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Autore: Hypnotic Poison    14/03/2018    4 recensioni
A Thousand Worlds To Break Our Hearts: World Six.
Non sapeva nemmeno lui perché stesse correndo così tanto. Aveva dato una lauta mancia al tassista solo perché era riuscito a portarlo in ospedale nello stesso tempo di chiunque altro, e si era precipitato attraverso il parcheggio senza nemmeno un ombrello o una giacca sopra la testa. [...] «Vorrei poter dire che è bello rivederti.»
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A thousand worlds to break our hearts'
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You're still listed as my emergency contact on the phone so… hello.”



Il mare correva veloce sotto le ali dell'aereo ormai prossimo all'atterraggio. Lui si stirò le gambe nel sedile di prima classe. Era stato un viaggio lungo e scomodo anche così, ed era da un bel po' che non lo faceva. Controllò l'orologio, sembrava fossero addirittura in anticipo. Era quasi buffo, sembrava proprio che tutto lo volesse di nuovo lì, nel suo Paese d'adozione che non vedeva da due anni.
Due anni. Eppure erano sembrati molto di più, forse perché era partito quasi all'improvviso, facendo le valigie in fretta. Non aveva avuto il tempo di pensare troppo, in quel momento. Non aveva voluto farlo.
Il capitano rivolse loro poche parole, e in qualche minuto le orecchie gli si tapparono mentre le ruote toccavano sobbalzando il terreno.
Si accorse tutto a un tratto di voler scendere veloce dall'aereo e buttarsi sotto la doccia – sempre che la sua doccia funzionasse, dopotutto erano due anni che il suo appartamento era praticamente abbandonato, forse avrebbe dovuto passare qualche notte in hotel. Non ne poteva decisamente più, voleva solo sistemarsi. Ricominciare. Con calma.
Tirò giù il suo borsone e si mise diligente in fila tra i pochi passeggeri della prima classe, riuscendo finalmente a lasciare quel benedetto aereo in pochi minuti. Il sapore dell'aria calda che lo colpì lo prese prepotente allo stomaco, inondandolo di ricordi e una familiarità che non si era aspettato.
Aveva sempre pensato che fosse più casa la nazione che aveva appena lasciato, e invece sembrava che il suo corpo volesse dimostrargli il contrario.
Recuperò velocemente le sue due valigie trolley e senza guardarsi in giro, le cuffie sempre in testa anche se spente, si diresse veloce verso la fila dei taxi e si infilò nel primo che gli fece segnale di essere libero. Esitò un secondo prima di fornire l'indirizzo, la lingua automatica su quello a cui aveva dato il giro di chiave finale, poi l'auto si mise in moto veloce e si incanalò nel traffico della capitale.
Dal finestrino la guardò scorrere accanto a lui, tante piccole luci che si accendevano nel tramonto al suo inizio. Da lì a poco avrebbe sicuramente iniziato a piovere, viste le grandi nuvole nere che si ammassavano veloci. Proprio un bentornato perfetto.
Anche il suo palazzo era quasi del tutto illuminato, quando il taxi finalmente si fermò lì davanti. Pescò le chiavi dalla tasca e trascinò le sue valigie fino all'ultimo piano, l'ascensore fin troppo illuminato per i suoi occhi stanchi. Si stupì di essere riuscito a racchiudere la maggior parte della sua vita in tre borsoni, esclusi i pochi scatoloni che si era spedito. Una volta accesa la luce – almeno quella funzionava – si rese conto però conto di essersi dimenticato quante cose avesse lasciato indietro, ora tutte coperte da teli bianchi per proteggerli dalla polvere.
Si lasciò scappare un gemito e poi sbuffò: i giorni successivi non sarebbero stati rilassanti come aveva sperato, anzi.
Abbandonò le valigie lì in entrata e iniziò a vagabondare per l'appartamento, ricomponendo la familiarità con le pareti, con le foto ancora appese, con i pochi vestiti sul fondo dell'armadio. La cucina era invasa dal bagliore delle luci esterne, la parete a vetrata che veniva picchiettata dalle gocce che ora cadevano sempre più pesanti e insistenti. Un biglietto quadrato, sulla penisola di marmo, attirò la sua attenzione e lo fece sorridere.
«Ho chiamato una compagnia di pulizie e ho acceso personalmente il riscaldamento. In frigo ci sono birra e surgelati. Cosa faresti senza di me? – Z. »
Ecco perché casa gli era sembrata così pulita.
Si stappò una birra, a piedi nudi fece marcia indietro per il salotto e scoprì il divano, buttandoci sopra a peso morto. Poteva prendersela comoda, dopotutto.

Doveva essersi addormentato, perché quando aprì gli occhi di nuovo, il collo gli doleva per la posizione scomoda e si sentiva ancora più anchilosato di prima, e il temporale non aveva accennato a smettere anche a buio già calato. Era così stanco che avrebbe probabilmente continuato a dormire, se il suo cellulare non avesse iniziato a suonare insistentemente e vibrargli in tasca.
Lo pescò fuori con un grugnito, aggrottando le sopracciglia nel vedere chi lo stava chiamando.
«Pronto?»
«Parlo con Shirogane Ryo?»
«… sì, ma chi è?»
«La chiamo dall'ospedale. Hanno appena portato qui la signorina Momomiya Ichigo, e lei è stilato come suo contatto d'emergenza.»


**


Non sapeva nemmeno lui perché stesse correndo così tanto. Aveva dato una lauta mancia al tassista solo perché era riuscito a portarlo in ospedale nello stesso tempo di chiunque altro, e si era precipitato attraverso il parcheggio senza nemmeno un ombrello o una giacca sopra la testa.
Prese un respiro solo per ricomporsi ora davanti all'infermiera delle accettazioni, scrollandosi con una mano l'acqua dai capelli.
«Ehm, buonasera,» non si perse l'occhiata curiosa che la ragazza gli mandò, «Mi hanno chiamato da qui per la signorina Momomiya, ma non so cosa -»
L'infermiera stava già digitando sul computer: «Ha detto Momomiya?»
«Sì,» lui annuì, il nome che gli pungeva le labbra, «Ichigo.»
«E' appena uscita dal pronto soccorso, può andare se vuole.»
Lui sentì dieci chili scivolare giù dalle spalle: «Quindi sta bene?»
«Non ho i suoi dettagli ancora, mi dispiace, ma direi di sì. Da quella parte.»
La ringraziò velocemente e seguì le sue indicazioni, attraverso corridoi asettici e dalle pareti verdognole. Quando finalmente giunse davanti al cartello con scritto Emergencies, un'altra infermiera lo placcò.
«Lei chi sta cercando?»
«Uhm,» Ryo si guardò intorno, tra i lettini vuoti e quelli coperti dalle tende, fino a che non riuscì a individuare, dall'altra parte della stanza, una testa color rubino, «Mi scusi…»
Spostò con gentilezza l'infermiera senza nemmeno guardarla e raggiunse il letto, come se non stesse nemmeno muovendo lui i propri piedi.
Lei era lì, un cerotto sulla guancia, la mano destra ingessata fino al gomito, dei graffi sulle braccia e le labbra un po' spaccate.
Ichigo.
Due anni dopo.
Lei avvertì la sua presenza e si voltò, sussultando sconvolta.
«Ryo,» esalò, come se avesse visto un fantasma, « Mi avevano detto che avrebbero chiamato il contatto di emergenza, ma non pensavo che - »
«Sono appena tornato,» rispose subito lui, rimanendo dov'era, l'impressione di star osservando la scena da un altro punto di vista, fuori dal suo stesso corpo. «Che ti è successo?»
Ichigo arrossì come una bambina, come se non avesse l'età riportata sulla carta d'identità: «Ero di fretta … » bofonchiò, «Stavo correndo e pioveva, ho urtato qualcuno sul marciapiede, io sono caduta e una macchina stava passando … per fortuna era al semaforo, quindi era praticamente immobile, però …»
«Però polso rotto e qualche contusione,» un dottore dall'aria stanca ma gioviale si era avvicinato a loro reggendo una cartella clinica, «Ha avuto fortuna, signorina Momomiya, ma non è la prima personcina frettolosa che vediamo in queste giornatacce. Può già andare a casa se vuole, gli esami sono a posto, bisognerà solo tenere controllata la frattura. Vedo che l'aiuto è arrivato subito.»
Ryo strinse le labbra e annuì, poco sicuro su cosa dire. La rossa stessa era il ritratto dell'imbarazzo.
«Grazie, dottore, se mi dà le carte firmo subito …» pigolò, evitando lo sguardo di entrambi gli uomini.
L'americano rimase in silenzio mentre lei compilava le carte per le dimissioni e ringraziava nuovamente il medico; non riusciva a capire se il suo cervello rimanesse silente per l'assurdità della situazione, o perché sapeva che se avesse lasciato scappare anche uno solo dei pensieri che si stavano affollando nella sua mente, lui sarebbe impazzito.
«Grazie,» mormorò di nuovo lei quando lui le porse i vestiti sulla sedia, «Oh, accidenti, la mia camicetta nuova è tutta strappata …»
Ryo rimase voltato mentre lei si rivestiva, gemendo ogni tanto e sbuffando.
«Vorrei poter dire che è bello rivederti,» esclamò dopo un po'.
La rossa ridacchiò: «Una circostanza un po' in solita. Comunque sono pronta.»
L'americano le prese la borsetta, conscio di quanto potesse essere goffa anche completamente abile.
«Sono venuto qui in taxi,» le disse, «Dobbiamo andare da quella parte. »
Lei lo seguì in silenzio fino all'uscita, l'aria fresca che li investì in pieno e le gocce di pioggia che cadevano più leggere. Rimasero sotto la balconata ad aspettare che uno dei soliti taxi comparisse, a qualche passo l'uno dall'altra.
«I gotta ask,» Ryo continuò a fissare dritto davanti a sé, le mani in tasca e la borsetta a penzoloni, «Come mai sono io il tuo contatto d'emergenza? »
«Be', ecco … in realtà non mi ricordavo nemmeno di averti inserito come tale. Sai, non ho mai pensato in realtà che sarei finita in ospedale, per cui … o almeno, non che qualcuno avrebbe chiamato al posto mio…»
Lui annuì e non si spostò, avvertendo sollievo quando vide i fanali e il simbolo verde illuminarsi poco lontano.
Le aprì la portiera con un sorriso, aggirando poi la macchina per prendere posto dall'altra parte.
«Ti porto prima a casa, non è un problema,» le disse, e lei recitò a bassa voce il proprio indirizzo.
Ryo si rilassò un attimo contro lo schienale, esalando piano. Sapeva, più o meno, quanto sarebbe durato il tragitto, e non seppe nemmeno se meravigliarsi di poterlo ancora ricordarsi.
«Vivi ancora nel vecchio appartamento,» disse poi, dopo dieci minuti di silenzioso passare tra le strade mai vuote della capitale.
Ichigo si morse un labbro mentre annuiva: «Senti, lo so che è tardi, ma non ci vediamo da anni e sei stato trascinato qui, quindi … ti devo almeno un caffè. Ti va? »
Ryo si voltò piano verso di lei, il cuore che batté un po' più forte e lo stomaco che gli gridava quanto non fosse una buona idea. Lei abbozzò un sorriso, il viso tondo che si illuminò appena, la stanchezza che lo avvolgeva e la voglia di casa.
«D'accordo.»


**


Era stata una pessima idea, e lui lo sapeva.
L'aveva capito non appena avevo messo il piede giù dal taxi, se l'era ripetuto nel breve tragitto nel piccolo ascensore dalle pareti di vetro, e ne aveva avuto la conferma finale una volta varcata la soglia dell'appartamento ed essere invaso dall'odore di lei.
Si era quasi morso la lingua per non dire a voce alta, mentre si accomodava su una sedia della cucina, che gli sembrava nulla fosse cambiato.
Perché invece era tutto il contrario.
Ichigo gli passò una tazza sbeccata fumante, sedendosi davanti a lui con una smorfia quando poggiò il gesso sul tavolo.
«E così… sei tornato.»
Ryo annuì, guardò l'orologio sul microonde: «Da nemmeno sette ore.»
«Be', bentornato. Scommetto che non te lo saresti mai immaginato così.»
«Avrò sicuramente una storia da raccontare.»
La rossa sorrise, soffiò un paio di volte sul liquido scuro. Lui la stava guardando di sottecchi, conosceva quel visetto nonostante tutto.
«Come on, ginger. Chiedi quello che vuoi chiedermi.»
Lei sobbalzò appena al soprannome, si strinse nelle spalle: «Nulla. Ero solo curiosa del perché fossi tornato, ecco.»
Ryo alzò appena il sopracciglio: «Niente di che. La compagnia ha finalizzato l'espansione, abbiamo dato ufficialmente il via ai lavori della nuova sede globale qui. E visto che ho supervisionato il progetto fin dall'inizio, sono tornato in avanscoperta a controllare questi primi passi. Venivo da qui, qui torno. Come futuro CEO della sede. »
Ichigo storse il naso, prendendo un sorso: «E' buffo, no? » mormorò poi, senza guardarlo, «Sei tornato per lo stesso motivo per cui te ne sei andato.»
Il biondo sentì il caffè bruciargli lo stomaco, un sapore acido risalirgli piano lungo la gola e la stanchezza ripiombargli addosso tutto insieme. «Ce l'hai ancora con me per quello?» le chiese infine.
«È un po' difficile chiudere la questione quando in meno di un mese decidi di sparire per due anni,» bofonchiò lei con malcelato nervosismo.
Ryo si lasciò scappare un sospiro pesante, si passò una mano sul viso: «Senti, Ichigo, non sono venuto qui per rivangare discorsi già affrontati e ormai vecchi.»
«Pensavi di tornare e ignorarmi? »
«No, ma di sicuro non programmavo di rivederti nel bel mezzo della notte in ospedale per poi essere accusato per le scelte che ho fatto e che ho già vissuto da solo.»
Lei abbassò di nuovo lo sguardo, le labbra strette e una punta di ansia e vecchio dolore che ritornava a galla. Se si fosse detta che era da molto che non pensava a lui, sarebbe stata una bugia. Al tempo stesso, però, non sapeva nemmeno se definirla una storia importante, la loro. Era durata quasi un anno, vissuto intensamente abbastanza perché entrambi si perdessero completamente l'una per l'altro, ma non abbastanza da convincerlo a non partire o a farle decidere di seguirlo, quando gli si era presentata l'occasione di spostarsi nella sua terra d'origine, dall'altra parte del mondo, per fare un salto di carriera.
O almeno, questo era ciò che lei aveva sempre pensato. Nonostante tutto, aveva sempre avuto il timore di non essere mai stata capace di comprenderlo; lui, sempre così inafferrabile, distante, complesso, tormentato da un passato che non aveva mai voglia di divulgare. Si erano conosciuti per anni, battibeccandosi addosso per nascondere la voglia di scoprirsi in maniera differente, eppure lei aveva sempre avvertito un divario, uno scalino tra di loro che lei non riusciva a sormontare.
Lui, dal canto suo, non era mai stato capace di dirle quanto avesse tenuto a lei, davvero. E una parte di sé, quella che più l'aveva spinto, aveva sempre instillato nella sua mente il timore di vedersi schiacciato dalla sua mancanza, che non era stato troppo difficile convincersi a scappare lontano.
«L'hai detto a qualcuno che saresti tornato?» gli chiese sottovoce.
Ryo esitò un secondo prima di rispondere: «Solo a Zakuro, aveva un doppione delle chiavi del mio appartamento.»
A quelle parole, la rossa storse appena il naso in un gesto che non gli sfuggì.
«Cosa? »
«Niente, ma… Zakuro…» rispose vaga lei, nella stessa maniera in cui gli aveva sempre risposto anni prima quando il nome della modella si faceva largo tra le loro conversazioni.
«Cos'è, sei ancora gelosa?» le chiese con tono di scherno, una subdola voglia di irritarla.
Ichigo si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza poter mai incrociare il suo sguardo: «Immagino che non dovrei stupirmi che voi due abbiate mantenuto un rapporto in questi anni, sicuramente lei sarà venuta a trovarti qualche volta. Avete sempre avuto un legame particolare, in fondo.»
A Ryo venne voglia di ridere, una risata carica di sarcasmo e un filo di rabbia: «Are you even serious right now? Ci conosciamo da quando eravamo adolescenti, io e lei. Se non sbaglio, la tua migliore amica Minto aveva una cotta molto più grande di chiunque altro conoscessi per Zakuro. E io non ti ho mai rotto le scatole per la tua amicizia con quel Kisshu – anche se forse avrei dovuto - o sbaglio?»
Ichigo sembrò farsi più piccola sulla sedia, la ciocca rubino che le ricadde davanti al volto senza che lei facesse nulla per spostarlo. Lui aggrottò la fronte, improvvisamente conscio del cambio di atmosfera dentro la stanza.
«Che c'è?»
La rossa si morse un labbro, le dita della mano libera che tamburellarono a disagio sul tavolo di legno: «Io … ecco … »
«Oooh, I see,» questa volta fu lui ad avvertire un chiarissimo, familiare brivido di gelosia corrergli lungo l'intestino, una vecchia sensazione di sdegno che gli fece stringere il pugno sopra la gamba, «Alla fine ce l'ha fatta a ottenere quello che aveva sempre voluto, vero? E bravo Ikisatashi, lesto come un gatto.»
Ichigo alzò di scatto la testa, il volto rosso forse per vergogna o per collera, gli occhi che si inumidirono come tutte le volte che avevano iniziato una discussione: «Almeno lui è rimasto.»
«La devi smettere con questa storia,» il biondo lo sibilò con un fil di voce, stringendo il manico della tazza con tale forza che le nocche gli diventarono bianche, «Hai preso anche tu la tua decisione, sai.»
«Credevo di essere più importante di un lavoro che, come vedi, avresti potuto trovare benissimo anche qua.»
«Potrei dirti la stessa cosa, sai. Non mi sembra che nemmeno tu abbia lottato come secondo te avrei dovuto fare io.»
«Cosa sarei venuta a fare, eh? La bella statuina?»
«Per una volta, avresti fatto tu un passo verso di me
Ichigo girò il volto come se avesse preso uno schiaffo, alzando gli occhi al cielo per evitare che quelle maledette lacrime le bagnassero le guance.
«Quando mi dicevi che mi amavi, era almeno vero?»
Se gli occhi avessero potuto incenerire, di lei non sarebbe rimasto nulla: «Ma vaffanculo, Ichigo.»
Lei trasalì appena: «Però te ne sei andato senza nemmeno pensarci un secondo.»
«Non mi sembra tu sia stata a straziarti troppo a lungo.»
«Cos'è, volevi che ti aspettassi in vano, supplicandoti per favore di tornare da me?!»
«Perché avrei dovuto? Non ci hai nemmeno pensato, quando ti ho chiesto di venire con me. Hai detto di no subito, dovevo essere io a rincorrerti? Avevo avuto già tutte le risposte che mi servivano, avevo già pensato abbastanza con quello.»
Ryo si alzò di scatto, non sopportando più la vista di lei, si passò una mano tra gli arruffati capelli biondi mentre esalava in silenzio per riuscire a calmarsi.
Era sempre stata così, la loro relazione. Un battibeccare continuo, per due che non erano bravi a parlarsi, a confidarsi, a lasciarsi andare. Che non riuscivano ad amarsi appieno, nonostante si amassero.
O almeno, nonostante lui avesse amato lei sopra ogni altra cosa al mondo, sbattendoci la testa contro così tante volte che ormai ci aveva fatto il callo.
«Ryo
Bastò quella sillaba a spezzargli il cuore di nuovo.
La consapevolezza che non ci sarebbe mai potuto essere qualcosa tra di loro per davvero lo avviluppò in un istante, spezzandogli il fiato. E non perché non avessero mai voluto, o non ce ne fosse mai stata occasione, ma semplicemente perché erano troppo diversi, e al tempo stesso così simili in troppi punti.
Sarebbe stato così semplice, eppure non erano mai riusciti a non renderlo complicato.
«Mi dispiace, Ichigo, » mormorò, «Ma non posso rimanere. Non posso.»
Avrebbe voluto dirle tante altre cose, ma al tempo stesso, si rese conto che sarebbe stato tutto dettato solamente dalla nostalgia, dal profumo di quella casa e da tempi più acerbi, ma più semplici.
Lei annuì, una singola lacrima che le sfuggì dagli occhioni scuri, che in tutta la loro tristezza non gli trasmettevano più nulla: «Credi che… potremo sentirci, qualche volta?»
Ryo non esitò nemmeno un istante: «No,» esclamò secco, senza provare nulla, senza pensare a nulla, «Non sarebbe una buona idea. »
Ichigo acconsentì di nuovo: «Hai ragione,» mormorò solo.
«I always do, ginger
La vide sorridere appena, aprire un paio di volte la bocca come per dire qualcosa, poi scuotere la testa: « Grazie per avermi aiutata, oggi. »
«Di nulla.»
Rimasero così, in silenzio, senza più null'altro da dirsi, per qualche istante ancora, prima che lui raccogliesse infine il suo giubbotto.
«Ciao, Ichigo. Abbi cura di te.»
«Ciao, Shirogane-kun.»
Il nomignolo quasi infantile lo accompagnò fino alla porta, il silenzio del palazzo avvolto dal sonno che gli rimbombò nelle orecchie mentre scendeva le scale a piedi, per far pompare il cuore.
Il cerchio era stato chiuso, si disse, mentre usciva dall'edificio incontro alle luci dell'alba che cominciavano a sorgere lontane. L'avrebbe presa come un segno del destino, se avesse creduto in quelle cose. Ma la tranquillità che lo pervadeva in quel momento era molto più forte del sordo dolore che sapeva non sarebbe mai riuscito a scacciare del tutto dal suo petto.
L'odore della poggia che cadeva fitta nascose tutto il resto.







§§

Credo di non aver mai odiato scrivere una Ryochigo così tanto come questa volta. Avevo il rifiuto per questi due e la loro incredibile stupidità, non riuscivo proprio ad andare avanti a scriverla, e come avrete notato è rimasta ferma mesi, mesi in cui avrei voluto prenderli entrambi a sprangate. Poi come al solito in due ore ho chiuso la questione, scrivendola proprio con rabbia nel disperativo tentativo di liberarmene e non doverci pensare più xD Scrivere la frase finale è stato quasi liberatorio (tanto quanto il vaffanculo Ichigo, erano SECOLI che speravo di poterlo scrivere ahahaha).

Quindi chiedo perdono in caso la ff non soddisfacesse ^^'''' Ah, in caso foste interessate: essendo questa una AU, il progetto Mew non è mai esistito, KIsshu non è un alieno, né loro sono geneticamente modificati. A voi immaginare come si sono conosciuti :P
Avviso che questo è il PENULTIMO universo alternativo che affronteranno, ahimé la prossima è di nuovo una Ryochigo che manco è iniziata, quindi se non decido di ucciderli tutti e farla franca, mi sa che mi farà penare di nuovo ^_^
Grazie a tutti coloro che seguono, leggono, smipicciano, ma soprattutto a quelli che commentano <3

Un bacione (e buonanotte vista l'ora xD)

Hypnotic Poison







   
 
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