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Autore: Daleko    12/03/2018    2 recensioni
"Lui camminava guardando lei, lei gli trotterellava al fianco fissando la strada. «Ma Nico che ha detto, viene per Olandese?» gli chiese all'improvviso. Alessandro notò lo smartphone crepato che stringeva nella mano destra. «Gli stai scrivendo?» domandò in rimando, occhieggiando lo schermo. «Sì, ma su Whatsapp non risponde» gli mostrò lei: gli ultimi sei messaggi erano stati inviati da Chiara. Alessandro apprezzò mentalmente il non aver trovato emoticon affettuose sullo schermo."
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"«Giuro che questa volta t'ammazzo, questa volta ti... Devi smetterla di tirarmi in mezzo a questa roba, hai capito?» ringhiò il ragazzo al telefono. Ci fu qualche secondo di silenzio riempito solo dalla pioggia. Nicola si era riparato sotto uno dei balconi del primo piano, l'acqua gli schizzava sulle scarpe ma la rabbia gli impediva di sentire freddo. «Senti Nico... Tu non devi rompere i coglioni a me perché tu c'hai i cazzi tuoi per la testa e all'improvviso te ne vuoi tirare fuori, t'è chiaro?». La voce al cellulare era stranamente glaciale, sgarbata, poco familiare. Il ragazzo non fu reattivo come avrebbe voluto."

Storia romantica ambientata all'Università "L'Orientale".

Feb2019: Storia modificata e revisionata.
Genere: Malinconico, Slice of life, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amori sanguigni'
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8.
 

«Sì, riferisco. Ti ho detto... Sì, ma ti ho detto che... Mh. Va bene, ci vado mo'. Oh, dici a Igor che ci sto andando. Non ti... Sì. Non ti preoccupare. Chicco... Eh, Chicc... Oh, hai detto venerdì, e per venerdì siamo online. Sì. Sì, ora non posso parlar... Eh, sto all'università. Dove cazzo dovrei appartarmi in un'università, scusa? ...ventimila. D'accordo. A stasera, parla con Igor, ciao».
Alessandro mormorava al telefono, coprendo bocca e microfono con la mano libera quando qualcuno gli passava accanto. Sembrava estremamente irritato, camminava veloce e con passo sicuro, puntando a un'aula del quarto piano. S'infilò di traverso in un gruppo di studenti in attesa dell'ascensore, uscendone a fatica per cambiare corridoio. «Odio questa sede del cazzo» borbottò tra i denti. Gettò un'occhiata all'orologio sul polso, alzò gli occhiali spingendoli con un dito sul ponte, poi si affrettò con una breve corsa. Raggiunse un altro gruppo di studenti intenti a entrare in aula, afferrando una ragazza per lo zaino. «Chiara!» la chiamò per indurla a voltarsi. La sua voce richiamò l'attenzione anche di un altro presente, e così si ritrovò a salutare anche il suo omonimo con un veloce cenno del capo. Prima che uno dei due potesse dire alcunché, il ragazzo unì le mani in segno di preghiera. «Cara, scusami se ti disturbo prima della lezione, ma è da ieri mattina che cerco Nico e non ho idea di che fine abbia fatto. Hai sue notizie?» domandò affabile con un sorrisetto preoccupato, sfoggiando tutto lo charme di cui era capace. Chiara aprì la bocca truccata in un'espressione di allarmata sorpresa. «Ale! No, non lo so... Però ci ha chiesto di prendere gli appunti per lui in questi giorni, ha detto di non poter seguire, giusto?» rispose gettando un'occhiata all'altro Alessandro, per nulla felice di essere stato interpellato. Grugnì in segno di assenso. «Va bene, grazie mille» si congedò rapidamente, rivolgendo un altro attraente sorriso alla ragazza. Chiara rimase ferma a guardarlo andar via, più che felice di essere stata d'aiuto, e l'amico fu costretto a trascinarla all'interno.
Alessandro scese gli scalini due alla volta, nuovamente con lo smartphone in mano. «Siri, chiama Mirko» ordinò all'assistente vocale, poi lo avvicinò all'orecchio. Iniziò a parlare appena l'altro accettò la chiamata. «Oh, mi serve la moto che ho un'urgenza a lavoro, sei a casa? Mi scendi rapido casco e giacca?» chiese affrettandosi all'esterno della sede. «Sì, die... cinque minuti e sto a Piazza Carità. Comincia a scendere, arrivo» si raccomandò prima di interrompere la chiamata. Non correva, limitandosi a camminare a passo molto veloce. «Siri, chiama Nico». Rispose la segreteria e lui imprecò sottovoce, affrettando il passo. Qualche minuto dopo, superata Piazza Carità e infilatosi in una delle tante stradine secondarie della città, focalizzò la propria attenzione su un ragazzo in lontananza. Lo raggiunse in breve, sfilando nel frattempo la borsa a tracolla e portandola con una mano.
«Per una volta che vai all'università con la moto hai un'urgenza a lavoro! Che sfiga, eh?» provò a conversare Mirko. Alessandro gli gettò un'occhiata distratta, impegnato com'era a recuperare e indossare la sua giacca di pelle. Alto quanto lui ma estremamente più esile, sbarbato, con una miriade di capelli rossi e occhi d'un verde chiarissimo, un allegro sorriso che gli sorgeva sulle labbra sottili. Alessandro registrò la sua presenza, ne prese atto e chiuse la zip della giacca senza fare commenti. «Devo proprio andare. Grazie» si premunì di risultare garbato anche in quella occasione, prendendo il casco chiuso dalle mani di Mirko e calzandolo senza altre perdite di tempo. Pochi secondi dopo era già in strada, in sella alla sua Yamaha nera, concentrato sul modo migliore per evitare il traffico.


 
Si attaccò al campanello, letteralmente. Poggiò il pollice sul pulsante e lo tenne premuto, resistendo al trillo incessante e senza staccare lo sguardo della porta. Come previsto, Nicola aprì meno di un minuto dopo.
Ad Alessandro non parve molto in forma, con le profonde occhiaie nerastre sugli zigomi e gli occhi arrossati. Indossava un maglione sformato e il pantalone di una tuta, senza scarpe. Intuì che non stesse per uscire. «Ma sei completamente rincoglionito?» sibilò Nicola nel vederlo. L'altro alzò le braccia, poi portò la mancina –quella libera dal casco– a sbattere contro la gamba, in segno di incredulità. «Mi spieghi che cazzo fai? Io ti dico che c'è un lavoro urgente da fare e tu sparisci per tre giorni?» chiese spiegazioni a bassa voce, fermo sullo zerbino e con gli occhi fissi sulla figura sfatta davanti a sé. Nicola manteneva la porta con una mano e il muro con l'altro, a mo' di transenna umana. Inspirò con calma. «Luca...» provò a spiegare, ma Alessandro cambiò argomento con un cenno della mano. «Sì, sì, ho capito, ne abbiamo già parlato. Ma hanno detto entro venerdì» «...e allora giovedì lo faccio, ciao» concluse Nicola chiudendo la porta. Alessandro infilò un braccio all'interno, bloccando quell'azione in un cigolio di pelle nera. «Aspetta!» lo richiamò. Il proprietario di casa spuntò di nuovo dalla fessura aperta. «Che altro c'è?» chiese ancora, sospettoso. Alessandro sospirò. «Non puoi farlo giovedì, porca puttana Nico, tu mi fai passare un guaio così» ragionò a mezza voce, grattandosi il mento irto. «Dai, apri, ti aiuto io. Luca dorme?» si propose. Nicola rimase in silenzio, titubante, poi aprì un po' di più la porta. «Sì. Ma... Non ti lascio solo con lui. E non possiamo fare casino in camera». «Ovviamente» accondiscese Alessandro. La porta venne aperta del tutto e il ragazzo all'esterno strofinò le scarpe sullo zerbino, entrando. «Permesso» si annunciò educatamente alla casa vuota. Nicola sbuffò, richiudendo delicatamente l'uscio. «Puoi evitarti la parte. Non c'è nessun altro» commentò amareggiato. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, restando a osservarlo mentre riponeva casco, giacca e borsa. Fermo all'ingresso, Alessandro ne approfittò per aggiustarsi i capelli allo specchio. Venne preceduto verso la camera con un sospiro, ma noncurante del fastidio arrecato si limitò a seguire l'amico all'interno. Le imposte erano chiuse, così come la finestra; c'era un vago odore di chiuso. Luca respirava pesantemente sotto le coperte, e Nicola si accertò che stesse bene prima di dirigersi alla scrivania. Alessandro seguì il tutto con distaccato interesse, osservando la scena come un documentario su Discovery Channel, poi si avvicinò al computer. Trovò una schermata nera piena di caratteri che non comprendeva, alcuni dei quali in grassetto. «Che stavi a fa'?» chiese a bassa voce. «Compilavo» spiegò Nicola, chiudendo programmi e spostando file per tornare su un desktop pulito. Alessandro si chinò, sedendosi sul talloni e poggiando gli avambracci sulle ginocchia. Rimase in silenzio per un po' mentre l'altro compiva la solita routine pre-connessione. «...allora, come sei finito all'Orientale?» domandò improvvisamente. «Che vuoi dire?» mormorò di rimando l'altro ragazzo, senza smettere di digitare sulla tastiera consumata. «È dal secondo liceo che vuoi studiare informatica alla Federico. Che cazzo ci fai a lingue?» ripeté Alessandro, irritato come sempre quando non riceveva una risposta immediata e precisa. Nicola non vi badò. «Te l'ho detto che non mi interessano più queste cose» rispose lui con calma. Ci fu un altro momento di silenzio. «E perché lingue?» continuò quello, interessato. «Perché sì. Sei qui per fare conversazione o per lavorare?» fu Nicola a cedere all'irritazione, e quando si voltò verso l'altro si sentì momentaneamente disorientato. «Allora, cos– ma che ci fai lì a terra?» alzò di poco la voce, riabbassandola subito. Alessando lo guardò senza capire. «Perché?» «Prendi una sedia dalla cucina, no?» gli venne suggerito. Trovandola una proposta sensata, il ragazzo si alzò con uno sbadiglio. «Sì. Prendo anche il MacBook, aspetta».

Il lavoro di quella mattina consisteva in noiose operazioni di vendita online; non c'era spazio per le distrazioni, così lavorarono in silenzio per un paio d'ore. Col passare del tempo si erano messi comodi: Nicola era curvo sul computer, seduto su un tallone, mentre Alessandro si era liberato del maglioncino, restando con una semplice t-shirt nera, e osservava l'altro lavorare scivolando lentamente sulla sedia, con il fondoschiena al centro della seduta e le ginocchia ben distanziate tra loro. Ogni tanto l'addetto al computer si fermava, voltandosi a guardare il fratello e assicurandosi che stesse bene, prima di tornare al suo lavoro. Alessandro aveva cominciato a ticchettare con i polpastrelli su di un lato della sedia, quando lo schermo del suo cellulare –momentaneamente abbandonato sulla scrivania– s'illuminò. «Ti cerca qualcuno» lo informò Nicola senza distogliere lo sguardo dallo schermo. L'altro non rispose, raddrizzandosi con un verso di fastidio e recuperando lo smartphone. Cominciò a digitare silenziosamente. «Sbaglio o è l'ultimo iPhone?» domandò senza curiosità. «Mh-mh» confermò lui. «E la usi quella stronzata delle emoticon che si muovono con la tua faccia?». Alessandro gli scoccò un'occhiata di traverso. «Stai scherzando?» commentò. «Sì. Chi è?» continuò l'altro a bruciapelo. «Mirko» fu la nuova risposta, data con totale assenza d'inflessione nella voce. «Mh» mugugnò Nicola. Continuava a badare al pc. Alessandro sorrise per qualcosa sullo schermo, continuando a scrivere. «Ti spiace andare fuori? Mi distrai» s'innervosì l'amico, ancora senza voltarsi, e lui ripose il cellulare sulla scrivania. «Che due coglioni che sei» se ne lagnò, alzandosi dalla sedia e andando a gettarsi sul letto libero. «Shh!» lo rimproverò Nicola; di tanto in tanto adocchiava il portatile accanto al proprio computer, consultando file, prezzi e dettagli dei prodotti. Alessandro spaziava con lo sguardo sugli oggetti presenti nella camera. «Certo che non hai davvero cambiato niente in questi mesi, eh» notò. «Questo l'hai già detto» commentò il ragazzo a mezza voce, e poi: «Vuoi stare zitto? Se si sveglia Luca mi incazzo» insisté. Alessandro sbuffò, si stese a braccia e gambe aperte con lo sguardo rivolto al soffitto. «Una volta eri più veloce...» «Una volta ero un coglione senza altri pensieri» fu la rapida risposta. Disteso sul letto, si girò su un fianco per avere l'altro nella propria visuale. «Nico, tu già facevi merda simile quando ti ho conosciuto, è inutile che ora fai il santarellino di 'sto cazzo». Ci fu qualche momento di silenzio, riempito solo dal battito sulla tastiera. «Facevo cose innocue, non mi occupavo di black market nel deep web, quindi...» «Cose innocue? Dillo a Mauro!» esclamò incredulo Alessandro. Nicola si voltò finalmente a guardarlo, ancora con una mano sospesa a mezz'aria sulla tastiera. «Che vuoi dire?» borbottò perplesso; l'altro sembrava divertito. «Che voglio dire? Gli hai hackato la webcam, l'hai ripreso mentre si faceva una sega e l'hai trasmesso durante il discorso di fine anno, davanti al resto della scuola. La chiami cosa innocua?» ridacchiò. Nicola arrossì, imbarazzato, e tornò a voltarsi al computer. «Non rompere i coglioni, eravamo al liceo» provò a sminuire il racconto. Restarono in silenzio un altro po', quando l'iPhone s'illuminò di nuovo. «Di' a Mirko di non rompere i coglioni» ringhiò Nicola. Alessandro si alzò dal letto, sgranchì la schiena, prese lo smartphone e lo usò con un pollice, annoiato. «Vuole sapere che urgenza ho avuto al lavoro. Che caro» lo avvisò con un sorrisetto. L'altro scosse la testa. «Ce l'hai come missione di vita?» «Cosa?» «Quella di prendere per il culo la gente. A proposito, sta' lontano da Chiara» buttò lì ancora a mezza voce. Il ragazzo in piedi, al suo fianco, trattenne a fatica una risata. «Ma è uno spasso, dai. Quel tuo amico schiatta appena mi vede da lontano» gorgogliò, fiero di quella constatazione. Nicola scrollò le spalle. «Ma almeno ti piace?» domandò a tempo perso. Alessandro si lasciò andare a un'onomatopea da presa in giro. «Ti prego, peserà cento chili...» «Ah, già, dimenticavo. A te se non c'hanno complessi di qualche tipo non ti piacciono» lo sovrastò Nicola. Alessandro gli passò una mano tra i capelli. «Dai che ti fa piacere» sogghignò enigmatico. «Vaffanculo» concluse Nicola, e rimasero in silenzio per un'altra mezz'ora.
 
Fu lo stomaco gorgogliante del proprietario di casa a suggerire loro di guardare l'orologio. «È la mezza. Mangiamo qualcosa?» propose Alessandro. «Mangerai quando sarai uscito di qui» ribatté Nicola. Parlavano ancora a bassa voce, e il conseguente sbuffo dell'ospite fu la risposta più rumorosa. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla sedia e tirando il ragazzo per un braccio. «Dai, ho fame. Sveglia Luca e pranziamo» provò a convincerlo. Nicola alzò gli occhi al cielo, salvò le modifiche al computer e si alzò senza fare rumore. «No, si è addormentato appena prima che tu venissi, lascialo dormire» mise un punto fermo alla questione; Alessandro scrollò le spalle, si diresse verso il salotto e aspettò che Nicola lo seguisse. Con la porta chiusa fra le due stanze potevano parlare più liberamente. Mentre uno ravanava nel frigo, l'altro si poggiò al tavolo col bacino; con le mani nelle tasche dei jeans rimase fermo a guardarlo muoversi per la stanza. «Ce l'hai ancora con me?» chiese di getto. L'altro non si voltò, aprì il cassetto delle posate e ne estrasse un coltello da cucina. «Per cosa?» si limitò a chiedere. Alessandro fece spallucce. «Non so, per...» «No» tagliò corto Nicola, poi sembrò ripensarci: «Ce l'ho con te perché sei un bugiardo, manipolatore, egocentrico, narcisista e...» «E bellissimo, anche?» scherzò l'altro. Nicola si voltò a fissarlo con aria disgustata, poi tornò a tagliare in due un panino. «Scherzavo. Mi stai dando del sociopatico?» «Tu SEI sociopatico!» «Forse. Che male c'è?» commentò Alessandro, nuovamente intento a grattarsi il mento. Nicola gli si avvicinò, poi sbatté un piatto di carta sul tavolo. «Panino al prosciutto. Muoviti a mangiare, ché prima finisco e prima te ne vai» commentò irritato. Tornò al bancone della cucina, si poggiò a esso in modo simile a quello dell'altro, e addentò il proprio panino senza perdere di vista l'ospite. Alessandro fece una smorfia, prese il suo pranzo dal piatto e si diresse al divano, accomodandovisi pesantemente.
 «Di' un po', perché hai il cellulare spento?» continuò a fare domande. Lo sentì masticare, poi: «Così nessuno può rompere, ma a quanto pare per te questa cosa non vale». Lui sghignazzò. «Ehi, in cinque anni ho imparato a conoscerti» gli fece notare. Continuarono a mangiare in silenzio; c'era sempre una tensione più o meno latente tra loro. «Quindi a Mirko non l'hai detto?» proruppe Nicola, improvvisamente. «No» «Come mai?» «Scusa, perché avrei dovuto? Fa il barista, è praticamente inutile. Ma perché ne stiamo parlando?» commentò annoiato, portando lo sguardo sulla figura dell'amico; quello si strinse nelle spalle, apparentemente a disagio. Alessandro alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, riprendendo a mangiare senza commentare nulla per qualche minuto, poi: «Ammettilo, ne sei contento» «Di che cosa?» «Di questa cosa, di tutto» rimase vago. Nicola scosse la testa. «Te l'ho detto: mi stai minacciando. Tu piantala di diffondere i miei dati in liste...» «Oh, andiamo, era solo uno scherzo!» s'indignò lui, interrompendolo. «Ah, ora dire in giro che vendo materiale pedopornografico lo chiami scherzo?». Alessandro gonfiò le guance per esprimere fastidio. «Te l'ho detto, è stata...» «Un'idea di Chicco, sì, sì, me l'hai già detto. Ma dato che ho un fottuto fratello di undici anni e non ho voglia di trovarmi i carabinieri in casa a smontarmi i device elettronici, che ne dici di piantarla con queste stronzate?» ringhiò improvvisamente. Alessandro alzò le mani, ancora con il panino mangiucchiato stretto nella destra. «Calma, oh. Come sei sensibile. Alla fine rivendi armi di contrabbando, tra i carabinieri e la DIGOS non ci vedo chissà che differenza» commentò. Nicola lo fissò come se avesse a che fare con un idiota, poi scosse la testa e tornò al cibo, rinunciando alla discussione. Alessandro fissò per un po' l'interno del proprio panino.

«Oh, Nico. Tralasciando il resto, mi piace lavorare con te» tentò un approccio gentile. «Smettila, non ce n'è bisogno. Risparmiati per i colleghi all'università» lo fermò il diretto interessato. Alessandro l'osservò terminare il pranzo, ancora con metà del proprio fermo tra le mani. Batté le palpebre per qualche momento, in una confusione inusuale per lui. «Ma dico davvero...» «Sì, okay. Possiamo tornare a lavorare o vuoi fare salotto per un'altra mezz'ora?» rispose lui. Il tono era ostile, e le braccia incrociate non suggerivano apertura alla conversazione. Alessandro si sentì giudicato; si alzò dal divano, dirigendosi verso il tavolo e gettando in malo modo il panino nel piatto. «Sei proprio un bambino. Non ho più fame» sbottò tornando in camera. Nicola rimase fermo lì per qualche altro momento, poi lo raggiunse senza dire un'altra parola. Tornarono a lavorare in silenzio, con una tensione maggiore e il forte desiderio, da parte di entrambi, di terminare rapidamente il lavoro. Impiegarono un'altra mezz'ora per mettere il tutto a punto, e quando Alessandro richiuse il portatile nella borsa ci fu un momento di silenzio e immobilità generale. Entrambi fissavano la borsa appena richiusa, ma sembravano bloccati appena prima del congedo; il ragazzo era pronto per andar via, con il maglione indossato, la giacca chiusa in petto, il casco a portata di mano e lo smartphone in tasca. Con inusuale flemma recuperò la borsa, mettendola a tracolla, poi si grattò distrattamente la nuca. «Senti Nico, ti va se...» iniziò una frase stroncata sul nascere. Nicola gli porse il casco. «No, non mi va» rispose seccamente. Si fissarono per un momento negli occhi; Alessandro si sentì incapace di oltrepassare l'ostilità dell'altro, nonostante il suo naturale saper sfruttare l'insieme di carisma, educazione e bell'aspetto che si ritrovava. Sospirò, poi si diresse alla porta. Nicola lo seguì con lo sguardo, ancora a braccia conserte, e aspettò che uscisse di casa per chiudere a chiave. Non si salutarono.

 

 



Note dell'Autore

Mi sembrava giusto dedicare, invece, un capitolo a "Evil Ale" (amo amo amo i vostri soprannomi!). Again, tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione. Buon inizio settimana!
   
 
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