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Autore: Shainareth    13/03/2018    3 recensioni
*** Attenzione! La presente storia si collega direttamente alla shot Verità. Vi consiglio perciò di leggere prima quest'ultima, per comprendere appieno le vicende di ciò che verrà narrato qui di seguito. ***
«A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Verità'
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO




Abbracciato alla sua forma di camembert ancora intonsa, Plagg sbadigliò. Quella roba che stava guardando era una vera noia. Melensa più di Adrien e Marinette quando decidevano di sbaciucchiarsi senza minimamente considerare la presenza sua e di Tikki. Almeno, si consolò, i due portatori sapevano essere divertenti, a modo loro; Matteo e Giuliana, invece, erano inguardabili. Anzi, inascoltabili. «Ne ho piene le scatole, di questa cosa…» borbottò fra sé, sperando che quella scena piena di frasi fatte e inconcludenti terminasse alla svelta.
   «Allora perché diavolo la guardi?!» pretese di sapere il povero Adrien che, seduto alla scrivania, stava cercando di fare i compiti di matematica senza troppo successo.
   «Sto studiando.»
   Boccheggiò a vuoto per qualche istante, incredulo per quell’affermazione. «Io sto studiando», puntualizzò, battendo una mano sul libro aperto davanti a sé. «Tu stai solo guardando una dannata telenovela che nemmeno ti piace!» Plagg grugnì ma non disse nulla e lui sospirò, paziente come sempre. «Fammi capire…» cominciò dopo qualche secondo, decidendo di cambiare strategia. Forse se avesse mostrato maggior comprensione, avrebbero potuto trovare un punto di incontro e magari lui sarebbe riuscito a sfuggire a quel supplizio almeno mentre faceva i compiti. «Ti piacciono le telenovelas?»
   «Puah!» ribatté il kwami, trovando ridicola e persino offensiva quella domanda. «Come puoi anche solo pensare che io sia davvero interessato a questa lagna?!»
   «Dio sia lodato…» soffiò Adrien con sollievo, sentendo le sue speranze crescere. «Allora ti piacciono le storie in costume?» chiese poco dopo. Le vicissitudini di Ignazio e Donna Ester erano ambientate in pieno 1800, mentre quelle di Matteo e Giuliana sembravano risalire alla fine di quello stesso secolo, durante gli anni dell’emigrazione degli italiani in Sud America. «In questo caso, ti consiglierei qualcosa di molto, molto più interessante. Magari delle trasposizioni cinematografiche di importanti opere letterarie, come I tre moschettieri o L’isola del tesoro
   «Conosco la storia dei moschettieri di Francia molto meglio di te», gli assicurò Plagg stizzito, dal momento che in quel periodo aveva affiancato La Coccinelle al servizio di Sua Maestà. «E se ne L’isola del tesoro non viene fatto cenno ad una fazenda, allora non mi interessa.»
   Adrien lo fissò stranito. Cosa c’entravano le fazendas? Solo in quel momento si rese conto che le telenovelas a cui il suo kwami si era appassionato erano entrambe brasiliane e, per di più, ambientate in una o più fazendas. «Sei… interessato alle piantagioni di caffè?» osò chiedere a quel punto.
   «Chi se ne importa del caffè?!» protestò Plagg, sempre più spazientito. «Sto solo cercando di capire quanto si può guadagnare dalla produzione di formaggio!» Al giovane cadde la penna di mano. «Ma questi stupidi idioti non fanno altro che parlare di amori, tradimenti e sotterfugi, accoppiandosi come conigli! Sono di una noia colossale!» si sfogò infine la piccola creatura, lanciando un pezzetto di camembert contro il monitor del computer. Se ne pentì subito dopo, perché corse a prenderlo e lo accarezzò e cullò come se si fosse trattato di un bambino piccolo.
   Deciso a non strizzarlo fra le dita unicamente per questioni legate ai poteri dei miraculous, Adrien si passò una mano sul volto con fare stanco, ingoiando più di un’imprecazione. «Plagg», cominciò poi, la voce che tuttavia tradiva il suo reale stato d’animo. «Nelle fazendas si coltivava il caffè.»
   «L’ho capito anch’io, cosa credi?» rispose l’altro, immusonito per l’essersi dovuto subire centinaia di puntate prima di scoprirlo. «Però almeno qui Gumercindo e Bartolomeo parlano anche di uva», spiegò animatamente, convinto di ciò che diceva, «quindi non vedo l’ora che passino a discutere di formaggio.»
   «Non succederà», gli assicurò Adrien, benché non avesse idea di cosa sarebbe accaduto fra quei due emeriti sconosciuti. «E anche se fosse, ricordati che è una storia ambientata più di cento anni fa, oltretutto in un altro continente. Faresti meglio a fare ricerche online sui caseifici francesi dei giorni nostri, se proprio ti interessa l’argomento.»
   «A che pro? Tanto non mi passeresti un soldo per un investimento del genere», s’impuntò Plagg, che ormai l’aveva presa sul personale. Insomma, un conto era guardare passivamente qualcosa, ben altro era doversi documentare sul serio, leggendo chissà quante pagine di noiose spiegazioni e tecnicismi di varia natura.
   Solo la vibrazione del cellulare impedì al giovane di lanciargli contro la gomma per cancellare. Si trattava di un messaggio da parte di Marinette, che gli annunciava che, se tutto fosse andato per il meglio, lei e i suoi genitori avrebbero potuto tornare a casa di lì a due giorni. Digitando la risposta, Adrien sorrise al pensiero che le cose finalmente stessero iniziando a tornare alla normalità almeno per loro. Di più, sarebbe stato un sollievo soprattutto da un punto di vista psicologico: da quando non potevano vedersi la sera e passare la notte insieme, entrambi erano stati di nuovo colti dall’insonnia e dagli incubi, soprattutto dopo l’ultimo attentato. Adrien si domandò se Marinette vedesse il rientro a casa come un sollievo o, piuttosto, come una tortura; in fin dei conti, dalle sue finestre avrebbe avuto sempre sotto gli occhi la scuola teatro del disastro e, peggio ancora, la strada sulla quale, insieme agli altri soccorritori, durante quelle maledette ore di terrore avevano disposto le vittime della tragedia.
   Altro che investire in un caseificio… Se Adrien avesse avuto la possibilità di mettere mano agli introiti dei servizi fotografici a cui si prestava per volere paterno, e soprattutto se avesse avuto qualche anno in più, non ci avrebbe pensato due volte a sposare Marinette e portarla a vivere altrove. Aveva bisogno di vederla, assicurarsi che stesse bene. Ma dopo che madame Chamack aveva mostrato loro quel filmato, si erano ripromessi di stare più attenti, di non commettere altre ingenuità del genere. Avrebbero potuto incontrarsi in un posto più sicuro, senza videocamere di sorveglianza, certo; ma avrebbero sfidato troppo la sorte, dal momento che Marinette condivideva ancora la stanza con i propri genitori e che questi ultimi avrebbero potuto accorgersi della sua assenza se si fossero svegliati durante la notte. Incontrarsi di giorno? Impossibile, suo padre lo braccava come un mastino; e se pure all’inizio questa novità lo aveva in qualche modo reso felice, perché finalmente l’uomo mostrava il proprio interesse per lui, adesso Adrien cominciava ad avvertire tutti i disagi di quella nuova condizione. Inoltre, al momento gli sembrava ancora prematuro accontentare la richiesta di suo padre, invitando Marinette a casa per mostrargli i suoi schizzi; non ci sarebbe stato nulla di male, in realtà, e anzi gli avrebbe persino fatto piacere, ma temeva che questo avrebbe messo pressione alla ragazza, che allo stato attuale delle cose aveva solo bisogno di starsene tranquilla e di non pensare ad altro che a se stessa – e magari anche a lui, certo.
   Le voci melense di Matteo e Giuliana furono di colpo soppiantate dall’audio dei normali canali televisivi nazionali, segno che Plagg aveva finalmente deciso di mettere da parte quel supplizio in favore di un semplice zapping. Quando arrivò su TVi News la figura di Nadja Chamack apparve con prepotenza sullo schermo, parlando animatamente di qualcosa che era successo in città. «Alza il volume», chiese Adrien al kwami, che subito lo accontentò.
   …sia stato provvidenziale l’intervento delle forze dell’ordine, che, stando alle prime notizie, sono riusciti non soltanto a sventare l’ennesimo attentato, ma anche e soprattutto a fermare quello che sembrerebbe essere uno degli autori. Udendo quelle parole, Adrien schiuse le labbra, gli occhi ben aperti sulle immagini che stavano scorrendo in video in quel momento. Sembravano delle riprese amatoriali e perciò non erano troppo nitide o ravvicinate, ma si poteva comunque intuire che ci fosse stato parecchio movimento nei pressi di Montmartre. Che il nuovo obiettivo fosse il Sacré-Coeur? Adrien ripensò a quando era stato lì con Marinette un paio di mesi prima, durante quel loro primo ed unico appuntamento al buio, quando entrambi erano stati insieme dal guardiano dei miraculous. La giostra di Montmartre era uno dei più importanti simboli di Parigi, meta di turismo e luogo di incontri fra innamorati e di divertimento per bambini. Dopo una scuola media, quei dannati terroristi avevano davvero deciso di far saltare in aria anche quella? O forse preferivano profanare la santità della basilica? Qualunque fosse la risposta a quelle domande, Adrien non poté fare a meno di sperare che in effetti la persona posta in stato di fermo fosse davvero uno degli attentatori e che, magari, da lui le autorità sarebbero riuscite a cavare delle informazioni preziose per la risoluzione di quella maledetta situazione che teneva l’intera capitale sulle spine da troppo tempo.
   Da quando lo Stato si era infine deciso ad affiancare il sindaco Bourgeois in quella crociata, Adrien e Marinette avevano preferito tagliarsene fuori. Si trattava di una questione sempre più politica, nella quale due ragazzini della loro età non avrebbero saputo muoversi. Avevano perciò stabilito di intervenire solo nel momento del bisogno e, in cuor loro, speravano che Ladybug e Chat Noir sarebbero rimasti per parecchio tempo con le mani in mano, complice anche la sopita attività di Papillon. Se solo quest’ultimo si fosse persuaso ad ascoltarli e ad allearsi con loro… Alla luce di quanto Adrien aveva scoperto sul suo conto, in tutta onestà, cos’avrebbe fatto se si fosse trovato nei suoi panni? Se avesse perso suo padre? Nulla. Non avrebbe fatto proprio nulla, altrimenti si sarebbe già impossessato del miraculous della Coccinella per riportare indietro sua madre. Marinette non aveva forse tutta la sua fiducia? Ecco, lui avrebbe potuto approfittarsi della cosa da molto, molto tempo, ma non aveva voluto farlo. Non gli era neanche passato per l’anticamera del cervello. E se invece avesse perso Marinette?
   Una fitta non indifferente alla bocca dello stomaco gli mozzò quasi il fiato e Adrien strinse i pugni e strizzò gli occhi a causa di quel pensiero, che lo aveva colpito come un pugno a tradimento. Se avesse perso Marinette, forse anche lui avrebbe smarrito il senno proprio com’era capitato all’uomo che si nascondeva dietro la maschera di Papillon. Di nuovo… Di nuovo il giovane ebbe la spiacevole sensazione di capire fin troppo bene il loro nemico, di essergli vicino più di quanto avrebbe voluto.
   Avrebbe dovuto parlarne con Marinette?

Le tremò il cuore non appena il taxi si fermò davanti all’ingresso dell’edificio fresco di restauro. Aveva amato quella casa con tutta se stessa, perché era lì che era nata e cresciuta, che aveva iniziato a fantasticare sul suo futuro e a concretizzare parte dei suoi sogni. Era lì che aveva mosso i primi passi come Ladybug, che soleva guardare il cielo pensando all’amore, che aveva baciato Adrien per la prima volta con sincerità. Ora quei ricordi erano stati calpestati dalla brutalità di altre immagini, molto più violente e spaventose. Decise di non pensarci, non subito, e si lasciò trascinare dalla necessità del momento, aiutando i suoi genitori a portare su la loro roba, a sistemarla e a ripulire ciò che si era sporcato durante i lavori appena terminati. Tutt’intorno si poteva sentire l’odore ancora fresco dei materiali usati per riparare i danni, conferendo ulteriore estraneità a quel luogo che era stato per lei un rifugio sicuro per quasi quindici anni. La strada che la divideva dall’edificio scolastico pericolante neanche voleva guardarla.
   Mentalmente troppo stanca per pensare anche solo di mettere qualcosa nello stomaco, Marinette rifiutò la cena e dopo un ultimo, rassicurante abbraccio ai suoi genitori, capace quasi di indurla al pianto, fuggì di sopra, in quella camera che era sempre stata il suo mondo. Lì l’odore era rimasto quasi lo stesso, ma il senso di distacco da ciò che era stato si era ormai ben radicato dentro di lei. Avvertì un nodo soffocante in gola e, senza pensarci, salì sul letto e allungò un braccio verso l’alto, premendo il palmo della mano contro la botola che l’avrebbe portata sul suo terrazzino. Quella si schiuse, ma quando l’aria fresca della sera appena scesa sulla città le sfiorò il viso, ritirò il braccio e rimase inginocchiata sul materasso, silenziosa e immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.
   «Marinette…?»
   La vocina preoccupata di Tikki non bastò a scuoterla. Aveva solo voglia di piangere, eppure continuava a far violenza su se stessa, impedendosi di cedere – e non certo per orgoglio. Cos’avrebbe fatto, d’ora in poi? Sarebbe davvero riuscita a vivere ancora lì, ad un passo dal teatro dell’orrore che aveva vissuto appena una manciata di giorni prima? Serrò le mascelle e strinse le labbra, avvertendo un’improvvisa nausea attanagliarle lo stomaco. Stava male, la testa le girava e non riusciva a pensare ad alcun motivo valido per non tornare di corsa all’albergo del sindaco.
   Lo trovò pochi minuti dopo, quando un lieve bussare alla finestra posta accanto al letto la fece sussultare spaventata. Due occhi amici la fissavano con dolore e lei scattò verso l’alto, spalancando la botola e tuffandosi nel caldo abbraccio dell’amato che la stava aspettando. Chat Noir la strinse al cuore, affondando la bocca fra i suoi capelli scuri e facendosi carico del pianto dirotto a cui Marinette cedette l’istante successivo. Il giovane rimase lì, in silenzio, ad ascoltare i suoi singhiozzi e a cullarla con tutto l’amore di cui era capace. Solo loro due, accucciati sul freddo gres del pavimento. Passò diverso tempo prima che la ragazza, bisognosa di recuperare fiato, il respiro ancora spezzato dai singulti, riuscì a guardarlo negli occhi. Fu allora che Adrien capitolò, sciogliendo la trasformazione e posando le labbra sulle ciglia bagnate di lei, sulla pelle del viso, sulla punta del naso e sulle labbra tremanti. Realizzò in quel momento che Marinette era la sola cosa al mondo capace di riempire il vuoto del suo cuore e di mantenerlo sano di mente. Lo stesso fece lei, perché Adrien era l’unico a darle il coraggio e la forza necessari per rialzarsi ancora.
   Quando la bocca di lui cercò di nuovo la sua, Marinette lo baciò con passione, fra le ultime lacrime che ancora scivolavano sul viso. Ne sentì il sapore e schiuse le labbra, condividendo con lui quel primo, vero contatto intimo, come se da esso fosse dipesa l’esistenza di entrambi. Nell’ultima decina di giorni avevano potuto vedersi solo durante le lezioni scolastiche e in poche altre occasioni, e non era bastato a nessuno dei due. Quella lontananza aveva impedito loro di condividere emozioni e pensieri fino in fondo, ed entrambi avevano finito per accatastarli tutti in un unico ammasso di sentimenti, così aggrovigliato e profondo che adesso non poteva far altro che esplodere in modo fisico. Adrien l’afferrò per la vita con fare possessivo e l’attirò maggiormente a sé, mentre Marinette si aggrappava al suo collo con forza, desiderosa soltanto di perdersi in quel bacio fatto di sospiri, lacrime e dolore. Ma c’era anche l’amore, tanto. E lo scoprirono quando le loro labbra chiesero una tregua, i loro respiri si confusero ancora e le loro dita si intrecciarono con tenerezza. Occhi negli occhi, trovarono la forza di scambiarsi finalmente un sorriso di gioia: si erano ritrovati e non si sarebbero lasciati più. Avevano un disperato bisogno l’uno dell’altra.

Gli accarezzò il sopracciglio biondo con la punta di un polpastrello, seguendone la linea gentile fino a che non si accorse che Adrien la stava ancora guardando. Quegli occhi buoni erano tutti per lei, intenti a rimirare le sue ciglia scure, la curva sensuale delle labbra e quella lieve spruzzata di lentiggini che lui tanto amava. Le posò un leggero bacio sulla punta del naso, facendola sorridere e mosse il braccio con cui le cingeva la vita, spostando la mano più su e aprendola per accarezzarle la schiena con l’intero palmo. «Sono felice che tu sia qui», la sentì dire in un mormorio sollevato, rimanendo stesa accanto a lui sul letto, le gambe intrecciate alle sue.
   «È un bene, perché ho deciso che verrò ad infastidirti tutte le sere», le assicurò, baciandola ancora, questa volta a fior di labbra. Marinette non lo lasciò fuggire, muovendo le dita della mano dietro alla nuca di lui, premendola verso di sé. Non approfondì di nuovo il contatto, preferendo invece continuare a cullare entrambi fra quelle tenerezze che avrebbero consentito loro di rigenerarsi.
   «Cos’hai?» gli chiese poco dopo, incrociando il suo sguardo.
   Adrien fece scivolare la mano fino al suo polso sottile, prendendole poi le dita fra le proprie e portandosele al petto. Marinette avvertì nitido il battito del suo cuore, lento, caldo, gentile, rilassante. «Ho paura», le confessò abbassando appena le ciglia bionde sul volto chiaro. «Ho scorto delle somiglianze fra me e Papillon.»
   «Cosa vi siete detti, quella volta?» Aveva aspettato a lungo che lei gli ponesse quella domanda e lui a lungo aveva riflettuto sulla risposta da darle. Non voleva mentirle, ma non ricordava nel dettaglio le parole che aveva scambiato con il loro nemico, solo quella maledetta, terribile sensazione di empatia nei suoi confronti. «Adrien?»
   Prese un grosso respiro. «Avevamo ragione», iniziò allora, tornando a guardare Marinette negli occhi. «Papillon ha perso qualcuno. Una persona amata.»
   Dunque era per questo che aveva bisogno dei loro miraculous. «Temi che finiresti per comportarti allo stesso modo, se dovessi perdere me?» gli chiese diretta la ragazza, la voce troppo dolce per sembrare anche solo vagamente un rimprovero. Adrien annuì e lei sorrise con affetto. «Non accadrà», lo tranquillizzò, muovendo appena le dita contro il suo petto in una confortante carezza d’amore.
   «Come fai ad esserne tanto sicura?»
   «Perché sei tu», fu la semplice risposta che gli diede. «Papillon non sa cosa comporterebbe il suo desiderio. Tu sì. Non saresti mai capace di commettere un’azione tanto sconsiderata.»
   Su questo Marinette aveva pienamente ragione, riconobbe Adrien. «E se perdessi la testa?» insistette ancora, svelandole il lato più fragile del proprio essere. «Se non mi importasse più di niente, dopo aver perso te?»
   La vide arricciare il naso con fare contrariato. «Chaton, perché devi essere così pessimista?» questionò, cercando di tirarlo su di morale. «Ti assicuro che ho tutta l’intenzione di non lasciarti. Non ti libererai facilmente di me, neppure se tu lo volessi.»
   Adrien ricambiò il suo sorriso, si portò la sua mano alle labbra e ne baciò il palmo. «È una minaccia?»
   «Lo è.»
   «Fammene altre del genere, ti prego.» Il suono della risata di Marinette colmò di gioia il suo animo disorientato, facendogli recuperare parte della fiducia che sembrava aver perso in se stesso. Era andato lì per proteggerla e rassicurarla, ma alla fine era stata lei a risollevargli il morale. Come poteva non amarla? «Vorrei poterti portare via di qui.»
   Marinette si sentì sciogliere e i suoi occhi tornarono lucidi per la commozione. «Adrien…» cercò di farlo ragionare in un sussurro.
   «Un giorno lo farò», le fece sapere, lo sguardo deciso di uomo che prometteva alla propria donna di fidarsi di lui. «E ce ne andremo lontani da tutto questo orrore.»
   «Dove?»
   «Ovunque vorrai.»
   Lei non rispose subito, limitandosi a fissarlo per qualche attimo. Poi chiese: «C’è dell’altro, vero?»
   Era tanto evidente il suo desiderio di scappare? Di fuggire dalle sue paure più grandi? Adrien stirò le labbra, arrendendosi a condividere con lei anche l’unica cosa che ancora non le aveva detto. «Così come ho scorto delle somiglianze fra me e Papillon… ne ho scorte anche fra lui e mio padre.» Vide Marinette schiudere la bocca e aggrottare lievemente le sopracciglia scure, mentre con la punta delle dita gli accarezzava il mento sul quale iniziava ad avvertire una leggera peluria bionda. «Quel giorno… era terrorizzato dall’idea di aver perso qualcun altro di molto importante per lui… e non ho potuto fare a meno di pensare che quel qualcuno fossi io», continuò il giovane, con voce malferma. «Mentre la persona che ha già perso… potrebbe essere mia madre.»
   «Ci sono molti indizi che legano Papillon a tuo padre», fu costretta ad ammettere la ragazza, suo malgrado, «ma ce ne sono altri che ci spingono a scartare questa ipotesi.»
   «Lo so, ma se dovesse…»
   «Ci sono io», lo interruppe gentilmente, spostando la mano più su per passargli una carezza rassicurante fra i capelli chiari. «Non sei da solo, Adrien. Lo affronteremo insieme. E cercheremo di farlo ragionare, di spiegargli quali sono i rischi che corre.» Lui rimase in silenzio, un groppo alla gola non indifferente che gli impediva di parlare. Marinette gli sorrise e lo baciò ancora, tenera e delicata come se avesse avuto fra le mani qualcosa di fragile e prezioso. «Potrebbe anche darsi che le cose non stiano così, però», riprese poco dopo, quasi in un sussurro. «Perciò, concentriamoci sulle certezze del presente, adesso.»
   L’unica che Adrien aveva era fra le sue braccia in quel momento e sentiva di amarla con tutta l’anima. Non l’avrebbe lasciata andare, mai e poi mai. Si sarebbe fatto ammazzare, piuttosto che rischiare di perderla. Questo pensiero gli diede un’altra certezza: che suo padre fosse o meno Papillon, lui non sarebbe mai diventato come loro, perché non avrebbe permesso a nessuno di portargli via Marinette.
   Non disse altro, ma, tornando a circondarle la vita con un braccio, l’attirò a sé con vigore e le catturò le labbra con le proprie, cercando e regalando lo stesso, identico calore che li aveva travolti quando si erano rivisti. Sarebbe stata una lunga, lunga notte, costellata dei soliti incubi e delle solite paure; ma l’avrebbero affrontata insieme, come sempre forti l’uno della presenza dell’altra. Un’unica anima, un’unica essenza.












La storia in realtà avrebbe dovuto concludersi qui. Sì, lasciando diverse faccende in sospeso per un unico, importante motivo che, aridaje, viene specificato nel titolo: i limiti di ognuno di noi.
Non è importante sapere chi abbia compiuto quegli attentati, non era mio interesse approfondire la questione perché, che fossero terroristi religiosi o sovversivi politici o che so io, il risultato non sarebbe cambiato: si tratta comunque di mostri, incapaci di rendersi conto che non è togliendo la vita ad altre persone o distruggendo città che si risolvono i problemi. Forse il loro obiettivo è seminare il panico, far vivere costantemente la gente nell'ansia; ma anche gli stessi governi e i mass media giocano sporco al riguardo, quindi c'è davvero bisogno di arrivare a questo punto per far valere le proprie ragioni? Probabilmente sono poco realista e/o troppo ottimista, me ne rendo conto...
Parlando di cose meno pesanti, come avevo accennato, ecco qui spiegato l'interesse di Plagg per le telenovelas. Era una sciocchezza, appunto, e se fosse dipenso da me non avrei neanche creato tutta questa suspense; però mi era stato fatto notare questo potenziale punto in comunque con un'altra long e allora ho preferito mettere le mani avanti. Che poi, in tutta onestà, ce ne sono a centinaia di fanfiction che hanno punti in comune, voluti o meno che siano; e finché non si scade nel plagio vero e proprio, non ci vedo nulla di male nell'ispirarsi a qualcos'altro di già scritto, magari avvisando comunque l'altro autore giusto per correttezza (io non l'ho fatto perché, appunto, secondo me non c'era nulla di cui preoccuparsi in proposito).
Un'altra cosa che avevo annunciato è la crisi, il momento in cui Adrien e Marinette sarebbero crollati. È giunto e, a quanto pare, si stanno già aggrappando l'uno all'altra per rialzarsi a vicenda. Chiunque al loro posto avrebbe reagito allo stesso modo, se non peggio, perché stremati da quella orribile situazione: sono stati testimoni di tutti e tre gli attentati, ci si sono dovuti tuffare per il bene comune, e per di più l'ultimo lo hanno vissuto dall'inizio alla fine sulla propria pelle, rischiando di perdere le persone a loro più care e vedendone morire altre che conoscevano. E se da una parte mi chiedo davvero come Marinette riuscirà a guardare ancora la strada che separa casa sua dalla scuola ormai in rovina (giuro, per un'esperienza meno cruenta ma comunque traumatica, io ci ho messo mesi per superare una cosa del genere), dall'altra credo sia legittimo che anche Adrien si senta sul punto di esplodere per via della consapevolezza che forse il loro nemico è niente meno che suo padre. Io l'ho gestita in un modo (leggerete anche nell'epilogo), ma sono certa che nella serie la cosa sarà molto, molto più sentita e ben scritta. Ad ogni modo, Adrien e Marinette rimarranno insieme e si sosterranno sempre a vicenda, perché sanno capirsi, sanno amarsi e rispettarsi. Sono solo dei ragazzini, ma già come amici (nella serie animata) sono di grande esempio anche per gli adulti: la fiducia, la comprensione, la dolcezza e il rispetto dovrebbero essere alla base di ogni relazione (di qualunque tipo di rapporto si tratti).
Chiudo qui e vi do appuntamento alla settimana prossima (non so dirvi il giorno preciso) con l'epilogo, quello vero.
Grazie a tutti voi che siete ancora qui a leggere, a chi recensisce e anche a chi inserisce questa storia fra quelle preferite/ricordate/seguite.
Un abbraccio e buona giornata! ♥
Shainareth





  
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