“Non
credevo che saresti venuto.”
Un po’
a disagio nel suo abito da cerimonia babbano, Remus
si rivolge a un Severus Piton particolarmente elegante nel lungo abito
da mago
nero con i polsini di seta verde e dei ricami orientali in argento
sulla
schiena.
“E io
non credevo che avresti scelto questo posto per
celebrare le tue nozze.”
Uno di fronte
all’altro, in una posa innaturalmente rigida,
assomigliano ai protagonisti di quei vecchi film babbani in cui il
buono estrae
la pistola per primo e il cattivo muore. Ma non si trovano in un
polveroso
villaggio americano del West, bensì su un promontorio a
picco sul mare di un
paesino normanno, e intorno a loro non ci sono casette in legno e un
saloon di
dubbia fama, ma solo una piccola chiesetta di campagna addobbata a
festa.
“Lo ha
scelto Ninfadora… Ha trovato la foto di questo posto
in uno dei miei libri…”
“Devi
imparare a nascondere meglio le cose importanti…”
“Già,
dovrei… ma la nostalgia è più facile
da tenere a bada
quando hai qualcosa di solido a cui aggrapparti.”
“Non ti
ha chiesto nulla, su quella foto?”
“No…”
“Lo
immaginavo…Non credo che avrebbe deciso di celebrare
qui il vostro matrimonio se avesse saputo che su questo prato il suo
dolce
maritino ha festeggiato il suo compleanno facendo l’amore con
il suo ragazzo.”
Un leggero soffio
di vento solleva di poco la veste di
Severus, e insieme all’odore del mare porta alle orecchie dei
due uomini gemiti
e sospiri di quasi un secolo prima.
“A
quanto pare quello è sfuggito alla bacchetta impazzita
dell’addobbatore…” Dice Severus,
indicando un albero spoglio, situato poco
distante dal gazebo che avrebbe accolto gli ospiti dopo la cerimonia.
“Quello
è e rimarrà il nostro
albero…” risponde malinconico
Remus.
È il
compleanno di Lupin, ma la vita a Grimmaulde Place
continua a scorrere normalmente, non ci sono torte di compleanno sul
tavolo in
cucina o regali nascosti in qualche stipo. Severus passa tutto il
giorno ad
osservare di nascosto il compagno per cogliere qualche segno di
tristezza e
alla fine cede di fronte all’evidenza. Quando anche
l’ultimo coinquilino tocca
il letto stremato, trascina il compagno fuori di casa e, assumendo un
atteggiamento molto poco Serpeverde, materializza entrambi su quel
promontorio.
A dispetto della guerra che incombe su di loro, l’uomo vuole
regalare al
compagno un attimo di pace solo per loro. Fanno l’amore sotto
le stelle
sull’orlo del precipizio, per poi accoccolarsi sotto
quell’albero, avvolti in
una coperta evocata per l’occasione.
“Ti
amo, tesoro… oggi, domani e per sempre.” Sussurra
Remus
mentre scivola tra le braccia di Morfeo.
“Anch’io ti amo, piccolo sdolcinato Grifondoro.”
Gli risponde Severus, dandogli un bacio sulla fronte. E si amano davvero, di quell’amore incondizionato capace di distruggere chiunque è tanto sprovveduto da mettersi sulla loro strada. E mentre la guerra miete vittime e anche le coppie più solide si sfaldano sotto il peso di recriminazioni e di colpe non dette, loro vanno avanti imperterriti a spiare, boicottare, escogitare strategie ed uccidere, se necessario, per poi rotolarsi tra le coperte, felici di essere ancora vivi e insieme. Ma poi Potter sconfigge Voldemort e la guerra finisce e si ritrovano soli in quella grande casa che era stata il quartier generale dell’Ordine della Fenice. Passano giorni a sistemare quelle quattro mura, buttando le innumerevoli cianfrusaglie accumulate nel tempo e dando alla casa sempre più l’aspetto di un’alcova. Un giorno, in piedi di fronte alla porta del bagno, mentre osservano le due asciugamani posate in modo ordinato alla piccola balaustra di metallo e i due spazzolini da denti nuovi nel bicchiere sul lavandino, si rendono conto che nessuno dei due in realtà ha mai nutrito la speranza di sopravvivere.
E il loro amore, sopravvissuto alle maledizioni senza perdono e alla furia del Signore Oscuro, inizia a piegarsi sotto il peso del giudizio della comunità magica e loro si scoprono ogni giorno un po’ più stanchi e meno combattivi. Soffocati dagli sguardi di genitori indignati e passanti schifati, una sera d’inverno abbassano le armi e si arrendono all’ottusità di un mondo bigotto. E’ il loro primo anniversario dalla fine della guerra: Remus, il viso illuminato dalla luce soffusa di alcune candele che galleggiano ai lati del letto, è sdraiato sul letto, le ciglia tremanti per il piacere che le mani del compagno sul suo petto gli stanno trasmettendo. Non c’è urgenza in quei tocchi, né passione, solo tenerezza e il bisogno misto a desiderio di esplorare con calma il corpo dell’altro lentamente ancora una volta. Ad un gemito un po’ più forte del compagno, Severus sostituisce le mani con la bocca, tracciando una scia di baci umidi sulla striscia di pelle sotto l’ombellico.
“Sev… - sussurra roco Remus – amami come la prima volta, riempi il vuoto del mio cuore per sempre, così che io non mi debba sentire mai più solo…”
E si amano quella
notte, gemendo e gridando il
nome dell’amato mille e mille volte come se non ci fosse un
domani. E quella fu
veramente l’ultima notte, e non ci fu spazio per lacrime,
urla o
recriminazioni, per nulla che non fosse solo il loro amore. Il giorno
dopo, al
suo risveglio Remus trova affianco a se, al posto del corpo
addormentato del
compagno un biglietto “Ti lascio il
mio
cuore, abbine cura.”
“Si
dice in giro che Tonks ti abbia incastrato – la voce
acida e pungente di Severus lo riporta alla realtà, al
giorno delle sue nozze –
Solo uno sprovveduto Grifondoro poteva mettere incinta una ragazza dopo
una
sola notte di sesso.”
Dopo quella
notte, infatti,
mentre
“ Solo
uno stupido Grifondoro poteva pensare di ritrovare
in qualcun altro quel calore necessario per non farlo
avvizzire.” Detto questo,
volta le spalle all’amante per la seconda volta e si dirige
con passo malfermo
verso l’altare.