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It can only get better
"Can
you tell me a story
without any words
Then mold me misshapen from the soaking
dirt
Keep feeding me courage that I don't deserve
So I don't
feel broken like I have no worth"
[I'll Survive – Seether]
2 Maggio, Villa Stark
Tony Stark era abituato
ad avere belle donne in casa e difficilmente si
trovava in imbarazzo col gentil sesso. Dopotutto, aveva passato una
vita ad affinare il suo charme
da Casanova, e in quel
momento avrebbe anche avuto un discreto bisogno di una compagnia
femminile, anche se preferibilmente non alle sette e mezzo di
mattina. Ma quando si affacciò intontito dal sonno in
salotto e si
ritrovò Nataša Romanov seduta tranquillamente sul
divano, senza che
neanche JARVIS avesse ritenuto necessario notificare la sua presenza,
il suo livello di sconcerto e disagio schizzò
improvvisamente alle
stelle. Certo, era abituato ad avere donne in casa... ma all'epoca
non aveva due arti meccanici e un occhio in meno che attiravano
l'attenzione nei punti sbagliati. Ed era meglio dimenticare la sua
ultima esperienza in merito.
«Immagino che tu sia la
"fisioterapista",» esordì quindi a mo' di saluto,
terminando la
frase in uno sbadiglio e fermandosi sulla soglia della sua camera per
riposare la gamba formicolante.
«Buongiorno anche a te, Stark,»
replicò lei senza scomporsi, e alzò appena la
testa dal libro che
stava leggendo.
«Sì, sì, è proprio una bella
giornata. Chi non
vorrebbe avere un risveglio del genere...»
borbottò lui in
risposta, indeciso se lasciare il sostegno sicuro dello stipite e
avvicinarsi o se rimanere a debita distanza da quella che era
comunque una spia dello SHIELD addestrata a uccidere. «Quando
Ian
mi ha parlato di una "professionista" non pensavo
intendesse te,» commentò poi, trattenendo un altro
sbadiglio.
Nataša
chiuse il libro con uno schiocco secco e lo poggiò sul
tavolino da
caffè, trapassandolo coi suoi occhi chiari e gelidi.
«Mi avevano
detto che eri molto motivato a intraprendere la
riabilitazione,»
osservò piattamente, in vago tono di rimprovero.
Tony si passò
una mano sul pizzetto e sfuggì il suo sguardo, puntando il
proprio
sulla vetrata.
«Non mi aspettavo che sentiste ancora il bisogno
di tenermi d'occhio. Tutto qui,» precisò, con
cenno infastidito del
capo.
«Che tu ci creda o no, non è quello il mio
compito. Non
solo, almeno.»
Tony si lasciò sfuggire un verso di scherno, ma
non replicò. Non si era certo aspettato di riconquistare la
fiducia
di Fury semplicemente facendo il bravo per qualche settimana, ma la
sua apparente paranoia nei suoi confronti cominciava davvero a
infastidirlo.
«Penso di poter sopportare una spia in casa, se mi
aiuta a rimettermi in piedi come si deve.»
Si
staccò appena dal
muro e face leva sulle stampelle per mantenersi in equilibrio come
gesto esplicativo.
«Non mi ci vedo molto a indossare
l'armatura in
queste condizioni. Mi toglierebbe mille punti allo stile.»
Nataša
non commentò, ma gli parve di vedere un'ombra di disagio
passare sul
suo volto. Giusto: ormai era quella l'impressione che faceva alla
gente.
Si decise ad avvicinarsi a balzelloni fino al divano usando
la gamba sana come appoggio e si sedette al capo opposto di
Nataša
per far riposare il moncherino, poggiando le stampelle per terra.
Poteva sentire il suo sguardo posarsi
di sottecchi su di lui, come un ricercatore che osserva il
comportamento anomalo di un animale ferito. Represse il suo
fastidio, ripetendosi che era solo un'impressione errata del suo
orgoglio già abbastanza malandato. E aveva il coraggio di
chiamare Fury paranoico...
Notò anche che di tanto in tanto
fissava il punto dove,
un tempo, c'era stato il muro divisorio tra l'atrio e il salone. Non
aveva bisogno di spiegarle la sua assenza: aveva probabilmente
già
letto tutti i rapporti riguardo all'incidente con Hulk e lui non
aveva davvero intenzione di rivangare l'episodio.
Si trattenne dal
chiederle come stessero gli altri. O cosa ne pensassero di lui. In
realtà riusciva a immaginarlo senza fare grandi sforzi di
fantasia:
Rogers che lo biasimava, Banner che ridiventava verde solo a sentir
parlare di lui, Thor disgustato da quello che riteneva probabilmente
un atto vile, Clint che riprendeva a disinteressarsi di tutto
ciò
non riguardasse arco e frecce, Fury che puntava una batteria di
missili su Villa Stark "per sicurezza", Coulson che si
pentiva del giorno in cui aveva pensato di candidarlo per il progetto
e Pepper... frenò il suo flusso di coscienza. Non voleva
davvero
sapere cosa ne pensasse di lui.
Sollevò lo sguardo su Nataša.
Chissà cosa ne pensava lei, piuttosto. Nulla di positivo, a
giudicare dalla sua aria decisamente scocciata e dai suoi modi freddi
quanto un vento siberiano. D'altra parte, dubitava di averla mai
vista con un atteggiamento diverso.
«Quanto rimani?» chiese
infine, per rompere il silenzio.
«Questo dipende da te,» ribatté
seccamente lei. «Non più del necessario per
riportarti in uno stato
fisico decente.»
Tony si sdraiò sul divano con la testa sul
bracciolo, rivolto nella sua direzione; dovette sollevare manualmente
la gamba artificiale rigida e inerte.
«Peccato. Mi mancava un po'
di compagnia,» commentò malizioso, sogghignando
nel
notare lo sguardo
inviperito della donna. «A prescindere da quanto rimarrai,
è tutto a
tua disposizione,» continuò poi, con un ampio
gesto ad indicare la
villa. «Io passo comunque la maggior parte del tempo in
laboratorio e
mi nutro d'aria e clorofilla.»
Fece un sorriso ironico, ma
non era
poi così lontano dalla verità.
«Farò buon uso della sala
cinema, della piscina e dell'impianto stereo, allora,»
commentò
lei con aria
falsamente civettuola. «Anche se non credo che
pernotterò spesso
qui. Sono comunque un agente operativo con missioni di livello S da
svolgere,» sottolineò più seriamente, a
riprova del fatto che
quella
"missione-baby-sitter" era un fuori
programma.
«Potrei convincerti, con un po'
d'impegno,» insistette Tony, sfoggiando un sorriso dissoluto.
«Stark.»
«Va bene, va bene. Peggio per te,»
sbuffò lui, fingendosi offeso e alzando le mani in segno di
resa.
Il
suo braccio emise un cigolio penetrante che fece socchiudere appena
gli occhi a entrambi, e Tony lo riabbassò con cautela,
sentendosi di
nuovo osservato. Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi
Nataša si alzò e si avvicinò alla
vetrata che dava prima sul
terrazzo e poi sull'oceano luccicante. Era una bella giornata di
inizio maggio e il sole aveva già riscaldato i vetri,
rendendo
l'ampio salone meno freddo del solito, illuminandolo di una luce
dorata.
«Ti mancherà pure la compagnia, ma di sicuro non
ti
manca lo spazio,» commentò lei, quasi
sovrappensiero.
«Spazio
vuoto,» puntualizzò lui a denti stretti.
Si chiese se quella
fosse una frecciatina per valutare la sua situazione emotiva; in quel
caso non aveva intenzione di dare adito ad altre domande, visto che
non sapeva neanche lui quale fosse. Sicuramente in condizioni
migliori della sua situazione sessuale, concluse distogliendo a
fatica lo sguardo dalle curve di Nataša. Lei ne era
probabilmente
consapevole, ma continuò a guardare oltre
la
vetrata evitando gentilmente di piantargli un meritato
coltello in testa. Gli faceva
strano non vederla in divisa e armata, vestita semplicemente in jeans
e t-shirt. Più probabilmente, aveva davvero una decina di
pugnali
nascosti qua e là.
Si chiese se avesse svolto missioni di
recente. Quell'incarico doveva sembrarle una vacanza in confronto a
quelli che era abituata a svolgere; anche se, conoscendosi, l'avrebbe
probabilmente fatta ricredere su quel punto.
«Toglimi una
curiosità,» disse all'improvviso, non riuscendo a
trattenersi
oltre.
Nataša si voltò verso di lui, in attesa di una
domanda
che probabilmente si aspettava e che Tony non sapeva come
porre. Negli ultimi tempi aveva iniziato a ponderare con più
attenzione le proprie parole, ma la cosa gli riusciva ancora difficile,
soprattutto per la carenza di interlocutori. E aveva pur sempre passato
una vita intera a dare voce a tutto ciò che
gli passava per la testa, più o meno senza conseguenze.
«Perché
proprio tu?» disse infine, non riuscendo a trovare altro modo
per
formulare il suo pensiero. «Non fraintendermi,
ma...» si affrettò a
correggersi, ricordandosi di colpo che non stava parlando con una
donna normale, ma con un'ex-assassina biopotenziata del KGB che aveva
già tutti i buoni motivi per ridurlo al silenzio.
«Mi sono
offerta io,» lo sorprese lei con schiettezza, ignorando il
modo
abbastanza goffo in cui si era espresso.
Lui rimase interdetto.
Qualcosa non gli tornava.
«Quindi Ian ti ha...» si interruppe ancora
più confuso, rendendosi conto di un ingranaggio mancante nel
suo
ragionamento.
«Il dottor Mitchell si è attenuto alla procedura,
ovvero passare a noi qualunque questione riguardasse la tua salute e
potesse coinvolgere altre persone oltre ai membri approvati dalla
SHIELD,» sciorinò tranquillamente lei.
Tony reclinò la testa
sul bracciolo del divano e incrociò le braccia, limitandosi
a
guardarla mentre assorbiva l'informazione.
Davvero ci era arrivato
solo adesso?
«Non mi dire che non te lo eri
immaginato.»
La voce
di Nataša era sinceramente stupita. Lui alzò le
spalle
sentendosi ottuso, una sensazione che ultimamente si
trovava a provare un po' troppo spesso.
«Ho avuto altro a cui
pensare,» tagliò corto. «Adesso mi
sembra
ovvio.» aggiunse, con un
sospiro seccato.
Si ravviò i capelli, meditando su
quell'informazione.
«Immagino che anche K sia stato "approvato"
dall'eminenza grigia, prima di essere assunto,»
commentò con
improvvisa consapevolezza.
Nataša si limitò ad annuire e Tony si
accigliò di nuovo.
«Pensavo che il Doc volesse tenere le
distanze da voi.»
«L'ha fatto nei limiti del possibile. Abbiamo
contattato il dottor Mitchell non appena hai messo piede in ospedale
e da quel momento l'abbiamo monitorato e abbiamo vagliato tutte le
sue proposte, incluso il signor Andrews. Era una situazione
delicata: non potevamo permettere che persone inaffidabili venissero
coinvolte negli affari dei Vendicatori o si avvicinassero a te e alle
tue tecnologie,» spiegò con un'ovvia scrollata di
spalle. «Assieme alla signorina Potts abbiamo anche fatto in
modo che le tue industrie non piombassero nel caos o sfuggissero al
tuo controllo – cosa che stiamo facendo anche ora. Magari
saremmo anche riusciti a tenere segreta la tua
identità, se non avessi voluto dare spettacolo al
processo.»
Tony
rifletté su quelle parole, rendendosi conto di quanto lavoro
fosse
stato portato avanti alle sue spalle mentre era impegnato a... a fare
cosa?
Autodistruggersi?
Si passò una mano sul volto e rimase
pensoso per qualche istante. Si accorse che la cosa non lo
infastidiva più di tanto. Forse qualche mese prima avrebbe
dato in
escandescenze per essere stato spiato tramite persone che riteneva
fidate a lui soltanto, ma adesso riusciva a provare solo una vaga
ammirazione per la lungimiranza di Fury. Certo, gliel'avrebbe
rinfacciato a vita, ma avrebbe potuto fare di peggio, dati i
precedenti. Per esempio rinchiuderlo sull'Helicarrier nella gabbia a
prova di Hulk. Con
Hulk.
Scosse la testa
e infine gli sfuggì una risatina.
«Va bene, sono un idiota,»
ammise rassegnato ma
allo stesso tempo divertito prima di riprendere a fissare
Nataša,
sorpresa dalla sua reazione bonaria.
Si stupì lui stesso della
disinvoltura con cui riusciva a parlare con lei, poco più
che una
perfetta sconosciuta. Non era mai stato in alcun modo un tipo
riservato, ma dal suo incidente aveva preso a relazionarsi in modo teso
con chi lo circondava o, al contrario, con finta ed eccessiva
giovialità. Anche con Pepper non era riuscito a mantenere
quel
rapporto spontaneo che amava. Il pensiero lo intristì, ma
non lo
diede a vedere e si costrinse a tornare al presente.
Con Nataša
aveva sempre adottato un atteggiamento giocoso che lei ricambiava con
circospezione; era ben diverso dalle frecciatine che si scambiava con
Cap e dall'umorismo pacato che usava con Banner. C'era un'intesa
diversa tra loro ed erano un buon team durante le missioni;
nonostante sul campo si trovassero spesso in contrasto e non amassero
il lavoro di squadra, lei riusciva a tenergli testa senza troppi
problemi e senza la spocchia altezzosa di "Capitan
Giustizia", e di rimando lui la rispettava in quanto agente in gamba ed
estremamente più competente di lui nell'ambito del loro
operato.
Adesso era contento che fosse lì, in modo imposto o meno.
Il senso di solitudine si era fatto più intenso
dopo il processo e la calma che l'aveva seguito, e in quella settimana
Kyle l'aveva chiamato solo una volta; Mitchell aveva rimandato la
visita per un "impegno di lavoro" improvviso – adesso
capiva quale: probabilmente era stato costretto a farsi un giro
sull'Helicarrier per una riunione logistica. Il fatto che
sprecassero risorse per seguirlo lo faceva ben sperare: Fury doveva
aver capito che rinunciare al suo potenziale e ai suoi contributi
poteva rivelarsi deleterio.
«Quindi ti sei offerta volontaria perché
sei molto buona o è un modo carino per dire che avete tirato
a
sorte?» continuò Tony, con lo stesso tono
tranquillo e
un mezzo
sorriso.
«Nessuna delle due cose, in realtà,»
rispose infine
Nataša, come sempre in modo indecifrabile.
«Diciamo
che non ero la
persona più qualificata ad assumere l'incarico, ma ero
l'unica
disposta a farlo. E Fury ha insistito per mantenere la cosa il
più circoscritta e controllata possibile, senza coinvolgere
altri
membri esterni allo SHIELD.»
"Dopotutto è
paranoico..."
«Se
riprendessi ad organizzare feste con un minimo di duecento invitati
gli prenderebbe un colpo, allora,» scherzò senza
pensare.
Lei dovette notare l'uso del
"se" e non del "quando", ma non commentò, e anche lui
evitò di correggersi.
«Quindi...
oltre ad essere una spia internazionale sei anche una personal
trainer?» continuò in fretta, rendendosi
conto del modo
penetrante in cui l'aveva fissato Nataša.
«Non proprio. Diciamo
che ho una certa familiarità con la ginnastica e la
riabilitazione.
Ma teoricamente il motivo è top-secret.»
«Teoricamente,»
puntualizzò Tony, non nascondendo la sua
curiosità.
Nataša
sospirò e sembrò agitarsi, come se volesse
chiudere lì la
questione, poi replicò con un rapido sorrisetto:
«Dovrai
guadagnarti queste informazioni. Prendilo come un motivo per
impegnarti.»
«Pensavo che voler riprendere a camminare e vivere
normalmente fosse una motivazione sufficiente.»
«Melius
est abundare quam deficere.»
enunciò lei, lasciandolo inebetito per qualche istante.
«JARVIS?»
capitolò infine, sotto lo sguardo sornione della donna.
«La
signorina Romanov le fa notare che, vista la sua scarsa costanza,
sarà meglio per lei avere più di un incentivo per
dedicarsi
interamente alla riabilitazione,» rispose monocorde il
maggiordomo.
«Non sono sicuro che abbia detto proprio
questo.»
Tony si tirò
il pizzetto meditabondo, trovando conferma dei suoi sospetti
nell'espressione divertita di Nataša; si chiese da quanto
l'intelligenza artificiale avesse riattivato in modo autonomo il chip
dell'umorismo. Scacciò i suoi improvvisi sospetti riguardo a
un'imminente ribellione delle macchine e si decise a riprendere le
stampelle, alzandosi con sforzo dal divano. Nataša non si
avvicinò
per aiutarlo e lui apprezzò la cosa: nonostante l'ovvia
difficoltà
che incontrava e la sua lentezza, era in grado di spostarsi in modo
più o meno autosufficiente per qualche metro.
«L'unica cosa che so in
latino è "tempus
fugit".
Uno dei mille motti di mio padre,» aggiunse un po' acidamente
mentre attraversava l'atrio. «Per una volta sono d'accordo
con
lui,»
concluse, chiamando l'ascensore per scendere in palestra.
***
La
sala era buia e c'era odore di chiuso. L'unica fonte di luce erano le
finestre sulla parete di fondo, poste in alto e al livello del terreno.
JARVIS
attivò
subito i neon, che sfarfallarono per qualche secondo prima di
stabilizzarsi, rivelando la palestra privata di Villa Stark. Non era
enorme come sembrava a prima vista, ma ospitava tutto il necessario
per tenersi in forma, nonostante anche normalmente Tony usasse di
rado gli attrezzi. Oltre alle panche, ai bilancieri e a un tapis
roulant, al centro della stanza troneggiava un ring circondato da
sacchi da boxe e manichini. Nonostante fossero passati diversi
mesi dall'ultima volta che era entrato lì dentro, tutto era
piuttosto pulito: il sistema di pulizie della villa aveva funzionato
a dovere.
Nataša si guardò intorno con aria interessata.
«Direi
che abbiamo tutto ciò che ci serve,»
commentò soddisfatta,
puntando le mani sui fianchi.
«Iniziamo subito?»
Tony non
voleva sembrare impaziente, ma effettivamente non vedeva l'ora di
mettersi all'opera. Quei mesi di inattività forzata
iniziavano a
farsi sentire: l'aveva già visto nei vari collaudi delle
protesi,
soprattutto quella inferiore. Era anche piacevole staccare per un po'
dal lavoro mentale per dedicarsi a quello fisico; e poi spesso gli
era capitato di avere intuizioni brillanti proprio quando era
distrutto dalla fatica di una missione o di un allenamento. Era da un
po' che sperava in un'illuminazione che gli permettesse di migliorare
ulteriormente le protesi, che da qualche settimana languivano nel
medesimo stato. Anche per quello si era convinto che intraprendere
la fisioterapia fosse lo step successivo più ovvio e
naturale.
«Non
vedo perché aspettare,» concordò
Nataša, dopo un istante di riflessione. «Vai a
cambiarti,»
gli intimò poi, accennando in modo eloquente alla t-shirt XL
rosso-oro e ai
bermuda che
usava come pigiama. «Io do un'occhiata in giro,»
disse, puntando con
decisione una cesta con degli attrezzi ginnici nell'angolo.
Tony
non se lo fece ripetere e zoppicò fino al piccolo
spogliatoio
adiacente alla palestra. Si appoggiò al suo armadietto per
alleviare
il peso sulla protesi e lo sbloccò con l'impronta del
pollice,
sperando che dentro fosse rimasto almeno un cambio pulito.
Recuperò
con successo un paio di pantaloncini e una canotta, gettandoli sulla
panca
lì
accanto; stava per richiudere lo sportello quando notò altri
vestiti
appallottolati sul fondo. Li ripescò con l'intenzione di
metterli a lavare, ma il suo gesto si congelò quando si
accorse che era
una
delle tute aderenti che indossava sotto l'armatura.
Non ricordava
neanche perché fosse lì dentro. Forse era tornato
da una missione
con ancora abbastanza energia per tirare qualche pugno al sacco.
Magari voleva tenerne una a portata di mano in caso d'emergenza.
Davvero non riusciva a ricordare. La sua stretta sul tessuto
sintetico aumentò brevemente, poi la allentò di
colpo e lasciò
ricadere la tuta sul fondo. Chiuse l'armadietto con più
forza del
dovuto, poggiandovi poi contro la fronte.
Aveva perso e stava
perdendo così tanto tempo...
Si sedette sulla panca sentendosi
improvvisamente la testa pesante.
Tra le tante preoccupazioni che
cercava di gestire, Iron Man si era sorprendentemente rivelata la
più
semplice da ignorare. Si era convinto a intraprendere la strada verso
il suo ritorno un passo alla volta – aveva sperimentato cosa
volesse dire accelerare i tempi e non sarebbe riaduto nello stesso
errore – ma a volte la consapevolezza della sua assenza come
supereroe lo frastornava e avrebbe voluto tutto, subito. Le sue
evidenti limitazioni continuavano ad assillarlo e anche se riusciva a
controllare la frustrazione molto meglio di prima ciò non
gli
rendeva più facile accettarle. Spesso gli rimbombavano in
testa
le parole di Rogers: "non ci serve un mezzo supereroe, tantomeno
un mezzo uomo". Con la riabilitazione avrebbe scoperto
finalmente cosa significasse di preciso quell'espressione.
Una
morsa gli strinse il petto, familiare, e lottò per
dissiparla. Si
fissò le mani, coi palmi rivolti verso l'alto. Una rosea e
piena, segnata da calletti, cicatrici sottili e scottature, l'altra
grigia e leggermente
asimmetrica, lucida sotto la luce del neon. Percepiva distintamente
il dolore costante ai moncherini e al volto, memento costante delle
proprie mancanze.
Prese un respiro
profondo.
Ricacciò indietro quella massa scura che intravedeva
dentro di sé, la soppresse sul nascere. La sua mano sinistra
era
scossa da un leggero fremito, la destra era immobile, fredda. Strinse
con forza i pugni; la protesi eseguì con qualche istante di
ritardo,
più goffa e pesante, ma si mosse ed obbedì con un
sibilo di
giunture meccaniche.
Lasciò andare il fiato e percepì il petto
rilassarsi.
Aprì e chiuse di nuovo i pugni con più
convinzione,
sentendo il proprio respiro che si calmava. Adesso era davvero tutto
nelle sue mani.
"Da qui, può solo migliorare."
***
«Ci
hai messo un po',» commentò Nataša,
vedendo Tony che zoppicava
verso di lei poggiandosi pesantemente sulle stampelle.
Lui sfoggiò
un sorrisetto poco convincente, contornato da pieghe rigide.
«Volevo
presentarmi al meglio per non sfigurare,» la
blandì, e per
un'attimo l'ombra del miliardario playboy si riaffacciò sul
suo
volto, prima di abbandonarsi poco aggraziatamente sulla panca di un
bilanciere.
Adesso le protesi erano del tutto scoperte e Nataša
si rese conto di quanto sembrassero massicce in confronto al resto
del corpo dimagrito. Il braccio sembrava in uno stadio di progettazione
più
avanzata: era del tutto ricoperto da una placcatura antracite e solo
una sezione dell'avambraccio lasciava intravedere i circuiti e i
componenti sottostanti, probabilmente per permettergli di
ricalibrarlo sul posto al bisogno. La mano era un po' tozza e rigida
nei movimenti ma abbastanza funzionale da permettergli di imbracciare
la stampella con fermezza. Forse troppa, a giudicare dall'impugnatura
deformata e placcata in metallo per renderla più resistente.
La
gamba invece era poco più di una struttura metallica
rudimentale,
con fasci di cavi scoperti e giunture in vista. L'unica parte che
sembrava prossima al perfezionamento era il piede, la cui
articolazione sembrava decisamente più curata rispetto a
quella del
ginocchio, poco più di una sfera mobile piazzata a far da
collegamento tra coscia e polpaccio.
Nataša aveva notato che
anche quando "camminava" con l'aiuto delle stampelle la
protesi inferiore rimaneva rigida, come se avesse una gamba ingessata
più d'ostacolo che d'aiuto. Il braccio doveva aver subito un
collaudo più lungo e aveva movimenti goffi ma più
naturali.
Sicuramente rompere ripetutamente le protesi a causa della miccia
corta del loro ideatore non aveva giovato al loro sviluppo.
Era
evidente che gli facessero entrambe molto male, ma era anche
impressionante che riuscisse a spostarsi così speditamente
dopo poco
più di quattro mesi dall'incidente senza un aiuto esterno.
Certo a
questo contribuivano molto il suo orgoglio e la sua testardaggine,
che però si erano attenuati dall'ultima volta che l'aveva
visto.
Sembrava aver smorzato anche il suo solito sarcasmo. Clint le
aveva accennato un presunto "cambiamento" di Tony, ma non
l'aveva preso troppo sul serio, nonostante il suo compagno si
sbagliasse raramente a inquadrare qualcuno. Sicuramente il nuovo
atteggiamento di Stark era ancora in fase di collaudo, visto il
repentino cambio d'umore.
Ed era certa che ciò che aveva in mente
di fargli fare non l'avrebbe rallegrato.
«Allora? Da dove
cominciamo? Flessioni? Addominali? Devo rimettere in sesto anche
loro...» commentò Tony, sollevando appena la
maglietta per farle
constatare la ritirata dei muscoli e l'insolita magrezza.
Oltre
il suo tono scherzoso era chiaro che non avesse perso la sua
determinazione.
"O la va, o la spacca," pensò lei,
rassegnata.
«Prima di tutto, togliti le protesi.»
Tony la
fissò stolidamente, preso in contropiede, ma
Nataša non mosse un
muscolo e continuò a fissarlo in paziente attesa. A quel
punto
l'espressione di Tony si fece infastidita. Lei non si scompose:
se l'era aspettato. Le cose partivano male fin da subito.
«È
proprio per muovere queste,» Tony si
sforzò in modo
encomiabile di mantenere la calma e accennò in particolare
alla
gamba, «che ho deciso di fare fisioterapia.»
L'unica reazione di
Nataša fu un fugace movimento degli occhi verso l'alto, al
che il
volto di Tony divenne livido. Fece per tornare alla carica, ma la
donna lo anticipò:
«Cominciare con quelle addosso sarebbe
inutile,» disse piattamente. «È il tuo
corpo ad avere bisogno di
esercizio. A muovere le protesi penseremo dopo, quando avrai recuperato
un po' di tono muscolare.»
Lui esitò.
Sembrava turbato dall'aver considerato le protesi parte integrante
del suo corpo. Nataša lo osservò senza mettergli
fretta. La
questione stava filando anche troppo liscia: si era aspettata come
minimo un accesso di rabbia.
Dopotutto aveva davanti il genio che
aveva attaccato briga con Capitan America e Hulk. Tony le
scoccò
un'ultima occhiata risentita, poi si chinò a rimuovere la
gamba,
sbloccando le sicure e tirando con cautela. Fece una smorfia quando
il metallo si staccò dai contatti con un rumore di
sottovuoto
aperto. Poggiò delicatamente la protesi accanto a
sé e fece cenno a
Nataša di avvicinarsi.
«Reggi il braccio,» bofonchiò senza
guardarla, cercando a tentoni le sicure sulla clavicola e dietro la
spalla con la sinistra, premendole con un po' di difficoltà
con pollice e medio.
Un altro schiocco, e il
braccio ricadde inerte tra le mani della donna, che lo posò
con
accortezza accanto alla gamba percependone il notevole peso. Tony
ruotò un paio di volte la spalla destra adesso stranamente
leggera e
iniziò a percepire un vago formicolio al moncherino
inferiore,
sospeso nel vuoto. Si mise di traverso sulla panca per appoggiarlo,
attendendo nel frattempo istruzioni da Nataša, che sembrava
meditabonda, ma che forse gli stava solo dando tempo per abituarsi
alla situazione anomala.
Non si toglieva le protesi da... da quel
giorno, in effetti. Un forte vuoto al petto seguì quella
realizzazione. Per scacciare il pensiero si chinò a
sistemare un
paio di cavi sporgenti dalla piastra d'aggancio
inferiore. All'improvviso qualcosa lo pungolò dolorosamente
in
mezzo alle scapole, facendogli raddrizzare di scatto le spalle
incurvate. Si voltò di scatto verso Nataša,
fulminandola, e lei
ricambiò con aria sfacciata senza togliere il dito dalla sua
schiena
e, anzi, opponendo resistenza per mantenerlo in
posizione.
«Cominciamo dalla postura,» disse semplicemente,
liberandolo infine dalla pressione.
Tony sbuffò, ma si impegnò a
tenere diritta la schiena, cosa decisamente meno stancante senza il
peso del braccio meccanico. Non si era neanche accorto di essere
così incurvato, e percepì il petto farsi
più ampio grazie a quel piccolo cambiamento.
Guardò di sottecchi le protesi
accanto a
lui e Nataša se ne accorse, sfoggiando un sorrisetto.
«Uno a
zero per te,» concesse Tony, controvoglia. «Spero
che la sessione di
oggi non si riduca a questo.»
Il sorriso di Nataša si allargò
nel porgergli un oggetto che aveva accuratamente tenuto nascosto
dietro la schiena fino a quel momento. Lui si ritrasse
d'istinto.
«No, mettila lì, odio che mi si porgano le
cose,»
protestò, indicando la panca e fissando con malcelato
sconcerto la
pallina di gomma blu dinanzi a lui.
«Seriamente?» sospirò lei,
ma eseguì comunque la sua richiesta.
Tony prese la pallina con la
cautela che avrebbe riservato a delle scorie radioattive e la tenne
sollevata tra due dita, fissandola con evidente scetticismo.
«Spero
sia uno scherzo,» commentò «Mi hai fatto
togliere le protesi per
giocare con una pallina?»
A questo punto Nataša si accigliò e
il suo viso assunse delle ombre spigolose.
«Ti aspettavi di
boxare sul ring alla prima sessione di fisioterapia?» chiese
pungente, scrutandolo significativamente da capo a piedi.
«Qualche
flessione mi sarebbe andata benissimo,» rispose lui tra i
denti, ma
allo stesso tempo lo sguardo gli cadde sul suo braccio sano e si
incupì.
Di nuovo, la consapevolezza di quanto fosse diventato
fragile lo colpì nel vedere quanta tonicità
avesse
perso.
Fletté appena il bicipite e la differenza che
percepì fu minima,
quasi ridicola. Strinse una volta la pallina nel palmo, trovandola
più resistente del previsto, e già
avvertì un fastidio
all'avambraccio. Guardò di nuovo la donna che continuava a
fissarlo inespressiva, ma con una certa sicurezza che gli fece capire
quanto fossero prevedibili le sue reazioni.
Sospirò e fissò
quella stupida pallina blu in silenzio, in attesa.
«Fanne tre
serie da trenta,» gli intimò Nataša,
capendo che non avrebbe più
opposto resistenza. «E dopo prova ad usare questo,»
e gli poggiò
accanto un manubrio a molla per allenare la mano. «Poi
passeremo alla
gamba,» concluse.
«E tu?» le chiese, inarcando un sopracciglio
inquisitore.
«Io me ne starò qui a
controllare che tu non batta la fiacca e a farmi i fatti
miei,»
cinguettò lei in tono falsamente amabile.
Si sedette sulla panca
di fronte alla sua sulla quale era poggiato il libriccino nero di
poco prima, che riprese a leggere intentamente. Tony compresse la
pallina tre volte, contando a mente, ma fu subito interrotto dalla
voce di Nataša:
«Stringila a fondo. E tieni dritta quella
schiena,» aggiunse minacciosa, scoccandogli un'occhiata da
sopra le
pagine.
Tony si affrettò ad eseguire alzando l'occhio al cielo,
col braccio già indolenzito. Sarebbe stata una lunga
prima
sessione.
***
2 Maggio, 21:45, Villa Stark
«...
la Casa Bianca non si esprime. La Guardia Nazionale ha sospeso lo
stato di emergenza in Nuovo Messico e smentisce l'ipotesi di una
possibile minaccia agli Stati Uniti. La situazione sembra essere
tornata alla normalità e...»
«JARVIS, almeno quando mangio
vorrei non dover pensare alla sicurezza mondiale,»
sospirò Tony,
masticando con poco gusto il suo riso condito alla meglio con un po'
di salsa di soia.
Il televisore della cucina si sintonizzò su un
canale di documentari naturalistici, mostrando una veduta aerea di
una foresta tropicale accompagnata da una voce narrante vagamente
melodrammatica.
«Ecco, questo è più rilassante.
Muto,» ordinò
subito dopo, deglutendo a fatica l'ultimo boccone con un sorso di
clorofilla.
Si sentiva più che sazio e in realtà avrebbe
volentieri saltato la cena, ma quando Nataša aveva
realizzato che
"nutrirsi d'aria e clorofilla" non era una metafora gli
aveva intimato di mangiare qualcosa che fosse vero cibo, se non
voleva stramazzare a terra al secondo giorno di
riabilitazione.
Quella prima sessione non era stata
particolarmente faticosa, ma iniziava ad accusare i muscoli degli
arti sani e degli addominali in fiamme. E la prospettiva era un'intera
settimana di esercizi di allungamento e rinforzo. Sbuffò al
solo
pensiero, ma d'altronde cosa ne capiva, lui, di riabilitazione?
Nataša invece, da quel poco che era riuscito a evincere
dalle
sue risposte sibilline, sembrava avere dimestichezza con esercizi
ginnici di vario genere, particolarmente utili per la sua schiena
decisamente squilibrata dalle protesi. Non si spiegava il nesso
tra la ginnastica e il KGB, ma si era ripromesso di indagare
–
anche per conto suo, se necessario.
Fece per prendere il cellulare
dalla tasca con la destra e si rese conto di non percepire il
movimento del braccio. Una spiacevole sensazione di deja-vù
lo colpì, facendolo sudare
freddo per qualche istante,
prima di ricordarsi di non avere la protesi attaccata al corpo. Aveva
deciso in modo autonomo di limitare in generale l'utilizzo del braccio
finché
non l'avesse alleggerito: a detta di Nataša, a
lungo andare
gli avrebbe deformato in modo permanente la schiena col suo peso, e lui
non aveva alcuna intenzione di diventare Quasimodo, visto che
esteticamente era già sulla buona strada.
Ciononostante, svolgeva alcune azioni con la destra d'istinto, e ogni
volta riviveva quegli attimi terrificanti in ospedale, quando aveva
realizzato di aver perso il braccio. Insieme a tutto il resto.
Prese
il cellulare con la sinistra, col cuore che ancora batteva
più
concitato
del normale per lo spavento, e constatò di non avere
messaggi né
chiamate. A ricambiare il suo sguardo c'era solo il sobrio logo
delle Stark Industries che aveva come sfondo, in sostituzione di quello
di Iron Man che aveva abbandonato da mesi. Meditò se
chiamare
Kyle, ma era già piuttosto tardi, e poi avrebbe sicuramente
portato
il discorso sul processo... o sull'altra valanga di problemi. Non si
sentiva in vena di affrontare argomenti impegnativi. Nataša
era
uscita un paio d'ore prima, probabilmente per qualche incarico dello
SHIELD, e dubitava che sarebbe tornata prima della sessione
dell'indomani. In generale sembrava volersi trattenere a Villa Stark
lo stretto indispensabile per tenerlo d'occhio.
Il suo sguardo
tornò allo schermo del televisore, stavolta occupato da una
distesa arida e
sabbiosa mossa dalle dune. Spense turbato il dispositivo.
Privo di
altre occupazioni, si decise ad assolvere il compito più
fastidioso
della giornata e tirò fuori dalla tasca il rilevatore di
tossicità.
Dopo qualche secondo e un pizzico al dito, un tranquillizzante 14%
lampeggiò sullo schermo. Scostò il colletto della
maglia per
osservare l'area attorno al reattore, ma non riscontrò alcun
cambiamento. Le venature plumbee erano ancora lì,
sottili e diafane, né più né meno
di prima. Diede un colpetto al reattore arc, quasi una pacca
d'incoraggiamento, prima di riporre in tasca il rilevatore. Rimase
seduto al tavolo ancora per qualche istante, prima di imbracciare la
stampella e alzarsi cautamente. Era sempre difficile mantenere
l'equilibrio senza l'aiuto della protesi anteriore, ma
riuscì ad
arrivare più o meno integro alla sua camera, dove si
lasciò
sprofondare sul letto sentendosi improvvisamente esausto.
Rimase però a
fissare la sveglia sul comodino, osservando i secondi che
lampeggiavano nel buio trasformandosi in minuti. Aveva già
capito
che sarebbe stata un'altra notte insonne. Non capiva da dove
provenisse quella sua angoscia sommersa. Era stata una giornata
positiva, no? Aveva finalmente iniziato la riabilitazione. Magari
passare il tempo a stringere palline e tendere elastici non era
esattamente
entusiasmante, ma necessario.
Era un passo avanti.
Di nuovo lo
artigliò quella sensazione di impotenza, di lentezza
inevitabile. La
ignorò. Non poteva accelerare ancora: quello era il massimo
che gli
era concesso.
Serrò i denti. Sapeva che quei
pensieri erano sbagliati e tossici: perché non riusciva a
scacciarli? C'era una parte di lui che avrebbe voluto mettersi
l'armatura e decollare così com'era ridotto per vedere cosa
sarebbe
successo.
Magari avrebbe funzionato. Poteva essere la soluzione
che cercava: usare subito
Iron
Man.
Sentì un vuoto allo stomaco al pensiero, come quello che
provava quando spiccava il volo, e il suo cuore accelerò i
battiti.
I pensieri aumentarono d'intensità nella sua testa,
sembrando
insensatamente convincenti ad ogni secondo che si lasciava inebriare
da quella prospettiva. Perché non avrebbe dovuto funzionare?
Non
poteva esserne sicuro se non ci provava.
Se avesse indossato
l'armatura per volare adesso...
"Ti
schianti. Ecco cosa succede."
La realizzazione s'infranse nella
sua mente assieme ad Iron Man, annientando quelle riflessioni
pericolose.
Si girò sul fianco sano per smettere di fissare la
sveglia, tirandosi il lenzuolo sopra la testa.
***
4 Maggio, Villa Stark
«Oh,
sono sicurissimo
che
al corso per aspiranti spie vi facessero fare roba del
genere!»
esclamò Tony tra i denti, mentre stava a gambe –
si fa per dire –
incrociate con il braccio teso verso l'alto, sentendosi un
idiota.
«Era molto peggio, credimi. Adesso tendi il braccio verso
l'esterno.»
Nataša girò una pagina del
suo libro.
«E ringrazia di
non dover fare esercizi sulle punte,» aggiunse, divertita.
Tony
rimase a fissarla, sconcertato.
«Sulle punte? Ma che razza
di...»
«Finisci la serie in silenzio e forse ne saprai di
più,»
lo stuzzicò lei.
«Di sicuro non ti hanno insegnato ad essere
convincente,» ribatté lui sotto sforzo, cercando
comunque senza
troppo successo di allungare ulteriormente il braccio.
«Facciamo
due
serie,
allora.»
Tony imprecò tra i denti.
***
10 Maggio, Villa Stark
Il
clangore della protesi che atterrava malamente a terra
risuonò nella
palestra insieme all'esclamazione soffocata di Tony. Si tirò
su a
sedere, un po' frastornato e decisamente dolorante.
«Direi che
per oggi è sufficiente,» osservò
Nataša facendo per avvicinarsi,
ma Tony rifiutò il suo aiuto con un gesto brusco, issandosi
da solo su
una
panca a forza di braccia.
«Ci riprovo,» ribatté caparbio,
sfidandola a
contraddirlo, cosa
che lei fece puntualmente:
«Così ti riempirai solo di lividi, ti
servono altri esercizi di coordinazione e rinforzo.»
«Altri?» ripeté lui,
scettico. «Non ho fatto altro nell'ultima settimana, ma non
mi
sembra
che ci siano stati miglioramenti!»
«Appunto. Per questo non mi
sembrava una grande idea provare a camminare adesso,»
lo rimproverò Nataša, fissandolo con distacco.
Tony sostenne il
suo sguardo.
«Prima o poi dovevo provarci.»
«Benissimo, ci
hai provato. Ora torniamo alla nostra tabella di marcia con qualche
acciacco in più.»
Tony le scoccò un'occhiata risentita. Nataša
era stata estremamente severa e a tratti impietosa nel corso della
riabilitazione, ma la cosa non lo aveva infastidito. Anzi, era quasi
contento di non essere trattato come se fosse fatto di
cristallo, nonostante l'avesse maledetta più volte quando lo
obbligava a rimanere in posizioni sfiancanti o dolorose. Adesso
però sentì un moto di rabbia nei suoi
confronti : stava liquidando la questione con troppa
superficialità.
Aveva provato a camminare più volte e aveva fallito, ma se
l'aspettava.
Per questo doveva riprovarci e riprovarci
ancora.
Avrebbe voluto opporsi alla sua indifferenza, ma si
costrinse a non reagire: non aveva senso inimicarsela.
Ci avrebbe
riprovato; da solo, se necessario. Attese direttive, che non tardarono
ad arrivare:
«Ruota la mano destra in una
direzione e il piede destro in quella opposta.»
Le sue protesi
fremettero a lungo, come impazzite di fronte a quell'ordine,
finché
non iniziarono a muoversi a scatti, totalmente scoordinate.
Imprecò:
ormai aveva perso la concentrazione.
«Ma se non riesco a farlo
neanche con con gli arti buoni!» proruppe infine, frustrato.
«Ci
hai provato per mezzo secondo.»
La voce di Nataša
vibrò di una
nota fredda di fronte al suo atteggiamento indisponente.
«Beh, "direi
che per oggi è sufficiente", no?» la
scimmiottò
stizzito.
Vide un lampo di rabbia passare negli occhi della donna
e fu sicuro che stesse ponderando se minacciarlo o atterrarlo.
«Sono
d'accordo,» rispose infine impassibile, prima di voltargli le
spalle
diretta all'uscita.
Probabilmente si era trattenuta dal picchiarlo
solo per le sue condizioni già precarie. Tony si
passò una mano
tra i capelli, maledicendo la propria impulsività. Ne era
passato di
tempo, da quando aveva discusso con qualcuno... il ricordo gli
lasciò
l'amaro in bocca.
«Romanov, possiamo parlarne?» la trattenne in
tono stanco, prima che varcasse la soglia.
La donna si fermò,
squadrandolo guardinga. Lui sospirò.
«Lo so, ti aspettavi che
tenessi il broncio fino a domani o che facessi una scenata, ma non ho
tutto questo tempo da perdere. Quindi risolviamo la questione e
torniamo al lavoro.»
Nataša sembrò fortemente indecisa tra
ignorarlo e scagliargli un bilanciere addosso. Infine
allargò le
braccia, come a dire che non aveva molta altra scelta, e
tornò sui
suoi passi.
«Se è solo per chiedermi scusa, Stark, puoi
risparmiarti...»
«Non è per chiederti scusa,» la
interruppe,
per poi rettificare all'istante, «Non che non
voglia...»
La sua
occhiata lo convinse a tacere e lasciar cadere la
questione.
«Apprezzo quello che stai facendo, davvero, ma...» quanto
poteva
essere ingrato? gli balenò in testa, «... mi
sembra
inutile.»
Nataša
alzò entrambe le sopracciglia e perse una nota di colore in
volto,
ma lo lasciò continuare.
«Mi ero convinto che il problema fosse
il mio corpo, ma adesso sto bene. O almeno, sto molto
meglio
di prima,» cominciò, cercando di farle capire che
era sincero.
In
quel breve periodo aveva davvero ripreso un po' di tonicità
e gli
sembrava di essere meno affaticato e più resistente. Non era
ancora
lontanamente abbastanza, ma era un inizio.
«Il problema sono
queste,»
sollevò il braccio prostetico, in un gesto quasi stizzito.
«Ci
stiamo lavorando adesso,» osservò lei, di nuovo
pacata.
«È inutile
lavorare con qualcosa di incompleto. Fidati del comparto
tecnico,»
soggiunse, a bassa voce.
Nataša scosse la testa, guardandosi
attorno come a cercare una risposta adatta a quell'osservazione.
«Con
tutti gli esercizi che hai svolto, ormai dovresti essere in grado di
muoverle meglio di così,» ammise infine.
«Ci ero arrivato
anch'io.»
Lei rimase in silenzio per un po' dandogli modo di
riflettere, cosa che lui apprezzò molto. Non sembrava
essersela
presa per il suo scoppio di poco prima. Anche lui si sentiva di nuovo
in controllo di se stesso, ma ciò non lo tranquillizzava.
Stava
di nuovo perdendo tempo, tempo che sentiva di non avere e che rubava
a chi ne aveva bisogno. Quante persone avrebbe potuto salvare fino
a quel momento?
Di nuovo, riemerse quella morsa fredda che gli
chiudeva il respiro. Si irrigidì senza volerlo e si
costrinse a
rilassare uno ad uno i muscoli contratti.
«Ho trascurato troppo
le protesi,» rifletté poi ad alta voce.
«Non
ci sono stati progressi.
Quindi non potrò farne neanch'io,» concluse a
malincuore.
Era
inutile cercare di negare il fatto che a quel punto dipendeva
completamente dalle sue creazioni, anche se era una consapevolezza
che iniziava a trovare disturbante.
«Vuoi tornare a dedicarti
alla progettazione,» dedusse Nataša.
Tony annuì, pensoso.
«È l'unica cosa
che posso fare,» mormorò, rendendosi conto che la
prospettiva non
lo attirava affatto.
Non aveva avuto alcuna "illuminazione",
al contrario di quanto aveva sperato. Erano giorni che nelle pause
della fisioterapia sedeva in laboratorio a fissare i progetti delle
protesi, senza riuscire ad aggiungere né modificare nulla.
Era
come se non riuscisse più a capirle. Quando riusciva
effettivamente
a buttare giù qualche formula o ad effettuare qualche
miglioria, si
trovava a cancellarla o annullarla dopo pochi minuti,
insoddisfatto. Per come le vedeva in quel momento le protesi gli
sembravano complete, ma sapeva
che
non era così. I suoi scarsi risultati nella fisioterapia ne
erano la
prova. Non era in grado di andare avanti, né mentalmente
né
fisicamente. Si sentiva arenato, o meglio in un mare in bonaccia
senza alcun solido appiglio e l'idea di tornare a un periodo di
stallo lo terrorizzava. Non si sentiva ancora abbastanza stabile per
uscirne indenne.
Nataša lo osservò perdersi nelle sue
riflessioni, notando quanto sembrasse stanco. Si era tenuta
piuttosto in disparte nel corso della "questione Iron Man",
pronunciandosi persino a suo sfavore riguardo alla sua permanenza nei
Vendicatori, ma in fondo le dispiaceva per la piega che avevano preso
le cose, e si era rallegrata nel sapere che sembrava aver ripreso le
redini dei propri problemi. Quando le avevano detto del tentato
suicidio era rimasta sinceramente scioccata: da un tipo come Stark,
che ostentava un amor proprio e un narcisismo da manuale, non se lo
sarebbe mai aspettato.
Si chiese quante facciate possedesse
ancora quell'uomo, e quante volte ancora dovessero cadere prima che
si decidesse a rinunciarvi. Di facciate, lei, ne sapeva qualcosa. E
sapeva anche quanto fosse doloroso vederle infrangersi dinanzi ai
propri occhi. Per questo trovava sorprendente vederlo in
condizioni tutto sommato così buone, anche se era evidente
che ormai
era quasi l'ombra di se stesso. La facciata che indossava in quel
momento sembrava molto più labile di quella che ricordava,
come se
la stesse ancora costruendo e testando, alla stregua delle sue
invenzioni.
Nataša si trovò a chiedersi se, con qualcun altro
al
suo fianco al posto di una semplice conoscente e collega, sarebbe
riuscito ad abbandonare quella farsa e riprendersi con più
convinzione. Quando tornava sull'Helicarrier le capitava di
incontrare Pepper, trovandola decisamente più cupa del
solito.
Sembrava piuttosto disinteressata alla sorte di Stark – e non
poteva biasimarla – ma un paio di volte le era capitato di
menzionarlo, per poi chiudere in fretta il discorso, lasciando
intendere che il suo era un disinteresse piuttosto forzato. Magari
con lei al suo fianco i suoi progressi sarebbero stati più
rapidi.
O
forse sarebbe solo peggiorato ancor di più,
chissà. Prima
dell'incidente, l'imprevedibilità di Stark era
così proverbiale da
risultare paradossalmente più gestibile. Adesso era
impossibile dire
anche cosa avrebbe fatto da un'ora all'altra.
«Forse hai solo
bisogno di una pausa,» si decise a suggerirgli, poco convinta.
Tony
sobbalzò appena dopo quel lungo silenzio, poi
scoppiò in una
risatina derisoria.
«No, non se ne parla. Conoscendomi riuscirei
solo a peggiorare le cose.»
Si passò una mano sul
volto, attento a
non toccare lo sfregio sull'occhio e coprendosi quello sano. Rimase
così per qualche secondo, come a raccogliere il coraggio per
parlare.
«Dammi una settimana di progettazione e collaudo,»
riuscì a dire, a voce bassa. «Ho bisogno di stare
per conto mio e
lavorare solo sulle protesi a pieno ritmo.»
«Interrompere la
fisioterapia...» cominciò Nataša, ma
lui la anticipò subito:
«Non
ho intenzione di vanificare il tuo lavoro. Posso gestirmi da solo,
almeno per una settimana. Conosco a memoria centinaia di formule,
teoremi e progetti, penso di potermi ricordare qualche esercizio
motorio,» la rassicurò, irritato dalla sua
sfiducia.
Nataša non
dubitava della sua memoria, piuttosto della sua costanza, ma non
vedeva molte alternative. Stark sembrava non solo essere scoraggiato
dalla mancanza di progressi, ma anche estremamente dubbioso riguardo
a quelli fatti. In quello stato mentale dubitava che riuscisse a
concentrarsi appieno sulla riabilitazione.
«Dovrò comunicarlo a
Fury,» lo avvisò.
«Mandagli i miei saluti e un mazzo di rose,»
ribatté lui con indifferenza.
Nataša sospirò. Il direttore non
ne sarebbe stato affatto contento: lasciare nuovamente allo sbando
Stark non rientrava nei piani.
«Una settimana. È tutto il tempo
che ti concedo. Poi sarò io a decidere se
quello che fai
è utile o
meno,» ribadì in tono severo.
Tony annuì accomodante, prima di
rialzare lo sguardo su di lei.
«Perché ci tieni così tanto?»
chiese all'improvviso. «Insomma, non volevi neanche che
restassi nei
Vendicatori.»
Nataša esitò, ponderando se rispondere o
meno.
«Siamo una squadra,» dichiarò infine.
«E cerco di fare
ciò che è meglio per essa. Questo include anche
cambiare idea sui
suoi elementi più... compromessi,»
enunciò, e storse il naso
a quella parola,
non trovandone però di migliori. «E non sono la
persona più adatta
per giudicarti in questo senso.»
«Lo so,» alzò le
spalle lui, rivolgendole un'occhiata carica di significato che lei
ricambiò senza vacillare.
«Hai letto i miei file della
SHIELD.»
Non era una domanda.
«I firewall sono i miei,»
rispose lui con ovvietà. «Ci ho messo circa trenta
secondi ad
aggirarli,» un sorrisetto spento balenò sul suo
volto.
«E hai
soddisfatto la tua curiosità?»
Una traccia di
irritazione trapelò
dalla voce di Nataša, ma non era veramente arrabbiata con
lui: si
era aspettata che avrebbe provato a ficcare il naso nei suoi dossier
e si era ripromessa di non strozzarlo quando l'avesse scoperto, anche
se la tentazione era comunque forte.
«Il tutù ti stava bene,»
commentò
lui con forzata ironia. «Il resto... avrei preferito non
saperlo,»
ammise poi, più serio.
Nataša sospirò e si sedette accanto a
lui, incupita.
«Ho qualche nota rossa di troppo sul mio registro
per venire a rimproverarti un tentato suicidio.»
Si pentì di essere stata così diretta nel notare
come Tony
ebbe un evidente fremito a quelle parole; i suoi respiri si fecero
più brevi e ravvicinati, ma rimase immobile.
«Dovresti vedere il
mio,» replicò poi con voce contratta, come se
stesse
lottando contro
qualcosa che gli ostruiva la gola. «Vent'anni e passa di
manifattura
bellica lasciano il segno. Sugli altri,
soprattutto.»
Portò repentinamente
la mano al suo
reattore, quasi volesse tenerlo al suo posto.
«Hai provato a
cancellarlo: per questo ti hanno fatto entrare nella
squadra,» gli
fece notare lei. «E la squadra ha bisogno anche di te. Sei il
nostro consulente, e sei Iron Man. Non
puoi
arrenderti di nuovo.»
Tony abbassò lo sguardo sulle protesi e
una smorfia gli increspò volto.
«Non mi sto arrendendo. Non ne
ho mai avuto il diritto,» ribatté inquieto, come
se non riuscisse
ad afferrare i pensieri che gli scorrevano in testa.
Chiuse il
pugno meccanico con un lieve stridio di giunture.
«Ma potrebbe
essere impossibile,» si lasciò sfuggire infine.
Nataša lo
fissò, sorpresa dal cambiamento della sua voce adesso venata
di
tristezza.
«Dov'è finito il tuo ego? Sei uscito da situazioni
peggiori, con mezzi peggiori,» gli ricordò
debolmente.
Non era
mai stata brava con le parole, se non negli interrogatori: essere di
supporto a qualcuno non era il suo forte.
Tony scosse con forza la
testa.
«Non intendo questo. Camminare, usare le protesi come
fossero arti veri... potrebbe andare oltre
le
possibilità di questa tecnologia,»
puntualizzò lui, e si strinse
le mani per tenerle ferme, agitato.
Nataša fissò il leggero
tremito del suo corpo, attraversato da una tensione quasi dolorosa da
quando aveva menzionato il suo suicidio. Nonostante le apparenze
che cercava ancora in parte di mantenere, Stark era ancora sull'orlo
baratro. Sarebbe bastato un soffio per farlo cadere di nuovo, o per
riportarlo al sicuro. Pensò alle sue "note rosse", a
quanto spiccassero ancora sul suo registro e a come alla fine fosse
riuscita a voltare pagina per ricominciare da una intonsa, almeno per
chi la circondava. Magari un giorno ci sarebbe riuscito anche
lui.
«"Quando le possibilità non ci sono, se le
inventa",»
citò infine, a bassa voce.
Tony sollevò di scatto la testa, come
folgorato, e il suo cuore mancò distintamente un battito:
riconosceva quelle parole. Se le era sentite ripetere così
tante
volte... in tono serio o scherzoso o incoraggiante o di rimprovero,
nel corso di più di dieci anni. Erano diventate una specie
di
motto su misura per lui, inventato dalla persona che lo conosceva
più
a fondo di chiunque altro.
«Hai parlato con... ?» la sua voce si
spezzò.
Nataša gli sorrise appena, uno dei suoi rari sorrisi
sinceri.
«Se non vuoi credere a me, almeno credi a lei.»
Note dell'Autrice:
Oh oh oh! Incredibilmente riesco ad aggiornare quando promesso! Anche se a orari indecenti della notte...
Orsù, oggi Phoenix compie la bellezza di 6 anni! A pensarci mi fa veramente molto, molto strano, e non sono sicura che sia un traguardo positivo, considerando che tre anni e passa sono stati di stallo privo di aggiornamenti... sorvoliamo, va' :D
Questo capitolo invece è di quasi-stallo, ma l'ho ritenuto necessario sia per introdurre lo scoglio non indifferente della fisioterapia, sia per far "adattare" due personaggi ostici da gestire come Nataša e Tony. Ammetto che per me Nataša è abbastanza incomprensibile, nel senso che nel MCU è passata dall'essere un'assassina frigida a "zia Nat" in modo abbastanza inaspettato; qui diciamo che è un misto dei due caratteri, mantenendosi però prevalentemente sulla versione di Iron Man 2, visto che l'arco temporale è più o meno quello. Ho fatto dei riferimenti al suo passato come "ballerina" al Teatro Bol'šoj, senza scendere troppo nel dettaglio per ovvi motivi, ma era un fatto rilevante a giustificare in modo più o meno logico la sua scelta come fisioterapista da parte della SHIELD.
Qui Tony soffre come al solito, ma forse in modo un po' meno piagnone e un po' più costruttivo di quello a cui ci ha abituati negli scorsi 30 capitoli. Ovviamente la strada è tutta in salita e le ricadute sono dietro l'angolo, ma volevo sottolineare come nonostante la sua fragilità ancora molto evidente stia comunque cercando approcci diversi da "Hulk smash!" e prendersela con gli altri invece di risolvere i problemi.
Chiudo il papiro ringraziando infinitamente _Atlas_ per tutte le splendide recensioni che ha lasciato agli scorsi capitoli e per il costante supporto morale. Grazie, carissima <3
E grazie a chiunque leggerà e/o recensirà :)
Mi guardo bene dal promettere aggiornamenti a breve, visto le bugie enormi che ho sparato negli anni passati, ma ho una mezza idea di partire dal mese prossimo con un capitolo ogni due-tre settimane, se la stesura procederà in modo costante come adesso. Vedremo se sarà un proposito fattibile, anche considerando che starò fuori un paio di settimane in cui il tempo per scrivere sarà piuttosto esiguo.
Spero a presto,
-Light-
© Marvel