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Autore: Yumeji    14/03/2018    1 recensioni
E' il paradiso dove si radunano gli incubi e da cui non c'è risveglio.
Un circo di stranezze e bizzarrie in cui è impossibile non essere felici.
Uno spettacolo folle sul quale non cala mai il sipario.
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Era un piacere poterlo stringere ancora in quel modo, avvertire il suo corpo contro al proprio, percepirne il calore e il profumo. Gli bastava gli fosse accanto per sentir svanire ogni timore o dubbio che gli pesasse sul cuore. Non voleva ricordare. Non voleva ricordare come quello stesso corpo fosse stato fatto in pezzi. Dilaniato sino ad essere ridotto ad uno scempio.
Nei brevi momenti in cui riusciva a rimanere da solo con lui, poteva fingere che quei ricordi fossero solo un sogno. Un incubo da cui gli era bastato svegliarsi per comprendere non fosse reale. "Non è mai accaduto" si ripeteva, per quanto non gli fosse ancora riuscito di lavare via del tutto l'odore del sangue (il suo) con cui si era macchiato la pelle.

[Ambientazione Steampunk!]
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Abbandonato a terra su della paglia umida, Alfred se ne stava seduto appoggiato ad una parete in mattonato ammuffito. Fissava con sguardo vuoto le sbarre di fronte a se, studiando poi con noia le spesse manette che gli cingevano polsi e caviglie, troppo pesanti ed eccessivamente strette, abbastanza per rendergli difficile l'afflusso sanguigno. Le punte delle dita gli si erano fatte gelide, nonostante il caldo asfissiante che regnava in quei giorni, faticava a muoverle avvertendole intorpidite.
"Che puzza.." pensò arricciando il naso disgustato, muovendosi un poco cercando una posizione comoda, facendo così tintinnare le corte catene che lo bloccavano, ancorandolo al muro. Non si lavava da mesi, da quando era stato abbandonato lì a marcire, e la temperatura elevata non aiutava di certo. Sudava in continuazione e nessuno si premurava a portargli dell'acqua, riceveva solo pane secco e ormai la gola gli era talmente riarsa dalla mancanza di liquidi che non riusciva neppure a mangiarlo. Gli graffiava l'interno della carotide al punto da fargli sentire il sapore del sangue in gola.
Nelle prime settimane di prigionia aveva provato ad urlare, a lamentarsi, e come risposta gli era stato gettato addosso un secchio di un intruglio fetido, imbevibile, di cui non aveva voluto indagare sulla provenienza. La puzza nauseabondo ed inconfondibile gliene aveva già dato un idea. Sfortunatamente per lui la paglia da cui era coperto il pavimento - usata per assorbire le tracce di feci, vomito e urina -, si era impregnata di quella sbobba e l'odore era divenuto insopportabile. Dopo tutto quel tempo gli pareva ancora di sentirlo, i fumi che ne erano scaturiti gli avevano bruciato le narici. Persino un porcile o le fosse comuni di un campo santo non potevano puzzare tanto. Ormai però non aveva più la forza per arrabbiarsi o ribellarsi, era stanco di quella situazione e la bocca gli si era seccata troppo perché riuscisse a pronunciare anche una solo parola comprensibile ad orecchie umane. Riusciva a comunicare solo con versi insensati o ringhi sommessi, quando una delle guardie provava ad avvicinarsi. Odiava quegli uomini, ma odiava sopratutto la loro esagerata quantità di tempo libero e di come si divertissero a riempirlo. Quella feccia aveva creato un sadico gioco per divertirsi durante i loro noiosi turni, il quale consisteva nel pungolarlo con un lungo bastone dalla punta in ferro, lasciata prima ad arrovellare su un fuoco. Alfred aveva perso il conto di quante volte era finito ustionato e ferito, mentre quegli uomini si divertivano a prendere di mira i punti sensibili del suo corpo che, con quelle catene troppo corte, non sarebbe riuscito a proteggere. In quel modo aveva perso l'occhio sinistro. Erano entrati in due: uno maneggiava il bastone, l'altro lo obbligava a tenere l'occhio ben aperto; Il resto dei ricordi era confuso, c'era solo un calore insopportabile che gli raggiungeva il viso e un dolore bruciante, tanto forte da fargli perdere il senno. Quando si era svegliato, non sapeva quante ore o giorni fossero trascorsi - non aveva neppure una finestra quindi gli era difficile calcolare il trascorrere del tempo -, l'occhio sinistro gli era divenuto un composto informe e lattiginoso che da quel giorno gli era rimasto a marcire all'interno del cranio.
Ovviamente aveva perso la vista e, poiché all'occhio destro mancava qualche diottria, si era praticamente trovato cieco nella semioscurità da cui era circondato. L'elettricità era un lusso, non si poteva concedere alla feccia come lui e difatti tutte le celle, la sua compresa, ne erano sprovviste. Le candele poi neppure a considerarle, per quanto le pareti dell'edificio fossero in solida pietra, sarebbe stato fin troppo facile provocare un incendio.
Era il 1910, c'erano navi volanti, cannoni, pistole, bombe capaci di sterminare centinaia di persone, e ancora il fuoco faceva paura.
Alfred prese ad agitarsi facendo forza su quelle manette, non riuscendo però a stendere un minimo le braccia. L'ultima ustione sulla coscia aveva preso a prudere, e qualunque posizione tentasse di prendere, in nessuno modo, riusciva a procurarsi un po' di sollievo. Andava avanti da ore, e l'idea di strapparsi una mano a morsi e di grattarsi la parte interessata con il moncherino non gli pareva più così male. Da un pezzo aveva perso la sua umanità, l'avevano trattato come una bestia e una bestia era diventato. Se non l'ingiustizia per essere stato segregato in quel luogo, non avvertiva nulla che si potesse definire come un pensiero o una ragione.
Viste le sue condizioni, se un giorno si fosse trovato ad indossare una museruola, non se ne sarebbe stupito. Anzi, avrebbe dato un buon motivo per renderla necessaria, cercando di azzannare chiunque gli si fosse avvicinato, mordendo la carne sino a lacerarla, strappando orecchie o dita simile ad un lupo affamato.
E il pensiero di una barbarie simile gli procurò un leggero riso, che risuonò nel silenzio del corridoio di celle buie. Una volta c'erano state altre voci, oltre la sua, a riempire quell'aria stagnante e la sua solitudine, ma man mano che il tempo era trascorso si erano fatte sempre meno numerose e più flebili. Infine, era rimasto solo lui. Non si era mai chiesto che fine avessero fatto gli altri prigionieri. Non gli importava. Quando aveva provato a ribellarsi, quando aveva provato a fuggire, nessuno aveva voluto unirsi a lui, nessuno aveva tentato di fare lo stesso. Si era trovato solo, senza qualcuno che provasse anche solo a dargli una mano. Anche se fossero stati tutti morti andava bene, non meritavano di salvarsi, non come invece spettava a lui.
Se avesse mantenuto un po' di senno, forse Alfred si sarebbe vergognato di pensare cose simili e avrebbe provato ribrezzo per se stesso. C'era stato un tempo in cui aveva sognato di diventare un eroe capace di sistemare ogni cosa, di sedare qualunque diatriba, e per un lungo periodo si era convinto di esserne in grado. Si era creduto speciale, protetto da una qualche divinità che lo assecondava, portandolo su un destino di gloria ed onori. In cui ogni sua azione era sempre giuste e buona.
Oramai non lo credeva più, aveva abbandonato simili fantasia. La sua divinità protettrice, qualunque esse fosse stata, gli aveva voltato le spalle, degradandolo a quello stato. A criminale e bestia, capace di pensare atrocità come credere vi fossero individui meritevoli di vivere e altri destinati a morire come cani.
La lunga prigionia aveva distrutto tutte le sue illusioni, lo aveva spezzato, cancellando ogni cosa di pura e preziosa fosse esistita in lui. Era divenuto uno dei tanti reietti, non più un eroe, ma solo un errore inadatto al mondo e per questo segregato in quella cella dalla società che lo governava. La sua mente e il suo spirito annientati dalla cupidigia di un esistenza da recluso, respinto ed abbandonato da tutti. Non credeva più in nulla e non comprendeva neppure perché il suo corpo, già allo stremo delle forze da settimane, non avesse ancora ceduto alla morte. Il destino che gli si prospettava non era meglio di quello attuale, quindi perché non limitarsi a farla finita? Per lui non c'era più una "vita" che meritasse di essere vissuta. Non c'era salvezza, né qualcuno capace di donarla.
"Eroi?.." pensava, "Gli eroi non esistono! Come non esistono le fate, gli elfi e gli unicorni. Per quanto me ne importi persino il mondo fuori di qui può anche non esistere" era la sua prima riflessione lucida del giorno, se non della settimana. L'unica al quale riuscì ad aggrapparsi per far risalire la sua coscienza dalla follia in cui si sentiva sprofondare, simile ad un uomo che finiva per essere trascinato un po' alla volta sempre più giù nelle sabbie mobili. Con il passare del tempo i momenti di lucidità si erano fatti più radi e brevi, e provocano a Alfred un tale dolore, poiché con essere arrivava pure la consapevolezza della propria miseria, da fargli desiderare di tornare pazzo subito.
In quella piccola cella di un metro per due, non c'era nulla se non un soffitto da cui colava una strana sostanza viscosa dal colore indefinito e l'odore acre; e il pavimento in pietra ruvida che, se non fosse stato per la paglia sporca che lo ricopriva, avrebbe fatto sanguinare la pelle di Al ad ogni movimento.
Quale alternativa gli era stata data prima di essere imprigionato in quelle mura? Si chiese, attendendo che il momento di lucidità passasse. Faticava a ricordarlo nonostante fosse trascorsi solo due anni. Qualunque cosa accaduta al di là di quella prigione gli appariva come fosse avvenuta in un tempo molto lontano, quasi appartenesse ad un'altra vita. Sforzandosi un poco però ricordò: la sua scelta era stata fra la prigionia e il finire nudo legato ad un palo in pubblica piazza, appeso per il collo. Ecco, ora la prospettiva di un esecuzione gli pareva una fantasia confortante, meglio dell'inferno in cui era stato gettato.

Il picchiettio insistente di una punta in ferro che si scontrava ripetutamente, a ritmo cadenzato, con la pavimentazione in pietra delle celle, cominciò a risuonare in quella nottata silenziosa che, per quanto per Alfred potesse sapere, avrebbe potuto essere pieno giorno. La sola assenza delle guardie e il loro cambio turno gli dava un'idea del trascorrere del tempo. In quel momento, nessuno dei secondini stava facendo il suo giro per i corridoi, quindi doveva trovarsi in quella parte della notte che andava da l'una e mezzo alle sei del mattino. Qualche tempo prima, nel primo periodo delle sua prigionia, c'era sempre stata almeno una guardia ad ogni ora, ma ora che i prigionieri erano nettamente diminuiti, non sembrava se ne dovessero più preoccupare. D'altronde l'unico elemento ostile, capace di dare problemi, ormai si era arreso da un pezzo al suo attuale stile di vita.
"Strano... non dovrebbe esserci nessuno" pensò Alfred, tendendo l'orecchio per ascoltare meglio quel picchiettare che tanto gli ricordava il ticchettio fastidioso di un orologio. Sin dall'infanzia aveva provato sempre un certo astio verso simili oggetti, odiava come potessero scandire il tempo all'infinito, senza mai lasciare un momento di respiro a chi invece tentava di fermarlo. Quante volte aveva rincorso inutilmente quelle lancette senza essere in grado di bloccarle? Alla fine l'unica soluzione che aveva trovato era di distruggerle, così almeno, per quanto il tempo avrebbe continuato a scorrere, non ne sarebbe più stato torturato dal ticchettio.
- Chi c'è là? - domandò, stupendosi nel sentire uscire dalla propria bocca, per quanto ridotte ad un leggero mormorio, parole tanto umane invece dei soliti grugniti. Allora un minimo di senno gli era rimasto, si disse prima di sentire una voce pronunciare il suo stesso pensiero.
- Oh, mi stupisci, allora ti è rimasto un minimo di senno in quella testa bacata - una  voce maschile sovrastò per un momento il picchiettio continuo mentre una figura longilinea, non troppo alta, gli si mostrava davanti a lui. Vi era qualcosa di strano in quel individuo, Alfred lo percepì come un brivido lungo la spina dorsale. Non gli era parso che la sua sagoma si avvicinasse per rendersi visibile, ma che invece fossero le ombre a scostarsi da lui come un soprabito  da cui veniva svestito. - Visto che sai ancora parlare, dimmi: ti piace la tua permanenza qui, Al? - ora la sua figura sfocata, per gli occhi rovinati di Al, si trovava immobile davanti alle sbarre della sua cella, e con insistenza continuava a picchiettare la punta del proprio bastone contro il pavimento. Sembrava seguire il ritmo di una canzone di cui poteva avvertire solo lui il suono.
- E tu chi saresti? - rise Alfred, trovandosi a metterne finalmente a fuoco la sagoma e credendo di essere andato del tutto fuori di testa. Adesso aveva pure le visione? La figura di quel nobile dagli occhi verdi, che parevano illuminarsi al buio come quelli di un gatto o di un rettile, era troppo surreale per essere vera. I suoi abiti, che ad Alfred ricordavano con malinconia nostalgica il cielo notturno, erano troppo impeccabili e ricchi, i suoi stivali troppo lucidi e puliti, non avrebbe mai potuto camminare per quei sotterranei senza che il lercio di quel luogo ne intaccasse la figura, seppur in minima parte. Persino la punta in ferro del suo bastone da passeggio era troppo perfetta, per nulla intaccata da quel continuo picchiettare.
- Arthur - rispose semplicemente il nobile levandosi il copricapo, un cappello a cilindro troppo piccolo per la sua testa e che doveva nascondere un trucco per riuscire a rimanere perfettamente immobile in cima al suo capo. Era decorato con un fiore dello stesso blu delle vesti e da un nastro viola livido. Il nobile si sporse in avanti in un elegante inchino, facendo battere uno dei tacchi delle scarpe per non perdere il ritmo della sua inudibile melodia, essendo costretto a sollevare il bastone da terra per portare il braccio allo stomaco. Mentre con la mano libera si afferrò invece un lembo bel mantello scuro, quello che Alfred aveva confuso con le ombre del corridoio, perché non toccasse terra. - Vorrei dire che è un piacere ma non sembra un luogo adatto per simili convenevoli - sbuffò raddrizzandosi, dandogli il profilo nell'indicare con un gesto vago e annoiato il resto della prigione.
- Il tuo viso...- essendosi avvicinato ulteriormente alle sbarre per presentarsi, l'unico occhio buono di Alfred aveva infine percepito la stranezza del suo volto,
- Ah, le sopracciglia?.. Sì, sono orribili, non sei il primo a dirmelo, ma sorvoliamo - lo azzittì con fare perentorio, tornando intanto a portare il bastone a picchiettare sul pavimento. - Sono qui per farti una proposta, Al - aggiunse prendendo un'aria allegra e sorridente, simile ad un uomo d'affari di fronte ad un contratto che ne agevolava i guadagni.
Alfred però non riusciva a concentrarsi sulle sue parole, l'espressione confusa ed esterrefatta di chi si trova di fronte a qualcosa di inspiegabile. Quel uomo, il suo volto. La sua pelle era ricoperta da delle scaglie, sembrava la pelle di un rettile! No, non poteva essere una maschera. Non era di certo una maschera, perché non pareva gli coprissero solo il viso. -
Allora, sei interessato ad uscire di qui? - gli domandò Arthur, ignorando come non lo stesse ascoltando, sapeva come attirarne l'attenzione. Difatti, quella domanda fu capace di strappare Al dal suo senso di confusione ed orrore,
- Sì - rispose senza neppure pensarci. Quel uomo gli provocava un certo ribrezzo e sospetto, infondo aveva parte del viso composta da scaglie da rettile, era comparso dal nulla nel pieno della notte ed abbigliato in quella maniera stravagante; Poteva rivelarsi un illusione, un mostro o il diavolo, ma ad Al non importava. Gli andava pur bene cedergli la propria anima se ciò gli avrebbe permesso di uscire da lì. L'inferno non poteva essere peggio.
- Accetto qualunque patto, qualunque proposta, ma voglio uscire da questa follia - proclamò, la voce ancora spezzata e affaticata, ma non esitava più ad uscirgli dalla gola, anche se il sapore del sangue gli riempì presto la bocca. Stava sforzando corde vocali che non avevano spiccicato parola per mesi.
- Ehi-ehi... calmati ragazzino, voglio solo offrirti un lavoro - sembrò divertito dalla sua reazione (o dalla disperazione che gli palesava) Arthur, portandosi con eleganza la mano inguantata a nascondere il riso, per quanto ad Al non sfuggirono le zanne che spuntarono da dietro quelle labbra sottili.
"Ragazzino?" si sentì un poco offeso da un simile appellativo Alfred, lui era un uomo! E di certo l'altro non doveva avere molti anni più di lui, quindi che non si desse tante arie solo perché era un eccentrico capace di intrufolarsi nelle prigioni della contea.
- Mi sembra giusto spiegarti di cosa si tratta prima che tu accetti, infondo potresti trovare più confortevole rimanere tutto il giorno legato al muro come un cane - sibilò il nobile, beffeggiandolo con fare acido, sempre mantenendo un'aria divertita, lo sguardo che lo scrutava dall'alto in basso.
- Non sfottermi - biascicò Alfred, l'unico occhio buono che si assottigliava in un'occhiata feroce, carica di violenza e intento omicida,
- Oh, nononono...- lo riprese Arthur, accentuando la negazione con il movimento dell'indice, - Non voglio che li spaventi tutti con quell'espressione terribile, devi sorridere. Su, sorridi. Sorridi - batte un paio di volte il bastone a terra con più forza di quanto avesse fatto sino a quel punto e, d'improvviso, era oltre le sbarre che imprigionavano l'altro. - Avanti, un bel sorriso - si chinò verso di lui indicandosi le labbra con entrambi gli indici e fingendo di sollevarle tirando con essi.
- Co-come diavolo, hai..- balbettò Alfred, finendo per puntare i piedi per spingersi ancora di più contro alla parete, cercando di allontanarsi da quel uomo. Come era riuscito a fare una cosa del genere? Che cos'era quel individuo?
- Uhm... diciamo che con "diavolo" non ci sei andato troppo lontano - si era preso il mento con fare pensieroso nel rispondergli, come se la sua domanda lo mettesse in difficoltà o trovasse la risposta troppo complicata da spiegare. - Comunque...- schioccò le dita e le manette che intrappolavano Al si aprirono, - ... posso capire se ora non sei dell'umore per sorridere, vedremo di rimediare dopo - annuì tra se e se, voltandosi dandogli le spalle. - Per quanto riguarda il "lavoro" che intendo proporti, ho bisogno di qualcuno con abbastanza forza fisica da potermi aiutare nel trasporto di oggetti pesanti: sai attrezzi di scena, qualche mobilio, eccetera; che possa occuparsi della gestione di grossi animali e sappia come montare un tendone -
- Un tendone..? - sembrò particolarmente incuriosito su quell'ultimo punto Alfred, mentre si massaggiava i polsi e le caviglie, dove il segno delle manette si estendeva sulla pelle simili a cicatrici indelebili.
- Ah! Ho dimenticato di specificarlo? - si portò una mano alle labbra Arthur, prendendo un'espressione di stupore visibilmente studiata a puntino, troppo elegante per essere sincera. - Io gestisco un circo, e ho sempre bisogno di un po' di mano d'opera - disse per poi sospirare con aria affranta, portandosi una mano al petto, all'altezza del cuore. - Sai com'è, solo perché si tratta di un circo di stranezza, tutti pensano di potersene approfittare. Non sai quanti brutti ceffi mi si avvicinano di questi tempi -
- Un circo di stranezza?.. Intendi un "Freak Show"? - gli domandò Alfred, avvertendo già un brivido percorrerlo lungo la spina dorsale. Si trattava di un circo degli orrori, con probabilmente mostri di ogni genere e, visto chi lo gestiva, non aveva alcuna voglia di immaginare l'aspetto dei figuranti che dovevano apparirvi. Lui detestava cose simili. Non lo avrebbe mai confessato volentieri, ma era un fifone quando si trattava di fantasmi, esseri deformi, e tutto il resto. La prigionia, pur avendone indurito l'animo e le ossa, comunque non gli aveva tolto quella fobia. L'entusiasmo, se così poteva definirlo, da cui era stato pervaso un momento prima era di colpo scemato del tutto.
- Esattamente! - ammise Arthur, entusiasta di essere subito stato capito dall'altro, - Però noi non amiamo quel termine, sai com'è molti sono sensibili sull'argomento quindi...- attraversò di nuovo le sbarre come se il suo corpo fosse divenuto etereo, composto da semplici ombre e dal pulviscolo presente nell'aria. - Hai intenzione di seguirmi o preferisci finire qui la tua esistenza? - batté di nuovo con forza la punta del bastone a terra, provocando un leggero rimbombo all'interno del corridoio di celle vuote. - Credo che un moccioso come te abbia prospettive migliori per il futuro, o sbaglio? - allargò il suo sorriso da rettile, senza sta volta nascondere le zanne che gli spuntarono dalle labbra. Se avesse pure avuto una lingua biforcuta Alfred non se ne sarebbe stupito.
- Non sono un moccioso...- protestò Al, trovando sempre faticoso parlare, ma sforzandosi per farlo, - Ovviamente accetto, però te lo dico sin da subito - si alzò in piedi, trovando i muscoli delle gambe deboli e rigidi a causa della lunga immobilità. - C'è qualcosa in te che non mi piace, e non posso promettere che andrò d'accordo con i tuoi amici mostri - lo avvertì serio, una smorfia di disgusto a piegargli le labbra. Non gli piaceva l'idea di doversi affidare a quel individuo eccentrico, ma non aveva altra scelta se voleva fuggire da quel posto. In parte la sua espressione, era però causa dal ribrezzo che provava da se stesso. Puzza davvero tanto e se ne rendeva perfettamente conto.
Nell'avvertire il soffio della libertà colpirlo in viso fu sorpreso dal ricordo dell'essere umano che era e si trovò a vergognarsi per come si era lasciato ridurre. Era in condizioni penose.
- Ooh, Alfred - sospirò Arthur facendogli segno di avanzare, di superare la soglia della cella come aveva fatto lui stesso l'istante prima. - ... sei crudele a definirli "mostri", ancora non li hai conosciuti - lo rimproverò senza che però Al gli desse retta, troppo concentrato a fissare le sbarre dietro a cui era stato segregato per ben due anni. Poteva davvero essere tanto facile? Bastava attraversarle? Ma ne sarebbe stato in grado? Il dubbio che si trattasse solo di un sogno, o di un illusione, tornò prepotente a serrargli lo stomaco. - E muoviti, non ho tutta la sera! - lo incitò un poco seccato Arthur, alzando la voce e provocando ad Al un sussulto,
- S-sì..- mugolò muovendosi di riflesso per raggiungerlo, temendo di poter essere lasciato indietro da quello strano tipo, superando i confini della cella con la medesima facilità con cui era stato l'altro a farlo.
- Visto che non ci voleva tanto? - commento Arthur divertito, osservando il viso colmo di incredulità di Alfred, un genuino senso di stupore ad attraversarlo mentre, confuso, si guardava attorno con un nodo alla gola. Non poteva essere vero. Gli veniva voglia di piangere e d'urlare. Era la prima volta, da quando vi era stato gettato, che usciva da quella cella di due metri scarsi.
- Comunque, riprendendo il discorso sui quelli che tu definisci "mostri" - riprese a parlare con fare saccente mentre gli faceva strada lungo il corridoio, il bastone ancora a picchiettare sulla pietra. - D'ora in poi saranno i tuoi compagni quindi, se loro sono dei "mostri", allora lo sarai anche tu - gli fece notare mentre, dopo aver riprodotto lo stesso ticchettio con cui era apparso in quella prigione, diede quattro colpi più forti degli altri, con i quali ad Alfred parve che stesse facendo tremare le pareti. - Two pecks call the crow, two pecks call the shadows - cantilenò mentre Al lo fissava, cominciava davvero a credere di star seguendo un pazzo, ma forse pazzo lo era pure lui, visto che aveva deciso di seguirlo senza farsi troppe domande.
Di nuovo, si trattava di un sogno? Ora si sarebbe svegliato e la figura di quel nobile dal volto deturpato, dal fascino di un serpente, si sarebbe dissolta?
- Spero che tu almeno non abbia paura dei fantasmi, Al - lo strappò dai suoi pensieri, sollevando il bastone da terra, agitandone la punta in ferro con un movimento sicuro del braccio. Alfred non ebbe neppure il tempo di chiedersi cosa stesse combinando quel folle che uno squarcio d'oscurità, ancora più denso del buio a cui si era abituato, si aprì nella parete in pietra che l'altro aveva appena sfiorato.
- Che cos-...? - esclamò, era sempre più incredulo e convinto di essere ammattito del tutto,
- E piantala di essere stupito da tutto - brontolò Arthur incrociando le braccia al petto con fare stizzito. - Se continuiamo così allora questa notte non finirà mai. Non ho tempo di rispondere a tutte le tue domande -  detto ciò, prese a spingerlo perché entrasse all'interno del passaggio appena formatosi e, solo a quel punto, Alfred notò di essere più alto del nobile rettile, contando che l'altro portava pure i tacchi.
- C'è da fidarsi? - era colmo di dubbi e remore, la faccia tosta di poco prima era svanita per lasciar spazio ad un giustificato timore.
Cosa era quello? Cosa diavolo era quella serpe? Cosa stava succedendo?
- E datti una mossa! - lo spinse sta volta con un più violenza Arthur, perdendo del tutto la calma, arrivando a colpirlo con il manico del bastone dritto sul fondoschiena per convincerlo a muoverlo.
- Okay, okay vado...- rispetto a ciò che aveva passato il colpo dell'altro era stato poco più di una carezza, lo accusò a malapena, trovandosi però comunque a cedere alle sue insistenze, e a procedere. Allungò un braccio toccando prima con esitazione l'oscurità, avvertendo la medesima sensazione di quando si immergevano le dita in uno specchio d'acqua. Non era del tutto spiacevole, ma vista la sua consistenza simile ad un liquido, una volta entrato, sarebbe stato in grado di respirare?
Stava per voltarsi e chiedere spiegazioni ad Arthur, questi però non gliene diede il tempo e rifilandogli un calcio, sempre sul fondoschiena, perdendo allo stesso tempo qualunque fare da elegante snob, gli fece perdere l'equilibrio. Alfred si trovò così sbilanciato in avanti, finendo con il precipitare oltre quella fenditura d'oscurità, scomparendo dentro ad essa.
- Uff..- sbuffò Arthur prima di attraversarlo a propria volta, - Odio aver a che fare con mocciosi problematici -



  
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