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Autore: ___MoonLight    18/03/2018    1 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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32

 

 

It can only get better







"Can you tell me a story without any words
Then mold me misshapen from the soaking dirt
Keep feeding me courage that I don't deserve
So I don't feel broken like I have no worth"

[I'll Survive – Seether]





2 Maggio, Villa Stark

Tony Stark era abituato ad avere belle donne in casa e difficilmente si trovava in imbarazzo col gentil sesso. Dopotutto, aveva passato una vita ad affinare il suo charme da Casanova, e in quel momento avrebbe anche avuto un discreto bisogno di una compagnia femminile, anche se preferibilmente non alle sette e mezzo di mattina. Ma quando si affacciò intontito dal sonno in salotto e si ritrovò Nataša Romanov seduta tranquillamente sul divano, senza che neanche JARVIS avesse ritenuto necessario notificare la sua presenza, il suo livello di sconcerto e disagio schizzò improvvisamente alle stelle. Certo, era abituato ad avere donne in casa... ma all'epoca non aveva due arti meccanici e un occhio in meno che attiravano l'attenzione nei punti sbagliati. Ed era meglio dimenticare la sua ultima esperienza in merito.
«Immagino che tu sia la "fisioterapista",» esordì quindi a mo' di saluto, terminando la frase in uno sbadiglio e fermandosi sulla soglia della sua camera per riposare la gamba formicolante.
«Buongiorno anche a te, Stark,» replicò lei senza scomporsi, e alzò appena la testa dal libro che stava leggendo.
«Sì, sì, è proprio una bella giornata. Chi non vorrebbe avere un risveglio del genere...» borbottò lui in risposta, indeciso se lasciare il sostegno sicuro dello stipite e avvicinarsi o se rimanere a debita distanza da quella che era comunque una spia dello SHIELD addestrata a uccidere. «Quando Ian mi ha parlato di una "professionista" non pensavo intendesse te,» commentò poi, trattenendo un altro sbadiglio.
Nataša chiuse il libro con uno schiocco secco e lo poggiò sul tavolino da caffè, trapassandolo coi suoi occhi chiari e gelidi.
«Mi avevano detto che eri molto motivato a intraprendere la riabilitazione,» osservò piattamente, in vago tono di rimprovero.
Tony si passò una mano sul pizzetto e sfuggì il suo sguardo, puntando il proprio sulla vetrata.
«Non mi aspettavo che sentiste ancora il bisogno di tenermi d'occhio. Tutto qui,» precisò, con cenno infastidito del capo.
«Che tu ci creda o no, non è quello il mio compito. Non solo, almeno.»
Tony si lasciò sfuggire un verso di scherno, ma non replicò. Non si era certo aspettato di riconquistare la fiducia di Fury semplicemente facendo il bravo per qualche settimana, ma la sua apparente paranoia nei suoi confronti cominciava davvero a infastidirlo.
«Penso di poter sopportare una spia in casa, se mi aiuta a rimettermi in piedi come si deve.» 
Si staccò appena dal muro e face leva sulle stampelle per mantenersi in equilibrio come gesto esplicativo. 
«Non mi ci vedo molto a indossare l'armatura in queste condizioni. Mi toglierebbe mille punti allo stile.»
Nataša non commentò, ma gli parve di vedere un'ombra di disagio passare sul suo volto. Giusto: ormai era quella l'impressione che faceva alla gente. 
Si decise ad avvicinarsi a balzelloni fino al divano usando la gamba sana come appoggio e si sedette al capo opposto di Nataša per far riposare il moncherino, poggiando le stampelle per terra. Poteva sentire il suo sguardo posarsi di sottecchi su di lui, come un ricercatore che osserva il comportamento anomalo di un animale ferito. Represse il suo fastidio, ripetendosi che era solo un'impressione errata del suo orgoglio già abbastanza malandato. E aveva il coraggio di chiamare Fury paranoico...
Notò anche che di tanto in tanto
fissava il punto dove, un tempo, c'era stato il muro divisorio tra l'atrio e il salone. Non aveva bisogno di spiegarle la sua assenza: aveva probabilmente già letto tutti i rapporti riguardo all'incidente con Hulk e lui non aveva davvero intenzione di rivangare l'episodio.
Si trattenne dal chiederle come stessero gli altri. O cosa ne pensassero di lui. In realtà riusciva a immaginarlo senza fare grandi sforzi di fantasia: Rogers che lo biasimava, Banner che ridiventava verde solo a sentir parlare di lui, Thor disgustato da quello che riteneva probabilmente un atto vile, Clint che riprendeva a disinteressarsi di tutto ciò non riguardasse arco e frecce, Fury che puntava una batteria di missili su Villa Stark "per sicurezza", Coulson che si pentiva del giorno in cui aveva pensato di candidarlo per il progetto e Pepper... frenò il suo flusso di coscienza. Non voleva davvero sapere cosa ne pensasse di lui.
Sollevò lo sguardo su Nataša. Chissà cosa ne pensava lei, piuttosto. Nulla di positivo, a giudicare dalla sua aria decisamente scocciata e dai suoi modi freddi quanto un vento siberiano. D'altra parte, dubitava di averla mai vista con un atteggiamento diverso.
«Quanto rimani?» chiese infine, per rompere il silenzio.
«Questo dipende da te,» ribatté seccamente lei. «Non più del necessario per riportarti in uno stato fisico decente.»
Tony si sdraiò sul divano con la testa sul bracciolo, rivolto nella sua direzione; dovette sollevare manualmente la gamba artificiale rigida e inerte.
«Peccato. Mi mancava un po' di compagnia,» commentò malizioso, sogghignando nel notare lo sguardo inviperito della donna. «A prescindere da quanto rimarrai, è tutto a tua disposizione,» continuò poi, con un ampio gesto ad indicare la villa. «Io passo comunque la maggior parte del tempo in laboratorio e mi nutro d'aria e clorofilla.» 
Fece un sorriso ironico, ma non era poi così lontano dalla verità.
«Farò buon uso della sala cinema, della piscina e dell'impianto stereo, allora,» commentò lei con aria falsamente civettuola. «Anche se non credo che pernotterò spesso qui. Sono comunque un agente operativo con missioni di livello S da svolgere,» sottolineò più seriamente, a riprova del fatto che quella "missione-baby-sitter" era un fuori programma.
«Potrei convincerti, con un po' d'impegno,» insistette Tony, sfoggiando un sorriso dissoluto.
«Stark.»
«Va bene, va bene. Peggio per te,» sbuffò lui, fingendosi offeso e alzando le mani in segno di resa.
Il suo braccio emise un cigolio penetrante che fece socchiudere appena gli occhi a entrambi, e Tony lo riabbassò con cautela, sentendosi di nuovo osservato. Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Nataša si alzò e si avvicinò alla vetrata che dava prima sul terrazzo e poi sull'oceano luccicante. Era una bella giornata di inizio maggio e il sole aveva già riscaldato i vetri, rendendo l'ampio salone meno freddo del solito, illuminandolo di una luce dorata.
«Ti mancherà pure la compagnia, ma di sicuro non ti manca lo spazio,» commentò lei, quasi sovrappensiero.
«Spazio vuoto,» puntualizzò lui a denti stretti.
Si chiese se quella fosse una frecciatina per valutare la sua situazione emotiva; in quel caso non aveva intenzione di dare adito ad altre domande, visto che non sapeva neanche lui quale fosse. Sicuramente in condizioni migliori della sua situazione sessuale, concluse distogliendo a fatica lo sguardo dalle curve di Nataša. Lei ne era probabilmente consapevole, ma continuò a guardare oltre la vetrata evitando gentilmente di piantargli un meritato coltello in testa. Gli faceva strano non vederla in divisa e armata, vestita semplicemente in jeans e t-shirt. Più probabilmente, aveva davvero una decina di pugnali nascosti qua e là.
Si chiese se avesse svolto missioni di recente. Quell'incarico doveva sembrarle una vacanza in confronto a quelli che era abituata a svolgere; anche se, conoscendosi, l'avrebbe probabilmente fatta ricredere su quel punto.
«Toglimi una curiosità,» disse all'improvviso, non riuscendo a trattenersi oltre.
Nataša si voltò verso di lui, in attesa di una domanda che probabilmente si aspettava e che Tony non sapeva come porre. Negli ultimi tempi aveva iniziato a ponderare con più attenzione le proprie parole, ma la cosa gli riusciva ancora difficile, soprattutto per la carenza di interlocutori. E aveva pur sempre passato una vita intera a dare voce a tutto ciò che gli passava per la testa, più o meno senza conseguenze.
«Perché proprio tu?» disse infine, non riuscendo a trovare altro modo per formulare il suo pensiero. «Non fraintendermi, ma...» si affrettò a correggersi, ricordandosi di colpo che non stava parlando con una donna normale, ma con un'ex-assassina biopotenziata del KGB che aveva già tutti i buoni motivi per ridurlo al silenzio.
«Mi sono offerta io,» lo sorprese lei con schiettezza, ignorando il modo abbastanza goffo in cui si era espresso.
Lui rimase interdetto. Qualcosa non gli tornava.
«Quindi Ian ti ha...» si interruppe ancora più confuso, rendendosi conto di un ingranaggio mancante nel suo ragionamento.
«Il dottor Mitchell si è attenuto alla procedura, ovvero passare a noi qualunque questione riguardasse la tua salute e potesse coinvolgere altre persone oltre ai membri approvati dalla SHIELD,» sciorinò tranquillamente lei.
Tony reclinò la testa sul bracciolo del divano e incrociò le braccia, limitandosi a guardarla mentre assorbiva l'informazione.
Davvero ci era arrivato solo adesso?
«Non mi dire che non te lo eri immaginato.» 
La voce di Nataša era sinceramente stupita. Lui alzò le spalle sentendosi ottuso, una sensazione che ultimamente si trovava a provare un po' troppo spesso.
«Ho avuto altro a cui pensare,» tagliò corto. «Adesso mi sembra ovvio.» aggiunse, con un sospiro seccato.
Si ravviò i capelli, meditando su quell'informazione.
«Immagino che anche K sia stato "approvato" dall'eminenza grigia, prima di essere assunto,» commentò con improvvisa consapevolezza.
Nataša si limitò ad annuire e Tony si accigliò di nuovo.
«Pensavo che il Doc volesse tenere le distanze da voi.»
«L'ha fatto nei limiti del possibile. Abbiamo contattato il dottor Mitchell non appena hai messo piede in ospedale e da quel momento l'abbiamo monitorato e abbiamo vagliato tutte le sue proposte, incluso il signor Andrews. Era una situazione delicata: non potevamo permettere che persone inaffidabili venissero coinvolte negli affari dei Vendicatori o si avvicinassero a te e alle tue tecnologie,» spiegò con un'ovvia scrollata di spalle. «Assieme alla signorina Potts abbiamo anche fatto in modo che le tue industrie non piombassero nel caos o sfuggissero al tuo controllo – cosa che stiamo facendo anche ora. Magari saremmo anche riusciti a tenere segreta la tua identità, se non avessi voluto dare spettacolo al processo.»
Tony rifletté su quelle parole, rendendosi conto di quanto lavoro fosse stato portato avanti alle sue spalle mentre era impegnato a... a fare cosa?
Autodistruggersi?
Si passò una mano sul volto e rimase pensoso per qualche istante. Si accorse che la cosa non lo infastidiva più di tanto. Forse qualche mese prima avrebbe dato in escandescenze per essere stato spiato tramite persone che riteneva fidate a lui soltanto, ma adesso riusciva a provare solo una vaga ammirazione per la lungimiranza di Fury. Certo, gliel'avrebbe rinfacciato a vita, ma avrebbe potuto fare di peggio, dati i precedenti. Per esempio rinchiuderlo sull'Helicarrier nella gabbia a prova di Hulk.
Con Hulk.
Scosse la testa e infine gli sfuggì una risatina.
«Va bene, sono un idiota,»
ammise rassegnato ma allo stesso tempo divertito prima di riprendere a fissare Nataša, sorpresa dalla sua reazione bonaria.
Si stupì lui stesso della disinvoltura con cui riusciva a parlare con lei, poco più che una perfetta sconosciuta. Non era mai stato in alcun modo un tipo riservato, ma dal suo incidente aveva preso a relazionarsi in modo teso con chi lo circondava o, al contrario, con finta ed eccessiva giovialità. Anche con Pepper non era riuscito a mantenere quel rapporto spontaneo che amava. Il pensiero lo intristì, ma non lo diede a vedere e si costrinse a tornare al presente.
Con Nataša aveva sempre adottato un atteggiamento giocoso che lei ricambiava con circospezione; era ben diverso dalle frecciatine che si scambiava con Cap e dall'umorismo pacato che usava con Banner. C'era un'intesa diversa tra loro ed erano un buon team durante le missioni; nonostante sul campo si trovassero spesso in contrasto e non amassero il lavoro di squadra, lei riusciva a tenergli testa senza troppi problemi e senza la spocchia altezzosa di "Capitan Giustizia", e di rimando lui la rispettava in quanto agente in gamba ed estremamente più competente di lui nell'ambito del loro operato.
Adesso era contento che fosse lì, in modo imposto o meno.
Il senso di solitudine si era fatto più intenso dopo il processo e la calma che l'aveva seguito, e in quella settimana Kyle l'aveva chiamato solo una volta; Mitchell aveva rimandato la visita per un "impegno di lavoro" improvviso – adesso capiva quale: probabilmente era stato costretto a farsi un giro sull'Helicarrier per una riunione logistica. Il fatto che sprecassero risorse per seguirlo lo faceva ben sperare: Fury doveva aver capito che rinunciare al suo potenziale e ai suoi contributi poteva rivelarsi deleterio.
«Quindi ti sei offerta volontaria perché sei molto buona o è un modo carino per dire che avete tirato a sorte?» continuò Tony, con lo stesso tono tranquillo e un mezzo sorriso.
«Nessuna delle due cose, in realtà,» rispose infine Nataša, come sempre in modo indecifrabile. «Diciamo che non ero la persona più qualificata ad assumere l'incarico, ma ero l'unica disposta a farlo. E Fury ha insistito per mantenere la cosa il più circoscritta e controllata possibile, senza coinvolgere altri membri esterni allo SHIELD.»
"Dopotutto
è paranoico..."
«Se riprendessi ad organizzare feste con un minimo di duecento invitati gli prenderebbe un colpo, allora,» scherzò senza pensare.
Lei dovette notare l'uso del "se" e non del "quando", ma non commentò, e anche lui evitò di correggersi.
«Quindi... oltre ad essere una spia internazionale sei anche una personal trainer?» continuò in fretta, rendendosi conto del modo penetrante in cui l'aveva fissato Nataša.
«Non proprio. Diciamo che ho una certa familiarità con la ginnastica e la riabilitazione. Ma teoricamente il motivo è top-secret.»
«Teoricamente,» puntualizzò Tony, non nascondendo la sua curiosità.
Nataša sospirò e sembrò agitarsi, come se volesse chiudere lì la questione, poi replicò con un rapido sorrisetto:
«Dovrai guadagnarti queste informazioni. Prendilo come un motivo per impegnarti.»
«Pensavo che voler riprendere a camminare e vivere normalmente fosse una motivazione sufficiente.»
«
Melius est abundare quam deficere.» enunciò lei, lasciandolo inebetito per qualche istante.
«JARVIS?» capitolò infine, sotto lo sguardo sornione della donna.
«La signorina Romanov le fa notare che, vista la sua scarsa costanza, sarà meglio per lei avere più di un incentivo per dedicarsi interamente alla riabilitazione,» rispose monocorde il maggiordomo.
«Non sono sicuro che abbia detto
proprio questo.» 
Tony si tirò il pizzetto meditabondo, trovando conferma dei suoi sospetti nell'espressione divertita di Nataša; si chiese da quanto l'intelligenza artificiale avesse riattivato in modo autonomo il chip dell'umorismo. Scacciò i suoi improvvisi sospetti riguardo a un'imminente ribellione delle macchine e si decise a riprendere le stampelle, alzandosi con sforzo dal divano. Nataša non si avvicinò per aiutarlo e lui apprezzò la cosa: nonostante l'ovvia difficoltà che incontrava e la sua lentezza, era in grado di spostarsi in modo più o meno autosufficiente per qualche metro.
«L'unica cosa che so in latino è "
tempus fugit". Uno dei mille motti di mio padre,» aggiunse un po' acidamente mentre attraversava l'atrio. «Per una volta sono d'accordo con lui,» concluse, chiamando l'ascensore per scendere in palestra.


***


La sala era buia e c'era odore di chiuso. L'unica fonte di luce erano le finestre sulla parete di fondo, poste in alto e al livello del terreno. JARVIS attivò subito i neon, che sfarfallarono per qualche secondo prima di stabilizzarsi, rivelando la palestra privata di Villa Stark. Non era enorme come sembrava a prima vista, ma ospitava tutto il necessario per tenersi in forma, nonostante anche normalmente Tony usasse di rado gli attrezzi. Oltre alle panche, ai bilancieri e a un tapis roulant, al centro della stanza troneggiava un ring circondato da sacchi da boxe e manichini. Nonostante fossero passati diversi mesi dall'ultima volta che era entrato lì dentro, tutto era piuttosto pulito: il sistema di pulizie della villa aveva funzionato a dovere.
Nataša si guardò intorno con aria interessata.
«Direi che abbiamo tutto ciò che ci serve,» commentò soddisfatta, puntando le mani sui fianchi.
«Iniziamo subito?»
Tony non voleva sembrare impaziente, ma effettivamente non vedeva l'ora di mettersi all'opera. Quei mesi di inattività forzata iniziavano a farsi sentire: l'aveva già visto nei vari collaudi delle protesi, soprattutto quella inferiore. Era anche piacevole staccare per un po' dal lavoro mentale per dedicarsi a quello fisico; e poi spesso gli era capitato di avere intuizioni brillanti proprio quando era distrutto dalla fatica di una missione o di un allenamento. Era da un po' che sperava in un'illuminazione che gli permettesse di migliorare ulteriormente le protesi, che da qualche settimana languivano nel medesimo stato. Anche per quello si era convinto che intraprendere la fisioterapia fosse lo step successivo più ovvio e naturale.
«Non vedo perché aspettare,» concordò Nataša, dopo un istante di riflessione. «Vai a cambiarti,» gli intimò poi, accennando in modo eloquente alla t-shirt XL rosso-oro e ai bermuda che usava come pigiama. «Io do un'occhiata in giro,» disse, puntando con decisione una cesta con degli attrezzi ginnici nell'angolo.
Tony non se lo fece ripetere e zoppicò fino al piccolo spogliatoio adiacente alla palestra. Si appoggiò al suo armadietto per alleviare il peso sulla protesi e lo sbloccò con l'impronta del pollice, sperando che dentro fosse rimasto almeno un cambio pulito. Recuperò con successo un paio di pantaloncini e una canotta, gettandoli sulla panca lì accanto; stava per richiudere lo sportello quando notò altri vestiti appallottolati sul fondo. Li ripescò con l'intenzione di metterli a lavare, ma il suo gesto si congelò quando si accorse che era una delle tute aderenti che indossava sotto l'armatura.
Non ricordava neanche perché fosse lì dentro. Forse era tornato da una missione con ancora abbastanza energia per tirare qualche pugno al sacco. Magari voleva tenerne una a portata di mano in caso d'emergenza. Davvero non riusciva a ricordare. La sua stretta sul tessuto sintetico aumentò brevemente, poi la allentò di colpo e lasciò ricadere la tuta sul fondo. Chiuse l'armadietto con più forza del dovuto, poggiandovi poi contro la fronte.
Aveva perso e stava perdendo così tanto tempo...
Si sedette sulla panca sentendosi improvvisamente la testa pesante.
Tra le tante preoccupazioni che cercava di gestire, Iron Man si era sorprendentemente rivelata la più semplice da ignorare. Si era convinto a intraprendere la strada verso il suo ritorno un passo alla volta – aveva sperimentato cosa volesse dire accelerare i tempi e non sarebbe riaduto nello stesso errore – ma a volte la consapevolezza della sua assenza come supereroe lo frastornava e avrebbe voluto tutto, subito. Le sue evidenti limitazioni continuavano ad assillarlo e anche se riusciva a controllare la frustrazione molto meglio di prima ciò non gli rendeva più facile accettarle. Spesso gli rimbombavano in testa le parole di Rogers: "non ci serve un mezzo supereroe, tantomeno un mezzo uomo". Con la riabilitazione avrebbe scoperto finalmente cosa significasse di preciso quell'espressione.
Una morsa gli strinse il petto, familiare, e lottò per dissiparla. Si fissò le mani, coi palmi rivolti verso l'alto. Una rosea e piena, segnata da calletti, cicatrici sottili e scottature, l'altra grigia e leggermente asimmetrica, lucida sotto la luce del neon. Percepiva distintamente il dolore costante ai moncherini e al volto, memento costante delle proprie mancanze.
Prese un respiro profondo.
Ricacciò indietro quella massa scura che intravedeva dentro di sé, la soppresse sul nascere. La sua mano sinistra era scossa da un leggero fremito, la destra era immobile, fredda. Strinse con forza i pugni; la protesi eseguì con qualche istante di ritardo, più goffa e pesante, ma si mosse ed obbedì con un sibilo di giunture meccaniche.
Lasciò andare il fiato e percepì il petto rilassarsi.
Aprì e chiuse di nuovo i pugni con più convinzione, sentendo il proprio respiro che si calmava. Adesso era davvero tutto nelle sue mani.
"Da qui, può solo migliorare."


***


«Ci hai messo un po',» commentò Nataša, vedendo Tony che zoppicava verso di lei poggiandosi pesantemente sulle stampelle.
Lui sfoggiò un sorrisetto poco convincente, contornato da pieghe rigide.
«Volevo presentarmi al meglio per non sfigurare,» la blandì, e per un'attimo l'ombra del miliardario playboy si riaffacciò sul suo volto, prima di abbandonarsi poco aggraziatamente sulla panca di un bilanciere.
Adesso le protesi erano del tutto scoperte e Nataša si rese conto di quanto sembrassero massicce in confronto al resto del corpo dimagrito. Il braccio sembrava in uno stadio di progettazione più avanzata: era del tutto ricoperto da una placcatura antracite e solo una sezione dell'avambraccio lasciava intravedere i circuiti e i componenti sottostanti, probabilmente per permettergli di ricalibrarlo sul posto al bisogno. La mano era un po' tozza e rigida nei movimenti ma abbastanza funzionale da permettergli di imbracciare la stampella con fermezza. Forse troppa, a giudicare dall'impugnatura deformata e placcata in metallo per renderla più resistente. La gamba invece era poco più di una struttura metallica rudimentale, con fasci di cavi scoperti e giunture in vista. L'unica parte che sembrava prossima al perfezionamento era il piede, la cui articolazione sembrava decisamente più curata rispetto a quella del ginocchio, poco più di una sfera mobile piazzata a far da collegamento tra coscia e polpaccio.
Nataša aveva notato che anche quando "camminava" con l'aiuto delle stampelle la protesi inferiore rimaneva rigida, come se avesse una gamba ingessata più d'ostacolo che d'aiuto. Il braccio doveva aver subito un collaudo più lungo e aveva movimenti goffi ma più naturali. Sicuramente rompere ripetutamente le protesi a causa della miccia corta del loro ideatore non aveva giovato al loro sviluppo.
Era evidente che gli facessero entrambe molto male, ma era anche impressionante che riuscisse a spostarsi così speditamente dopo poco più di quattro mesi dall'incidente senza un aiuto esterno. Certo a questo contribuivano molto il suo orgoglio e la sua testardaggine, che però si erano attenuati dall'ultima volta che l'aveva visto. Sembrava aver smorzato anche il suo solito sarcasmo. Clint le aveva accennato un presunto "cambiamento" di Tony, ma non l'aveva preso troppo sul serio, nonostante il suo compagno si sbagliasse raramente a inquadrare qualcuno. Sicuramente il nuovo atteggiamento di Stark era ancora in fase di collaudo, visto il repentino cambio d'umore.
Ed era certa che ciò che aveva in mente di fargli fare non l'avrebbe rallegrato.
«Allora? Da dove cominciamo? Flessioni? Addominali? Devo rimettere in sesto anche loro...» commentò Tony, sollevando appena la maglietta per farle constatare la ritirata dei muscoli e l'insolita magrezza.
Oltre il suo tono scherzoso era chiaro che non avesse perso la sua determinazione.
"O la va, o la spacca," pensò lei, rassegnata.
«Prima di tutto, togliti le protesi.»
Tony la fissò stolidamente, preso in contropiede, ma Nataša non mosse un muscolo e continuò a fissarlo in paziente attesa. A quel punto l'espressione di Tony si fece infastidita. Lei non si scompose: se l'era aspettato. Le cose partivano male fin da subito.
«È proprio per muovere queste,» Tony si sforzò in modo encomiabile di mantenere la calma e accennò in particolare alla gamba, «che ho deciso di fare fisioterapia.»
L'unica reazione di Nataša fu un fugace movimento degli occhi verso l'alto, al che il volto di Tony divenne livido. Fece per tornare alla carica, ma la donna lo anticipò:
«Cominciare con quelle addosso sarebbe inutile,» disse piattamente. «È il tuo corpo ad avere bisogno di esercizio. A muovere le protesi penseremo dopo, quando avrai recuperato un po' di tono muscolare.»
Lui esitò. Sembrava turbato dall'aver considerato le protesi parte integrante del suo corpo. Nataša lo osservò senza mettergli fretta. La questione stava filando anche troppo liscia: si era aspettata come minimo un accesso di rabbia.
Dopotutto aveva davanti il genio che aveva attaccato briga con Capitan America e Hulk. Tony le scoccò un'ultima occhiata risentita, poi si chinò a rimuovere la gamba, sbloccando le sicure e tirando con cautela. Fece una smorfia quando il metallo si staccò dai contatti con un rumore di sottovuoto aperto. Poggiò delicatamente la protesi accanto a sé e fece cenno a Nataša di avvicinarsi.
«Reggi il braccio,» bofonchiò senza guardarla, cercando a tentoni le sicure sulla clavicola e dietro la spalla con la sinistra, premendole con un po' di difficoltà con pollice e medio.
Un altro schiocco, e il braccio ricadde inerte tra le mani della donna, che lo posò con accortezza accanto alla gamba percependone il notevole peso. Tony ruotò un paio di volte la spalla destra adesso stranamente leggera e iniziò a percepire un vago formicolio al moncherino inferiore, sospeso nel vuoto. Si mise di traverso sulla panca per appoggiarlo, attendendo nel frattempo istruzioni da Nataša, che sembrava meditabonda, ma che forse gli stava solo dando tempo per abituarsi alla situazione anomala.
Non si toglieva le protesi da... da quel giorno, in effetti. Un forte vuoto al petto seguì quella realizzazione. Per scacciare il pensiero si chinò a sistemare un paio di cavi sporgenti dalla piastra d'aggancio inferiore. All'improvviso qualcosa lo pungolò dolorosamente in mezzo alle scapole, facendogli raddrizzare di scatto le spalle incurvate. Si voltò di scatto verso Nataša, fulminandola, e lei ricambiò con aria sfacciata senza togliere il dito dalla sua schiena e, anzi, opponendo resistenza per mantenerlo in posizione.
«Cominciamo dalla postura,» disse semplicemente, liberandolo infine dalla pressione.
Tony sbuffò, ma si impegnò a tenere diritta la schiena, cosa decisamente meno stancante senza il peso del braccio meccanico. Non si era neanche accorto di essere così incurvato, e percepì il petto farsi più ampio grazie a quel piccolo cambiamento. Guardò di sottecchi le protesi accanto a lui e Nataša se ne accorse, sfoggiando un sorrisetto.
«Uno a zero per te,» concesse Tony, controvoglia. «Spero che la sessione di oggi non si riduca a questo.»
Il sorriso di Nataša si allargò nel porgergli un oggetto che aveva accuratamente tenuto nascosto dietro la schiena fino a quel momento. Lui si ritrasse d'istinto.
«No, mettila lì, odio che mi si porgano le cose,» protestò, indicando la panca e fissando con malcelato sconcerto la pallina di gomma blu dinanzi a lui.
«Seriamente?» sospirò lei, ma eseguì comunque la sua richiesta.
Tony prese la pallina con la cautela che avrebbe riservato a delle scorie radioattive e la tenne sollevata tra due dita, fissandola con evidente scetticismo.
«Spero sia uno scherzo,» commentò «Mi hai fatto togliere le protesi per giocare con una pallina?»
A questo punto Nataša si accigliò e il suo viso assunse delle ombre spigolose.
«Ti aspettavi di boxare sul ring alla prima sessione di fisioterapia?» chiese pungente, scrutandolo significativamente da capo a piedi.
«Qualche flessione mi sarebbe andata benissimo,» rispose lui tra i denti, ma allo stesso tempo lo sguardo gli cadde sul suo braccio sano e si incupì.
Di nuovo, la consapevolezza di quanto fosse diventato fragile lo colpì nel vedere quanta tonicità avesse perso. Fletté appena il bicipite e la differenza che percepì fu minima, quasi ridicola. Strinse una volta la pallina nel palmo, trovandola più resistente del previsto, e già avvertì un fastidio all'avambraccio. Guardò di nuovo la donna che continuava a fissarlo inespressiva, ma con una certa sicurezza che gli fece capire quanto fossero prevedibili le sue reazioni.
Sospirò e fissò quella stupida pallina blu in silenzio, in attesa.
«Fanne tre serie da trenta,» gli intimò Nataša, capendo che non avrebbe più opposto resistenza. «E dopo prova ad usare questo,» e gli poggiò accanto un manubrio a molla per allenare la mano. «Poi passeremo alla gamba,» concluse.
«E tu?» le chiese, inarcando un sopracciglio inquisitore.
«Io me ne starò qui a controllare che tu non batta la fiacca e a farmi i fatti miei,» cinguettò lei in tono falsamente amabile.
Si sedette sulla panca di fronte alla sua sulla quale era poggiato il libriccino nero di poco prima, che riprese a leggere intentamente. Tony compresse la pallina tre volte, contando a mente, ma fu subito interrotto dalla voce di Nataša:
«Stringila a fondo. E tieni dritta quella schiena,» aggiunse minacciosa, scoccandogli un'occhiata da sopra le pagine.
Tony si affrettò ad eseguire alzando l'occhio al cielo, col braccio già indolenzito. Sarebbe stata una lunga prima sessione.


***


2 Maggio, 21:45, Villa Stark

«... la Casa Bianca non si esprime. La Guardia Nazionale ha sospeso lo stato di emergenza in Nuovo Messico e smentisce l'ipotesi di una possibile minaccia agli Stati Uniti. La situazione sembra essere tornata alla normalità e...»
«JARVIS, almeno quando mangio vorrei non dover pensare alla sicurezza mondiale,» sospirò Tony, masticando con poco gusto il suo riso condito alla meglio con un po' di salsa di soia.
Il televisore della cucina si sintonizzò su un canale di documentari naturalistici, mostrando una veduta aerea di una foresta tropicale accompagnata da una voce narrante vagamente melodrammatica.
«Ecco, questo è più rilassante. Muto,» ordinò subito dopo, deglutendo a fatica l'ultimo boccone con un sorso di clorofilla.
Si sentiva più che sazio e in realtà avrebbe volentieri saltato la cena, ma quando Nataša aveva realizzato che "nutrirsi d'aria e clorofilla" non era una metafora gli aveva intimato di mangiare qualcosa che fosse vero cibo, se non voleva stramazzare a terra al secondo giorno di riabilitazione.
Quella prima sessione non era stata particolarmente faticosa, ma iniziava ad accusare i muscoli degli arti sani e degli addominali in fiamme. E la prospettiva era un'intera settimana di esercizi di allungamento e rinforzo. Sbuffò al solo pensiero, ma d'altronde cosa ne capiva, lui, di riabilitazione? Nataša invece, da quel poco che era riuscito a evincere dalle sue risposte sibilline, sembrava avere dimestichezza con esercizi ginnici di vario genere, particolarmente utili per la sua schiena decisamente squilibrata dalle protesi. Non si spiegava il nesso tra la ginnastica e il KGB, ma si era ripromesso di indagare – anche per conto suo, se necessario.
Fece per prendere il cellulare dalla tasca con la destra e si rese conto di non percepire il movimento del braccio. Una spiacevole sensazione di
deja-vù lo colpì, facendolo sudare freddo per qualche istante, prima di ricordarsi di non avere la protesi attaccata al corpo. Aveva deciso in modo autonomo di limitare in generale l'utilizzo del braccio finché non l'avesse alleggerito: a detta di Nataša, a lungo andare gli avrebbe deformato in modo permanente la schiena col suo peso, e lui non aveva alcuna intenzione di diventare Quasimodo, visto che esteticamente era già sulla buona strada. Ciononostante, svolgeva alcune azioni con la destra d'istinto, e ogni volta riviveva quegli attimi terrificanti in ospedale, quando aveva realizzato di aver perso il braccio. Insieme a tutto il resto.
Prese il cellulare con la sinistra, col cuore che ancora batteva più concitato del normale per lo spavento, e constatò di non avere messaggi né chiamate. A ricambiare il suo sguardo c'era solo il sobrio logo delle Stark Industries che aveva come sfondo, in sostituzione di quello di Iron Man che aveva abbandonato da mesi. Meditò se chiamare Kyle, ma era già piuttosto tardi, e poi avrebbe sicuramente portato il discorso sul processo... o sull'altra valanga di problemi. Non si sentiva in vena di affrontare argomenti impegnativi. Nataša era uscita un paio d'ore prima, probabilmente per qualche incarico dello SHIELD, e dubitava che sarebbe tornata prima della sessione dell'indomani. In generale sembrava volersi trattenere a Villa Stark lo stretto indispensabile per tenerlo d'occhio.
Il suo sguardo tornò allo schermo del televisore, stavolta occupato da una distesa arida e sabbiosa mossa dalle dune. Spense turbato il dispositivo.
Privo di altre occupazioni, si decise ad assolvere il compito più fastidioso della giornata e tirò fuori dalla tasca il rilevatore di tossicità. Dopo qualche secondo e un pizzico al dito, un tranquillizzante 14% lampeggiò sullo schermo. Scostò il colletto della maglia per osservare l'area attorno al reattore, ma non riscontrò alcun cambiamento. Le venature plumbee erano ancora lì, sottili e diafane, né più né meno di prima. Diede un colpetto al reattore arc, quasi una pacca d'incoraggiamento, prima di riporre in tasca il rilevatore. Rimase seduto al tavolo ancora per qualche istante, prima di imbracciare la stampella e alzarsi cautamente. Era sempre difficile mantenere l'equilibrio senza l'aiuto della protesi anteriore, ma riuscì ad arrivare più o meno integro alla sua camera, dove si lasciò sprofondare sul letto sentendosi improvvisamente esausto.
Rimase però a fissare la sveglia sul comodino, osservando i secondi che lampeggiavano nel buio trasformandosi in minuti. Aveva già capito che sarebbe stata un'altra notte insonne. Non capiva da dove provenisse quella sua angoscia sommersa. Era stata una giornata positiva, no? Aveva finalmente iniziato la riabilitazione. Magari passare il tempo a stringere palline e tendere elastici non era esattamente entusiasmante, ma necessario.
Era un passo avanti.
Di nuovo lo artigliò quella sensazione di impotenza, di lentezza inevitabile. La ignorò. Non poteva accelerare ancora: quello era il massimo che gli era concesso.

Serrò i denti. Sapeva che quei pensieri erano sbagliati e tossici: perché non riusciva a scacciarli? C'era una parte di lui che avrebbe voluto mettersi l'armatura e decollare così com'era ridotto per vedere cosa sarebbe successo.
Magari avrebbe funzionato. Poteva essere la soluzione che cercava: usare
subito Iron Man.
Sentì un vuoto allo stomaco al pensiero, come quello che provava quando spiccava il volo, e il suo cuore accelerò i battiti. I pensieri aumentarono d'intensità nella sua testa, sembrando insensatamente convincenti ad ogni secondo che si lasciava inebriare da quella prospettiva. Perché non avrebbe dovuto funzionare? Non poteva esserne sicuro se non ci provava.
Se avesse indossato l'armatura per volare
adesso...
"Ti schianti. Ecco cosa succede." 
La realizzazione s'infranse nella sua mente assieme ad Iron Man, annientando quelle riflessioni pericolose.
Si girò sul fianco sano per smettere di fissare la sveglia, tirandosi il lenzuolo sopra la testa.



***


4 Maggio, Villa Stark

«Oh, sono sicurissimo che al corso per aspiranti spie vi facessero fare roba del genere!» esclamò Tony tra i denti, mentre stava a gambe – si fa per dire – incrociate con il braccio teso verso l'alto, sentendosi un idiota.
«Era molto peggio, credimi. Adesso tendi il braccio verso l'esterno.» 
Nataša girò una pagina del suo libro. 
«E ringrazia di non dover fare esercizi sulle punte,» aggiunse, divertita.
Tony rimase a fissarla, sconcertato.
«Sulle punte? Ma che razza di...»
«Finisci la serie in silenzio e forse ne saprai di più,» lo stuzzicò lei.
«Di sicuro non ti hanno insegnato ad essere convincente,» ribatté lui sotto sforzo, cercando comunque senza troppo successo di allungare ulteriormente il braccio.
«Facciamo
due serie, allora.»
Tony imprecò tra i denti.


***


10 Maggio, Villa Stark

Il clangore della protesi che atterrava malamente a terra risuonò nella palestra insieme all'esclamazione soffocata di Tony. Si tirò su a sedere, un po' frastornato e decisamente dolorante.
«Direi che per oggi è sufficiente,» osservò Nataša facendo per avvicinarsi, ma Tony rifiutò il suo aiuto con un gesto brusco, issandosi da solo su una panca a forza di braccia.
«Ci riprovo,» ribatté caparbio, sfidandola a contraddirlo, cosa che lei fece puntualmente:
«Così ti riempirai solo di lividi, ti servono altri esercizi di coordinazione e rinforzo.»
«Altri?» ripeté lui, scettico. «Non ho fatto altro nell'ultima settimana, ma non mi sembra che ci siano stati miglioramenti!»
«Appunto. Per questo non mi sembrava una grande idea provare a camminare
adesso,» lo rimproverò Nataša, fissandolo con distacco.
Tony sostenne il suo sguardo.
«Prima o poi dovevo provarci.»
«Benissimo, ci hai provato. Ora torniamo alla nostra tabella di marcia con qualche acciacco in più.»
Tony le scoccò un'occhiata risentita. Nataša era stata estremamente severa e a tratti impietosa nel corso della riabilitazione, ma la cosa non lo aveva infastidito. Anzi, era quasi contento di non essere trattato come se fosse fatto di cristallo, nonostante l'avesse maledetta più volte quando lo obbligava a rimanere in posizioni sfiancanti o dolorose. Adesso però sentì un moto di rabbia nei suoi confronti : stava liquidando la questione con troppa superficialità. Aveva provato a camminare più volte e aveva fallito, ma se l'aspettava.
Per questo doveva riprovarci e riprovarci ancora.
Avrebbe voluto opporsi alla sua indifferenza, ma si costrinse a non reagire: non aveva senso inimicarsela.
Ci avrebbe riprovato; da solo, se necessario. Attese direttive, che non tardarono ad arrivare:
«Ruota la mano destra in una direzione e il piede destro in quella opposta.»
Le sue protesi fremettero a lungo, come impazzite di fronte a quell'ordine, finché non iniziarono a muoversi a scatti, totalmente scoordinate. Imprecò: ormai aveva perso la concentrazione.
«Ma se non riesco a farlo neanche con con gli arti buoni!» proruppe infine, frustrato.
«Ci hai provato per mezzo secondo.» 
La voce di Nataša vibrò di una nota fredda di fronte al suo atteggiamento indisponente.
«Beh, "direi che per oggi è sufficiente", no?» la scimmiottò stizzito.
Vide un lampo di rabbia passare negli occhi della donna e fu sicuro che stesse ponderando se minacciarlo o atterrarlo.
«Sono d'accordo,» rispose infine impassibile, prima di voltargli le spalle diretta all'uscita.
Probabilmente si era trattenuta dal picchiarlo solo per le sue condizioni già precarie. Tony si passò una mano tra i capelli, maledicendo la propria impulsività. Ne era passato di tempo, da quando aveva discusso con qualcuno... il ricordo gli lasciò l'amaro in bocca.
«Romanov, possiamo parlarne?» la trattenne in tono stanco, prima che varcasse la soglia.
La donna si fermò, squadrandolo guardinga. Lui sospirò.
«Lo so, ti aspettavi che tenessi il broncio fino a domani o che facessi una scenata, ma non ho tutto questo tempo da perdere. Quindi risolviamo la questione e torniamo al lavoro.»
Nataša sembrò fortemente indecisa tra ignorarlo e scagliargli un bilanciere addosso. Infine allargò le braccia, come a dire che non aveva molta altra scelta, e tornò sui suoi passi.
«Se è solo per chiedermi scusa, Stark, puoi risparmiarti...»
«Non è per chiederti scusa,» la interruppe, per poi rettificare all'istante, «Non che non voglia...» 
La sua occhiata lo convinse a tacere e lasciar cadere la questione. 
«Apprezzo quello che stai facendo, davvero, ma...»
quanto poteva essere ingrato? gli balenò in testa, «... mi sembra inutile.»
Nataša alzò entrambe le sopracciglia e perse una nota di colore in volto, ma lo lasciò continuare.
«Mi ero convinto che il problema fosse il mio corpo, ma adesso sto bene. O almeno, sto
molto meglio di prima,» cominciò, cercando di farle capire che era sincero.
In quel breve periodo aveva davvero ripreso un po' di tonicità e gli sembrava di essere meno affaticato e più resistente. Non era ancora lontanamente abbastanza, ma era un inizio.
«Il problema sono
queste,» sollevò il braccio prostetico, in un gesto quasi stizzito.
«Ci stiamo lavorando adesso,» osservò lei, di nuovo pacata.
«È inutile lavorare con qualcosa di incompleto. Fidati del comparto tecnico,» soggiunse, a bassa voce.
Nataša scosse la testa, guardandosi attorno come a cercare una risposta adatta a quell'osservazione.
«Con tutti gli esercizi che hai svolto, ormai dovresti essere in grado di muoverle meglio di così,» ammise infine.
«Ci ero arrivato anch'io.»
Lei rimase in silenzio per un po' dandogli modo di riflettere, cosa che lui apprezzò molto. Non sembrava essersela presa per il suo scoppio di poco prima. Anche lui si sentiva di nuovo in controllo di se stesso, ma ciò non lo tranquillizzava. Stava di nuovo perdendo tempo, tempo che sentiva di non avere e che rubava a chi ne aveva bisogno. Quante persone avrebbe potuto salvare fino a quel momento?
Di nuovo, riemerse quella morsa fredda che gli chiudeva il respiro. Si irrigidì senza volerlo e si costrinse a rilassare uno ad uno i muscoli contratti.
«Ho trascurato troppo le protesi,» rifletté poi ad alta voce. «Non ci sono stati progressi. Quindi non potrò farne neanch'io,» concluse a malincuore.
Era inutile cercare di negare il fatto che a quel punto dipendeva completamente dalle sue creazioni, anche se era una consapevolezza che iniziava a trovare disturbante.
«Vuoi tornare a dedicarti alla progettazione,» dedusse Nataša.
Tony annuì, pensoso.
«È l'unica cosa che posso fare,» mormorò, rendendosi conto che la prospettiva non lo attirava affatto.
Non aveva avuto alcuna "illuminazione", al contrario di quanto aveva sperato. Erano giorni che nelle pause della fisioterapia sedeva in laboratorio a fissare i progetti delle protesi, senza riuscire ad aggiungere né modificare nulla. Era come se non riuscisse più a capirle. Quando riusciva effettivamente a buttare giù qualche formula o ad effettuare qualche miglioria, si trovava a cancellarla o annullarla dopo pochi minuti, insoddisfatto. Per come le vedeva in quel momento le protesi gli sembravano complete, ma
sapeva che non era così. I suoi scarsi risultati nella fisioterapia ne erano la prova. Non era in grado di andare avanti, né mentalmente né fisicamente. Si sentiva arenato, o meglio in un mare in bonaccia senza alcun solido appiglio e l'idea di tornare a un periodo di stallo lo terrorizzava. Non si sentiva ancora abbastanza stabile per uscirne indenne.
Nataša lo osservò perdersi nelle sue riflessioni, notando quanto sembrasse stanco. Si era tenuta piuttosto in disparte nel corso della "questione Iron Man", pronunciandosi persino a suo sfavore riguardo alla sua permanenza nei Vendicatori, ma in fondo le dispiaceva per la piega che avevano preso le cose, e si era rallegrata nel sapere che sembrava aver ripreso le redini dei propri problemi. Quando le avevano detto del tentato suicidio era rimasta sinceramente scioccata: da un tipo come Stark, che ostentava un amor proprio e un narcisismo da manuale, non se lo sarebbe mai aspettato.
Si chiese quante facciate possedesse ancora quell'uomo, e quante volte ancora dovessero cadere prima che si decidesse a rinunciarvi. Di facciate, lei, ne sapeva qualcosa. E sapeva anche quanto fosse doloroso vederle infrangersi dinanzi ai propri occhi. Per questo trovava sorprendente vederlo in condizioni tutto sommato così buone, anche se era evidente che ormai era quasi l'ombra di se stesso. La facciata che indossava in quel momento sembrava molto più labile di quella che ricordava, come se la stesse ancora costruendo e testando, alla stregua delle sue invenzioni.
Nataša si trovò a chiedersi se, con qualcun altro al suo fianco al posto di una semplice conoscente e collega, sarebbe riuscito ad abbandonare quella farsa e riprendersi con più convinzione. Quando tornava sull'Helicarrier le capitava di incontrare Pepper, trovandola decisamente più cupa del solito. Sembrava piuttosto disinteressata alla sorte di Stark – e non poteva biasimarla – ma un paio di volte le era capitato di menzionarlo, per poi chiudere in fretta il discorso, lasciando intendere che il suo era un disinteresse piuttosto forzato. Magari con lei al suo fianco i suoi progressi sarebbero stati più rapidi. 
O forse sarebbe solo peggiorato ancor di più, chissà. Prima dell'incidente, l'imprevedibilità di Stark era così proverbiale da risultare paradossalmente più gestibile. Adesso era impossibile dire anche cosa avrebbe fatto da un'ora all'altra.
«Forse hai solo bisogno di una pausa,» si decise a suggerirgli, poco convinta.
Tony sobbalzò appena dopo quel lungo silenzio, poi scoppiò in una risatina derisoria.
«No, non se ne parla. Conoscendomi riuscirei solo a peggiorare le cose.» 
Si passò una mano sul volto, attento a non toccare lo sfregio sull'occhio e coprendosi quello sano. Rimase così per qualche secondo, come a raccogliere il coraggio per parlare.
«Dammi una settimana di progettazione e collaudo,» riuscì a dire, a voce bassa. «Ho bisogno di stare per conto mio e lavorare solo sulle protesi a pieno ritmo.»
«Interrompere la fisioterapia...» cominciò Nataša, ma lui la anticipò subito:
«Non ho intenzione di vanificare il tuo lavoro. Posso gestirmi da solo, almeno per una settimana. Conosco a memoria centinaia di formule, teoremi e progetti, penso di potermi ricordare qualche esercizio motorio,» la rassicurò, irritato dalla sua sfiducia.
Nataša non dubitava della sua memoria, piuttosto della sua costanza, ma non vedeva molte alternative. Stark sembrava non solo essere scoraggiato dalla mancanza di progressi, ma anche estremamente dubbioso riguardo a quelli fatti. In quello stato mentale dubitava che riuscisse a concentrarsi appieno sulla riabilitazione.
«Dovrò comunicarlo a Fury,» lo avvisò.
«Mandagli i miei saluti e un mazzo di rose,» ribatté lui con indifferenza.
Nataša sospirò. Il direttore non ne sarebbe stato affatto contento: lasciare nuovamente allo sbando Stark non rientrava nei piani.
«Una settimana. È tutto il tempo che ti concedo. Poi sarò io a decidere se quello che fai è utile o meno,» ribadì in tono severo.
Tony annuì accomodante, prima di rialzare lo sguardo su di lei.
«Perché ci tieni così tanto?» chiese all'improvviso. «Insomma, non volevi neanche che restassi nei Vendicatori.»
Nataša esitò, ponderando se rispondere o meno.
«Siamo una squadra,» dichiarò infine. «E cerco di fare ciò che è meglio per essa. Questo include anche cambiare idea sui suoi elementi più... compromessi,» enunciò, e storse il naso a quella parola, non trovandone però di migliori. «E non sono la persona più adatta per giudicarti in questo senso.»
«Lo so,» alzò le spalle lui, rivolgendole un'occhiata carica di significato che lei ricambiò senza vacillare.
«Hai letto i miei file della SHIELD.»
Non era una domanda.
«I firewall sono i miei,» rispose lui con ovvietà. «Ci ho messo circa trenta secondi ad aggirarli,» un sorrisetto spento balenò sul suo volto.
«E hai soddisfatto la tua curiosità?» 
Una traccia di irritazione trapelò dalla voce di Nataša, ma non era veramente arrabbiata con lui: si era aspettata che avrebbe provato a ficcare il naso nei suoi dossier e si era ripromessa di non strozzarlo quando l'avesse scoperto, anche se la tentazione era comunque forte.
«Il tutù ti stava bene,» commentò lui con forzata ironia. «Il resto... avrei preferito non saperlo,» ammise poi, più serio.
Nataša sospirò e si sedette accanto a lui, incupita.
«Ho qualche nota rossa di troppo sul mio registro per venire a rimproverarti un tentato suicidio.»
Si pentì di essere stata così diretta nel notare come Tony ebbe un evidente fremito a quelle parole; i suoi respiri si fecero più brevi e ravvicinati, ma rimase immobile.
«Dovresti vedere il mio,» replicò poi con voce contratta, come se stesse lottando contro qualcosa che gli ostruiva la gola. «Vent'anni e passa di manifattura bellica lasciano il segno. Sugli altri, soprattutto.» 
Portò repentinamente la mano al suo reattore, quasi volesse tenerlo al suo posto.
«Hai provato a cancellarlo: per questo ti hanno fatto entrare nella squadra,» gli fece notare lei. «E la squadra ha bisogno anche di te. Sei il nostro consulente, e sei Iron Man. Non puoi arrenderti di nuovo.»
Tony abbassò lo sguardo sulle protesi e una smorfia gli increspò volto.
«Non mi sto arrendendo. Non ne ho mai avuto il diritto,» ribatté inquieto, come se non riuscisse ad afferrare i pensieri che gli scorrevano in testa.
Chiuse il pugno meccanico con un lieve stridio di giunture.
«Ma potrebbe essere impossibile,» si lasciò sfuggire infine.
Nataša lo fissò, sorpresa dal cambiamento della sua voce adesso venata di tristezza.
«Dov'è finito il tuo ego? Sei uscito da situazioni peggiori, con mezzi peggiori,» gli ricordò debolmente.
Non era mai stata brava con le parole, se non negli interrogatori: essere di supporto a qualcuno non era il suo forte.
Tony scosse con forza la testa.
«Non intendo questo. Camminare, usare le protesi come fossero arti veri... potrebbe andare
oltre le possibilità di questa tecnologia,» puntualizzò lui, e si strinse le mani per tenerle ferme, agitato.
Nataša fissò il leggero tremito del suo corpo, attraversato da una tensione quasi dolorosa da quando aveva menzionato il suo suicidio. Nonostante le apparenze che cercava ancora in parte di mantenere, Stark era ancora sull'orlo baratro. Sarebbe bastato un soffio per farlo cadere di nuovo, o per riportarlo al sicuro. Pensò alle sue "note rosse", a quanto spiccassero ancora sul suo registro e a come alla fine fosse riuscita a voltare pagina per ricominciare da una intonsa, almeno per chi la circondava. Magari un giorno ci sarebbe riuscito anche lui.
«"Quando le possibilità non ci sono, se le inventa",» citò infine, a bassa voce.
Tony sollevò di scatto la testa, come folgorato, e il suo cuore mancò distintamente un battito: riconosceva quelle parole. Se le era sentite ripetere così tante volte... in tono serio o scherzoso o incoraggiante o di rimprovero, nel corso di più di dieci anni. Erano diventate una specie di motto su misura per lui, inventato dalla persona che lo conosceva più a fondo di chiunque altro.
«Hai parlato con... ?» la sua voce si spezzò.
Nataša gli sorrise appena, uno dei suoi rari sorrisi sinceri.
«Se non vuoi credere a me, almeno credi a lei.»




 
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Note dell'Autrice:

Oh oh oh! Incredibilmente riesco ad aggiornare quando promesso! Anche se a orari indecenti della notte...
Orsù, oggi Phoenix compie la bellezza di 6 anni! A pensarci mi fa veramente molto, molto strano, e non sono sicura che sia un traguardo positivo, considerando che tre anni e passa sono stati di stallo privo di aggiornamenti... sorvoliamo, va' :D

Questo capitolo invece è di quasi-stallo, ma l'ho ritenuto necessario sia per introdurre lo scoglio non indifferente della fisioterapia, sia per far "adattare" due personaggi ostici da gestire come Nataša e Tony. Ammetto che per me Nataša è abbastanza incomprensibile, nel senso che nel MCU è passata dall'essere un'assassina frigida a "zia Nat" in modo abbastanza inaspettato; qui diciamo che è un misto dei due caratteri, mantenendosi però prevalentemente sulla versione di Iron Man 2, visto che l'arco temporale è più o meno quello. Ho fatto dei riferimenti al suo passato come "ballerina" al Teatro Bol'šoj, senza scendere troppo nel dettaglio per ovvi motivi, ma era un fatto rilevante a giustificare in modo più o meno logico la sua scelta come fisioterapista da parte della SHIELD.
Qui Tony soffre come al solito, ma forse in modo un po' meno piagnone e un po' più costruttivo di quello a cui ci ha abituati negli scorsi 30 capitoli. Ovviamente la strada è tutta in salita e le ricadute sono dietro l'angolo, ma volevo sottolineare come nonostante la sua fragilità ancora molto evidente stia comunque cercando approcci diversi da "Hulk smash!" e prendersela con gli altri invece di risolvere i problemi.

Chiudo il papiro ringraziando infinitamente _Atlas_ per tutte le splendide recensioni che ha lasciato agli scorsi capitoli e per il costante supporto morale. Grazie, carissima <3
E grazie a chiunque leggerà e/o recensirà :)

Mi guardo bene dal promettere aggiornamenti a breve, visto le bugie enormi che ho sparato negli anni passati, ma ho una mezza idea di partire dal mese prossimo con un capitolo ogni due-tre settimane, se la stesura procederà in modo costante come adesso. Vedremo se sarà un proposito fattibile, anche considerando che starò fuori un paio di settimane in cui il tempo per scrivere sarà piuttosto esiguo.
Spero a presto,

-Light-




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