Stefano
Mentre
rifacevo il letto, cominciai a pensare al sogno che mi aveva torturata
per
tutta la notte.
Sapevo
bene che era uno sbaglio ricominciare a pensare a New York, a Matt, ai
miei
amici, alla mia immensa fortuna che all’improvviso mi aveva
voltato le
spalle... ma ero fatta così.
I
pensieri si formavano da soli, ed io non riuscivo più a
trattenerli.
Mi
piegai sulle ginocchia e ricacciai indietro le lacrime che minacciavano
di
uscire.
No, non
potevo assolutamente cedere così facilmente.
Dovevo
tenere duro a tutti i costi.
In
fondo, non avevo ancora perso del tutto!
Nelle
mie speranze più profonde, desideravo quasi che
papà si trovasse male col suo
nuovo lavoro e che fosse costretto a lasciarlo.
Ma
sapevo che era solo un mio desiderio egoistico.
Degno
dell’egocentrismo che regnava dentro di me. Si, sapevo
pensare solo a me
stessa, fregandomene delle altre persone.
Solo
Matt, però, conosceva questo lato del mio carattere.
-Julie,
forza! Non vorrai far tardi il primo giorno di scuola, vero?-,
strillò mia
madre dalla cucina.
Mi
specchiai un’ultima volta.
Indossavo
una t-shirt viola, dei jeans neri e delle scarpe da ginnastica nere.
Avevo
legato i capelli in una coda di cavallo ed ero truccata leggermente
come
sempre.
Forse,
l’unica cosa pesante che avevo era la matita nera.
L’immancabile
matita nera!
Quel
giorno era importante, secondo ciò che pensava mia madre.
Perciò,
il giorno prima, presa da una voglia irrefrenabile di shopping, mi
aveva
comprato molti più vestiti di quanti ne desiderassi.
Non che
la cosa mi disturbasse poi molto.
I soldi
ce li avevamo, no? E allora perché non spenderli per
qualcosa che ci faceva
sorridere?!
Sospirai
e testai il mio sorriso.
Perfetto.
Quel giorno ero al meglio della mia forma!
Indossai
il mio giacchetto viola e presi lo zaino.
-Eccomi,
mamma!-, esclamai entrando in cucina.
-Oh,
tesoro, sei bellissima!-, disse lei, prendendomi le mani.
-Perfetto,
allora possiamo andare. Julie, ti darò un passaggio a
scuola, va bene?-, disse
mio padre, prendendo la valigetta di lavoro.
-Quanta
eleganza, papà-, osservai, lanciando occhiate furtive al suo
nuovo completo.
-Be’,
la prima impressione è sempre quella più
importante!-, rispose sistemandosi
bene la giacca.
-Credo
che anche tu lo sappia-, esclamò lanciandomi
un’occhiata fugace.
Sorrisi
e schioccai due baci a mia madre e alla mia sorellina Elizabeth.
-Ci
vediamo dopo, mamma! Ciao, Beth!-.
-Papà,
meglio se ti fermi qui-, esclamai a qualche metro dalla scuola.
L’ultima
cosa che desideravo era di farmi vedere insieme a mio padre.
-Ho
capito! Vuoi che tua madre ti venga a prendere?-.
-Ehm,
ma no, non c’è n’è bisogno!
Ho capito quali mezzi devo prendere-, risposi,
inutilmente.
-Tesoro,
sai bene che tua madre si annoia. Ha dovuto lasciare il suo lavoro per
seguirmi
qui. Se fa qualcosa, evita di crogiolarsi nella nostalgia di casa-,
disse.
-Sai,
papà-, cominciai, aprendo lo sportello della macchina,
-mamma non è l’unica ad
aver abbandonato tutto per seguirti. E non è
l’unica che si crogiola nel
dolore. Forse, è solo l’unica che non si
dà da fare per andare avanti. Ma è un
piacere sapere che consideri New York ancora casa nostra-, finii,
scendendo.
-Julie!
Julie, torna qui!-.
-Ci
vediamo questa sera, papà!-, lo salutai, chiudendo lo
sportello.
Corsi
velocemente nella direzione della scuola, con i sensi di colpa che mi
torturavano.
Cosa
accidenti mi era preso? Non era da me mancare di rispetto a mio padre.
Mi
fermai e cercai di sistemarmi. Dovevo assolutamente fare una buona
impressione
ai miei professori e ai miei nuovi compagni di classe.
“Coraggio,
Julie!”, pensai tra me e me, avvicinandomi con passo felpato
al cancello in
ferro battuto.
Ed
eccola lì. La mia nuova scuola.
Avrei
frequentato il terzo anno del Liceo Classico Virgilio.
Ovvero,
per meglio dire, il primo liceo!
Non ero
molto agitata per ciò che mi stava accadendo.
Mia
madre era Greca, perciò, conoscevo abbastanza bene la lingua.
Senza
contare che, subito dopo aver saputo del trasloco, mi aveva comprato
dei
dizionari e mi aveva aiutata ad imparare le basi della lingua.
Sapevo
parlare meglio il Greco dell’Italiano, cosa veramente assurda.
Mi
guardai intorno, notando gli sguardi e i bisbigli dei ragazzi.
Sbuffai
mentalmente, correndo verso l’entrata.
-Buongiorno-,
dissi alla signora della Segreteria, una donna sulla quarantina con il
mio
stesso colore di capelli.
Mi
squadrò e poi sorrise.
-Scommetto
che sei Julie Davis, giusto?-.
-Ehm,
si!-, risposi un po’ imbarazzata.
Aveva
sicuramente riconosciuto l’accento straniero.
-Benvenuta,
cara. Tieni, questo è il tuo orario. La classe è
la 1^C. Si trova al secondo
piano. Le lezioni stanno per cominciare, ma ti consiglio di aspettare.
I
professori vorranno certamente presentarti. Ti conviene entrare per
ultima-.
-Terrò
a mente il consiglio-, dissi osservando l’orario.
Almeno
le ore di lezione non erano molte.
-Spero
ti troverai bene, qui!-.
-Si, lo
spero anch’io-, risposi cortese, sorridendole.
Nel
voltarmi, un ragazzo mi venne addosso, facendomi cadere.
-Vuoi
guardare dove cammini?-, esclamò adirato.
-Ma
sentitelo! Sei tu quello che mi ha letteralmente buttata a terra!
Dovresti
chiedermi scusa-, risposi a tono.
-Come
hai detto? Abbassa la cresta, piccoletta-, disse alzandosi.
Ma come
osava? Non ero poi tanto bassa.
Anzi,
per avere sedici anni ero anche troppo alta.
Alzai
lo sguardo per guardarlo in faccia. Di sicuro era un teppista, o un
bullo!
Ma per
essere un maleducato era molto bello.
Aveva i
capelli dorati e gli occhi neri. Era magro, ma si notava che andava in
palestra.
Ed era
alto. Molto più di me.
-Potresti
anche aiutarmi-, sbraitai.
Mi
guardò inarcando un sopracciglio.
-Povera,
Principessa! Si sarà sporcata i reali jeans-, rispose
ironico ma con tono acido,
mentre mi porgeva la mano.
Stavo
quasi per rispondergli male, quando arrivarono due ragazze.
La
prima aveva i capelli biondi legati in una treccia, gli occhi azzurri
ed era
magra come uno stecchino. La seconda, invece, aveva i capelli castani
chiari e
gli occhi marroni. Era molto più bassa della bionda, forse
perché più piccola.
-Stefano,
che fai?-, chiese la bionda al ragazzo che mi aveva buttata a terra.
-Niente,
Stella! Adesso arrivo-, rispose lui in modo scortese, voltandosi verso
di me.
Bene,
dunque era antipatico con tutti.
-Se
vuoi ti aspettiamo-, continuò lei, imperterrita.
-No,
grazie-, rispose freddo.
La
bionda, Stella, si irrigidì e lui si calmò.
-Davvero!
Farete tardi a lezione. Ci vediamo dopo-, continuò con tono
dolce.
-Ah, va
bene, come vuoi! A dopo-, rispose Stella, per poi scomparire in mezzo
alla
folla insieme alla sua amica.
Be’,
niente di meglio che essere bellamente ignorata.
-Stai
bene?-, mi chiese lui, stranamente gentile.
Cambiava
umore troppo facilmente per i miei gusti.
-Si,
niente di rotto! Ma sto ancora aspettando le tue scuse-, risposi.
-Aspetta
e spera, allora! Ci vediamo in giro-, disse e cominciò ad
incamminarsi verso le
scale.
La
folla di studenti stava diminuendo, perciò riuscii a
raggiungerlo più
facilmente.
-Aspetta...
per caso, puoi accompagnarmi nella mia classe? Sono nuova e...-, non mi
lasciò
terminare.
-In che
classe sei?-.
-1^C,
terzo anno-.
-Be’,
se davvero sei nuova, allora devi cominciare ad abituarti alla scuola-,
disse
salendo uno scalino.
-Cosa
vorrebbe dire, scusa?-.
-Trovatela
da sola la classe-, rispose freddo e corse su.
Ma che
razza di maleducato! Che antipatico!
Sospirai
e, con l’orario delle lezioni in mano, mi trascinai su per le
scale, fino al
secondo piano.
Il
corridoio era molto lungo, ma non potevo perdere tempo.
Gli
studenti erano già entrati, ed alcune porte erano
già chiuse.
La
seconda campanella suonò.
Avevo
fatto tardi per colpa di quel maleducato che non si era nemmeno preso
la briga
di aiutarmi.
Ma
quando l’avrei rivisto gliene avrei dette quattro.
Se
pensava di passarla liscia così, allora si sbagliava di
grosso.
Finalmente,
dopo aver percorso l’intero corridoio, arrivai davanti alla
mia classe.
La
porta era già chiusa. Perfetto. Avevo fatto tardi il mio
primo giorno!
La
giornata era iniziata proprio nel peggiore dei modi.
Presi
un bel respiro profondo e bussai.
-Avanti-,
gridò una voce femminile dall’interno
dell’aula.
Aprii
leggermente la porta, entrando imbarazzata.
Chissà
che faccia avevo!
-Oh,
buongiorno-, esclamò con sorpresa la donna.
Era
molto giovane, doveva avere all’incirca trent’anni.
I suoi
capelli castani erano legati in uno chignon e i tratti del viso erano
molto
spigolosi.
Mi
osservò attentamente per qualche istante – nei
quali non osavo voltarmi verso
la classe -, poi le si illuminarono gli occhi azzurri.
-Ma
certo-, disse, -lei è la signorina Davis. Si, mi avevano
avvertita del suo
arrivo! Benvenuta! Be’, immagino che abbia girato molto prima
di trovare la
classe e che sia molto stanca. Non le chiederò di farmi
nessuna presentazione,
ci penserò io a presentarla-.
Quella
notizia mi risollevò un po’ il morale.
Almeno,
non sarei stata costretta a guardare negli occhi gli studenti, forse.
Decisi
di voltarmi per osservare di sfuggita i miei compagni, che mi
scrutavano con
attenzione fra un bisbigliò e una risatina.
Speravo
che non stessero ridendo di me.
Percorsi
l’aula con lo sguardo, finchè non arrivai ad
osservare l’ultimo banco accanto
alla finestra.
Misi a
fuoco l’immagine del ragazzo che vi era seduto e per poco non
corsi da lui.
Stefano!
Quel maleducato che mi aveva trattata con tanta freddezza... era pure
in classe
con me! Respirai cercando di calmarmi.
-Bene,
ragazzi. Da oggi avrete una nuova compagna. Il suo nome è
Julie Davis, viene da
New York. Cercate di essere educati e fate amicizia-, disse severa, poi
si
voltò verso di me, sorridendomi, -spero ti troverai bene,
Julie. Prego,
accomodati vicino a Luca-, mi disse, indicando un ragazzo seduto al
primo
banco.
Aveva i
capelli neri e gli occhi marroni scuri.
Sorrideva
gentile, e non era niente male.
Bene,
sembrava proprio il contrario di Stefano.
Gli
sorrisi a mia volta, cercando di non posare lo sguardo su quel
maleducato
dell’ultimo banco, e mi accomodai accanto a lui.
-Piacere,
sono Julie-, dissi tendendogli la mano.
-Il
piacere è tutto mio, Julie! Io sono Luca Mancini-, mi
rispose cordiale,
stringendo la mia mano.
-Spero
ti troverai bene! Se hai bisogno di aiuto, di qualunque cosa si tratti,
conta
pure su di me-, mi disse.
-Grazie,
sei davvero molto gentile-, risposi sorridente.
“Tutto
il contrario di quel bifolco”, pensai, trattenendomi dal
voltarmi verso
Stefano.
Almeno
una persona normale e gentile c’era!
Luca mi
sorrise e poi tornò a posare lo sguardo sul suo quaderno.
*Spazio
Autrice*
Ecco
a voi il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto^^
Tenete
bene a mente il personaggio di Stefano! Ne farà passare
tante a Julie!
Ah,
per chi non lo sapesse e avesse dei dubbi, il Liceo Classico
è composto dai
primi due anni che sono IV e V ginnasio! Poi, ci sono gli altri tre che
sono I –
II – III Liceo!
Per
questo, Julie, frequentando il terzo anno, fa il I Liceo^^
Ed
ora i ringraziamenti alle mie tre recensioniste, xD:
LallaYeah: Grazie
per aver aggiunto la storia ai seguiti^^ Spero che continuerai a
leggere, e che
continuerà ad ispirarti^^
Kiss
kiss
SweetCherry:
Grazie
mille! Mi fa davvero molto piacere che la storia ti
piaccia^^ Continua a seguirmi... ^_^
Kiss
kiss
Sabrina91:
Amoreeee,
grazie mille per la tua recensione *.*
E
grazie per averla aggiunta nei preferiti! Sei meravigliosa!
Tvttttttttttttttttttttttttttttb,
sorellona!
Kiss
kiss
Al
prossimo capitolo^^
Kiss
kiss
**Miki**