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Autore: Reginafenice    14/03/2018    1 recensioni
Ho immaginato come, qualche mese dopo la morte di Elizabeth, Ross avrebbe potuto reagire ad un incontro non pianificato con il frutto della suo adulterio, Valentine, e quali sentimenti avrebbe suscitato in lui l’avere a che fare concretamente con quel figlio mai riconosciuto una volta messo finalmente di fronte alla realtà che, per quanto dolorosa, lui non è mai stato in grado di accettare.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quasi nello stesso istante in cui Demelza si precipitava alla porta per uscire a caricare la sua valigia sul calesse diretto a Killewarren, Ross nascondeva nella tasca della sua giacca l’eredità di Geoffrey Charles. Così, quando si ritrovò di fronte a sua moglie, ringraziò il cielo per avergli fatto compiere quell’azione con tanta celerità, pur non avendo nessuna idea di cosa potesse contenere quel misero pezzo di carta. Evitarono di scontrarsi per un soffio.

“Oh, sei già tornato!”

Ross prese la valigia dalle sue mani per evitare che si sforzasse inutilmente, cercando di apparire rilassato, “Andiamo da qualche parte, stasera?”

“Dwight e Caroline ci hanno invitati a cena, in effetti. Ma se non sei dell’umore adatto possiamo rimandare a un’altra volta…” Possibile che a Demelza non sfuggisse mai nulla? Le fece segno di rientrare in casa, poi la seguì e si richiuse la porta alle spalle.

“No, non è necessario. E’ andata meglio di quanto mi aspettassi a Trenwith.”

“Davvero?” Chiese lei in tono scettico.

Ross annuì, desiderando con tutto se stesso che si accontentasse di quella vaga rassicurazione, senza pretendere ulteriori dettagli che lo avrebbero potuto portare a raccontarle dell’incontro con Geoffrey Charles e, di conseguenza, all’ammissione di aver ricevuto dalle sue mani una lettera di Elizabeth.

“Mi chiedo se Valentine starà bene…”

“Dal mio punto di vista, molto meglio di sua sorella. Almeno lui non corre il rischio di ritrovarsi addosso la bava di George ogni volta che lo vede!”

“Ah si? Perché per te vuol dire stare bene vivere all’ombra di un affetto più grande? Rendersi conto della preferenza che George ha nei confronti di sua sorella e non avere nessuno che si prenda realmente cura di lui?”

Gli sbalzi d’umore, causati dagli ormoni della gravidanza, iniziavano a farsi sentire. Meglio cambiare argomento, pensò Ross. La prese per mano e la condusse in camera da letto, con un luccichio particolarmente eccitato negli occhi.

Demelza percepì il cuore batterle all’impazzata, mentre la mano di Ross le sfiorava gentilmente il polso. Eppure sentiva che quel muro invalicabile, che tante volte si era alzato tra di loro, aveva preso a crescere di nuovo.

“Devo darti una cosa che ho comprato un po’ di tempo fa a Londra. Speravo di consegnartela una volta tornato dal viaggio, ma viste le circostanze ho preferito rimandare.” Si sedette sul letto e mise una mano nella tasca interna della giacca, alla ricerca di una scatolina di velluto blu. Gliela offrì e aspettò di vedere la sua reazione.

Quando Demelza aprì lo scrigno, la luce dei suoi occhi si diffuse nelle sfaccettature di una pietra purissima incastonata in un anello d’oro: era un’acquamarina, proprio del colore delle sue iridi, circondata da piccoli zaffiri bianchi.

“Beh, non posso certo lamentarmi…” scelse di procedere con cautela, contenendo l’emozione suscitata non tanto dall’oggetto in sé quanto dal valore romantico che si celava in esso. A volte, infatti, pensava di essere troppo frettolosa nel giudicare suo marito, come se le venisse naturale giungere subito a delle conclusioni non proprio felici sul suo conto, ma mai come in quel momento avrebbe desiderato essere smentita clamorosamente. La delusione sarebbe stata comunque difficile da mandare giù, perciò preferì moderare la sua felicità e abbassare le aspettative. Si appoggiò ad una delle traverse di legno del letto a baldacchino e tese la scatolina a Ross, invitandolo a infilarle l’anello al dito.

“Devi ammettere, però, che il mio regalo per te è stato decisamente più originale…” gli disse. Lui le prese una mano candida e, senza alcuna difficoltà, inserì quel cerchio dorato nel suo anulare, poi spinse con una leggera pressione le labbra sulla sua pelle fresca e le massaggiò l’addome.

“Non avresti potuto scegliere di meglio, lo sai vero?”

In quel momento, Demelza avvertì un moto di grande affetto nei suoi confronti, infatti, proprio quando la mano di Ross iniziava ad allontanarsi per abbandonare la sua vita, una lacrima tradì la sua commozione brillando sul suo viso di porcellana. Gli prese di nuovo la mano e la rimise sulla sua pancia, abbassandosi per trovare le sue labbra e baciarlo con tenerezza, “Scusami, è solo che mi mancava tutto questo...Da quando sei tornato non ti riconosco più.”

“Perché dici così?”

Demelza aprì gli occhi, “Non fingere di non saperlo, Ross. E se hai paura che, ascoltando la verità, io possa rimanere ferita in qualche modo, allora sottovaluti la mia soglia del dolore.”

Ross si allontanò da lei, passandosi una mano tra i capelli, mentre con l’altra stringeva la lettera che custodiva in tasca, ancora sigillata e in attesa di essere letta. Prima o poi avrebbe dovuto farlo, se ne rendeva conto. Rimandare quel momento all’infinito sarebbe stato controproducente, perché lo avrebbe fatto sentire non soltanto colpevole nei confronti di Demelza ma anche ingiusto verso la memoria di Elizabeth.

“Per quanto assurdo ti possa sembrare, ti chiedo ancora una volta di avere pazienza con me. Sappi soltanto che i miei sentimenti per te non sono affatto cambiati, anzi credo di amarti ancora di più se possibile… Adesso però faremmo bene a prepararci, oppure renderemo Caroline ansiosa di poterci sostituire a tavola con Horace.”

A quel punto iniziò a togliersi la giacca e a sbottonarsi il panciotto per cambiarsi d’abito e indossare qualcosa di più appropriato per la cena. Demelza, invece, avvilita da quell’ennesimo rifiuto, rimase a osservarlo in silenzio e dopo qualche istante uscì dalla stanza, portandosi via gli indumenti che si era appena tolto di dosso e la speranza che quelle poche parole che le aveva rivolto potessero, almeno in parte, contenere una traccia di verità. Dalla sua Demelza aveva ancora una carta da giocare nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno: la carta della gelosia di Ross per Hugh Armitage, il giovane poeta che un tempo era riuscito con le sue parole a distrarla dalla solitudine, facendola sentire per la prima volta dopo tanti anni una persona importante e degna dell’ammirazione altrui. Anche se le circostanze che l'avevano spinta a cercare un rifugio temporaneo tra le braccia di Armitage, agli occhi di Ross, non avrebbero mai potuto competere con la complessità dei motivi che invece avevano portato lui a tradirla con Elizabeth, Demelza sapeva che una parte di lui non avrebbe mai perdonato se stesso per aver contribuito a rendere quella sintonia una vera e propria infatuazione.

A Killawarren i preparativi per la festa erano appena giunti a termine, quando Dwight udì una mano bussare freneticamente alla porta. Il suo primo pensiero fu che gli ospiti avessero anticipato l’appuntamento, ma presto si ricordò che Demelza, nella sua risposta all’invito, lo aveva avvisato che sarebbero arrivati con almeno un’ora di ritardo, specificando che Ross avrebbe potuto essere trattenuto più a lungo del previsto a causa di George Warleggan. Iniziò, allora, a temere che potesse trattarsi di qualcuno in cerca del suo aiuto ma, una volta aperto il portone, chi si ritrovò davanti non fu un paziente, né tantomeno qualcuno incaricato di cercare un medico per conto di altri, quanto piuttosto un affascinante adolescente giunto sin lì per salutare un vecchio amico di famiglia.

Geoffrey  Charles  Poldark si tolse il cappello in segno di riverenza e, dopo un breve inchino, fece il suo ingresso nella sala da ricevimento che era stata allestita per la serata, con un gusto così ricercato e alla moda che nessuno avrebbe mai potuto non riconoscere dietro il tocco inconfondibile di un’ esperta come Caroline.

“Fa un freddo assurdo lì fuori! Vi garantisco che non ho calcato sulla porta con tanta foga senza una ragione. In verità, non sono più abituato alle temperature rigide della Cornovaglia. Per voi è un bene o un male, dottore?”

Dwight gli sorrise, lieto che Geoffrey Charles avesse recuperato il suo spirito allegro, ricordandosi fin troppo bene l’espressione distrutta con cui lo aveva salutato il giorno del funerale di sua madre.

“Beh, io credo che non ci si possa dimenticare delle proprie origini. La pelle è un organo vivo che ricorda qualsiasi cosa, anche quelle che noi pensiamo di aver rimosso per sempre...”

“Grazie, avevo davvero bisogno di sentirmelo dire.”

Dwight lo invitò ad unirsi a loro per la cena, spiegandogli il motivo per cui avevano deciso di festeggiare quella sera insieme ai loro amici di Nampara. Il giovane accettò senza riserve, ben felice di poter scambiare una cena deprimente in compagnia di George con un invito a passare la serata insieme al suo zio preferito, ma informò Dwight che non avrebbe potuto trattenersi a lungo. Così, per ingannare l’attesa, non gli rimase altro che discutere ancora per un po’.

“E’ una vera noia il collegio! Per fortuna non manca molto alla fine dei mie studi, perché mi sono proprio stufato della vita accademica.”

“E quali sono i tuoi progetti per il futuro?”

Geoffrey Charles si sistemò il fazzoletto che aveva intorno al collo, "Beh, non mi dispiacerebbe viaggiare in giro per il mondo, almeno fino a quando potrò ingannare lo zio George…” si trattenne dal ridere.

“Già, è lui che finanzia i tuoi studi. Credevo che una volta raggiunta la maggiore età non fosse più tenuto a farlo, o sbaglio?”

“E’ per via di un debito d’onore che aveva con mia madre, credo.”

Seguì il silenzio, interrotto soltanto dal piacevole scoppiettare del fuoco che riscaldava la stanza. Di colpo un rumore di passi li portò istintivamente a girarsi dalla parte dell’ampia gradinata principale, lasciando entrambi senza parole di fronte ad una splendida aristocratica in dolce attesa che, quella sera, aveva scelto di manifestarsi sotto forma di un’autentica principessa.

   
 
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