 
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