Despite Everything, it's Still You
“Sorry,
it's just funny…
That's
my wish too”
Dei
fanciulleschi occhi rossi, attraverso la fitta e lunga frangia
castana, se ne scorgeva solamente un accenno: erano state poche le
occasioni nelle quali erano stati visti per intero, grandi e vuoti,
concentrati sull'orizzonte e sul futuro che si celava al di sotto di
esso.
Perfino
dove il cielo non esisteva, dove non tracciava una netta linea con la
terra, il loro sguardo seguiva il confine in modo quasi morboso:
l'affievolirsi della luce blu nelle cascate, che scemava nella volta
all'apparenza stellata della grande caverna; la coltre di nebbia sul
lago ghiacciato artificialmente; il vibrante bagliore della lava
sulle scure pareti di Hotland.
Ogni
dettaglio da loro colto era stato in grado di rimpiazzare il mondo
che in precedenza conosceva, del quale avevano una concreta
esperienza, in qualcosa di estremamente morbido al tatto, gentile ed
evanescente.
La
piccola umana destinata a trovare tale meraviglia, senza alcun
dubbio, l'avrebbe riconosciuta oltre alla barriera delle proprie
iridi.
Andava
cercandola anche quella mattina: in punta di piedi – aveva
imparato
da poco che non fosse carino svegliare i propri famigliari con il
rumore delle consumate scarpe – era uscita dall'accogliente
castello, catturando la soffusa luce della città reale con
le lunghe
ciglia.
Si
era chiesta in un sussurro, nel passare accanto ad uno dei pochi
mostri presenti sul suo cammino, se anche in superficie fosse stata
mattina: se il bel sole di un pallido arancione fosse spuntato
fiaccamente dalle montagne, carezzandole i capelli con i suoi primi e
fiochi raggi; se le nuvole si fossero posate dove lei era diretta,
come spesso facevano durante la primavera.
Le
immagini figurate dalle sue pupille le avevano riportato alla memoria
la volta celeste del giorno in cui le sue ginocchia ardevano di
dolore, il suo petto si alzava ed abbassava velocemente, la sua
determinazione si rinforzava ad ogni passo che muoveva lungo
l'angusto sentiero di montagna; della sua esistenza in superficie
aveva portato con sé solamente le poche ore nelle quali era
finita.
L'orizzonte in cima al Monte Ebott era stato il suo più
grande
fallimento: una missione talmente deludente da portarla alla scelta
di sigillare tale ricordo, allontanandolo perfino dalla vista di
Asriel.
Si
era sporta troppo, poteva concederselo, ma nulla la tratteneva dal
farlo: osservare la linea interrotta dall'imponente cima dal
villaggio non le era mai bastato, necessitava di una maggiore
conoscenza e poteva contare solamente sulla propria determinazione
per ottenerla; nell'avere paura si sarebbe fatta sfuggire l'ultima
scintilla di speranza in grado di splendere nel suo petto.
E
lei se n'era tenuta da parte parecchia: perciò si era sporta
per
arrivare al così vicino traguardo con la punta delle proprie
piccole
dita, si era alzata sulle punte per allungarsi maggiormente verso il
proprio radioso futuro.
L'aveva
mancato di poco, si era detta, la prossima volta – se ce ne
fosse
stata una – avrebbe corso più veloce per evitare
di farselo
scappare; e nella apparentemente infinita caduta, aveva pensato alla
sconsideratezza di esser grata a sé stessa per aver
rischiato tanto
in favore di un sogno.
L'impatto
era arrivato, non abbastanza violento, non abbastanza forte per
piegarla. Si era accontentata delle ferite, dei lividi, del
pronunciato rigonfiamento sulla sua coperta fronte; con la
determinazione intatta ed un paio di zampe ad attenderla, si era
rialzata aprendo gli occhi verso una nuova linea di confine.
In
assenza degli aspetti caratterizzanti del mondo degli umani era stata
costretta dalla sua mente ad abituarsi all'orizzonte che poteva
trovare laggiù: il sottosuolo ne aveva altrettanti, meno
contaminati
dalle putride anime degli uomini ed inesplorati perfino da chi vi era
più vicino.
Andandone
alla ricerca e figurandone i precedenti, la mattina stessa, era
giunta a specchiarsi nella silente acqua dell'azzurro lago
sotterraneo, le guance delineate dalla luminescenza blu ora
più
lieve del solito; e si era inginocchiata sul pontile fra i bisbigli e
gli echi dei fiori. Osservando l'appena mossa immagine di
sé, non si
era soffermata sulle proprie scarlatte labbra, raramente piegate in
un sorriso, sul latteo volto che fluttuava sulla superficie
acquatica, affatto: i suoi occhi privi di meraviglia miravano
all'orizzonte sopra di essi.
Ondeggiava
e si spostava ora verso destra, ora verso sinistra, pregno di tutte
le bellezze delle quali avrebbe voluto riempirsi lo sguardo e
l'animo. La bellezza che le avrebbe insegnato a condividere, a
crescere come una persona migliore; qualcuno era giunto per lei ed
aveva afferrato le sue mani, mostrandole la linea immaginaria proprio
quando l'aveva persa.
Senza
le pessime influenze che fino ad allora aveva avuto, cominciava a
comprendere respiro per respiro il funzionamento del mondo, la
rotazione della Terra e la profondità, in precedenza a detta
sua
assente, dello scopo che ingenuamente si era prefissata.
Si
era resa maggiormente consapevole di emozioni rilevanti che non aveva
considerato prima e che, nella realizzazione del proprio sogno,
avrebbe potuto provare sulla propria pelle.
E
forse, finalmente, sarebbe stata in grado di apprezzarsi ed essere
apprezzabile.
Perciò
Chara avrebbe fatto tesoro della felicità che avrebbe
guadagnato
raggiungendo quell'orizzonte che tanto desiderava: lo stesso
orizzonte che, ad ogni passo, si ritraeva e si faceva sempre
più
lontano dalle sue sporche mani. Ma poco importava, il giorno
successivo la forza della determinazione sarebbe stata maggiore, le
sue gambe più robuste, il suo animo meno fragile, fino alla
tanto
agognata conclusione;
Il
confine di fiori gialli ed un sapore ferroso sulla lingua.
“What's
a star?
Can
you touch it?
Can
you eat it?
Can
you kill it?
…
Are
you a star?”
Dedicata
ad Alice, che ha avuto per anni la pazienza di sopportarmi
ed
io non la ringrazierò mai abbastanza.
So
che la troverò sempre sulla via che sto percorrendo e, se
non fosse
lì, sarà ad aspettarmi nella prossima stanza.
Con
gli stessi occhi di Asriel, non ha creduto nella via semplice per
essere felice e mi ha sostenuta in un mondo ostile.
Dopo
tutto ciò, dopo tutti questi anni, sembra estremamente
scontato
Ma
non esistono parole per descrivere il tutto
tranne
una sola, di sei lettere;
grazie.
Conserva
la meraviglia che è in te e non darla vinta alla
realtà,
perché
seppur zoppicante, ti aiuterò a tenere la testa alta.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Questa
robetta senza pretese dovrebbe essere un analisi a cuor leggero di
quella figura ambigua che è Chara. Ho provato a non
trattarla come
figlio del demonio, ma come una bambina (o bambino, per colpa della
lingua italiana che non ha un corrispondente di
“they” ho dovuto
scegliere ed, in quanto credo che Chara sia una bambina, ho
trasportato tutto al femminile. Spero che la cosa non dia fastidio a
nessuno).
Qui
Chara sogna l'orizzonte, nell'utopia che essendo lontano dal suo
villaggio, esattamente dove voleva essere, nascondesse una
felicità
non ottenibile in altro modo. Non avendo tempo per crescere, il suo
sogno non verrà distrutto e resterà con lei.
L'ho
figurata (e spero di averlo fatto bene) nel suo cambiamento dati gli
insegnamenti dei nuovi genitori, nella sua conflittualità
fra il suo
odio per gli umani ed il suo voler migliorare. Almeno così
credo io.
Ringrazio
chiunque sia arrivato fino a qui, di certo mi sono dimenticata di
spiegare qualcosa, in ogni caso le domande per chiarimenti o
qualsiasi cosa vi salti per la mente sono ben accette.
Detto
questo vi saluto, spero solo la storia sia valsa il vostro tempo.
Mary