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Autore: _DA1SY_    13/03/2018    1 recensioni
Alessandro, un ragazzo di ventuno anni, arruolato in una nuova élite militare al servizio del governo, ben presto dovrà fare i conti con la realtà e accettare che, il mondo in cui ha da sempre vissuto non è altro che un contenitore; solo in quel momento scoprirà ciò che si nasconde dietro al male che in passato piegò l’umanità.
La piaga; voci lontane di anime ignote, ricordi del passato o sussurri di morte? Chi sono i sussurratori?
Cosa ne sarà di questo mondo e cosa ne sarà dell’intero concetto della vita? Riuscirà Alessandro a scoprire la verità?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo essere salito sul pullman, Alessandro si sedette nel primo posto libero che trovò alle spalle del conducente.

Il manicomio era stato costruito fuori dalla città, ai margini della comunità e nell’aperta campagna; la particolare locazione fu un modo per isolare e allontanare il problema dagli occhi di chi ne era terrorizzato.

La struttura si trovava a poco meno di un’ora dalla casa del ragazzo e il pullman era indubbiamente il mezzo più comodo per raggiungerla in quanto, ne erano stati predisposti molti per raggiungere quel luogo situato ai margini della società.

Prima di mettersi comodo, e di abbandonarsi ai suoi pensieri, fece il punto della situazione; appoggiò la fronte sul finestrino e chiuse gli occhi.

Ripensò che alla fermata nei pressi di casa sua era stato l’unico a salire sul mezzo e, essendo un orario lavorativo, sarebbero salite durante l’intero viaggio poche altre persone soprattutto considerando che quasi nessuna di quelle sul mezzo lo avrebbe accompagnato fino alla sua destinazione finale.

Continuava a domandarsi se andare da suo padre sarebbe stata una scelta saggia. Sapeva che non sarebbe potuto restare con lui per molto tempo ma confidava nella massima sicurezza e nel controllo di quel luogo, gli uomini che lo stavano pedinato ora dovevano aver per forza perso le sue tracce; o forse era semplicemente quello in cui Alessandro sperava.

Avrebbe voluto tornare all’accademia per parlare di persona con Lorenzo ma tornare in quel luogo non gli sembrava la migliore delle idee; se chi lo stava pedinando faceva parte dell’esercito anche la giustizia e le forze militari non avrebbero di certo potuto aiutarlo, aveva solo bisogno di nascondersi e indagare di più sulla faccenda.

D’un tratto pensò alla casa degli zii, quella in cui crebbe e vi passò quasi dieci anni dopo la morte della madre.

Finalmente il ragazzo tirò il fiato, aveva una meta e un posto in cui rifugiarsi una volta uscito dal manicomio.

Durante tutto il tragitto, ripercorrendo le strade che aveva visto molte volte nella sua vita e nei suoi incubi, la mente del giovane fu invasa dai ricordi.

Alessandro nacque nel giorno sbagliato, o almeno così gli fu detto. Nacque nel giorno in cui suo padre, come altre persone; donne, uomini e persino bambini, impazzirono a causa della piaga.

Alla mente del ragazzo tornarono vive le storie che il padre gli raccontava in giovane età; era solo un bambino, piccolo e ingenuo e non si preoccupava di certo di comprendere cosa fosse la pazzia, non sapendo neanche che esistesse una condizione simile, era semplicemente la sua normalità. Il padre gli raccontava cose e lui le prendeva come “favole della buona notte”, così le etichettava sua madre.

Crescendo poi, Alessandro scoprì che quelle del padre non erano semplici storie, erano esperienze di vita che credeva sue, parlava con entità e riportava discorsi sentiti nella sua testa, lui come tutti gli altri che furono colpiti da quella piaga, i sussurratori. Sentivano voci sussurrate alle loro orecchie, ma era tutto nella loro testa.

Alzando lo sguardo Alessandro notò che il conducente lo stava fissando tramite lo specchietto e, appena i loro sguardi si incrociarono, il giovane buttò l’occhio altrove, tornando a guardare fuori dal finestrino. Si era convinto che quello scambio di sguardi fu soltanto una casualità ma dovette però ricredersi quando, dopo pochi minuti, tornado a fissare lo specchietto sorprese nuovamente l’uomo ad osservarlo.

<< Scenderai all’ultima fermata tu? >> Il tono grottesco dell’uomo alla guida fece sussultare il ragazzo che stava diventando sempre più paranoico.

Lì per lì non seppe se rispondere con sincerità oppure scendere con indifferenza alla fermata successiva per poi continuare a piedi. Infine, decise di rispondere con sincerità a quella domanda; ormai era sul mezzo e, a meno che non si fosse buttato fuori dal veicolo in corsa spaccando un finestrino, sarebbe dovuto restare su e aspettare, tanto valeva verificare le sue intenzioni << Si, sto andando a trovare una persona. >>

<< Stai andando a trovare qualcuno oppure sto trasportando uno spietato assassino? Quel taglio di capelli, ho già visto gente con quel taglio di capelli, nelle loro divise e con le anime sporche di sangue innocente! >> Il tono del conducente si fece sempre più vibrante; pareva un cane che digrignava i denti, pronto ad azzannare e sbranare la sua preda.

Alessandro non capì davvero cosa intendesse l’uomo con quella frese; sicuramente il suo taglio di capelli lo rendeva facilmente riconoscibile ma non faceva più parte della milizia e dire che non era un soldato non era mentire. Tutto sommato non riusciva proprio a comprendere perché i civili considerassero i soldati assassini, di cosa non era stato informato negli anni di servizio? Cosa stava succedendo nel mondo e perché un soldato non era stato messo a conoscenza che la gente lo reputava un assassino? A quel punto, al ragazzo non gli restò altro che fingere.

<< Non so di cosa lei stia parlando. >> Non lo sapeva davvero. << Questo taglio di capelli mi piace e non capisco come questi possano fare di me un assassino. >> Cercando di mantenere la calma il più possibile incrociò le dita sperando di essersi giocato bene le sue carte. << La risposta alla sua domanda è sì, sto andando a trovare mio padre, sono stato fuori città per molti anni e finalmente ora sono tornato. >>

Ci furono una manciata di secondi infiniti di silenzio in cui il ragazzo iniziò a sudare freddo.

<< Perdonami, sono stato impulsivo. Non trasporto più così tanta gente al manicomio ormai. Da qualche anno a questa parte mi capitano si e no un paio di persone al mese se va bene. Con le storie che si sentono ultimamente poi.. >>

<< Di quali storie sta parlando mi scusi? Perdoni la mi domanda ma, perché mi ha dato dell’assassino poco fa? >> Alessandro si sentì sollevato, si era giocato bene le sue carte e quello era il momento di ricavare più informazioni possibili da quell’uomo.

<< Porti lo stesso taglio di capelli di quegli assassini dell’esercito; ho dei conti in sospeso con loro. Di quali storie sto parlando? Devi essere davvero stato molto lontano da qui ragazzo; perdona la mia impulsività di prima, ti ho giudicato male. Comunque, da qualche anno gira voce che la gente sparisce senza alcuna spiegazione. >>

<< Non si preoccupi, non avevo la minima idea che questo fosse lo stesso taglio che portano i militari e se sono così tanto mal visti in questa città, provvederò subito a cambiare la mia pettinatura; la ringrazio per avermi informato ma, come può la gente sparire senza alcuna spiegazione? >>

<< Non preoccuparti ragazzo, in pochi sanno come portano i capelli questo perché quasi nessuno ha mai incontrato di persona soldati del corpo di ricerca militare, tutti ne parlano ma in pochi abbiamo avuto l’onore di averci a che fare. >>

<< Credo di aver sentito parlare di quel corpo; non è mica quello che protegge i malati? >>

<< Protegge? >> Il conducente sbuffò.

<< Non ha risposto alla mia domanda però; come può la gente sparire? Intende dai manicomi? >>

<< Esatto. Mi chiedi come fa? La verità la sa solo l’esercito; all’inizio ti fanno credere che la causa delle sparizioni dei malati siano le voci che sentono poi, quando inizia a fare tante domande ti dicono che hanno trovato il corpo e che dall’autopsia è risultato che la causa del decesso è: infarto, una caduta con conseguente trauma cranico e ad alcuni è stata persino rifilata la scusa dell’annegamento. Si inventano di tutto poi per non farti vedere il corpo. La verità è che c’entra il governo, i militari insomma; girano voci che qualcuno stia facendo degli esperimenti su quelle anime. >>

<< Non avevo mai sentito una storia del genere, ma è davvero possibile che stiano facendo certe cose? >> In cinque anni Alessandro era stato messo all’oscuro di tutto, aveva vissuto credendo di essere nella ragione e pensando che li fuori i civili elogiassero il corpo di ricerca; lui stesso non sapeva se ciò ce l’uomo diceva fosse la verità. Sentì all’improvviso la sensazione di aver vissuto nell’illusione per tutto quel tempo.

<< Sono tutti d’accordo, per loro questa situazione è scomoda. Scommetto che li portano via per fare i loro sporchi esperimenti ma, purtroppo non siamo nessuno noi per sapere i loro piani. >>

<< No! È qui che sbagliamo, noi abbiamo il diritto di cambiare le cose e abbiamo il diritto di sapere la verità. Finché teniamo la testa abbassata le cose non cambieranno. Non capisco neanche il senso di tenerli segregati in posti come quelli... >>

<< Ti do una dritta ragazzo; attento a quello che dici, hanno occhi e orecchi da ogni parte. >>

Alessandro si zittì per qualche minuto, sentendosi d’un tratto ancora paranoico. << Lei ha parenti o amici lì? >>

L’uomo non rispose, si ammutolì e mantenne il silenzio per tutto il resto del viaggio finché, una volta a destinazione, le porte dell’autobus non si aprirono e Alessandro gli dovette passare accanto per scendere dal mezzo.

Arrivato vicino al conducente, l’uomo allungò il braccio, afferrò la maglia del ragazzo e lo trattenne. Alessandro finalmente capì perché l’autista aveva scelto di restare in silenzio per tutto il tragitto; il volto era segnato dalle lacrime e gli occhi erano gonfi e lucidi.

<< Iris. Avevo più o meni vent’anni quando i militari entrarono in casa mia e portarono via mia sorella, lei aveva solo quattro anni a quel tempo. Quel luogo all’inizio era stato presentato come una struttura di aiuto e di ricerca dove li avrebbero curati e invece, non sapevano neanche loro cosa fare e come aiutarli, la salvezza divenne la loro bara. Alla fine, avevano le strutture piene di persone che non potevano aiutare e accadde l’inevitabile, la soluzione migliore. Due anni fa Iris, come tanti altri dopo di lei, scomparve nel nulla. Ecco la loro migliore soluzione. Ti ho aggredito perché pensavo fossi uno di loro venuto per ammazzare altra gente, perdonami. Hai detto di aver dentro tuo padre? Va da lui, proteggilo. Portalo via da lì finché sei in tempo. >>

<< Mi dispiace molto per la sua perdita. Seguirò il suo consiglio. >>

Alessandro salutò l’uomo e rimase a guardare il mezzo allontanarsi.

Il gruppo di ricerca era sempre stato elogiato come il gruppo vicino ai malati e prossimo a sconfiggere la piaga dell’umanità, in realtà aveva più segreti di quanto immaginasse. << Lorenzo, chissà se hai già saputo di queste stranezze ora che sei il capo e hai diritto di essere informato su tutto. Posso davvero ancora contare sul tuo aiuto? Chissà se resterai saldo ai tuoi principi. >>

Il manicomio era una costruzione moderna, di vent’anni appena, risalente a pochi mesi dopo la comparsa della piaga. Il governo, non potendo spiegare il perché di ciò che stava accadendo, pensò bene di limitare i problemi realizzando in tutto il mondo strutture di accoglienza per individui colpiti dal male.

All’inizio erano i parenti stessi che richiedevano il ricovero, un po’ perché la fiducia nel governo era tanta e un po’ perché, improvvisamente, molte persone si trovarono difronte ad una situazione difficile da gestire alla quale nessuno era preparato.

Gli anni passarono e con essi mutò anche la coscienza degli uomini; molti, delusi dai fallimenti delle ricerche, iniziarono a riportare a casa parenti e amici dai ricoveri, offrendo così nuovamente una vita dignitosa ai malati.

Le cure sperimentali e le ricerche infatti non diedero mai i risultati sperati, i manicomi divennero quindi semplici prigioni dove rinchiudere i malati così che la società non avrebbe più dovuto averci nulla a che fare.

La scelta di riportare a casa i malati dopo gli evidenti fallimenti però, si rivelò da li a poco la scelta sbagliata a causa del loro costante bisogno di attenzioni.

I malati percepivano voci come fossero sussurri di voci lontane; i sussurratori erano spaventati da queste e terrorizzati perché erano convinti che le voci che sentivano provenivano da anime morte e questa convinzione li fece impazzire ogni giorno di più, molti iniziarono a vivere in un mondo tutto loro, popolato delle più fantasiose creature.

C’era chi sosteneva che ciò che sentivano potesse essere vero e che i sussurratori erano semplicemente persone più sensibili, che il loro fosse un dono come il sesto senso. Altri invece sostenevano la teoria che riportassero esperienze delle loro vite passate ma, al governo non interessava cosa sentissero o vedessero a preoccuparlo fu l’incremento vertiginoso dei tassi di suicidio e degli omicidi che terrorizzava la parte sana dell’umanità.

Perfino il padre di Alessandro, quando ancora vivevano alla fattoria, provò a togliersi la vita perché quelle voci di morte erano diventate così insistenti e così insopportabilmente marce da non dargli pace. Il ragazzo ricordava storie, lamenti e suppliche di anime perdute provenire dalla bocca del padre quando riportava alla madre ciò che sentiva.

Ricordando il suo passato, arrivò all’ingresso di quella villa e, come se avesse ancora per mano sua madre si trovò lì a dover varcare ancora quella soglia, spaventato come se fosse tornato bambino.

Vedendo incrementare i tassi di suicidio e omicidi e, vista la preoccupazione e il terrore delle persone verso un male di cui non si aveva né una spiegazione né una cura, il governo, insieme ai militari decisero di arginare il problema; i ricoveri che fino a quel momento erano stati offerti come un servizio su richiesta del cittadino divennero obbligatori e forzati.

Il governo offrì cospicue somme di denaro a chi denunciava o ricoverava un sussurratore sia che a denunciare fossero parenti, amici o conoscenti del malato. Quegli anni furono una vera e propria caccia alle streghe.

Alessandro ricordava perfettamente la sua prima volta in quel posto, per mano alla madre sofferente già da tempo malata con le lacrime agli occhi mentre cercava di convincere il direttore della struttura a lasciare libero l’uomo.

Si fece coraggio ed entrò, chiudendo la porto dietro di sé. L’aria che si respirava era pungente, ricca di umidità con quella punta di muffa che pizzicava il naso. Nel lungo corridoio con le pareti e il pavimento rivestiti di una plastica verde, ormai consumata e lurida, si affacciavano le porte aperte delle varie camere.

Nelle camere le finestre dovevano esser chiuse, dato che non si vedeva nulla all’interno benché le porte fossero tutte spalancate, solo in alcune la luce filtrava leggera da una qualche tapparella sgangherata. Era come se tutto l’intero complesso fosse abbandonato, non era più affollato come un tempo.

Alessandro aveva come l’impressione che in ognuna di quelle stanze qualcuno lo stesse osservando, scrutandolo nel buio, pronto a saltargli addosso da un momento all’altro.

Quel luogo era peggiorato in cinque anni e il ragazzo affrettò il passo per raggiungere la stanza dove avrebbe dovuto trovato il padre.

Una volta arrivato all’ingresso della stanza del padre fu sollevato nel vedere che, almeno lì, la tapparella era sollevata, non di molto ma, non era buio e deprimente come nelle altre, li c’era ancora la vita.

Il padre stava seduto su una sedia accanto ad un tavolo, mentre il suo sguardo era rivolto verso il mondo esterno che si mostrava oltre quella finestra.

<< Papà! >> Alessandro con un sorriso nervoso in viso si avviò a passo svelto verso il padre che, udendo quella parola, saltò in piedi osservandolo con confusione e incredulità.

<< Dove sei stato tutto questo tempo? Avevo paura di averti perduto. Sto forse immaginando tutto? Oh, no… >> L’uomo si allontanò dal ragazzo e tornò seduto al suo posto. << Vattene via, tu non esiti! >>

<< No, papà sono io! Posso spiegarti, sono stato via per cinque anni ma ora sono tornato.>>

<< No... no... Io non ci casco più! Vai via! Andate via tutti! Andatevene via tutti oggi. Stanno arrivando! Stanno arrivando a prendermi e io devo essere pronto! >> Alessandro si sentì in una morsa di angoscia, dopo tutto quel tempo cosa pretendeva? Che fosse miracolosamente guarito? Che la sua assenza non avrebbe avuto conseguenze sulla instabile mente dell’uomo? Fece dunque un gran respiro, cercando di raccogliere più calma possibile.

Il giovane non aveva mai avuto un vero e proprio rapporto con il padre. Non avevano mai avuto quei momenti padre e figlio e anzi, aveva sempre visto quell’uomo come la causa di ogni sofferenza e dispiacere della madre anche se, la donna, non aveva mai dato modo a nessuno di sospettarlo; amava a tal punto quell’uomo che continuò ad amarlo fino all’ultimo dei suoi giorni. Alessandro a quel tempo era solo un bambino e aveva associato le lacrime della donna alla sofferenza di avere un marito folle; ancora non sapeva cosa volesse dire amare a tal punto qualcuno da desiderare che il male colpisse se stessi piuttosto che l’altra persona.

Era capitato davvero poche volte che i due si fossero trovati da soli. Negli anni della sua adolescenza ad accompagnarlo a trovare il padre fu sempre la zia, la sorella di sua madre che, dopo la morte di questa, lo prese a vivere con sé e la sua famiglia.

Ora erano lì soli e Alessandro non sapeva davvero cosa dire, erano due perfetti estrani, senza un passato e senza un futuro

<< Papà sono io, Alessandro. Posso sedermi qui? >>

L’uomo girò la testa dall’altra parte, fingendo di non sentirlo e di non vederlo.

Il ragazzo sospirò. << Papà, facciamo così, io ora ti farò delle domande e tu mi riponderai con dei cenni del capo, ok? Così non dovrai aver paura che qualcuno possa vederti parlare. Va bene? >>

Il padre rispose chinando la testa in segno di approvazione.

Ci furono una manciata di secondi di silenzio in cui Alessandro si sforzò di scavare tra le sue memorie alla ricerca di qualche bel ricordo che avevano vissuto insieme ma niente; non riusciva a ricordare nulla come se quell’uomo fosse un perfetto sconosciuto. Era davvero possibile che non avessero mai fatto niente insieme? Il giovane si interrogo, senza trovare una risposta soddisfacente, riuscendo solo a ricordare i brutti momenti e a scaricare su di lui la colpa di essere stato privato di una vera famiglia e la colpa della sofferenza madre.

<< Perfetto. Prima di tutto volevo scusarmi con te, per essere stato assente così tanto tempo. >> Fu nuovamente il silenzio. << Sono tornato a casa nostra, ti ricordi com’era la fattoria? Cosa ne dici se un giorno chiedessimo un permesso di uscita e tornassimo insieme? >>

 Il padre rispose scuotendo la testa.

<< Perché? Non ti piacerebbe uscire da qui? >>

Il padre non rispose a quella domanda ma si guardò attorno, stava sudando. La fronte era lucida e umida e per il terrore non batteva ciglio. Solo la testa si muoveva nervosamente nella stanza per scrutare se ci fosse qualcun altro al di fuori di loro.

Alessandro si strinse gli occhi tra l’indice e il pollice. << Va bene, non ti piacerebbe uscire. Cambiando argomento, prima hai detto che qualcuno deve venire a prenderti, di chi si tratta? >>

Nessuna risposta.

<< Sono il gruppo di ricerca o qualcuno che c’entra con loro? >>

D’un tratto la testa dell’uomo che, fino a quel momento non aveva smesso di muoversi, si inchiodò mentre lo sguardo si rivolse a qualcosa o a qualcuno che stava alle spalle di Alessandro.

Il ragazzo si sentì preso in una morsa di terrore, desiderava che quello del padre fosse uno sguardo perso nel vuoto, assente, così non avrebbe dovuto fare i conti con ciò che ora gli si trovava alle spalle eppure, sentiva che qualcuno era lì, fermo ad osservarli.

<< Sono venuti a prendermi, Ale. >>

Nell’udire quelle parole il ragazzo si voltò istintivamente e, all’ingresso della stanza, ferma immobile nel corridoio stava la figura di una persona avvolta in un mantello e con in testa un cappuccio. Era senza dubbio la stessa persona che doveva averlo seguito a casa sua e la stessa che, quella notte all’accademia, lo aveva scosso mentre si trovava privo di sensi. Non appena il ragazzo si alzò, quella figura iniziò a correre lungo il corridoio e verso l’uscita. Alessandro prese velocemente il pugnale dallo zaino e si getto all’inseguimento.

Il giovane era veloce, e ben allenato fisicamente a quelle prestazioni. Rapido e con agile, riuscì in pochissimo a recuperare l’estraneo che si infilò in un vicolo cieco.

<< Ora dimmi chi sei, cosa vuoi da me? Perché mi stai inseguendo? >>

L’incappucciato estrasse da sotto il mantello una lunga spada e si avvicinò ad Alessandro.

Il ragazzo provò qualche affondo ma erano pressoché inutili contro un avversario che possedeva un’arma del genere.

Cercò piuttosto di schivare gli attacchi dell’altro ma con somma fatica, non gli restava che fuggire. Fece un passo indietro per poi correre via in cerca di aiuto ma, non appena si mosse, una fitta dal braccio gli paralizzo tutto il corpo facendolo urlare dal dolore, questa volta il male era addirittura peggiore di quello che aveva provato nel bosco. La mente si annebbiò e le gambe cedettero. Si accasciò a terra senza più riuscire a muovere un muscolo.

La persona avvolta in quel nero mantello ritirò la spada nella fodera e, per qualche istante, rimase immobile davanti al ragazzo che si contorceva per il male. Stava per andarsene, lasciandolo accasciato a terra quando tornò sui suoi passi e, dopo aver raccolto il pugnale da terra, gli strappò la maglietta lasciando scoperto il segno sul braccio che ora pulsava livido sulla carne viva.

<< Aiutami, ti prego! >>

La figura ora accucciata davanti a lui tentennò. Il ragazzo, preso a contorcersi dal dolore, poté notare che la testa di quell’estraneo si era mossa a destra e a sinistra, probabilmente per vedere se ci fosse qualcuno in quel luogo oltre a loro ma, più quello gli era vicino e più sembrava che il dolore si acutizzasse.

La strana figura misteriosa guardò il pugnale che teneva nella mano destra e lo strinse forte tra le dita prima di conficcarlo nel cuore al ragazzo che, da lì a poco esalò il suo ultimo respiro.

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