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Autore: MoreUmmagumma    18/03/2018    3 recensioni
Una scatola può contenere molti ricordi: dei semplici bottoni, un biglietto del cinema o del teatro, delle fotografie... ma può contenere anche una storia d'amore.
E Laura lo sa bene, nel momento in cui per caso, all'interno di una soffitta polverosa, trova il tesoro più inestimabile nella vita di ogni essere umano.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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La scatola dei ricordi

 

Capitolo I

 

Toscana, 1993

 

La pioggia batteva lieve contro le vetrate della chiesa del paese.
Era una mattina di inizio ottobre e la natura sembrava volesse dare già spazio all’imminente autunno. Tutto sembrava essersi fermato, per dare l’ultimo saluto alla donna più longeva del paese.
Laura sedeva in prima fila, il vestito nero leggermente largo all’altezza delle spalle, e fissava il vuoto. Sin da bambina era stata molto legata a nonna Aurora, la nonna di sua madre, e vederla lì quel giorno, immobile, pallida, vulnerabile, le fece provare un grandissimo senso di malinconia. Si guardò intorno e le sembrò di non riconoscere nessuna delle facce dei parenti che singhiozzavano e si soffiavano il naso.
“Da dove saltano fuori tutte queste persone all’improvviso?” pensò. “Che cosa vogliono?”
La seppellirono in un tranquillo e piccolo cimitero di campagna, alle porte del paese. La pioggia aveva cessato, e dei raggi di sole sbucarono coraggiosamente facendosi largo tra incresciose nuvole grigie. Come ultimo gesto Laura posò un mazzo di peonie gialle, le preferite della nonna, sulla sua tomba, tenne stretto nella mano destra il ciondolo che portava al collo, e tra le lacrime calde che le scivolarono lungo le guance, si voltò.

 

♦♦♦

 

L’incontro con il notaio fu un successo: la madre di Laura ereditò la grande casa appartenente alla famiglia di Aurora da cinque generazioni prima di lei. Si trattava di un villino di campagna, a qualche chilometro dal centro del paese, ormai inabitato da una decina di anni. Laura ricordò innumerevoli estati passate lì, correndo per i vigneti, facendo il bagno in un laghetto poco distante, e dondolando sull’altalena che il nonno le aveva costruito sul ramo del grande faggio nel giardino. Quando nonna Aurora diventò sempre meno indipendente lasciò la casa per trasferirsi a casa di Laura. Da allora nessuno vi mise più piede, salvo quelle rare volte in cui Aurora chiedeva ai familiari di andarle a prendere questo o quell’oggetto da tenere con sé.
«Ci ho pensato, sai?»
Laura lanciò uno sguardo interrogativo a sua madre, in attesa.
«Ho deciso di trasformare la casa della nonna in un bed & breakfast. Così forse potremo finire di pagare il mutuo e tu potrai prendere quel bell’appartamento a Firenze.»
Laura rivolse un sorrisetto forzato a sua madre. Amava quella casa;  vederla abitata da degli estranei le avrebbe fatto uno strano effetto. Aveva sempre immaginato, sin da quando era bambina, che un giorno ci avrebbe vissuto lei. 
Ma, ora, con il lavoro a Firenze, sarebbe stato difficile e decisamente troppo lungo tornare a casa ogni sera. Quella casa così lontana dal mondo. Lontana da tutti.
«Stai tranquilla.» Sua madre sembrava averle letto nel pensiero, e le prese le mani. «Ci sarà sempre un posto per te, lì.»
Laura aprì il ciondolo che portava al collo da ormai quasi dieci anni. Le due foto, a distanza di quasi novant’anni l’una dall’altra, ritraevano due bambine dai capelli rossicci, che formavano morbidi boccoli che dolcemente ricadevano sopra le spalle.
Era incredibile come si somigliassero.
Laura approfittò di un momento in cui sua madre le dava le spalle e in un rapido gesto, diede un bacio alla prima fotografia.
«Se non hai da fare questo weekend mi farebbe piacere se mi aiutassi a sistemare la casa.»
«D’accordo.» le rispose Laura. «Ci sarò.»

 

♦♦♦

 

La macchina scricchiolava sul ciottolato, fino a che il motore non venne spento. Parcheggiarono in fondo al viale, delineato da alti cipressi, che divideva il cancello principale dal giardino.
La casa era una bianca villetta di tre piani, con una pianta rampicante che occupava metà della parete che ospitava la porta principale.
Non appena aprirono, un forte odore di chiuso invase le loro narici e il primo gesto fu quello di spalancare tutte le finestre, in modo che entrasse corrente. I mobili erano rivestiti da lenzuola bianche, divenute grigie a causa degli strati di polvere accumulati.
Ci vollero due giorni interi perché la casa tornasse a vivere di nuovo.
Non era cambiato niente.
Aurora aveva sempre vissuto in quella casa, sin dalla sua nascita, e nonostante gli anni, poche furono le volte in cui fu necessaria una ristrutturazione, e la mobilia era sempre la stessa. Da ben più di cento anni. 
«Beh. Direi che abbiamo finito. Manca solo da risistemare la soffitta.»
«Stavolta passo. Non ho più l’età per certi lavori.»
«Tranquilla mamma, ci penso io. Credo che passerò la notte qua e domattina guarderò con calma. Magari possiamo riesumare qualcosa.»
«Non credo, quella soffitta è piena di cianfrusaglie. Anzi, già che ci sei, butta pure tutto quello che puoi. Può darsi che possiamo ricavarne un’altra stanza. Con una sistemata credo che verrebbe fuori un bell’attico.» Le diede un bacio sulla fronte e se ne andò.
Era ormai quasi buio quando Laura si recò nella legnaia per cercare qualche ramo o tronco con cui accendere il camino. Non fu facile, ma con molta pazienza e olio di gomito ci riuscì. Se non altro era l’unica soluzione con la quale riscaldarsi, considerando il fatto che i riscaldamenti non avrebbero funzionato per un bel po’. Andò in cucina, si preparò una tazza di tè bollente e si sistemò sul divano, di fronte al camino. Ascoltò attentamente lo scoppiettare del fuoco, chiudendo gli occhi e cercò di non far rivivere nella sua mente il ricordo di nonna Aurora. Ma tutto in quella stanza era pregno della sua memoria e una lacrima le rigò la guancia destra. Si sdraiò su di un fianco e senza nemmeno accorgersene, tra le lacrime, si addormentò.

 

♦♦♦

 

La soffitta si presentava ancora peggio di quello che si aspettava. Sembrava una foresta di ragnatele e la polvere ne invadeva qualsiasi centimetro.
“Qui ci vorranno più di due giorni!” pensò.
Cominciò col dividere le cose da buttare e le cose da tenere. 
Una sedia a dondolo. Tenere.
Un vecchio appendiabiti. Tenere.
Uno specchio crepato. Buttare.
Un piccolo armadio verdognolo del ‘900. Tenere.
Divise i vari oggetti a gruppi di due nella stanza prima che il suo sguardo si incrociasse con un vecchio baule.
Assolutamente tenere.
Lo aprì, scoprendo con delusione che non conteneva altro che vecchi abiti di lana che odoravano di muffa e naftalina. Nemmeno cento lavatrici avrebbero mandato via quell’odore. 
Buttare.
Mise in una busta i piccoli oggetti da tenere, pronta ad affrontare un pomeriggio di pulizie. Non appena fece per recarsi verso la porta, il suo piede si posò su un asse del pavimento che si mosse sotto il suo peso, facendole quasi perdere l’equilibrio.
La guardò e notò con sorpresa che l’asse in questione non era fissata al pavimento come avrebbe dovuto.
Posò la busta che aveva in mano e si inginocchiò.
Spostò l’asse e un sospiro di sorpresa le uscì dalla bocca quando le sue mani presero in mano il piccolo portagioie rosso che vi era nascosto. 
Come nei libri di avventura che leggeva da bambina, si sentì come un corsaro di fronte a un tesoro seppellito nella sabbia. 
Lo aprì. E il contenuto valeva molto più di qualsiasi oro trovato su un'isola sperduta.
Erano ricordi.
Ricordi di una gioventù perduta, gelosamente nascosti perché qualcuno difficilmente li trovasse.
“Ma perché nascondere qualcosa del genere?”
Sono solo bottoni, una vecchia spilla di brillanti ormai divenuti opachi, una fotografia e delle lettere.
La foto ritraeva due giovani fanciulle, che timidamente sorridevano al fotografo. Laura riconobbe subito nonna Aurora: i capelli rossicci e ricci, raccolti per metà in un grande fiocco dietro la testa, erano inconfondibili nonostante il colore seppia della fotografia, il vestito chiaro, forse bianco, col colletto di pizzo, le donava un aspetto di spensierata giovinezza. 
“Quanti anni avrà avuto?”
Forse sedici, forse diciassette. Sicuramente non più di venti.
“Ma l’altra ragazza?” Chi era?
Laura non ne aveva mai sentito parlare. 
Aveva ascoltato molti racconti da parte della nonna della sua giovinezza, ma non aveva mai nominato né fatto cenno a quella ragazza dai boccoli biondi e gli occhi azzurri, che nella foto poggiava la testa sulla sua spalla. Sembravano molto unite.
Girò la foto ma ci mise un po’ a leggerne la dedica ormai sbiadita dal tempo.
“Ad Aurora. Ovunque tu sarai, possa il mio ricordo accompagnarti per sempre. Ed io ti cercherò negli occhi di chi verrà dopo di te(*). Tua, Gabriella”
No. Decisamente non ne aveva sentito parlare.
La curiosità si fece strada dentro di lei, tanto da farle venire la voglia di aprire quelle lettere.
“No, non sta bene!” pensò.
Ma ormai la scatola segreta era stata scoperta.
Nonna Aurora non c’era più.
E giurò a se stessa che qualunque cosa avesse trovato dentro quelle lettere, se la sarebbe portata nella tomba, così come aveva fatto Aurora.
Ne aprì una. Il mittente non era segnato sulla busta, ma il destinatario era sempre lo stesso.
“Cara Aurora…”

 

Note dell’autrice:

(*)“Chissà se un giorno, guardando negli occhi di chi ti avrà dopo di me cercherai qualcosa che mi appartiene.” -Pablo Neruda

 

Questa frase mi è piaciuta così tanto che ho voluto inserirla (cercando di non copiarla troppo).

Ci tengo a precisare che è veramente tanto tempo che non scrivevo, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per mancanza di ispirazione, perciò non so cosa ne è venuto fuori.
La storia mi è venuta in mente quando per caso mi sono imbattuta in una poesia che studiai al liceo tanto tempo fa. Si tratta di “L’amica di nonna Speranza”, di Guido Gozzano. È una poesia molto carina, se non la conoscete vi consiglio di andare a leggerla :)
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. E spero di non aver fatto errori. Per quanto possa leggere e rileggere per ricontrollare me ne sfugge sempre qualcuno.
Un abbraccio.

 

  
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