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Autore: chibinekogirl    15/03/2018    0 recensioni
LEi era l’unica costante fissa della mia sregolata e immorale esistenza.
Quello di Daphne era l’unico corpo che desideravo prendere più e più volte, così dolce di fame e così dolce di sete da corroborare le mie membra stanche, risvegliando i miei gelidi sensi e facendomi sentire onnipotente e glorioso, forte e nocivo.
Daphne...Lei era mia.
Era la mia FARFALLA preferita.
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Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Famiglia Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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                                                 Skin to bone
 
 

 
Quell’anno la candida neve danzava lenta e abbondante sulle strade buie di Hogsmeade, stagliandosi adamantina tra le pieghe brune del cielo. Il brillante disco niveo splendeva solitario e malinconico, bagnando di luce argentea le lunghe facciate di mattoni rossi degli edifici e le slanciate figure dei maghi che incedevano celermente sull’acciottolato.
Una delicata coltre bianchissima stava facendo scomparire i terrazzi marmorei dell’Hotel Supramonte, attecchendo lieve sulle imponenti finestre e accompagnando placidamente il cupo silenzio infranto dal nostro respiro che si rincorreva.
Mi mossi tra le lenzuola di lino, puntellandomi sui gomiti per restare in equilibrio.
“ No…Ancora, ti prego.” mugugnò pigramente sulla mia bocca arida.
“ Shh.” mormorai.
Posai delicatamente il palmo umido della mia mano sul ventre di Daphne, ancora scossa e tremante, e continuai la mia rilassata e sensuale tortura.
Vederla così languida, ansimante e duttile tra le mie mani mi eccitava sempre come la prima volta, bruciandomi dall’interno come fosse Ardemonio. Inchiodai il mio superbo sguardo in quei suoi grandi occhi verdi e mi abbandonai tra le gambe snelle della ragazza, spingendomi deciso e irruento dentro di lei.
Una.
Due.
Tre.
Quattro volte.
Lentamente la sentii irrigidirsi mentre chiamava il mio nome ed io sorrisi, soddisfatto.
Adesso era il mio turno.
Distesi le lunghe dita pallide sulla sua coscia, facendomi strada verso il suo esile fianco.
Daphne strinse meccanicamente le lenzuola del letto, muovendo il bacino al tempo che io le dettavo, spargendo sul guanciale i folti capelli lunghi simili a quelli di una voluttuosa ninfa dei boschi.
Mi lodai per averla nuovamente sotto di me, cosi calda e pronta.
Lei era l’unica costante fissa della mia sregolata e immorale esistenza.
Era come un fragile acchiappasogni di cristallo che scalfivo crudele e appagato per potermi salvare dal carezzevole e letale oblio della mia mente.
Quello di Daphne era l’unico corpo che desideravo prendere più e più volte, così dolce di fame e così dolce di sete da corroborare le mie membra stanche, risvegliando i miei gelidi sensi e facendomi sentire onnipotente e glorioso, forte e nocivo.
Era l’unica che docilmente s’inginocchiava sottomessa al mio egoistico piacere, al mio volere e al mio più banale capriccio. Pura e ingenua crisalide che continuamente si donava a me senza remore e che io desideravo contaminare più di ogni altra cosa.
Per me, Lei non era niente di più di questo.
Vidi le braccia di Daphne avvinghiarsi alle mie spalle e saggiare le mie scapole con piccoli e sottili graffi. Con un gemito sommesso nascosi il suo seno tra i miei baci, percorrendone il profilo con la lingua sino ad arrivare alla sua giugulare.
Ascoltai il rumore smorzato dei nostri corpi che s’incontravano e morsi un angolo delle sue labbra vellutate, aspirando prepotentemente via la rugginosa bollicina di sangue che fece capolino subito dopo.
Continuai quel ritmico andirivieni, concentrandomi sul formicolio esaltante della mia nuca e poi, finalmente libero, mi lasciai cadere vicino al corpo umido della donna, ritrovandomi ad osservare il fastoso candeliere spento oltre le nostre teste.
Era solo questo che io volevo, questo ciò che io potevo essere.
Sospirai a fondo e mi alzai, dirigendomi con passi pesanti verso le alte finestre appannate dal forte gelo. Agguantai svelto un bicchiere dal tavolino, feci roteare lentamente il corposo liquido purpureo al suo interno e mi accasciai spossato su una delle poltrone dorate.
 
La circolare camera numero 167 era diventata ormai come un rifugio per me, come un’alcova segreta dove potevo sfogare le mie malsane e deleterie inclinazioni.
Pansy, Ursula, Zalia, Scarlett, Katherine, Heliana, Cassia, Morgana, Athalia, Rachel: erano solo alcuni degli sporadici nomi delle donne che avevo posseduto e che si succedevano in quella stanza a un ritmo frenetico, quasi ossessivo.
Ma a me non importava ricordare i loro nomi, il loro odore, i lori volti o i loro corpi: era come se non le vedessi veramente. Non erano niente di più che bambole diverse con la medesima funzione.
Erano tutte uguali, deboli farfalle sparute che attiravo nelle mie fauci bramose, consumandole col mio veleno prima di nutrirmene.
Avevo, tuttavia, sempre bisogno di loro, poiché continuamente insoddisfatto, vorace e famelico.
La mia valvola di sfogo era alimentata senza tregua da una vita costretta all’obbedienza e accartocciata, come un foglio vecchio, dalle soffocanti attese altrui, dagli sguardi sussiegosi della gente, dal sentirmi costantemente inadeguato e dalle facili scelte sbagliate che avevo intrapreso fin dall’adolescenza.
Il sesso e  la promiscuità erano diventati qualcosa di naturale, alla stregua dell’aria che respiravo e del sangue che mi fluiva caldo nelle vene.
E per quando annegassi nel profumo lussurioso e inebriante del peccato e per quanto sprofondassi nell’oscurità delle mie perversioni, le ragioni della mia condotta erano sempre lì davanti a me, come macchie indelebili su un telo candido e immacolato.
 
Lasciai cadere il bicchiere vuoto sul morbido tappeto lanuginoso, speranzoso di vederlo infrangersi in tante minuscole schegge aguzze.
Daphne osservò le ultime gocce di vino affondare tra i piccoli nodi lanosi e levò il capo riccioluto dal cuscino, fissandomi a lungo, inquieta.
Si alzò elegantemente dal letto e indossò la vestaglia di ciniglia rosa, celandomi il suo scultoreo corpo nudo. Camminò determinata verso di me, muovendo le anche in modo sinuoso e adagiò un piede affusolato al lato della mia gamba, spingendomi sullo schienale di morbida piuma.
Schiuse le labbra carnose vicino le mie ed io percepii il suo penetrante profumo di sandalo e fiori d’arancio.
“Draco, ascolta. Ci ho pensato ancora. Io…” cominciò.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffando le catturai saldamente i polsi, costringendola in una posizione alquanto fastidiosa e sconveniente.
Non potevo credere che stesse per riaffrontare quell’argomento.
Da qualche tempo, chissà perché, i nostri incontri finivano sempre nel medesimo modo: ad un certo punto ci ritrovavamo a girarci attorno come lupi famelici; lei esternava il suo disappunto e la sua frustrazione, inveendo contro di me la disperazione nel non essere la mia unica donna… io diventavo irritabile e aggressivo, torreggiando su di lei per dominarla.
“Daphne, non ricominciare!”
“No!” singhiozzò mestamente.
Sbottai e la spinsi violentemente per terra, innervosito e scocciato.
La ragazza crollò fragilmente sulle ginocchia esili, sporcando la veste con le macchie rubiconde del tappeto. Si piegò in avanti, coprendo il volto ovale sotto una cascata di boccoli corvini come l’inchiostro.
“Sono stanca Draco, hai capito? Non ci riesco più, basta. Tu…tu sei un mostro!” sputò tra i denti.
Il mio respiro accelerò.
Come osava rivolgersi a me in questo modo?
Come osava solo pensare di poter scalfire la gelida armatura che ero riuscito a costruire con tanta sofferenza?
Mi chinai repentino sul pavimento, artigliandole energico la chioma ed esponendo il suo collo niveo alla luce soffusa che filtrava dalle tende, rendendola impaurita e tremante in balia delle mie spire.
“Cosa hai detto?” ringhiai al suo orecchio, torcendo il polso.
“Lasciami, mi fai male!” gemette piano.
“Questo è quello che ho da offrirti. E a te deve andare bene così com’è!”
Daphne cercò di liberarsi dalla mia stretta vigorosa, strattonandomi.
“Io lo so che tu mi vedi senza guardarmi per davvero ed io non voglio essere più solo una delle tue prede! Potrei essere un serpente come te se soltanto mi guardassi con occhi nuovi.”
“E a cosa servirebbe Daphne? L’amore è un sentimento subdolo e contro natura. È una malattia purulenta che infetta le persone, dannandole a una dipendenza sventurata e precaria. Il piacere che ci diamo è reale invece! È intenso, esaltante, sofferente, vivo. Non preferisci questo?” mormorai suadente mentre le accarezzavo le terga.
“Mi sento lacerata Draco, come se fossi appesa ad un filo di seta, fragile e affilato. Non posso muovermi senza essere ferita o soffocata. Perché mi tieni in questo limbo? Dov’è finito il tuo amore?”
Quella frase mi paralizzò l’anima e, per un momento, esitai.
Potevo davvero sperare in qualcosa di meglio per ME?
Stavo per abbozzare un sorriso speranzoso ma tutte le innumerevoli promesse estortemi da mio padre, dal Signore Oscuro, dal mio lignaggio e dalla tradizione dei Purosangue mi bloccarono.
Come potevo davvero credere che la mia vita sarebbe stata MIA?! Solo un folle avrebbe riposto la fiducia un'altra volta in quei pensieri.
Quante volte dovevo affogare prima di imparare a nuotare?
Strinsi i pugni conficcando in profondità le unghie, fino a sentire la rassicurante sensazione di dolore nei palmi.
“Seppellito. Tanti anni fa.”
“ Io non mi posso arrendere. Tu puoi cambiare!”
Acuii la presa sul suo capo, portandomelo sul petto glabro.
“Ti prego, no…smettila.” bisbigliai.
Il suono lugubre della mia voce la fece gemere di più. Piccole e ardenti perle salate precipitarono indifese sulle guance di Daphne per poi rabbrividire all’estremità del suo mento e cadere nel vuoto.
Singhiozzò forte e si aggrappò alle mie spalle, raggomitolandosi tra le mie gambe mentre io, poggiato alla sedia, la stringevo senza parlare, incapace di dire o sentire qualcosa.
 
 
 
 
 
 
Passai una mano tra le onde nere dei miei capelli e mi accostai al grande specchio vicino l’armadio, squadrando seria il mio riflesso all’interno di un delicato abito di velluto rosa cipria.
Guardai distrattamente fuori dalla finestra alla ricerca di qualcosa ma il solo movimento visibile ai miei occhi era quello delle fronde degli alberi che ondeggiavano nel freddo vento invernale.
Sospirai sonoramente.
Erano ormai passati più di dieci giorni da quando Draco ed io c’eravamo rivisti nella nostra solita camera d’albergo ed io fremevo nella speranza di ricevere un messaggio da lui. Passavo la maggior parte del mio tempo in silenzio, illudendomi di sentire ovunque il fruscio piumato del suo gufo reale.
Chi volevo prendere in giro, sapevo che sarei stata io la prima a tornare.
Come sempre.
Una chioma bruna apparve da dietro la mia spalla e il viso a cuore di Astoria mi sorrise gioviale.
“Sei sempre cosi bella!” sussurrò, unendo le mani sottili.
La voce cristallina di mia sorella s’inserì tagliente nei miei pensieri, riportandomi alla realtà.
Reclinai svogliatamente la testa di lato, abbracciandola e controllai ansiosa il grande orologio della mia camera da letto.
“Cosa ti turba, Daphne?”
Chiusi gli occhi per un attimo, smarrita.
Raccontare a qualcuno della mia relazione con Draco avrebbe reso il tutto troppo reale e doloroso ed io non ero pronta.
Sul basso comodino d’acero avevo appoggiato una breve lettera srotolata e scritta con una graziosa calligrafia corsiva: la cortese risposta di Narcissa Malfoy a un invito a pranzo dei miei genitori.
Mi sentivo così sola in quel tumulto assurdo che era diventata la mia vita… ma erano passati i tempi in cui io e Astoria ci rintanavano sotto le stesse coperte per raccontarci i segreti che pesavano nel nostro cuore.
Increspai le sopracciglia, mordendomi la lingua.
 “Niente, sta tranquilla.”
 
 
“Dwilly, accompagna i signori nel salotto e offri loro dell’idromele... No, quello dell’ala ovest.” comandò imperioso mio padre quando vide l’elfa domestica far strada verso la porta sbagliata.
Meravigliata, mi alzai dalla sedia e deposi il tovagliolo vicino i bicchieri traslucidi.
Perché il salotto dove mio padre concludeva i suoi affari?
Avevo intuito che c’era qualcosa di strano nel momento esatto in cui avevo posato i piedi sul chiaro lastricato dell’ingresso per accogliere, come si conviene, la famiglia Malfoy.
Draco mi aveva salutato frettolosamente, in maniera composta e austera, senza neanche degnarmi di una fugace occhiata. Aveva invece garbatamente offerto il braccio a mia sorella minore, conducendola con sicurezza verso la sala da pranzo come se conoscesse a memoria il percorso.
I miei genitori avevano sorriso troppo facilmente a Narcissa e Lucius; troppo gentilmente gli avevano mostrato le ampie stanze illuminate della nostra villa e sempre troppo amabilmente avevano conversato durante il ricco pranzo.
Il salotto dell’ala ovest era più piccolo di quello al pianterreno, circondato da pesanti librerie di noce e finestre a rombi dai vetri colorati che effondevano intricati giochi di luce ogni qual volta venivano attraversati dai raggi solari. Alcuni divani beige dai piedi leonini troneggiavano sopra un folto tappeto persiano, lasciando spazio a uno spigoloso tavolo basso finemente intarsiato con volute, fiori e teste di serpente. Il fuoco crepitava allegro in un angolo della stanza, rischiarando di luce fulva gli imponenti quadri appesi sopra di esso.
Draco fece sedere Astoria su una morbida poltrona e si accomodò su uno dei braccioli, dondolando il piede al ritmo di una musica inesistente. Narcissa e Lucius rimasero in piedi, osservando compiaciuti i ritratti dei miei avi, tutti rigorosamente Serpeverde.
Dwilly si appropinquò caracollando verso una vetrinetta e con un profondo inchino offrì ai miei ospiti alti calici ricolmi di frizzante liquido ambrato.
“Ritirati in cucina.” mormorò flebile mia madre e prese posto dietro di me, posando una mano affusolata sulla mia spalla.
“Bene! Adesso che siamo tutti qui avrei il piacere di dire qualcosa.”
Sorrisi ai modi teatrali di mio padre, nascondendomi dietro l’orlo del bicchiere quando aprì le braccia e si voltò compiaciuto verso di noi.
“Da tempo le nostre due famiglie seguono percorsi paralleli, uniti da un’amicizia salda e forte. Come ben sappiamo, sono passate molte generazioni dall’ultima unione tra le nostre due casate e Lucius ed io auspichiamo nuovamente questo legame. È stata, come dire, una piacevole conferma il sapere che i nostri figli si stiano frequentando con la speranza di condividere presto la loro vita insieme...”
L’idromele mi andò di traverso e tossii sommessamente.
Come avevano saputo di me e Draco?! Chi aveva raccontato i nostri incontri privati in quella camera d’albergo?
Cercai inorridita di spiare i volti delle persone in quella stanza ma le espressioni erano ancora tutte serene e allegre.
Condividere la vita insieme… questo voleva dire solamente che Draco intendeva sposarmi!
Come se avesse intuito il mio pensiero, Draco girò il capo e mi fece l’occhiolino.
Lui!
Afferrai il velluto dell’abito, avvampando tremendamente.
Sapevo che sarei riuscita nel mio intento.
Poteva dire qualsiasi cosa, sbraitare, negare o urlare ma alla fine avevo vinto io.
Draco aveva finalmente capito, aveva finalmente scelto me… e adesso avremmo vissuto il nostro amore alla luce del sole, benedetti perfino dai nostri genitori.
Ci alzammo tutti in piedi, stringendoci di più in quel cerchio.
Fissai esaltata i volti levigati e perfetti di Narcissa e Lucius, volti che da oggi in poi avrei chiamato famiglia.
“…perciò leviamo i calici amici miei, perché è con immensa gioia che annuncio il matrimonio di Draco Lucius Malfoy e Astoria Diamante Greengrass.”
La frase mi colpì brutalmente come uno schiaffo in piena faccia.
Le parole mi morirono in gola e la mano che stavo per porgere a Draco s’immobilizzò all’istante.
Guardai di sottecchi Astoria che raggiante e incredula si sporgeva timida per ricevere un casto bacio dal futuro marito.
Le viscere mi si contorsero, facendo affiorare un profondo senso di nausea. Sentii il mio respiro farsi più debole, le braccia di mia sorella accogliermi in un caloroso abbraccio, le voci ovattate di mio padre e mia madre perdersi in onirici vaneggi sull’allestimento di fiori e tavoli.
Tutto intorno a me era come sfocato e traballante, indefinito e caotico.
Draco era in silenzio, algido e sprezzante; l’unico che osservava il mio sgomento senza mostrare la benché minima emozione.
“Marcus, Regina, siamo profondamente onorati del dono che ci fate. Vedrete che Draco non deluderà le vostre aspettative.” asserì Lucius con un fiacco inchino mentre recuperava dalla veste un piccolo cofanetto di seta verde.
Ecco che la stretta al mio stomaco si acuiva, lasciandomi boccheggiante e fragile.
Ma certo.
Solo il gioiello di famiglia, la piccola gemma di casa Greengrass, era perfetta per Draco.
Astoria sorrideva felice e innocente al tocco amabile di Narcissa e i miei occhi iniziarono a pungere fastidiosamente.
Non avrei resistito un minuto di più.
“Daphne dove vai, mia cara?”
Celai il mio viso e farfugliando una flebile scusa, scappai via verso il terrazzo, lontano da quell’incubo e da quella bruciante umiliazione che mi scottava fresca sulla pelle.
Il sole che tramontava proiettava ombre brune intorno alla villa, investendo la mia figura appena attraversai la grande porta di vetro. La balaustra dell’ampio balcone incontrò presto la mia schiena e immediatamente crollai di schianto sul pavimento, ignorando le piccole abrasioni amarante che si erano create sulle ginocchia.
Chiusi gli occhi e portai le mani al petto, ansimante.
Il dolore era cosi forte da impedirmi quasi di respirare, cosi struggente da non riuscire a piangere.
Percepivo il mio cuore incrinarsi e dilaniarsi in mille piccoli pezzettini slabbrati, ma nessun aiuto sarebbe arrivato.
Ero sola, arrabbiata e amareggiata con me stessa per le mie inconsistenti e futili speranze.
Lo scalpiccio di passi calmi e misurati rimbombò nelle mie orecchie. Mi rannicchiai ancora di più, nella speranza di allontanare il mondo reale.
“Perché sei fuggita via? Hai perso il momento degli anelli.” mormorò beffardo Draco.
Il coltello che stavo cercando di tenere a bada mi perforò l’anima, scuotendomi come fioca candela al vento.
Non potevo sopportare il suono gioviale e disinteressato della sua voce.
Mi tirai su, decisa ad affrontarlo.
“ Da quanto tu e Astoria vi frequentate?”
“ Quasi un anno. Hanno predisposto tutto i nostri genitori.”
“ L’hai portata in quella stanza?” sibilai a denti stretti.
Draco rise, passandosi una mano sul volto enigmatico.
“Non essere sciocca Daphne. Tua sorella non sa niente dell’Hotel Supramonte. Lei è diversa, sarà mia moglie!”
“E tu non farai niente? Ti va bene?”
“Certo.” rispose greve.
Presi il bavero della sua giacca scura e lo strattonai, furiosa.
 “Io volevo stare con te, ho dato tutta me stessa per stare con te, lo capisci?” urlai.
“ Daphne ne abbiamo già parlato.” sputò indignato.
IO ne ho parlato fino allo sfinimento, tu sei stato sempre e solamente zitto! Perché resti muto?!”.
“ Perché sono un Malfoy e farò esattamente quello che deve essere fatto per il bene della famiglia.”
Gli diedi una spinta e, per un attimo, lui barcollò.
“Chi è che riesce a saziare tutti i tuoi appetiti? Chi resiste alla tua desolazione, al tuo autolesionismo e ai tuoi morsi velenosi? Chi, Draco? Dov’è finito il tuo amore?” domandai ancora una volta.
Draco mi sovrastò, catturandomi le braccia.
“ Non c’è più Daphne! Vuoi davvero sapere perché eri l’unica che vedevo più spesso tra le tante? Bene, te lo dirò! Esattamente per le cose che hai appena detto. Eri solo perfetta per quello che io volevo avere. Tu, non sei nessuno di speciale per me.”
Straziata, distolsi lo sguardo dai suoi occhi di ghiaccio e scrutai atterrita i nostri riflessi sulla vetrata.
Da un lato c’ero io, che annullavo completamente me stessa, accasciata e scossa dai singhiozzi; dall’altro c’era Draco, impavido e rigido, che aspettava orgoglioso di vedere il mio punto di rottura: eccoci lì, come teatranti nei ruoli di sempre, attenti a non uscire mai dal nostro personaggio.
“Perché? Come hai potuto farci questo?”
“Questo cosa, Daphne? Noi non abbiamo mai avuto una relazione! Non devo spiegazioni a nessuno… Amerò chi mi diranno di amare, obbedirò a quello che mi diranno di fare. Svegliati una buona volta! Smettila di essere cosi debole!”
Gemetti con forza.
Come potevo pensare di riuscire ad essere un serpente?
Dalla carne all’osso, i suoi imbrogli e i suoi intrichi mi avevano corroso l’anima, rendendomi asservita e inerme.
Ero stata solo la sua farfalla preferita.
 “Io ti amavo e tu lo sapevi! Io pensavo che dopo tutto questo tempo… credevo che…”
“ Non ti ho mai detto che tra noi sarebbe stato diverso. Hai fatto tutto da sola.” commentò rude.
“ Sì, ed ero cosi smaniosa di crederci che alla fine dei giochi ho tessuto un’ignobile farsa che ha danneggiato solo me.”
Come facevo ad essere orgogliosa delle cicatrici del mio cuore?
Avevo mentito a me stessa per anni; gli avevo dato tutto sino a farmi male.
Non era bastato.
“Io me ne vado. Tua sorella mi aspetta.”
Draco scrollò il capo adamantino e mi volse le spalle. Armeggiò con la tasca dei pantaloni e buttò ai miei piedi il piccolo fermaglio d’argento che avevo dimenticato nella camera 167.
“Se ora vai via, io ti giuro che in quella stanza d’albergo non troverai più una donna in fiamme e un uomo solo che cercano conforto l’una dall’altro. Non ti aspetterò. Non sarò più una delle tue donne, non ti permetterò di dominarmi ancora.” esclamai affranta.
Draco si fermò.
Vedrai che si girerà… lo farà.
Deve farlo.
Ma lui ricominciò a camminare più svelto e ignorandomi completamente varcò la soglia della grande finestra.
“Fai quello che preferisci, Daphne. Ho una nuova farfalla ora.”
Disprezzo e orrore defluirono insieme nei miei nervi mentre il doloroso silenzio martellava incessante nelle mie orecchie. Mi appoggiai mollemente al parapetto, sconquassata dall’ultimo briciolo di forza che mi abbandonava e proruppi in un amaro pianto liberatorio.
Tutte le promesse tradite che avevo fatte a me stessa mi arpionarono, costringendomi ad un lento e penoso soffocamento, solcandomi come piccole spine di rovo che graffiavano la mia pelle, il mio spirito e il mio cuore malconcio.
Mi ero piegata al volere di Draco nella speranza di averlo, un giorno, unicamente per me.
Sarei voluta tornare indietro, riconsiderare tutte le mie mosse sbagliate, indovinare il punto in cui mi ero innamorata di lui e cancellarlo definitivamente dai miei ricordi.
Calde e copiose lacrime sgorgarono dai miei occhi smeraldini, mentre il sole moriva a ovest.
 La mia vita si era ridotta ad un cumulo indefinito di macerie dentro un abisso senza fine.
 “Vedrai, domani sarà un giorno lungo e senza parole Daphne, sarà un giorno incerto di nuvole e sole.” bisbigliai decisa a me stessa.
Volevo disfare il nome di Draco dalla matassa della mia mente, lavare via il Suo tocco ipocrita dal mio corpo ormai infetto.
Volevo dimenticare lui, me, noi e tutta la mia intera esistenza.
Volevo dimenticare ogni singola cosa.
Brividi freddi si arrampicarono sulla mia schiena e tremante infilai due dita nella tasca nascosta del mio stivale.
Sarei rimasta sola, dispersa in minuscoli brandelli.
Non potevo permetterlo.
Puntai la lattiginosa bacchetta di salice vicino alla mia tempia madida e inspirai a fondo, piangendo.
“Oblivion.”

 
  
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