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Autore: NicoRobs    16/03/2018    0 recensioni
Da anni ostaggio di una società criminale, K, ex studentessa della Wammy's House, trova un modo per partecipare alle indagini su Kira al fianco di L e Watari, con la segreta speranza che questi possano aiutare lei e Bjarne a tornare liberi. Tuttavia, dovrà prima fare ammenda per i gravi crimini di cui i due la accusano, e che hanno causato il suo allontanamento dalla Wammy's House. Quali segreti si celano nel suo passato? E cosa la lega a Nate River?
Questo racconto, in cui diversi personaggi sono OC (a cominciare dalla protagonista), si pone in alternativa alla canonica indagine dei primi sette volumi del manga, esplorando in parte un passato immaginario degli studenti della Wammy's House, la famiglia e le origini di L e un concetto di giustizia alternativo rispetto a quello dei due famosi protagonisti. Il nemico da affrontare non è il solo Kira; l'esito positivo dell'indagine dipenderà pertanto dalla capacità di L e di K di scendere a patti col loro passato.
Le descrizioni scarne, la forma prettamente dialogica e monologica e il cambio repentino del punto di vista cercano di rifarsi allo stile narrativo dell'anime, da cui sono riprese alcune scene.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Light/Raito, Misa Amane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'About November 8th'
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Capitolo I

Il Demone Bianco



     Hayer camminava avanti e indietro per la stanza, nervosamente. Le lampade dello studio proiettavano ombre gigantesche al suo passaggio. Aveva conservato la mole con la quale riusciva ad intimidire persino i suoi superiori, ai tempi del Vietnam. Cinque dei suoi agenti erano morti, ma ciò che era peggio, Banks si era ritrovata senza sorveglianza. Per almeno tre minuti. Dio solo sapeva cos'era stata in grado di fare in quei tre minuti. Né il GPS che aveva addosso, né il bracciale elettronico avevano rilevato qualcosa di sospetto, ma quella donna era il diavolo fatto a persona, e Hayer non dubitava del fatto che fosse stata capace di disattivare tutto. Quando qualcuno gli chiedeva se gli piacesse o meno Banks, Hayer non sapeva mai come rispondere. Certo, sarebbe stata una collaboratrice perfetta, non fosse stata un'investigatrice e uno sbirro con una qualche morale. Era certamente troppo dotata per essere una pedina. Morta, sarebbe stata uno spreco di risorse. Eppure, era troppo furba, troppo ingestibile, troppo imprevedibile. In tutta la sua carriera, militare prima, amministrativa (se così si poteva definire) poi, non aveva mai avuto a che fare con qualcuno che non poteva controllare. Coloro che chiedevano aiuto alla Hogson Society for Veteran Reintegration erano uomini distrutti dalla guerra, abbandonati dalla società, mutilati o caduti nella depressione e nell'alcolismo. Quelli erano i più facili da manipolare. In molti arrivavano addirittura ad offrirsi volontari per il PPEP, Privates for Police Enforcement Program, il corpo paramilitare dal quale la Hogson Society ricavava il maggior guadagno. Poi c'erano gli ex carcerati, a cui bastava offrire del denaro e la promessa di venire legalmente tutelati, e a volte ragazzi di qualche quartiere difficile, che lo Stato non sapeva se mandare in riformatorio o aspettare che diventassero dei criminali per poi sbatterli in galera.

     Ma con Banks non potevi ragionare coi soldi o con le prospettive di carriera. Le buone non servivano a nulla con una come lei, ma nemmeno le cattive. Aveva mandato all'ospedale cinque o sei dei suoi, che avevano tentato di metterle le mani addosso. L'avevano minacciata con una pistola alla tempia, e lei aveva sbadigliato in modo plateale. L'avevano picchiata, o almeno, ci avevano provato, ma lei aveva ricambiato ogni colpo con una furia cieca. L'avevano legata, prima di picchiarla di nuovo, e lei aveva riso. Una risata spaventosa, che pareva essere uscita dalle porte dell'inferno. I suoi compagni di scuola la chiamavano “Demone Bianco”, aveva detto. Hayer pensava che il soprannome fosse azzeccato. Se ripensava a quello sguardo iniettato di sangue, si sentiva quasi minacciato. Non era servito a nulla nemmeno minacciare di morte il dannatissimo bamboccio che stava con lei. Appena le avevano mostrato su uno dei monitor il cecchino che stava puntando quel Bjarne, lei aveva semplicemente tirato fuori dal reggiseno una lametta e se l'era avvicinata alla giugulare.

-Sparategli e io muoio. E se io muoio, non potrò contattare come ogni mese la società di sicurezza che custodisce tutte le prove che ho raccolto contro di voi. E se non li contatto, loro spediranno tutto il materiale al detective Eraldo Coil. A voi la scelta.-

     Qualsiasi cosa fosse successa in quei tre minuti, rimuginarci non lo avrebbe aiutato. Uccidere Bjarne e la sua famiglia non sarebbe servito, anzi, sarebbe stato troppo rischioso e sospetto. Uccidere lei non avrebbe risolto le cose. Eppure, ormai era diventata una spina nel fianco davvero notevole. Hayer detestava dover essere prigioniero dei capricci di una bestia di Satana come Banks, ma, per poter dormire sonni tranquilli, si sarebbe dovuto sbarazzare di Coil. Cioe, di L. Ormai erano un paio di anni che Hayer possedeva quell'informazione: uno dei suoi agenti, mandati come rinforzo all'FBI, aveva scoperto che L e Eraldo Coil erano in realtà la stessa persona. Aveva tenuto quell'informazione per sé, in attesa di poterla vendere al miglior offerente; ma perché non approfittare, aveva pensato, delle doti di spia di Banks per scoprire qualcosa di più sull'identità del più grande detective al mondo? In quel modo, il prezzo delle informazioni sarebbe senz'altro salito. L'operazione di spionaggio durante il caso del killer di Los Angeles non aveva dato i frutti sperati, ma forse si poteva tentare di nuovo il colpaccio grazie al caso Kira. Se Banks tentava così disperatamente di mettersi in contatto con L, perché non permetterglielo? Avrebbe potuto avvicinarsi al grande detective, e forse si sarebbe finalmente sbarazzato del pericolo rappresentato da Banks. Quante persone avrebbero pagato cifre a nove zeri per vedere L morto?


     California, 2 maggio 2004.

     Passarono mesi di stallo prima che arrivasse la telefonata tanto attesa. Nathalie era in sala a togliere delle pesanti tende arancioni dalla loro asta, per lavarle. Era una bellissima giornata di pioggia, e Nathalie aveva aperto le finestre per respirare l'aria pungente che sapeva di foglie bagnate. Bjarne era a lavoro, non sarebbe tornato prima dell'ora di cena.

-Banks, sono Hayer. Watari ha chiesto di te.- disse la voce del capo, senza troppo preamboli.

-Sul serio?- rispose Nathalie con voce genuinamente stupita, interrompendo a metà il gesto di battersi la mano impolverata sui pantaloni. -Perché avrebbero bisogno di me?-

-Immagino tu abbia seguito gli ultimi sviluppi su quell'emittente giapponese demenziale, la Sakura TV.-

Nathalie emise un mugolio di assenso.

-Nel suo messaggio alla Sakura TV, il secondo Kira ha mandato una pagina di diario in cui si parlava di Shinigami. Watari ha detto che nel periodo dei test sui carcerati, era stato lasciato un messaggio per L, che non è stato diffuso ai media per non intralciare le indagini, in cui si parlava degli Shinigami.-

-Ah.- fece Nathalie, arrotolando nervosamente il filo del telefono attorno ad un dito, aggrottando le sopracciglia. - Per questo hanno bisogno di un esperto in esoterismo?-

-Non vogliono tralasciare nulla, ma nemmeno vogliono perdere tempo su una pista che potrebbe rivelarsi un vicolo cieco.- disse Hayer in tono secco.

-Capisco...- Stava in punta di piedi, e dondolava indietro fino a reggersi sui talloni. Punte. Talloni. Punte. Talloni. Le sarebbe servita una buona ora al poligono di tiro per scaricare tutta la tensione; non le avevano mai permesso di procurarsi un sacco da boxe da tenere nella cuccetta a lei riservata, al quartier generale del PPEP. La lasciavano libera di vedere Bjarne solo ogni due finesettimana, e normalmente quando era insieme a lui non sentiva alcun bisogno di scaricare la tensione.

     -Vi hanno detto come devo fare per mettermi in contatto con loro?- chiese infine.

-L ha creato una piccola task force di persone fidate alle quali si è mostrato in volto. Dovrai presentarti di persona. Niente terze parti, questa volta.-

Si sentì un tonfo. Nathalie aveva tirato il cavo talmente bruscamente da far cadere il telefono dal tavolo.

-Io... non.. no-non posso farlo!- balbettò, le pupille strettissime. Tentò di riprendersi. -È troppo rischioso per voi mandarmi da lui di persona!-

-Banks!- tuonò minaccioso Hayer. -Mi rallegra il fatto di sentirti così agitata. Vuol dire che sai quali rischi implica questa operazione. Ma sappi che non ti lasceremo mai da sola durante tutto il corso delle indagini.-

La donna non lo poteva vedere in faccia, ma sapeva che Hayer stava sogghignando. -E poi...- continuò l'uomo. -Questa occasione è più unica che rara per noi per spiarlo da vicino, quindi vedi di controllarti e di fare un buon lavoro. Il tuo nuovo partner ti raggiungerà presto per darti tutti i dettagli. A presto!-

     Nathalie rimase ancora per qualche minuto ferma con la cornetta in mano. “No, non così! È troppo rischioso!”.

Hayer aveva scoperto che L e Eraldo Coil erano la stessa persona. Lei aveva sperato fino all'ultimo che non venisse a sapere che lei conosceva la sua vera identità, ma Hayer non era stupido, aveva fatto condurre delle indagini. La riservatezza era una dei punti di forza della Wammy's House: l'identità degli studenti era nota soltanto a tre persone in tutto l'istituto. Nemmeno i suoi compagni conoscevano la sua vera identità, solo il suo aspetto. A parte L, ovviamente. Lei e L erano i soli a conoscere le loro reciproche identità, per ovvi motivi. Nathalie era fiduciosa nel fatto che la correlazione tra lei ed L non sarebbe mai stata scoperta, ma circa due anni prima, le cose erano cambiate.

     F, uno studente più giovane di lei, che non aveva mai conosciuto, e che era diventato un agente investigativo di tutto rispetto, si era suicidato dopo aver scoperto di aver incriminato la persona sbagliata. Quel caso aveva fatto scalpore, ed erano state fatte molte speculazioni sui motivi che avevano spinto quel brillante agente a togliersi la vita; ed era stato così che il nome della Wammy's House era venuto fuori, dal momento che non sarebbe stato né il primo né l'ultimo studente dal talento straordinario suicidatosi perché incapace di reggere la pressione e le alte aspettative che l'accademia aveva inculcato loro.

Non ci avevano messo molto a supporre che L fosse il prodotto più perfetto della Wammy's House, e a quel punto era stato chiaro a tutti che anche Nathalie fosse stata addestrata lì, e che perciò dovesse per forza conoscere L.

Se solo avessero sospettato che lei sapeva molto di più di quanto non fosse lecito sul conto di L, non se la sarebbe cavata con un paio di pestaggi, la testa nel catino d'acqua e qualche settimana in isolamento.

     Ma ora avrebbe dovuto incontrarlo, sul serio. Sarebbe riuscita a celare la sua identità? Aveva affrontato un intervento per correggere il suo leggero strabismo, quello e un piccolo camuffamento erano sempre riusciti a renderla irriconoscibile. Ma era talmente nervosa che il suo intero corpo tremava, sentiva forte in lei l'impulso di nascondere la faccia in un cuscino e urlare selvaggiamente con tutto il fiato che aveva in corpo, fare a pezzi il cuscino, sfasciare sedie, tavoli, picchiare contro le porte.

Doveva calmarsi. Chiuse gli occhi e respirò a fondo.

-November 8th, 1997, by the river.- Riaprì gli occhi, cercando di calmare la respirazione. -Ok.- posò la cornetta, che aveva tenuto in mano fino ad allora, e si diresse verso il computer, rigirandosi l'anello che portava al collo tra le dita esili. -Shinigami.-



     Tokyo, 5 maggio 2004.

     Nathalie aprì la porta dell'appartamento e fece entrare il suo nuovo partner.

-Sono Paul Grumann.- disse lapidario, con un mezzo sorriso sulle labbra sottili. -Posso entrare?-

Il nuovo partner di Nathalie era un giovane agente, biondo e con sfuggenti occhi castani. Aveva i lineamenti spigolosi e un'ombra grigia di barba sul viso. Mentre parlava, si passava una mano tra i capelli fini, più lunghi sopra, con la riga a metà, e più corti a partire dall'altezza delle orecchie.

Le porse una sacca di vestiti.

-Questi sono senza cimici, rilevatori o mini telecamere.- disse. -Ci sono state date disposizioni per cui non possiamo entrare in presenza di L con cose del genere addosso. Verremo perquisiti.-

-E come farò con questo?- disse Nathalie, indicando il braccialetto elettronico sulla caviglia nuda. -E ho un localizzatore sull'anello che porto al collo.-

-Come quando sei salita sull'aereo, te li togliamo entrambi.- e poi sorrise in modo sinistro. -Se provi ad allontanarti, ho l'ordine di spararti. Se provi a rivelare qualsiasi cosa a L, Hayer mi ha detto di premere questo bottone sul mio orologio...- disse, mostrandole un orologio da polso dal quadrante molto grande.

-Invierà un segnale ad Hayer, e il tuo caro Bi... Bio... ah, no, Bjarne, giusto. Bjarne morirà.-

     Nathalie gli rivolse un'occhiata inespressiva.

-È il tuo primo lavoro con Hayer?- domandò annoiata.

-Lavoro con lui da prima che tu arrivassi, dolcezza.- rispose lui. -Facevo il mediatore durante i rapimenti. Ma non dalla parte dei buoni, se capisci cosa intendo.-

La donna, roteò gli occhi al cielo.

-Se non è il tuo primo lavoro con Hayer, è comunque il tuo primo lavoro con me. Perciò ascolta.- e così dicendo si voltò di spalle.

-Non riuscirai a spaventarmi con le minacce: mi minacciano da quando ho varcato la soglia della Hogson Society for Veteran Reintegration, e se mi stai facendo da babysitter dovresti sapere che il motivo per cui mi hanno preso in ostaggio è che non sono riusciti ad ammazzare me e il mio fratellastro insieme al resto della nostra famiglia.-

Voltò leggermente il viso e lo squadrò dall'alto in basso da sopra la spalla. -Questo era per dirti che so benissimo quali sono le regole da seguire per riuscire ad arrivare viva la sera, e far sì che ci arrivino vivi anche quei poveri disgraziati che sanno che sono viva e vorrebbero aiutarmi.-

Si girò di nuovo, allungò la gamba destra in fuori e si indicò la caviglia.

-E ora, se non ti dispiace, potresti levarmi quest'affare? Che non posso mettermi i collant, sennò.-



     Giunsero all'hotel dove quel giorno si trovava il quartier generale che era già buio. Un sollievo per la giovane donna, che non aveva dovuto indossare gli occhiali da sole. Furono accolti all'entrata da un giovane poliziotto giapponese dal viso gentile e i capelli arruffati. Era estremamente giovane.

-Voi siete Banks e Grumann?- cercò di dire in un inglese impacciato.

-Tranquillo, parliamo giapponese.- rispose Grumann. -E Lei è?-

-Touta Matsuda. Molto piacere.- si strinsero la mano.

-Paul Grumann.-

-Nathalie Banks-.

-Vi faccio strada.- disse il giovane poliziotto, sorridendo.

L'hotel era un cinque stelle dall'aria incredibilmente signorile. Non sembrava ci fossero pattuglie fuori, e nessuna persona incontrata della hall aveva l'aria di essere un agente in borghese. Possibile che la squadra investigativa sul caso Kira si fosse ridotta a così poche unità da non poter nemmeno garantire un'adeguata sorveglianza? Effettivamente, pensò Nathalie, dovevano essere davvero in pochi, se L aveva deciso di mostrarsi in volto. Non avrebbe mai creduto che lui potesse arrivare a tanto.

Grumann conversava amabilmente con l'agente giapponese, ma era sicura che la stesse controllando ad ogni passo. Nathalie tentava di mascherare il suo nervosismo: immaginava che Hayer dovesse avere un piano molto più ampio in mente, o non le avrebbe mai permesso di incontrarsi faccia a faccia con L. Possibile che volesse tentare di ucciderlo, per poi far fuori lei e tutti gli altri ostaggi? Sarebbe stata una manovra estremamente rischiosa, anche perché avrebbe dovuto far fuori l'intera squadra, compreso Watari. Un'azione solitaria di Grumann non avrebbe mai funzionato, e Hayer lo sapeva bene. L'unico modo per raggiungere l'obiettivo sarebbe stato un attacco diretto alla stanza dell'albergo, o all'albergo intero, ma Nathalie dubitava che ci sarebbe stato il tempo necessario per organizzare una cosa simile: l'ubicazione del quartier generale di L cambiava ogni giorno, e mentre gli agenti venivano informati la mattina del nuovo indirizzo, lei e Grumann erano stati prelevati da un taxi chiamato da Watari dal loro appartamento, ed erano stati portati assieme alle due guardie del corpo a destinazione. Far saltare in aria l'intero hotel? Ci sarebbero volute ore per farlo. L'unica soluzione per Hayer sarebbe forse stata il mandare un elicottero a schiantarsi contro la stanza d'albergo dov'erano diretti, supponendo che Grumann e le due guardie del corpo riuscissero a comunicarla prima che venissero requisiti loro i telefoni.

     Ma Watari era stato avvertito del pericolo, e sicuramente aveva indagato a fondo e aveva fatto in modo di prendere ogni possibile precauzione. Perciò, era altamente improbabile che sarebbero tutti morti quella sera. Questo pensiero confortò Nathalie, che prese un respiro profondo e cercò di rilassare la tensione sulle spalle larghe. Già, Watari. Chissà che faccia avrebbe fatto, vedendola. Era un gentiluomo, di quelli all'antica, per cui, se anche non ci fosse stato il rischio di smascherarla, se anche si fossero incontrati in condizioni normali, loro due soltanto, non l'avrebbe presa a cazzotti in faccia. Le venne quasi da ridere al ricordo della mostruosa sfuriata dopo la quale Watari l'aveva bandita dalla Wammy's House. E tutto solo per aver messo le mani addosso al suo pupillo, anche se quello non era se non il crimine minore che avesse commesso. Nathalie era sicura che Watari avrebbe cercato di aiutarla spinto dal suo senso di giustizia, e forse per una sorta di rispetto verso i suoi genitori. E non aveva dubbi sul fatto che non avesse detto assolutamente nulla a L, né che fosse ancora viva, né che se la sarebbe ritrovata di fronte. O, appena lo avrebbe visto, lui si che l'avrebbe presa a cazzotti in faccia. Come minimo.


     -Vi hanno già informato dei dettagli?- chiese Matsuda ai due agenti, una volta entrati nell'ascensore.

-Abbiamo avuto qualche informazione dalle quali partire con le nostre ricerche.- rispose la signorina (signora?) Banks. -Ma ci auguriamo che dopo questo colloquio con L sapremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per svolgere indagini più accurate.-

-Dovrete rivolgervi a lui col nome di Ryuzaki.- li avvertì Matsuda. Poi guardò più attentamente la giovane donna. Portava un completo elegante, pantaloni lunghi, camicetta e giacca. Era abbastanza alta, forse appena cinque centimetri in meno rispetto a lui, e il suo volto pallido aveva lineamenti delicati, che stonavano leggermente con la sua espressione dura. Un piccolo naso all'insù, zigomi alti, labbra sottili, occhi verde palude dall'espressione fredda sotto gli occhiali dalle lenti ovali, sopracciglia spigolose ed aggrottate. Aveva la pelle liscia e senza rughe, nonostante gli avessero detto che non era giovanissima. Eppure doveva essere davvero una professionista, se era stata chiamata addirittura da L.

-E quindi Lei è l'esperta di esoterismo?- chiese, infine.

-Non c'è bisogno di essere così formali, signor Matsuda- rispose la donna, come risvegliata dai propri pensieri. -Comunque sì. Ho collaborato con L ad altri due casi, ma questa sarà la prima volta che lo vedrò faccia a faccia...-

-Beh...- la interruppe lui. -La avverto che potrebbe non essere come se lo aspetterebbe.-

Matsuda si ritrovò a ripensare alla prima volta che si era ritrovato faccia a faccia con L. Tutti gli agenti si erano presentati di fronte a quello strano giovane trasandato, e alla fine lui aveva alzato una mano, facendo il gesto della pistola, e aveva semplicemente detto: “Bang. Se fossi stato io Kira, ora sareste tutti morti”.

-Non credo questo abbia importanza.- riprese la signorina Banks, avvicinandosi alle porte scorrevoli dell'ascensore. -Ho collaborato con lui per la prima volta ad un caso abbastanza intricato che riguardava alcuni omicidi satanici. Erano persone con una psicologia molto complessa, e perciò mi hanno chiamata. Sono abituata a lavorare con casi del genere: fanatici religiosi, sette... Conosco il loro modo di pensare e cosa li ispira, per questo sono spesso in grado di prevedere alcune loro mosse.-

-E... riguardo al secondo caso?- chiese Matsuda.

La donna si voltò verso il suo interlocutore. -Ho lavorato al caso del killer di Los Angeles. Assieme a Naomi Misora. La fidanzata dell'agente Penber, scomparsa poco dopo la sua morte.- L'espressione dei suoi occhi verdi era agghiacciante. All'apparenza vuota, ma carica di una rabbia cieca e incontrollabile. Matsuda capì che non era il caso di andare oltre con le domande. Quella donna, per quanto piacevole d'aspetto, era dannatamente inquietante.

     Si aprirono le porte dell'ascensore. Un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e dai grandi baffi li accolse. Era vestito con un elegante completo nero, e aveva i capelli inamidati.

-Signorina Banks, benvenuta. Signor Grumann, sono stato avvertito della sua presenza solo stamane, perciò mi presento. Sono Watari. Benvenuto anche a lei.- Strinse la mano ad entrambi. Parlava col più perfetto RP che i due agenti avessero mai sentito.

-Possiamo parlare in giapponese- rispose ancora una volta Grumann, sorridendo. -È un piacere per me fare la conoscenza di un collaboratore di cui il famoso L si fida così tanto!-

Nathalie lanciò un'occhiataccia al collega, poi si rivolse a Watari in giapponese. -Finalmente la vedo a volto scoperto, signor Watari!-

L'uomo fece un breve cenno col capo, e intimò loro di seguirlo, senza ulteriori indugi. Si fermò poi di fronte ad una porta e chiamò all'interno.

     Aprì un uomo sulla cinquantina, baffi e capelli neri, un po' brizzolati, e un paio di occhiali, che si presentò loro come il Sovrintendente Yagami.

-Ero a capo della task force dell'Interpol per il caso Kira- disse, facendo loro cenno di accomodarsi e di lasciare i cappotti nel guardaroba. -...ma quasi tutti i nostri uomini ci hanno abbandonato quando hanno scoperto che L aveva chiesto ad alcuni agenti dell'FBI di pedinarli perché pensava ci fosse una talpa che passava informazioni a Kira.-

Fece cenno a Matsuda di perquisirli e poi riprese a parlare. -Da quel momento, L, o meglio, Ryuzaki ha deciso di mostrarsi alle poche persone che avrebbero deciso di continuare a seguire il caso a costo della vita.-

Attese che Matsuda requisisse le loro pistole e tastasse in modo impacciato le loro tasche, poi li condusse attraverso un ampio salone. -Vi ho detto questo perché sappiate a cosa andate incontro accettando questo caso.-

     Aprì una porta, al fondo del salone. La stanza era uno studio poco illuminato, perché le tende erano state tirate. Oltre ad un tavolo, sul quale giacevano diverse tazzine e piattini, due divanetti e un'ampia scrivania, su cui diversi monitor trasmettevano immagini da notiziari relativi al caso Kira, non c'era molto. A capotavola, su una poltrona, sedeva, per modo di dire, un giovane. Meglio dire, forse, che stava accovacciato. Indossava un paio di jeans chiari e una maglia bianca slabbrata, abiti visibilmente troppo grandi per lui. Tuttavia doveva essere abbastanza alto, e il fatto che avesse le spalle larghe dava l'impressione che quello non fosse sempre stato il suo aspetto. Pareva infatti che in quei vestiti si fosse sciupato nel tempo, impressione che veniva rafforzata ad osservarlo bene in volto: era emaciato e dalla pelle pallidissima, con folti capelli neri incredibilmente arruffati e lunghi. E gli occhi. Nella penombra della sala, il suo sguardo fece trasalire i due nuovi arrivati. Gli occhi erano sgranati, innaturalmente aperti. Le pupille erano talmente dilatate da nascondere l'iride. E occhiaie spaventosamente scure ed estese incorniciavano quello sguardo inquietante, che si era posato sui due agenti. Finì di sorseggiare il suo caffè, l'ennesimo, reggendo tazzina e piattino con dita sottili e affusolate, che parevano dovere andare in frantumi da un momento all'altro. Sgranchì le dita dei piedi, e fu solo allora che Nathalie e Paul notarono che era scalzo. Era scalzo e teneva i piedi sulla poltrona, le ginocchia puntate al petto.

-Benvenuti.- disse loro, con una voce paurosamente vuota e cupa. -Accomodatevi. Volete una tazza di tè?-.

     Presero posto in silenzio. Nessuno osava parlare. Grumann rivolse lo sguardo a Nathalie, che incrociò le dita in grembo. “Non sono di certo così stupida da usare il linguaggio dei segni per comunicare... Per chi mi ha preso questo secondino?”.

L poggiò delicatamente la tazzina sul tavolo e finalmente iniziò a parlare.

-Signorina Banks, lieto di incontrarla faccia a faccia.- esordì con voce tanto calma da parere innaturale. -Spero abbia qualche buona notizia per me.-

Guardava la sua interlocutrice fissa negli occhi, senza sbattere le palpebre, con quegli occhi che parevano due buchi neri.

-In realtà...- lo interruppe Grumann, con l'espressione più affabile che riuscì a fare. -Vorremmo prima sapere da lei, Ryuzaki, qualche dettaglio in più su questo caso.-

L chiuse gli occhi e abbassò leggermente la testa, le mani incrociate di fronte al volto. Calò un pesante silenzio, e, qualche secondo dopo, riprese a parlare con una nota di irritazione nella voce.

-Signor Grumann, ho accettato la sua presenza qui soltanto perché ritengo indispensabile al momento l'aiuto della signorina Banks.- rispose Ryuzaki, senza guardarlo in faccia. -Non ho avuto abbastanza tempo per poter indagare a fondo su di lei, ma il suo curriculum e i suoi documenti sono palesemente falsati. Immagino che sia naturale, per coloro che lavorano per la Hogson Society for Veteran Reintegration, ottenere una nuova identità e una nuova vita, e questo vale anche per la signorina Banks, ma odio non sapere con chi ho a che fare. Pertanto, a meno che lei non sia un brillante detective o non abbia le capacità per aiutare nella risoluzione di questo caso, la pregherei di rimanere in silenzio.

Ora.- aggiunse, aprendo finalmente gli occhi e rivolgendo nuovamente lo sguardo verso Nathalie. -La signorina Banks ha già lavorato per me, anche se non ci siamo mai trovati faccia a faccia, e lei sa bene che prima di diffondere qualsiasi informazione voglio avere la certezza di trovarmi di fronte a persone competenti.-

Alzò le mani intrecciate fino a coprirsi la bocca.

-Ho già rischiato molto parlando col vostro capo dei messaggi di Kira durante i suoi esperimenti sui detenuti. Ma i morti aumentano, e sono dovuto ricorrere a metodi drastici.- Sporse il busto in avanti e appoggiò il mento sulle mani unite. -Mi dica, ora, signorina Banks, ha qualcosa per me?-

     Nathalie non si era scomposta di fronte alla reazione di L. Era abituata a ben di peggio. Tirò fuori dalla valigetta un plico di fogli (che era stato accuratamente analizzato per controllare che la donna non vi avesse inserito messaggi in codice di alcun tipo rivelanti la sua vera identità) e lo passò al detective.

-Ho fatto alcune ricerche.- disse, continuando a stare seduta con le mani intrecciate sul grembo. -Nulla che potesse collegare gli dei della morte alle mele rosse, visto che le mele rosse rappresentano, di solito, secondo gli universali mitologici, il desiderio carnale. Presumo che i messaggi rinvenuti sui cadaveri avessero il solo scopo di confondere le idee e di mandarci fuori strada.-

-È quello che ho pensato subito anch'io.- ribatté L, inespressivo. -Può dirmi qualcosa che non so già?-

-Lo vedo difficile...- rispose Nathalie con fare seccato. Non era nuova a certi battibecchi: anche lavorare con lui nei casi precedenti, sebbene comunicassero quasi esclusivamente via email e qualche volta al telefono, era stato difficile. L era sicuramente un giovane molto dotato, ma non era assolutamente in grado di gestire le relazioni interpersonali; Nathalie non lo sopportava e non lo nascondeva. Ma L la ignorò. Ignorava sempre le persone che gli borbottavano contro. Sicuramente ci aveva fatto il callo.

     -...Avete immaginato non potesse essere un caso che i due Kira avessero fatto riferimenti agli Shinigami, all'insaputa l'uno dell'altro. È per questo che mi avete contattato, no?- chiese allora la giovane.

Il detective annuì. Grumann, intanto, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un taccuino per prendere appunti.

-Non è permesso registrare o prendere appunti.- lo fulminò L, senza guardarlo ancora in volto. -E non potete portare la documentazione relativa al caso con voi al di fuori di questa stanza. Abbiamo già avuto una talpa, cerchiamo di limitare i danni. In caso contrario, signor Grumann, le dovrò chiedere di lasciare la stanza.-

-No, aspetti!- esclamò Nathalie in tono un po' più alto di quanto intendesse. Rimase un po' stranita da come suonava la sua voce in giapponese: sembrava una bambina. Non ricordava se in qualche momento della sua infanzia avesse mai avuto una voce simile.

-Per la mia sicurezza...- riprese, dopo essersi schiarita la voce. -Grumann non può allontanarsi da me. Se se ne deve andare, devo seguirlo.-

Calcolò il tono e scelse bene le parole per quello che stava per seguire.

-...Sono sotto protezione testimoni, come avrà già intuito. Ecco il motivo delle due guardie del corpo e del mio assistente, così digiuno di formazione investigativa.-

In altre occasioni, probabilmente avrebbe cercato a fatica di stamparsi in volto l'espressione più supplichevole che riuscisse a fare (e che, doveva ammetterlo, non era mai un granché; non era tipo da suppliche, lei), ma con L sarebbe stato inutile. Non che non riuscisse a percepire le emozioni dei propri interlocutori, ma al dannato Aspie semplicemente non importavano.

-Mi lasci finire il mio resoconto, prima di decidere se cacciarci o meno.- riprese. -E consideri che si è mostrato a noi in volto, perciò, se mi posso permettere, sarebbe più sicuro se ci permettesse di partecipare alle indagini fino alle fine. A quanto vedo, oltretutto...- aggiunse, voltandosi verso la porta dello studio. -Mi sembra un po' a corto di personale.-

     L si mise a guardarla con più attenzione. Aggrottò la fronte.

-Lei non mi piace, signorina Banks.- esordì dopo un po'. -Mi nascondi qualcosa, mi innervosisci e non so il perché.-

Non solo aveva omesso le formule di cortesia, ma d'un tratto si alzò e andò verso di lei. -Io mi sono dovuto mostrare in volto per guadagnarmi la fiducia di pochi poliziotti giapponesi, e invece tu ti stai nascondendo. La parrucca è di ottima qualità, te lo concedo, probabilmente è addirittura di capelli veri, e la frangetta e il taglio aiutano a nascondere l'attaccatura dei capelli, ma si nota un leggero rigonfiamento sulla testa, e per la tua costituzione e per la forma del tuo volto, non puoi avere un cranio di quelle dimensioni. E le lenti...- aggiunse, avvicinandosi al suo viso. Nathalie riusciva a sentire il suo respiro, e l'odore di bucato fresco che veniva dai suoi vestiti.

-Sono quasi perfette. Ottimo mosaico, e anche la gradazione di colore è naturale. Il fatto che siano sotto ad un paio di occhiali aiuta inoltre a dissimularle. Ma prima hai perso il controllo, anche se solo per un secondo, e la tua pupilla si è ristretta, e non ho potuto non notare il cerchio scuro che...-

     Si sentì un “click” metallico, e L si zittì. La donna aveva una mano dietro la schiena, e il suo sguardo, per un solo secondo, era diventato terribilmente minaccioso. Teneva le labbra strettissime, e sentiva le vene del collo pulsare. Ryuzaki rimase ancora un attimo fermo a scrutarla, prima di tornare a sedersi, come se nulla fosse accaduto.

-Mi chiedo perché mai questi poliziotti giapponesi non vogliano perquisire per bene le donne.- disse, accovacciandosi sulla poltrona. -Avevi una pistola infilata nel retro dei pantaloni, come hanno fatto a non accorgersene?-

Grumann era impallidito. Non immaginava di poter assistere ad una scena simile.

-Chi le fa tanta paura, signorina Banks, da non potersi mostrare in volto e da girare con una scorta di due uomini- disse indicando la finestra con un cenno della testa -e un alto cane da guardia- e indicò Grumann –e non una, ma ben tre pistole tra quella che sicuramente aveva nella borsetta, quella che probabilmente era infilata nella fondina sulla caviglia destra, come si vede dallo stivale, che è l'unico dei due ad essersi allargato in quel punto, e infine quella alla quale ha tolto la sicura un attimo fa?-

Era ritornato a rivolgersi a lei in modo formale, e in tono calmo. Probabilmente, la curiosità che provava in quel momento era più forte del fastidio che Nathalie gli aveva provocato.

     La donna estrasse la pistola da dietro la schiena alzando istintivamente le mani in segno di resa, rimise la sicura, estrasse il caricatore, mostrando che non c'erano proiettili. Erano nel guardaroba, assieme ad un mini revolver. La appoggiò sul tavolo e alzò di nuovo le mani.

-Non si è mai troppo prudenti.- rispose, secca. -Ero con due agenti dell'FBI nel momento in cui sono stati uccisi tutti da Kira. Poco dopo, anche Naomi Misora è scomparsa. Ho iniziato a temere il peggio per me e per la mia famiglia.- concluse, abbassando le mani e incrociando le braccia.

-Capisco...- disse il detective. Ora stava a ginocchia aperte, col gomito destro sulla coscia e la testa mollemente appoggiata alla mano chiusa, e con la sinistra a palma in giù sul ginocchio.

-Inoltre, se mi posso permettere...- riprese Nathalie. -Porto con me solo due pistole. Una terza pistola alla caviglia mi appesantirebbe il piede destro, e, se dovessi essere inseguita, non riuscirei a correre in modo uniforme e mi stancherei prima.-

-Mi pare sensato.- fece L, con la testa ciondolante in equilibrio precario sulla mano chiusa. -Devo quindi dedurre che lo stivale allargato, e il motivo per cui porta degli stivali sotto un completo elegante, sia dovuto ad un braccialetto elettronico?-

Nathalie fece una smorfia, che si tramutò subito in un sorriso storto.

-Non riuscirò a convincerla che non sono una criminale, anche se al momento non porto alcun braccialetto elettronico.-

La donna sentiva Grumann trattenere il respiro. Probabilmente lui non si aspettava che L fosse così attento e che avesse un tale intuito, anche se sembrava a malapena che li stesse guardando. Ma lei si era preparata a fondo per riuscire a controbattere a tutte le questioni che il detective avrebbe potuto sollevare sulla sua finta identità, per evitare che scoprisse chi era veramente. Era abbastanza certa di potercela fare. Dopotutto, nonostante L fosse diventato un detective di fama mondiale, dalle capacità ormai superiori alle sue, Nathalie sapeva come ragionava.

Era stata lei ad addestrarlo.

     -Va bene così, allora.- disse allora il giovane e, facendo cenno con la mano libera, aggiunse: -Vada pure avanti con quello che ha scoperto. Anzi, lasciamo perdere il Lei. È vero che stiamo parlando in giapponese, ma non mi sono mai piaciute le troppe formalità.-

-Bene.- riprese lei, ricomponendosi.

-Basandomi sulla pagina di diario mandata dal secondo Kira, ho cercato di analizzare tutti gli elementi per trovare una correlazione che avesse una base mitologica, e per vedere se esistevano altre parole in codice che avrebbe potuto usare per comunicare col vero Kira.-

Era quello il motivo per cui Nathalie era stata chiamata: negli ultimi anni si era specializzata in casi che coinvolgevano sette, occultismo, cosiddetti fenomeni paranormali. Le morti inspiegabili e la nascita di una sottospecie di “culto di Kira” rappresentavano un caso ideale, per una persona con le sue competenze.

-In molte tradizioni la vita umana viene rappresentata come una fiamma o come un filo,- disse, estraendo un nuovo fascicolo dalla borsa. -però esistono anche alcune tradizioni in cui il dio della morte possiede un libro nero, chiamato di solito “libro dei morti”. Il secondo Kira parlava di “mostrare il suo diario ad un amico”.-

-E quindi pensi che entrambi i Kira siano davvero degli dei della morte che posseggono un libro nero?- chiese Grumann, in tono canzonatorio.

-No.- rispose Nathalie, seccata. -Delle divinità non si rivolgerebbero ad una emittente come la Sakura TV per attirare l'attenzione dei propri simili. I due Kira sono sicuramente umani, ma quello che non sappiamo è come facciano ad uccidere le persone a distanza, o a programmarne le morti, conoscendone soltanto volto e nome. E, nel caso del secondo Kira, solo il volto. Com'è successo al vostro agente, Ukita.-

-Già...- disse L. -Anche il sovrintendente Yagami ha rischiato parecchio quella sera. Non fosse stato per quell'episodio, non avrei mai pensato che la sua vita fosse seriamente in pericolo a causa di Kira.-

La fissò intensamente negli occhi, mentre con un pollice si schiacciava il labbro inferiore. -Ma se vuoi sapere il perché, dovrai attendere.-

-Io continuerei.-

-Prego.- Ryuzaki si versò dell'altro caffè nella tazzina con grande attenzione.

     -Ho elaborato una teoria.- riprese la giovane donna, mettendosi comoda sul divanetto. -Ho notato che tra tutti i criminali dei quali è stato mostrato il volto e il nome, sono morti tutti tranne quelli dei quali veniva mostrato un identikit o... il cui nome veniva riportato erroneamente. Il che non ci sarebbe così utile, se non fosse che ho notato che si salvavano anche i criminali, per lo più stranieri, per i quali si conosceva la pronuncia del nome, ma non la grafia.-

Il detective alzò un momento lo sguardo dalle sue zollette di zucchero, interessato.

-Quello che voglio dire è...- continuò la donna, estraendo dal fascicolo una lista di nomi. La maggior parte di questi erano stranieri, e di fianco alla traslitterazione in katakana vi erano le possibili grafie in alfabeto latino. I nomi erano solo sette.

-...che non avrebbe senso che i “poteri” del primo Kira non gli permettano di uccidere una persona della quale sa pronunciare il nome. Ma le cose cambiano nel caso in cui per uccidere una persona sia necessario scriverne il nome. Tra questi nomi, ce ne sono tre di origine slava, e al notiziario sono stati traslitterati in giapponese con l'alfabeto fonetico. Uno di questi è riportato su diversi siti internet con grafie ogni volta diverse, dal momento che è russo, e non tutti i giornalisti seguono le convenzioni per la traslitterazione del cirillico. Vi ho mostrato questo caso perché penso sia il più emblematico: è possibile infatti pronunciare correttamente questo nome grazie alla trascrizione fonetica, ma non c'è accordo sulla grafia. E difatti questa persona si è salvata. Questo, assieme agli altri sei casi simili, mi ha fatto ipotizzare l'esistenza di una sorta di “libro dei morti”, per cui, se un nome viene scritto in modo erroneo, la persona non muore.-

     Il giovane smise di girare il cucchiaino nella tazzina stracolma di zucchero. Se lo portò alle labbra e alzò lo sguardo assumendo un'espressione pensierosa. -Questo è interessante.- disse. -Farraginoso, ma interessante. Quindi mi stai dicendo che se Kira, per esempio, ascolta alla radio notizie di criminali, e perciò non è sicuro della corretta grafia del nome, non può uccidere quella persona?-

Ritornò a guardare la tazzina, e appoggiò il cucchiaino sul piattino.

-Potremmo tenere questa pista in considerazione nel caso in cui riuscissimo a scovare il secondo Kira e a ottenere qualche informazione.- disse, portandosi la tazza alle labbra.

-Molto bene, signorina Banks.- concluse, bevendo un sorso.

-Avrei un'altra considerazione da fare.- ribatté lei, porgendogli un altro plico di fogli. -Mi sono permessa di fare delle “misurazioni”. A quanto pare, ad eccezione dei casi in cui si hanno avute delle morti programmate in orari prestabiliti, come il giorno in cui c'è stato un morto ogni ora, ho cronometrato il tempo trascorso dall'apparizione di un criminale alla TV e l'ora del decesso.-

Nathalie passò a L una nuova lista, questa volta leggermente più corposa della precedente, con gli orari della messa in onda dell'identità del criminale e l'esatta morte del decesso.

-Purtroppo l'intervallo è abbastanza approssimativo, in quanto è successo di rado che vi siano state delle morti in diretta, ad esclusione del conduttore di Canale 28 ucciso dal secondo Kira, perché era chiaramente una morte programmata. Queste sono tutte morti registrate nelle prigioni, ma, a meno che qualche guardia non venisse allertata dalle urla, o il decesso avvenisse durante l'ora d'aria o alla mensa, i cadaveri venivano rinvenuti troppo dopo rispetto all'orario dell'annuncio in TV.-

-A questo posso rimediare io.- le disse L, indicando il dossier col cucchiaino, mentre con l'altra mano continuava a reggere la tazzina.

-Posso fare in modo che nelle carceri vengano monitorate le morti con la massima precisione, se questo può risultare utile a capire come faccia Kira ad uccidere.-

Bevve un altro sorso, si liberò le mani e sollevò il foglio dagli due angoli superiori coi soli pollici e indici.

-Quali sono stati i risultati delle tue ricerche?- domandò poi.

     -Ecco...- riprese lei. -Non so quanto possano essere utili. L'intervallo tra l'apparizione di nome e volto e l'ora del decesso è di minimo due minuti circa. Non sono riuscita a fare di meglio. Ma è sicuro che non ci siano morti istantanee. È sempre dovuto passare un minimo lasso di tempo perché le vittime morissero. Ho usato la morte di Lind L. Taylor come indicatore massimo, quattro minuti; tutti i nomi che vedi lì evidenziati sono morti in un intervallo di tempo minore rispetto al suo.-

-E questo ti ha portato a pensare che possa esistere una sorta di rituale che Kira compie prima di uccidere le sue vittime, o col fine stesso di ucciderle?- chiese il detective, che intanto aveva ripreso la tazza per sorseggiare di nuovo il tè.

-Esatto.- rispose Nathalie -Purtroppo questo è tutto ciò che sono riuscita a ipotizzare, mi spiace.-

-Non ti dispiacere...- bevve un sorso. -Mi hai tolto un po' di lavoro. Un risultato davvero notevole, considerando che ti ho fatta contattare appena tre giorni fa, e che nel frattempo hai anche dovuto fare un volo transoceanico. Puoi rivolgerti a Watari per il tuo compenso.-

-Veramente...- Nathalie abbassò lo sguardo, poi guardò Grumann, che era rimasto zitto e immobile per tutto il tempo. Sorrideva in quel suo modo viscido, e i suoi occhi nascondevano una velata minaccia. Intanto L continuava a bere il suo tè.

-...Volevo chiedervi se potevamo partecipare alle indagini.- disse allora la donna, tesa. -Siamo pur sempre agenti abituati a collaborare con l'FBI, pensiamo di potervi essere utili.- Strinse la stoffa dei pantaloni tra le mani bianche. -Credo... credo che Naomi Misora sia stata un'altra vittima di Kira. Abbiamo lavorato insieme. E poi mi sono morti davanti agli occhi due agenti, uccisi da Kira...-

Rimasero tutti in silenzio per qualche istante. Nathalie era partita per il Giappone certa che L le avrebbe chiesto di continuare a lavorare al caso, ma la presenza di Grumann avrebbe potuto mandare a monte il piano.

-Speravo me l'avresti chiesto.- disse infine L, posando di nuovo la tazzina e portandosi le mani intrecciate davanti al volto. -Siamo un po' a corto di personale, come hai già notato, e tu mi sembri intelligente. Mi infastidisci, certo, ma sei in gamba, te lo concedo. Sono anche disposto a permetterti di portare qui il tuo cagnolino...- rivolse un'occhiata fredda a Grumann. -Ma spero che tu sappia che questo caso metterà in pericolo te e le persone che ti stanno vicine.-

-Non ho paura di questo.- rispose lei con voce ferma, e ritornando a guardarlo negli occhi. Odiava dover implorare.

-Non ho paura di morire. E sono poche le persone che devo proteggere. E Kira non può venire a conoscenza dell'identità di nessuna di queste.-

     -Bene!- riprese L, raccogliendo i dossier sul tavolino e sistemandoli aperti sulle proprie gambe incrociate. -Benvenuta nella squadra.-


     Uscirono dall'hotel che era notte inoltrata. L aveva voluto continuare il colloquio dopo aver mandato a casa gli altri (pochi) agenti giapponesi, perché voleva parlare del suo, fino a quel momento, unico sospetto. Light Yagami. Primo anno di università, tra gli studenti più intelligenti del Giappone, ragazzo modello, bell'aspetto, ex campione di tennis.

Praticamente perfetto. Troppo perfetto.

Faceva parte delle famiglie controllate da Penber poco prima della sua morte. Era lecito pensare che l'americano fosse stato avvicinato da Kira e che fosse stato costretto a rivelargli i nomi degli altri agenti. La presenza di una busta, ripresa dalle telecamere mentre stava per salire sul treno, e la sua assenza al momento della morte di Penber, unite al viaggio insolitamente lungo fatto dallo stesso, sembravano non dare adito a dubbi. Ma Light Yagami aveva superato i due giorni di sorveglianza senza mostrare comportamenti sospetti. Nathalie aveva chiesto di poter visionare i filmati e leggere la documentazione relativa al caso, ed era stata invitata per la mattina successiva. L aveva inoltre detto che era entrato in contatto con Light Yagami da un po' di tempo, e gli aveva chiesto di collaborare alle indagini, non prima di avergli detto che sospettava che fosse lui Kira.

È la prima volta che L usa il 'metodo Burton'” pensò Nathalie di ritorno al suo albergo. Entrare in contatto col sospettato e anticiparne ogni mossa, sfidandolo di continuo, per farlo innervosire e sperando facesse qualche errore. Era il metodo che era stato insegnato a lei, durante il suo addestramento al dipartimento di polizia di Boston sotto la guida di Roger Burton: un metodo che le si addiceva, ripetevano spesso i suoi colleghi, perché se c'era una persona in grado di far andare fuori di testa un sospettato, quella era lei.

-Persino un innocente si farebbe sbattere in galera, piuttosto che continuare ad averti come aguzzino.- la canzonavano.

Anche L “perseguitava” le proprie “vittime”, ma non si era mai esposto in prima persona, prima di allora. Non che lei sapesse. Mantenere l'anonimato era diventata la regola per gli studenti della Wammy's House, dopo che un altro brillante detective era stato ucciso per vendetta, sette anni prima.

Ma, anche se L gli stava addosso, Light era incredibilmente intelligente, non avrebbe perso la calma. Forse, però, in questo modo avrebbe abbassato un po' il tiro, magari qualche vita si sarebbe potuta salvare...

     Nathalie non sapeva bene cosa pensare. Era certa di una cosa, però: se L diceva che Light Yagami era Kira, Light Yagami era Kira. L aveva l'intuito più formidabile che si fosse mai visto. Ma non era un amante del lavoro sul campo, e avrebbe avuto bisogno di qualcuno di altrettanto competente per raccogliere le prove. E ora c'era lei, e raccogliere prove era la sua specialità. E mentre pensava a tutte queste cose, Grumann si stufò e si accese una sigaretta.

-Per favore, non fumarmi addosso.- gli disse, seccata.

-Mi avevano avvertito che eri una noiosissima salutista.- ribatté lui, ignorandola e dando il primo tiro. -Ma di certo l'aria di Tokyo non è che sia meglio di questa sigaretta. Cambiando discorso...- le fumò in faccia. -È vero quello che ha detto L? Che ti sei travestita?-

Nathalie gli prese il polso e lo torse forte. L'uomo urlò e tentò di colpirla con l'altra mano, ma lei, con un movimento fulmineo, si portò alle sue spalle. -Prova a fumarmi in faccia un'altra volta, Grumann, e la sigaretta ti finirà in gola.- gli sussurrò ad un orecchio. Poi lo liberò dalla stretta. Lui indietreggiò e la guardò furibondo.

-Pensavi sul serio che questo fosse il mio vero aspetto? A quanto pare non ti hanno detto un bel niente su di me.- disse, risistemandosi la giacchetta. -Meglio così, vuol dire che non vali abbastanza da esserne informato.-

I due uomini della scorta li richiamarono all'ordine. Intanto erano giunti al palazzo dove alloggiavano. Si divisero senza salutarsi, e Grumann si allontanò imprecando.

     Iniziava a piovere, pareva stesse arrivando un temporale. Meglio così. Nathalie adorava la pioggia, si sentiva libera di poter vagare da sola all'aria aperta. Anche se Grumann aveva ragione: l'aria di Tokyo era terribile da sopportare. Salì tutti e sei i piani di scale a piedi, senza apparente fatica, si infilò nel proprio appartamento e iniziò a gettare tutti i vestiti a terra a mano a mano che si spogliava. Dopo aver controllato che tutte le porte e le finestre fossero chiuse a dovere, andò in bagno e accese la luce per togliersi le lenti a contatto, si lavò via il pesante trucco dal volto e dalle mani e si levò la parrucca. Mentre toglieva ad una ad una tutte le forcine, lunghissimi capelli setosi le ricadevano sulla schiena nuda. Erano bianchi.

-E non ho schiacciato abbastanza i capelli perché L non si rendesse conto che questa era una parrucca.- sbuffò, pettinando con le mani i finti capelli neri. Uscì dal bagno per sistemare la parrucca su di una testa di polistirolo e tornò indietro. Si infilò nella doccia e aprì il getto dell'acqua calda.

     La situazione era troppo surreale. Era di nuovo partita per il Giappone per dare la caccia a Kira. Dopo che era riuscita a scoprire della scomparsa di Naomi Misora, aveva cominciato ad attendere con ansia il giorno in cui l'avrebbero chiamata: quasi non le importava più il riuscire a liberarsi da Hayer; voleva mettere le mani addosso a Kira e sbatterlo in una cella due metri per uno, senza finestre, per tutto il resto dei suoi giorni. Quando avrebbe imparato la lezione? Qualunque persona le si avvicinasse, moriva sempre troppo presto.

In quel momento non voleva pensare a nulla. Lasciò che l'acqua bollente le scorresse addosso, sulla pelle chiarissima, finché questa non si arrossò. Uscì dalla doccia e cercò nell'armadietto dei tubetti di crema. Iniziò a spalmarsi, come faceva ogni giorno, una crema dall'aspetto unticcio sulla spessa cicatrice che aveva sulla spalla destra. Lentamente. Era lunga una decina di centimetri e larga uno, e le cadeva perpendicolarmente sulla spalla. Iniziava davanti e finiva dietro. Poi passò alla seconda. Era sottile, lunga solo pochi centimetri, e tagliava in diagonale il suo avambraccio sinistro. Quasi invisibile ad occhio nudo. Ma era una delle sue cicatrici, e pertanto andava inserita nel suo rituale quotidiano. La terza. Un taglio chirurgico al fondo dell'addome, largo meno di una dozzina di centimetri. Pareva impossibile che di lì ci fosse potuto passare un neonato. Alzò gli occhi verso lo specchio. Le labbra delicate e il naso fine e all'insù, gli zigomi alti... era un viso di quelli di porcellana. Non le era mai interessato essere bella (quelli come lei potevano essere di una bellezza incredibile, ma sarebbero sempre stati guardati come mostri), ma sapeva di esserlo. Finché non si alzava lo sguardo. Su quel viso quasi bianco si vedeva una macchia più scura correrle verticalmente dalla fronte allo zigomo destro. Il segno di un'ustione. Non troppo grave da sfigurarle il volto corrodendole la pelle. Non abbastanza lieve da non lasciare traccia. E, in mezzo, un occhio rosso.

Il calore della doccia le aveva attivato la circolazione, rendendole la pelle leggermente rosata, ma anche le iridi si erano arrossate. Gli occhi degli albini non sono mai rosso sangue, ma Nathalie tendeva ad infuriarsi di continuo, per cui capitava spesso che i suoi occhi fossero rossi e insanguinati. Avevano ragione, i compagni della Wammy's House, a chiamarla “Demone Bianco”, quando erano piccoli.

     Dopo essersi spalmata addosso altre creme solari e protettive contro i raggi UV, rimise tutto a posto nell'armadietto, ma, nel farlo, cadde una foto. Nathalie la raccolse. Erano lei e Bjarne. Facevano davvero contrasto, loro due. Lui, alto, abbronzato come sempre, a quel tempo teneva i capelli biondo platino, quasi completamente sbiancati dal sole, legati in uno chignon, e portava il pizzetto. Aveva un sorriso smagliante e gli occhi castani gli brillavano. Aveva addosso una camicia di lino e dei pantaloncini. Le cingeva dolcemente la vita, accarezzandole il pancione. Erano sulla terrazza di un qualche bel ristorante in California. Lei aveva i capelli che le arrivavano alle spalle, ondulati, un vestito a fiori largo e leggero, e sopra una maglia in tessuto leggerissimo che le riparava le braccia dal sole. Il pancione era di soli cinque mesi, ma era molto evidente, dal momento che era aveva sempre avuto un fisico magro, longilineo e abbastanza atletico. Portava un enorme cappello che le faceva ombra al viso, perché quel giorno Bjarne l'aveva convinta ad andare in giro senza trucco e lenti, e anche se c'era il sole. Pensava che al bambino avrebbe fatto bene. Nathalie ricordava sempre con piacere quella giornata. Era già ostaggio di Hayer, e le venivano concesse poche giornate di libertà, anche se sotto strettissima sorveglianza. Quel giorno Bjarne aveva preparato un'uscita speciale, si era assicurato di trovare un ristorante con vista mare che cucinasse i suoi piatti preferiti e che avesse un angolo molto riparato dal sole. Era in vena di festeggiamenti, sebbene non ci fosse assolutamente nulla da festeggiare. Nathalie era riuscita a mangiare tutto, ed era stata felice. Gli altri clienti del locale non le avevano nemmeno dedicato troppi sguardi. Alcuni si erano addirittura avvicinati per farle gli auguri per il bambino.

     Tutti quelli che la vedevano la compativano sempre un po', quando non la guardavano terrorizzati. La genetica aveva voluto che nascesse affetta da albinismo totale, occhi rossi annessi. L'unica della famiglia. Non c'era memoria di altri casi di albinismo in nessuno dei due rami. Fortunatamente la sua vista era abbastanza buona, e lo strabismo che aveva corretto solo pochi anni prima era talmente insignificante da non averle mai dato problemi.

Aveva iniziato molto presto a nascondere la sua ustione, i suoi occhi, i suoi capelli. Bastava un po' di correttore a coprire la macchia; per i capelli, aveva cominciato da subito ad indossare parrucche; non appena le lenti a contatto colorate erano diventate disponibili sul commercio, Nathalie aveva cominciato a portarle. In quel modo, nessuno l'avrebbe più compatita. Odiava doversi nascondere, ma odiava ancora di più gli sguardi pietosi della gente. Poi era diventata un agente investigativo, e l'anonimato era diventato per lei una priorità, perciò aveva passato anni a nascondere il suo vero volto. A volte dimenticava persino che aspetto avesse realmente.

     Rimise a posto la foto e si infilò mutande e la logora maglietta nera con una scolorita bandiera inglese, troppo larga per lei, che usava come pigiama. Sarebbero arrivate giornate molto lunghe. L non le aveva dato la documentazione relativa al caso e a Light Yagami perché sarebbe stato rischioso portare del materiale del genere fuori dal quartier generale, perciò aveva a disposizione quattro ore di sonno prima di doversi preparare nuovamente per raggiungere il nuovo quartier generale.

-November 8th, 1997, by the river.- si ripeté prima di infilarsi a letto, mentre arrotolava una ciocca di capelli bianchi intorno al dito.


     -Watari.- chiamò L.

-Vuoi per caso dell'altro tè?- chiese il vecchio, alzando appena la testa dalla poltrona sulla quale sedeva, leggendo gli ultimi risultati delle indagini.

-No, grazie.- rispose il giovane, che stava rannicchiato sul divanetto e si passava il pollice sul labbro inferiore. -Vorrei parlarti dei due collaboratori dell'FBI che sono venuti oggi.-

Watari si sentì trasalire, ma cercò di non darlo a vedere. -Hai davvero intenzione di reclutarli?- chiese, con voce tranquilla. -In ogni caso, gli hai già raccontato un bel po' di cose, non credi?-

-Non è questo il problema.- rispose lui, continuando a fissare il vuoto. -Di Banks non so se fidarmi, ma è in gamba e ha un senso della giustizia molto simile al mio. So che non ha secondi fini. È Grumann che mi preoccupa.-

-Quale pensi sia il suo ruolo?- domandò Watari. Avevano avuto poco tempo quella mattina per discutere della presenza di un assistente al fianco della signorina Banks. Nel momento in cui gli era stato ordinato da L di contattare la loro vecchia collaboratrice, Watari aveva già accennato alla possibilità che le potesse venire affiancata un'altra persona, e il detective aveva rimandato a lui ogni decisione al riguardo.

-Credo che più che il cane da guardia di Banks, sia il suo secondino.- disse L, senza sembrare minimamente sorpreso o preoccupato. -La teneva costantemente d'occhio, era evidente.-

Il giovane alzò lo sguardo verso il soffitto, e si portò l'indice al mento.

-Negli altri due casi per i quali abbiamo chiesto la consulenza di Banks, non parevano esserci irregolarità o cose sospette nel suo curriculum.- continuò, parlando più a se stesso che a Watari.

-Ma non possiamo escludere la possibilità che, in fondo, lei sia soltanto una delle tante spie mandate a cercare di scoprire la mia identità. Magari non agisce di sua spontanea volontà, dal momento che si sente così minacciata. Ma ciò non cambia la realtà dei fatti.-

-Cosa pensi di fare al riguardo?- gli domandò Watari, sfogliando il proprio dossier senza alzare lo sguardo. L non ci avrebbe messo molto, forse, a capire che gli stava nascondendo qualcosa. Sarebbe stato forse meglio dirgli tutto? Quanto avrebbe potuto metterli in pericolo? Aveva indagato a suo tempo su Hayer, ma sia lui che K erano sempre riusciti a nascondere a L l'esistenza sua e dell'organizzazione del Privates for Police Enforcement Program all'interno della Hogson Society for Veteran Reintegration.

     -Voglio che Banks lavori per me.- disse il detective, volgendo lo sguardo direttamente a Watari. -Che Grumann cerchi di spiarmi, mi interessa poco. È chiaro che sia un pesce piccolo, e il mio volto servirà a poco a chiunque voglia scoprire la mia identità.-

Aprì il fascicolo dei due nuovi arrivati e si mise a scrutare i loro profili. -E se Banks è in pericolo, mi auguro che riesca a difendersi da sola. In questo momento non abbiamo di certo né il tempo né gli uomini per farle da babysitter.-

-La signorina Banks ha dato un contributo fondamentale negli altri due casi ai quali avete collaborato.- intervenne allora Watari. -Potresti mostrarle un po' più di gentilezza.-

-La riconoscenza nei suoi confronti mi ha fatto decidere di mostrarmi in volto, e mi ha anche impedito di congedarla appena ricevuti i risultati delle sue ricerche.- ribatté il giovane, alzando di nuovo lo sguardo, pensieroso. -Mi nasconde la sua identità, e la cosa mi irrita.-

     Watari avrebbe voluto parlare. Non importava quanto la situazione potesse metterli in pericolo; sarebbero riusciti a contrastare Hayer. Sebbene avesse covato per anni un forte risentimento nei confronti di K, quella sera si era sentito quasi tremare nel vederla. Non l'avrebbe mai riconosciuta, se non avesse saputo che era lei. Come non l'aveva riconosciuta dalle foto e dai video che la ritraevano durante i due precedenti casi a cui aveva lavorato con quella falsa identità. E non era perché era travestita, quello lo faceva da quando aveva sedici anni. Ma il suo volto, quello non era più lo stesso. Il suo sguardo impudente, il suo mezzo sorriso canzonatorio... svaniti.

Trovarsi di fronte a lei dava la stessa sensazione che si prova di fronte ad un condannato a morte che non mostra segni di paura, ma che guarda il suo boia con aria di sfida: un sentimento di rispetto, certo, ma anche un terrore sordo.

Il trucco e i vestiti potevano coprire le sue cicatrici, ma c'era un'aura di orrore che la circondava. Per questo, meritava di essere aiutata. Meritava la possibilità di poter tornare a casa, di tornare alla Wammy's House, di poter insegnare anche alle nuove generazioni di detective.

Di vedere Nate.

     -E poi...- ricominciò L, interrompendo il corso dei suoi pensieri.

-Con l'apparizione del secondo Kira, e con la partecipazione di Light alle indagini, la risoluzione del caso potrebbe essere davvero troppo vicina per preoccuparsi d'altro. Come quali siano le intenzioni di Grumann. O di Banks.-

L chiuse il fascicolo e ritornò a mangiare i suoi bignè, rompendoli con le mani e leccandone il ripieno. Completamente ignaro.

Watari desistette. Il caso stava davvero per avere una svolta fondamentale, non poteva parlare. Non si immaginava che reazione potesse avere L al sapere che K era ancora viva e che stava attualmente lavorando con lui, ma di sicuro lo stato mentale del giovane, dopo una scoperta di tale portata, non sarebbe di certo stato adatto a risolvere un caso così complesso come quello di fronte al quale si trovavano. Dopotutto, tra loro due non era certo Watari quello che aveva rischiato la morte a causa di K, né quello che aveva rischiato di vedersi portato via da lei la cosa più preziosa della sua intera esistenza.

   
 
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