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Autore: Sariel    30/06/2009    6 recensioni
La prima cosa che notò quando aprì gli occhi non fu tanto il fatto di ritrovarsi nuda nel suo letto, piuttosto la figura sdraiata accanto a lei, che ronfava alla grande.
(Settima classificata con la storia di crimsontriforce al Multifandom Contest - III edizione indetto da Emiko e Ro-chan)
[Contiene i ringraziamenti per A stange guy in the metro]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Parte: 2 di 3
Introduzione: fiction scritta per la III edizione del Multifandom Contest indetto da ro-chan.
Disclaimer: Inuyasha e i personaggi della serie non appartengono a me ma alla divina Rumiko Takahashi e non vengono usate da me a scopo di lucro.
Note dell’autore: 1. non betata, scusate eventuali errori.
2. ho deciso di continuare la fiction, anche se ho paura che la storia finisca col risultare un po’ banale. Comunque entro la fine del contest (10 luglio) sarà completa u.u probabilmente ci sarà solo un altro capitolo oltre a questo. (Kagome che lavora allo Starbucks…ma ve la immaginate? xD *me ama lo Starbucks*)
3. commenti - e critiche - graditi come sempre.

 
Atto Primo
©Art by http://nillia.deviantart.com/
 
ATTO PRIMO (2/3)
"L'amore è una commedia in un atto: quello sessuale.”  Enrique Jardiel Poncela(*)

“Kagome, un frappuccino alla vaniglia e un espresso. Subito!” urlò Miroku dalla cassa, prima di girarsi per prendere l’ordinazione di un altro cliente.
Kagome sbuffò e alzò gli occhi al cielo, appoggiando al bancone due espressi ordinati poco prima, per poi lanciarsi verso il frigo, aprirlo e tirarne fuori il latte. Lo versò nel frullatore, riempiendolo quasi fino a metà. Ci buttò dentro tre cubetti di ghiaccio e lo sciroppo di vaniglia e accese il frullatore, che partì con un rumore secco. Preparò velocemente il caffè e lo versò in un contenitore, infilando poi la fascia con il marchio Starbucks per evitare che il cliente si scottasse.
Grazie a Sango( alla quale doveva ancora raccontare della mattina del giorno prima), o meglio al suo nonproprioragazzofissomaquasi Miroku-sama, era riuscita ad ottenere un lavoro allo Starbucks della stazione di Kyōbashi, almeno per l’estate. Certo, non era nulla di che, ma almeno poteva guadagnare qualcosa e metterselo da parte. E inoltre il locale non era lontano dalla baia di Tokyo e dal mare, che lei adorava. Ma doveva ammettere che non era un lavoro tranquillo, soprattutto in determinate ore, quando tutti i lavoratori di Tokyo sembravano riversarsi nel locale.
Prese il contenitore con l’espresso già pronto e uno vuoto, riempiendolo con il frappuccino e un po’ di panna montata.
“Ecco a voi.” disse, abbozzando un sorriso, e porse i contenitori ai due clienti al di là del bancone.
Miroku la chiamò di nuovo e lei fece appena in tempo a prendere al volo il sacchetto che le venne lanciato. Era un normale sacchetto di carta marrone, di quelli che servono per contenere cibi e vivande, con attaccato un post-it, e sul post-it un indirizzo e il numero di un appartamento.
“Da quando facciamo consegne a domicilio, Miroku-sama?” chiese d’istinto, non ricordando se c’erano regole specifiche - nel tomo che era stata obbligata a leggere per diventare una dipendente perfetta Starbucks - a riguardo.
“Non le facciamo.”
“E quindi?”
“Quindi…questo è un mio amico, perciò possiamo fare la consegna a domicilio.” replicò, con un ampio sorriso. E naturalmente sarai tu a farlo, ma quello era sottinteso. Kagome annuì e si tolse il grembiule verde, prima di uscire dal locale.
“Cavolo.” mormorò, osservando il cielo nuvoloso, che minacciava pioggia da un momento all’altro.
Afferrò la bici e pedalò il più veloce possibile, sperando di evitare di prendere l’acqua, ma grosse gocce di pioggia cominciarono a scendere, bagnandola. Cercò di pedalare più forte, ma quando arrivò all’indirizzo segnato sul post-it - un palazzo di circa dieci piani, molto moderno - era ormai fradicia. Lasciò la bici di fronte all’ingresso ed entrò, recandosi subito verso gli ascensori, schiacciando il 3.
Quando arrivo all’appartamento 303 suonò due volte il campanello, cercando di sistemarsi al meglio, appoggiando il sacchetto sul pavimento. Guardò la pozza d’acqua che si formò sulla moquette del corridoio e sbuffò.
“Mi scusi, signore, il sacchetto si è bagnato-” iniziò a spiegare una volta che la porta dell’appartamento venne aperta, afferrando da terra il sacchetto.
“Oh, finalmente.”
“-tutto.” finì, prima di alzare di scatto la testa, riconoscendo quella voce.
Tu…” mormorò, riducendo gli occhi a due fessure. Il tipo della mattina prima - InuYasha, se non sbagliava - le stava davanti, un braccio appoggiato allo stipite della porta e gli occhi fissi su di lei.
“Grazie al cielo sei arrivata.”
Tu…” ripetè ancora lei. “…che diavolo-” iniziò, ma lui cominciò a parlare.
“Ho provato a contattare tutte le Higurashi della città.” ammise, strappandole il sacchetto di carta dalle mani e facendole cenno di entrare. “Ed è pure venuto un Higurashi a portarmi una pizza, e potrei scommettere che quella sottospecie di peluria che aveva in testa era un parrucchino. Avrei dovuto controllare il nome prima di chiamarlo. Sto ancora cercando di togliermi il ricordo dalla testa.” le spiegò, incamminandosi nel corridoio dell’appartamento, ma Kagome rimase immobile sulla porta, a braccia incrociate. InuYasha si voltò, non sentendo i suoi passi dietro di sé.
Kagome non riuscì a trattenere una risata. “Che c’è, non era il tuo tipo?”
La fissò stizzito e le fece segno di entrare. Kagome entrò sospirando, chiudendosi la porta alle spalle. Rimase immobile nel corridoio di ingresso, guardandosi attorno, mentre lui spariva in qualche angolo della casa.
Sulla parete alla sua destra vi era appeso una stampa giapponese che ritraeva i tipici samurai dell’epoca Sengoku, molto probabilmente una copia. Sotto di essa un tavolino nero lucido, con appoggiate delle fotografie. Kagome ne prese una tra le mani, mentre la voce di InuYasha la raggiunse da un’altra stanza( urlò qualcosa del tipo ti prendo un asciugamano!). Fissò attentamente la foto che sembrava scattata qualche anno prima a giudicare dall’aspetto di InuYasha, che non dimostrava nemmeno vent’anni. Era ritratto insieme ad una ragazza poco più bassa di lui, con i capelli lunghi e corvini e gli occhi di un castano caldo molto simile - troppo simile, si ritrovò a pensare Kagome - ai suoi. Si rese subito conto di sembrare la fotocopia più giovane di quella ragazza, che ora doveva sicuramente essere diventata una donna attraente, dato che era già così bella da giovane. E di sicuro erano fidanzati, Kagome lo capì dai piccoli indizi presenti nella foto, quali la strana luce negli occhi che entrambi avevano mentre si guardavano, il sorriso complice sulle loro labbra, le loro mani che si sfioravano, cose che non si condividevano tra due semplici amici. Ma quella sembrava essere la foto più recente, segno che probabilmente si erano lasciati.
Sentì i passi di InuYasha avvicinarsi e strinse maggiormente la foto tra le dita.
“Andare a letto con qualcuno che assomiglia tremendamente alla tua ex è alquanto patetico.” buttò fuori, quando capì che InuYasha era abbastanza vicino da poter sentire.
“Come?” chiese lui, sbucando fuori da una porta sulla sinistra del corridoio, con un asciugamano blu tra le braccia. Kagome indicò la foto e lui si avvicinò a lei velocemente, strappandogliela di mano per rimetterla a poco.
“Non vi somigliate per niente.” borbottò velocemente, prima di lanciarle l’asciugamano e avviarsi verso una porta a destra.
Kagome lanciò un’ultima occhiata alla foto e cominciò a frizionarsi i capelli, seguendolo nella stanza, che si rivelò poi essere la cucina, arredata con mobili moderni, quasi anonimi. Si sedette di fronte a lui, scusandosi per avergli bagnato il corridoio e rimase ad osservarlo in silenzio.
“Come si chiama?” gli domandò, senza riuscire a trattenere la curiosità.
“Chi?” chiese lui, sorseggiando il caffè.
“La ragazza nella foto.”
InuYasha appoggiò l’espresso al tavolo e la fissò, aggrottando leggermente la fronte.
“Non sono fatti tuoi.” rispose con tono duro, cogliendola di sorpresa. Ma poi, preso da chissà quale voglia di parlare con una sconosciuta - o quasi - della sua ex, aggiunse in un sussurro il nome Kikyo. “Non vi somigliate per niente.” ripetè, abbassando lo sguardo.
Il silenzio che seguì fece sentire Kagome a disagio. Si schiarì piano la gola.
“Beh, è meglio che vada.” annunciò, muovendosi per alzarsi.
“E perché?” le chiese lui, rialzando lo sguardo e addentando un donut.
“Bè, primo, perché devo tornare al lavoro. Sarà un lavoro estivo, ma è pur sempre pagato. E secondo, stai aspettando qualcuno, perciò me ne vado.” spiegò, indicando i due espressi e i due donut.
“Sto aspettando qualcuno?” ripetè lui divertito.
Lo sguardo di Kagome passò di nuovo sui due contenitori di caffè e sopra i due dolci.
“Hai ordinato per due.” constatò.
InuYasha roteò gli occhi e le allungò il caffè, insieme ad un donut al cioccolato.
“Fai due più due, è semplice.” replicò semplicemente, con un sorriso. “E poi ho chiesto a Miroku di lasciarti il resto della giornata libero e ha accettato.”
Lei si risedette, afferrando il caffè e bevendone un sorso, non del tutto convinta se restare lì fosse l’idea migliore.
“Perché mai mi hai cercato?”
“Oh, per invitarti fuori. E sono felice che la tua incazzatura sia sparita da ieri mattina.”
Kagome alzò un sopracciglio, continuando a fissarlo.
“E perché mai dovrei uscire con te?” gli domandò, lasciandosi sfuggire una risatina.
“Perché ti ho promesso che ti avrei conquistata anche da sobria.”
Represse una risata, Kagome ne fu certa.
“Sei sempre così sicuro di te stesso?”
InuYasha non rispose, bevendo un altro sorso di caffè. Dal sorriso che le rivolse Kagome capì solo una cosa, che , era davvero così sicuro di se stesso.
Addentò il suo donut e rimase un attimo in silenzio, pensandoci. “Ok.” rispose infine, sicura che non ci sarebbe mai riuscito. Non che non le piacesse, anzi doveva ammettere - superata l’incazzatura, come l’aveva chiamata lui, della mattina precedente - che InuYasha l’aveva colpita.
Kagome sorrise, prima di addentare un altro pezzo del suo donut e finirono la colazione così, in silenzio.
 
 
TO BE CONTINUED…
  
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