Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: ___MoonLight    09/04/2018    2 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



33

 

 
 

Stay hungry







"Rising up, back on the street
Did my time, took my chances
Went the distance
Now I'm back on my feet
Just a man and his will to survive"

[Eye Of The Tiger – Survivor]







Dove sono?"
Tony si risvegliò in un mare oscuro. Si sentiva galleggiare, ma sembrava una sostanza più densa dell'acqua, simile a inchiostro. Il reattore arc brillava nel suo petto, rilucendo appena sulla superficie metallica delle protesi. Quello strano liquido sembrava aiutare i suoi movimenti: si sentiva più leggero, quasi incorporeo. Provò a nuotare attraverso quella massa viscosa, ma si trovò solo a roteare su se stesso senza riuscire ad avanzare.
Rimase calmo, stranamente non allarmato da quella situazione anomala. Non percepiva dolore o fastidio, solo curiosità.
Intuì un movimento dal suo lato cieco e voltò la testa: in lontananza si era acceso un puntino luminoso che sembrava pulsare. Fece per dirigersi verso di esso, quando ne percepì un altro spuntare ai limiti della sua visuale, più grande del primo, seguito da un altro e un altro ancora, fino a che tutta l'oscurità non fu trapunta di luci ovunque posasse lo sguardo.
Stelle, gli balenò in testa. Erano stelle.
Quello che aveva scambiato per un oceano era in realtà il vuoto assoluto dello spazio. Tutto sembrava estremamente lontano da lui: stava andando alla deriva in un quadrante vuoto dell'universo.
Improvvisamente avvertì un tremito – nello spazio? – riverberargli nelle ossa e aumentare, come se qualcosa si stesse avvicinando. Si guardò intorno più volte, finché non individuò uno dei puntini in lento movimento verso di lui. Man mano che si avvicinava riusciva a distinguerne i colori – rosso e oro? – e finalmente si delineò la forma inconfondibile della sua armatura.
Si fermò davanti a lui e spense i propulsori innaturalmente silenziosi nel vuoto. Notò l'assenza del reattore nella cavità della corazza; anche le fessure dell'elmo erano spente, prive della consueta luce azzurrina. Si accorse subito che non era la Mark III: il suo design era più snello e il pattern della cromatura differente. Sembrava un'armatura leggermente più avanzata di quella che aveva perso nello scontro con Iron Monger.
Tese un braccio verso di essa e quella imitò il gesto, specularmente. Aggrottò le sopracciglia.
"Ancora specchi?"
Abbassò il braccio con una lieve inquietudine; l'armatura continuava a seguire i suoi movimenti. Si protese in avanti cercando di raggiungerla e quella diede una leggera spinta coi propulsori, arrivando a portata di mano. La afferrò d'istinto per il polso col braccio artificiale, senza incontrare resistenza. La protesi si mosse con agilità inaspettata. Con sua sorpresa, le placche dell'armatura si schiusero all'istante lasciando intravedere l'interno scuro e vuoto, come a invitarlo.
Esitò, ma l'armatura l'aveva già inglobato, saldandosi sulla sua pelle prima che potesse ritrarsi. Si ritrovò nella penombra familiare e stranamente fredda, priva di schermate virtuali. Provò ad attivare i propulsori, ma l'impulso non raggiunse l'armatura. Non riusciva a spostarla con la sua sola forza; poteva solo a sollevare appena gli arti meccanici, più potenti del normale.
Era in trappola, realizzò con un rantolo, sentendosi opprimere in quello spazio così angusto e rigido. Attraverso le fessure dell'elmo intravedeva solo buio: le stelle erano scomparse.
Doveva trovare un modo per riattivare l'armatura, ma sentiva il senso di claustrofobia che deviava i suoi pensieri. L'involucro metallico sembrava pesare sul suo corpo, schiacciandolo. Chiuse gli occhi in cerca di un barlume di lucidità e si sentì avvolgere da un'improvvisa calma; la stretta al petto svanì, così come il sudore freddo che gli imperlava la fronte.
Doveva trovare una soluzione, certo. C'erano molte cose che doveva assolutamente portare a termine... ma si sentiva protetto, là dentro.
Aveva davvero così tanta fretta di uscire?


***


Tony aprì a fatica l'occhio e fu colto da un senso di vertigine. La prima cosa che registrò fu una paurosa emicrania, seguita da una fitta al collo quando provò a muoversi. Fece una smorfia e scollò lentamente la guancia dalla scrivania sulla quale si era addormentato. Avrebbe mai avuto un risveglio piacevole?
«Ben svegliato, signor Stark. Sono le 10:45 del 12 maggio,» lo accolse non richiesta la voce elettronica di JARVIS.
Tony ebbe un sussulto nel sentire l'ora.
«Quanto ho dormito?» chiese con voce impastata, soffocando un enorme sbadiglio.
«Si è addormentato intorno a mezzanotte, signore.»
Tony emise un grugnito scontento: non poteva permettersi di oziare così a lungo.
«La prossima volta ti autorizzo a svegliarmi con la fanfara di Capitan America dopo al massimo sette ore,» bofonchiò.
Si poggiò allo schienale, sentendosi più indolenzito del solito, e si concesse qualche minuto per svegliarsi completamente e riattivare i neuroni ancora persi nel vuoto siderale. Iniziava ad averne abbastanza di quei sogni strampalati, soprattutto quando non gli fornivano intuizioni geniali. Come se avesse bisogno di un ulteriore promemoria riguardo all'urgenza di rimettersi in piedi per riprendere il suo ruolo di Iron Man.
Sbuffò, stropicciandosi la nuca nel tentativo di alleviare il mal di testa incipiente, mentre scandagliava la scrivania alla ricerca di qualcosa da bere. Individuò una borraccia e vi si attaccò assetato, venendo inondato dallo sgradevole sapore della clorofilla che gli anestetizzò la lingua, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine. Subito dopo recuperò il rilevatore di tossicità, riscontrando che il tasso di palladio era ancora fisso al 14%. Forse doveva passare più tempo in laboratorio...
Ripose in tasca il congegno e si decise a riprendere il foglio su cui stava lavorando la sera prima. Sospirò: decifrare la sua scrittura mancina e assonnata non fu facile, soprattutto con un occhio solo. Nel frattempo stiracchiò il braccio e la gamba artificiali in un coro di cigolii e proteste metalliche. Sì, doveva decisamente fare qualcosa per le articolazioni, ribadì tra sé mentre sgranchiva goffamente le dita di mano e piede senza riuscire a controllarle appieno. Rilassò infine le protesi avvertendo delle spiacevoli fitte ai moncherini, come sempre più acute al mattino.
Poggiò il foglio sulla scrivania e vi scribacchiò un appunto per completare una frase lasciata in sospeso, poi afferrò le stampelle là accanto e si sollevò lentamente per completare la sua routine mattutina: colazione-lampo, antidolorifici, bagno, barba e medicazione dell'occhio. Avrebbe rimandato gli esercizi di fisioterapia a dopo pranzo: aveva già perso tempo dormendo più del dovuto, ma non aveva intenzione di scombinare del tutto i suoi bioritmi appena ritrovati.
Mezz'ora dopo era di nuovo operativo e si districava tra modelli 3D, esplosi delle protesi e vari ologrammi che fluttuavano pigramente attorno a lui mostrando dati e grafici. Ogni tanto dava un'occhiata alla protesi inferiore e prendeva qualche nota abbastanza disordinata, sorseggiando con parsimonia il suo unico caffè non decaffeinato della giornata. Si tamponò infastidito un taglietto sul mento che si era rimediato mentre si rasava: a volte la mancina si dimostrava ancor meno collaborativa della protesi. Represse la frustrazione per quei piccoli, costanti incidenti, e si concentrò nuovamente sui suoi calcoli.
Nei giorni precedenti era già riuscito a riprogettare la protesi trovando il giusto equilibrio tra resistenza, mobilità e peso, che aveva ridotto drasticamente: ora non gli restava che applicare le modifiche. Sicuramente avrebbero facilitato i suoi movimenti, ma era consapevole che il peso non era il problema primario. 
Stava infatti lavorando a un nuovo modello di articolazione, qualcosa che aveva in mente da tempo ma che aveva sempre rimandato, restio a modificare a tal punto il progetto originario. L'unobtanium svolgeva un buon lavoro nel sostituire la cartilagine, ma l'attrito era ancora troppo e le giunture rimanevano rigide, dando delle movenze robotiche e imprecise ai suoi gesti. Per piegare braccio e gamba doveva prima vincere una resistenza innaturale ed era anche per quell'impedimento che perdeva l'equilibrio mentre cercava di camminare. Aveva passato la scorsa notte a ideare delle capsule di sospensione in unobtanium gelatinoso che avvolgessero completamente l'articolazione, invece di fare solo da cuscinetto tra i punti di giunzione. Ciò avrebbe dovuto rendere più morbidi e meno faticosi i movimenti riducendo ulteriormente l'usura, ma realizzarle richiedeva molto più di una settimana – cinque giorni, ormai – e aveva bisogno di qualcosa che accelerasse i suoi progressi nell'immediato. Solo la fusione e la modellazione dell'unobtanium necessario per ginocchio e caviglia gli avrebbe portato via due settimane, forse dieci giorni se avesse lavorato ai ritmi massacranti di qualche mese prima. E quella non era un'opzione accettabile.
Finì di disegnare un bozzetto della capsula contornato di note a margine, percentuali e vettori, poi mise da parte il foglio su una risma ordinata in un angolo della scrivania, dove già erano impilati i progetti per la struttura alleggerita delle protesi, e ordinò a JARVIS di scannerizzarlo.
Fece oscillare tra le dita sane la penna e si dondolò sulla sedia girevole, pensoso. Gli veniva in mente almeno una decina di migliorie possibili, nessuna utile ad aiutare la sua mobilità. Sbuffò frustrato. Continuava a pensare che forse l'unica soluzione fosse modificare la piastra d'aggancio delle protesi, ma era un'idea al momento inapplicabile, oltre che pericolosa, e richiedeva l'assistenza di Ian.
Eppure la sua mente continuava a pungolarlo in quella direzione. Ci doveva essere qualche problema alla base, gli diceva l'istinto. E il suo istinto raramente... – gli eventi degli ultimi mesi passarono in rapida successione nella sua testa, demolendo la sua sicurezza. Ok, forse il suo istinto non era così infallibile, ma almeno per le questioni tecniche non l'aveva mai deluso.
Fissò il braccio prostetico, muovendo con attenzione le dita. Queste risposero come sempre con un leggero ritardo e a scatti. Corrugò le sopracciglia.
C'era stato un momento, subito dopo l'innesto del braccio, in cui muovere la protesi era stato più facile. Non certo facile, ma sicuramente più di adesso. Riusciva addirittura a impugnare una penna, anche se goffamente e spesso rompendola. Provò a farlo e, mentre gli riuscì più semplice trovare la giusta forza per non disintegrarla, non riuscì a controllare e coordinare le dita come avrebbe voluto. Le dita metalliche scivolavano sulla superficie liscia, senza fare presa – "palmo antiscivolo" appuntò velocemente su un foglio con la mancina cercando di non perdere la concentrazione, ma quello era il minore dei problemi. C'era troppo ritardo tra il suo impulso nervoso e l'esecuzione. Anche tenendolo da conto non riusciva a governare i suoi movimenti, che sembravano andare a singhiozzo. Non appena si distrasse, la penna cadde sulla scrivania con un toc sommesso.
Tony si accarezzò concentrato il pizzetto, fissando un punto indefinito tra i vari ologrammi che lo circondavano. Si ricordava di come prima riuscisse a muovere il braccio più liberamente; gestiva persino la fusione dell'unobtanium da solo senza troppi problemi. Non poteva dire che si muovesse in scioltezza, ma in confronto ad ora sembrava un giocoliere.
Cosa era cambiato? Lo sguardo gli cadde sulla bottiglietta di antidolorifici. Sicuramente prima ne assumeva molti di più. Potevano aver inficiato i nervi in modo permanente? Gli sembrava improbabile, o avrebbe avuto difficoltà motorie generalizzate, ma a parte una lieve atrofia muscolare dovuta all'immobilità, durante la riabilitazione non aveva riscontrato alcun problema grave.
Cosa era cambiato? Socchiuse l'occhio, cercando di riordinare i pensieri.
Adesso assumeva più clorofilla, ma difficilmente poteva essere determinante, se non nel dargli una marcia in più a un provino per il ruolo di Hulk. Gli si era staccata una mano al processo – uno dei momenti più alti della sua carriera, doveva ammetterlo – e poi... poi Rogers aveva completato il lavoro, distruggendola del tutto. Che in quell'occasione si fosse danneggiato il microreattore?
S'incupì: se davvero la causa di tutto era da imputare a quel damerino a stelle e strisce, non avrebbe risposto di sé. A ripensarci gli saliva ancora la rabbia, nonostante si rendesse conto di non aver fatto nulla per evitare il conflitto, anzi. Per colpa di quel disadattato temporale aveva dovuto riprogettare da zero braccio e gamba... anzi, la gamba fortunatamente no, quella era venuta dopo...
Si riscosse di colpo e schioccò di riflesso le dita buone, puntando lo sguardo sulla protesi inferiore come un detective che ha appena trovato una pista.
Ecco cos'era cambiato: si era impiantato la gamba!
"... e quindi?"
Il suo entusiasmo scemò un poco. Poteva sentire le sinapsi che si accapigliavano tra loro per cercare di trarre un senso da quella conclusione.
Più peso? Più unobtanium?
Picchiettò meccanicamente sul reattore in mezzo al petto, mordendosi nervoso le labbra. Arrestò bruscamente la marcetta che aveva preso a tamburellare sulla superficie metallica, dandosi dell'idiota mentre rivolgeva lo sguardo alla luce azzurrina: più reattori. Ecco la differenza che cercava. Un sorrisetto trionfante si allargò sul suo volto: il problema era alla base. In quel campo il suo istinto non lo tradiva mai.
«Ehi, JARVIS, capta le radiazioni elettromagnetiche emesse dai reattori arc,» ordinò, ruotando allegramente qua e là con la sedia per chiudere le varie schermate aperte.
Forse aveva finalmente dato una svolta al lavoro apparentemente inutile di quei giorni. Una luce verdognola prese a scansionarlo e un olografico apparve davanti a lui, con tre oscillogrammi che vi si dipanavano seguendo le variazioni di frequenza dei tre reattori. Apparivano abbastanza stabili, se non per dei lievi picchi simultanei. Tony selezionò con due dita uno dei picchi, ingrandendo la traccia con interesse.
«Sembra che vi siano delle interferenze reciproche tra i campi elettromagnetici dei reattori, signore,» disse JARVIS, anticipando la sua osservazione.
«Notavo. Ed è una gioia per il mio corpo, immagino.»
Una colonna di dati numerici affiancò il grafico, con dei valori evidenziati in tre colori diversi a rappresentare ognuno dei reattori.
«Il reattore cardiaco mostra di non risentire degli effetti in modo preoccupante,» rilevò JARVIS, ingrandendo i valori più bassi di poco superiori alla norma.
«Ringraziando il cielo, o sarei già morto d'infarto,» borbottò Tony corrucciato.
«Al contrario, i micro-reattori sono soggetti a variazioni di frequenza ingenti sia reciproche che causate dal reattore centrale.»
«Prima funzionava tutto a dovere... dev'essere stato il terzo reattore a mandare in tilt il sistema,» concluse Tony.
«Parrebbe di sì. Rilevo una concentrazione troppo alta di onde elettromagnetiche. Ipotizzo che ciò ostacoli la trasmissione degli impulsi nervosi.»
"Eureka," pensò lui, tetramente.
La sua soddisfazione era svanita. Un malfunzionamento dei reattori era irreparabile sotto ogni punto di vista. Portò una mano alla fronte, sentendosi improvvisamente spossato.
Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Era perfettamente consapevole delle interferenze che si venivano a creare tra due flussi di energia arc; semplicemente non aveva pensato che potessero riguardare dei reattori così piccoli. Ripensò all'incidente avvenuto durante l'impianto del braccio, quando era quasi andato in arresto cardiaco: quanto era stato ottuso a non dare a quell'evento il giusto peso?
Strinse i denti, rimproverandosi ancora. Era stato troppo avventato nel volersi impiantare definitivamente i micro-reattori senza un periodo di prova. Ian aveva tentato di avvertirlo, ma no, lui doveva fare testa propria. Quella negligenza avrebbe potuto costargli la vita, oltre alla mobilità.
Si schiarì la gola, notando solo ora l'assenza dei commenti pedanti del suo maggiordomo virtuale.
«Qualche suggerimento per risolvere questo casino? A parte trovare un'alternativa al palladio,» si affrettò a precisare, vedendo apparire dinanzi a sé la proiezione di una tavola periodica.
«Sarebbe la soluzione più logica: sostituire il palladio con un ipotetico elemento compatibile modificherebbe l'orientamento delle molecole nei reattori, evitando...» continuò lui implacabile, aggiungendo un modello molecolare a un palmo dal suo naso.
Tony lo scacciò con un gesto seccato.
«Lo so, e grazie per aver messo in dubbio la mia laurea in fisica, ma ti sembra che abbia il tempo per inventarmi un nuovo elemento? Non dico che non potrei, ma ho una certa fretta di tornare a camminare.» 
Il suo sguardo corse involontariamente alle armature, ma lo distolse subito.
"Prima camminare, poi volare," si rammentò: Iron Man sarebbe stato tutt'altro problema...
Seguì un breve silenzio poco promettente da parte dell'intelligenza artificiale, al che Tony capì che ormai non poteva più parlare di "soluzioni", ma solo di "contenimento danni".
Riprese in mano la penna. Se gli impulsi nervosi avevano difficoltà a trasmettersi doveva cercare di amplificarli, per tentare di far arrivare un segnale più leggibile alle terminazioni artificiali. Aumentare la potenza dei reattori era impossibile e nocivo, ma almeno per il braccio poteva eliminare i resistori impiantati qualche mese prima, dicendo addio al calore del braccio: un sacrificio risibile, in confronto al poterlo muovere decentemente.
Poi avrebbe dovuto migliorare la conduttività dei nervi in unobtanium in entrambi gli arti. Per ora gli interessava solo la gamba: al braccio avrebbe pensato in seguito. Sperava solo che bastasse aumentarne la densità per aggirare il problema e avere più controllo sui propri movimenti. Probabilmente avrebbe di nuovo avuto difficoltà a dosare la potenza delle protesi e sarebbe tornato in modalità "elefante in una cristalleria", ma era un compromesso accettabile. Dopotutto non doveva certo informare i suoi amichetti in toga e parrucchino di ogni modifica potenzialmente pericolosa che apportava alle sue presunte "armi".
Cercò con lo sguardo il fidato robot telescopico e lo individuò in fondo al laboratorio.
«Ehi, tu! Mani di burro!» Dum-E si rianimò con un ronzio. «Rispolvera l'attrezzatura per la fusione. E niente pozze di unobtanium in giro, stavolta. Si torna al lavoro,» ordinò con vivacità, sentendosi rinvigorito dall'avere di nuovo qualcosa da fare.
Non era una soluzione, ma era tutto ciò di cui disponeva al momento.


***


13 Maggio, Villa Stark

«Ok, adesso piano. Piano!»
Dum-E scattò bruscamente in avanti facendogli perdere l'equilibrio, ma lui riuscì a mantenere la presa sul braccio telescopico e compensò la distanza con un cauto passo della gamba sana. Il moncherino protestò per la posizione scomoda, ma la protesi resse.
"Ora l'altra," si incoraggiò, cercando la percezione del suo arto meccanico.
In seguito alle modifiche gli sembrava leggermente più sensibile, infatti riuscì a muovere il piede di qualche centimetro. Si aggrappò più saldamente al robot, tentando di governare quell'impulso che sembrava sfuggirgli e che non riusciva ancora a localizzare. Il suo ginocchio fremette, ma il resto dell'arto non rispose.
Imprecò tra sé.
"Quanto potrà mai essere difficile muovere una stramaledetta gam–..." la protesi scelse quel momento per reagire inaspettatamente, sferrando un involontario calcio in avanti che assomigliava molto poco a un passo.
Frenò appena in tempo lo slancio, ma la pianta del piede impattò con durezza col pavimento, inviandogli una vibrazione dolorosa fino al moncherino. Serrò denti e occhio, grato per aver progettato un robot ottuso ma solido: sostenne il suo peso evitandogli di rovinare a terra, seppur con un lieve ronzio di protesta.
«Signore, secondo i miei calcoli la capacità di trasmissione...» cominciò JARVIS, inopportuno come sempre.
«Muto,» lo zittì lui con un sibilo sforzato.
Cercò a tentoni la sedia dietro di sé e vi si abbandonò sentendosi già esausto, ma determinato. Stavolta era riuscito a muovere la gamba, seppur non come voleva, ma la potenza del segnale era ancora troppo ridotta e instabile.
Rivolse uno sguardo sconsolato al piano di lavoro invaso di componenti elettronici, pozze semisolide di metallo, e cavi. Aveva passato una giornata intera a modificare la densità di ogni singolo nervo in unobtanium e adesso doveva ricominciare da capo per aumentarla ancora. E in futuro avrebbe dovuto fare tutto una terza volta per il braccio...
Si costrinse a riscuotersi da quelle considerazioni: non aveva tempo da perdere. Rimosse con un gesto deciso la gamba ignorando la replica della ferita e la poggiò nuovamente sul bancone, studiandola con aria di sfida. Era una sua creazione e avrebbe funzionato come voleva lui.
Si rimise gli occhiali protettivi e fece seccamente cenno a Dum-E di avvicinarsi, fissando nella sua pinza un saldatore caricato ad unobtanium e impugnandone un altro lui stesso.
«Tu, fai quello che ti dico io o diventerai la mia prossima stampella,» gli intimò, ricevendo un ronzio agitato in risposta. «JARVIS, memorizza i valori errati e resetta il collaudo. Ci riproviamo.»

***


17 Maggio, Villa Stark

«Che ti avevo detto?» sbottò Tony, sfoggiando un ghigno soddisfatto nonostante l'affanno che gli spezzava la voce.
Nataša non si mostrò particolarmente impressionata e si limitò a fissarlo con la faccia di qualcuno che sta seriamente prendendo in considerazione l'omicidio, anche se sembrava in realtà trattenere il suo stupore.
«Quante volte vuoi ribadire che avevi ragione?» sospirò infine.
«Tutte le volte che lo riterrò necessario,» rispose prontamente lui, piegando di nuovo la gamba meccanica con evidente sforzo.
Era sdraiato sulla schiena con la gamba a mezz'aria, impegnato coi soliti esercizi di mobilità con molto più successo, come aveva avuto modo di puntualizzare ripetutamente e in modo saccente nel corso dell'ultima ora.
Nataša non si era aspettata di trovare Tony d'umore più che positivo. Aveva pensato di doverlo minacciare per farlo tornare al lavoro: quando il miliardario aveva invocato una pausa per "migliorare le protesi", aveva creduto che fosse solo una delle sue scuse per potersi crogiolare nell'indolenza e nell'autocommiserazione, come aveva già fatto in precedenza. Invece aveva appena fatto in tempo a mettere piede a Villa Stark che si era vista il padrone di casa venirle incontro con aria euforica, rischiando di inciampare tra stampelle e protesi senza per questo curarsene, annunciandole che doveva assolutamente vedere gli "straordinari progressi" che aveva raggiunto in sua assenza.
Nataša si era mostrata scettica, ma le erano bastati i primi minuti di esercizi per capire che quelle di Stark per una volta non erano esagerazioni. Adesso era veramente in grado di controllare la gamba artificiale. Con difficoltà, ovvio, e tirando giù un intero calendario anche solo per alzare un dito, certo, ma non era più il peso morto che si trascinava dietro fino a una settimana prima. Assieme alla mobilità fisica sembravano ricomparse anche la sua arroganza e naturale indisciplinatezza, rendendolo decisamente più temerario di quando l'aveva lasciato. E gestibile quanto un bambino di cinque anni con troppo zucchero in circolo.
«Bene, direi di passare a qualcosa di più impegnativo!» stabilì infatti l'uomo, facendo leva sul bordo del ring per issarsi in piedi, ancora decisamente instabile.
Appunto.
"Ma come ha fatto Potts a sopportarlo per dieci anni?"
Se gli ordini di Fury non fossero stati categorici gli avrebbe già spezzato l'osso del collo... anche se doveva ammettere che preferiva questa sua versione energica e ribelle allo stato di quiete prossimo alla prostrazione in cui l'aveva trovato.
«A cuccia, Stark. Che ne dici di non mandare tutto a puttane subito, per una volta?» lo richiamò con cipiglio minaccioso, ma lui rispose con un verso di scherno, l'occhio illuminato da una luce ostinata.
«Ho passato tre notti insonni su questo gioiellino,» esordì scuotendo con orgoglio la gamba ancora restia ad eseguire i suoi ordini. «Ho tutto il diritto di testarlo come mi pare e piace,» sentenziò, e lasciò al contempo il supporto del ring.
Nataša fece per scattare in avanti per afferrarlo prima della prevedibile caduta ma si bloccò, interdetta: Tony era rimasto in piedi, oscillando appena, con le braccia sollevate in alto come a dimostrare che non c'era alcun trucco.
Un sorriso sghembo gli attraversava il volto sfidandola a dire qualcosa; solo le increspature della sua fronte tradivano il suo reale sforzo e la concentrazione che quel gesto apparentemente banale gli richiedeva. Dopo appena un paio di secondi, spostò il baricentro un po' troppo in avanti e fu costretto cercare di nuovo il sostegno della pedana, puntandovi i palmi senza però abbandonare la sua posizione eretta. 
La sua felicità era palpabile, al punto che lei non ebbe cuore di riprenderlo ancora. Incrociò le braccia, scuotendo la testa con falso rimprovero.
«Questa te la sei preparata,» si limitò ad insinuare divertita e Tony alzò le spalle con fare innocente, colto in fallo.
Quel piccolo movimento bastò a squilibrarlo del tutto, e fece per aggrapparsi convulsamente alle corde del ring per non far collassare la protesi. La mano meccanica mancò l'appiglio, le sue gambe s'incrociarono malamente e lui rovinò a terra, sbattendo lo zigomo sul bordo della pedana. Gli sfuggì un lamento prolungato, mentre si tastava con cautela il volto dolorante e si lasciava scivolare sul pavimento.
Nataša si avvicinò scuotendo la testa e si accovacciò al suo fianco, aiutandolo a raddrizzarsi seduto e assicurandosi che non si fosse rotto nulla; lo squadrò con severità.
«Che ti avevo detto?» lo prese in giro, imitando il suo tono derisorio di poco prima.
Tony scostò la mano dalla guancia arrossata, su cui sarebbe rimasto un bel livido, e Nataša si accorse che stava ancora sorridendo, come estraniato sia dalle sue parole che dal dolore.
«Funziona... sta funzionando!» riuscì ad esclamare infine, guardandola con lo sguardo che luccicava, e stavolta la sua voce era incredula e quasi tremante.
Nataša distolse lo sguardo, stringendolo appena per le spalle in un gesto che voleva essere di sostegno sia fisico che morale. Aveva la netta sensazione di essere di troppo. Non era lei a dover essere accanto a Stark in quello che probabilmente era il momento più importante della sua vita negli ultimi mesi. Strinse le labbra amareggiata mentre aspettava che si riprendesse dalla caduta, rimanendo comunque chinata alla sua altezza, senza muovere le mani.
«Ehi, cos'è quella faccia? Ti faccio disperare così tanto?» sbottò Tony dopo un po', nuovamente scherzoso, facendola sobbalzare.
«Non ne hai idea, Stark., scosse la testa lei, seccata per essersi fatta sorprendere con la guardia abbassata.
Si scostò da lui e si rimise in piedi riprendendo le sue distanze, ma gli rivolse un fugace sorrisetto: dopotutto era contenta di rivederlo così spigliato e quasi sereno.
«Prima o poi doveva toccare anche a te,» commentò lui, decidendo che rimanere seduto là era decisamente più comodo che tentare di alzarsi ancora.
Si accorse dello sguardo interrogativo della donna e si affrettò a chiarificare:
«Prima Coulson, poi Fury, poi Banner, poi Hawkeye, adesso tu...» elencò, cercando di contare sulle dita della protesi con un po' di difficoltà.
Si accigliò: doveva decisamente trovare il tempo di ricalibrare anche quella.
«Tutti voi vi siete trovati a supportarmi e sopportarmi in un modo o nell'altro. Più del solito, intendo. All'appello mancano solo Thor... e Rogers,» considerò infine, poco entusiast.a «Francamente, posso sopportare un semidio Asgardiano che gironzola per casa scolandosi il mio whiskey, almeno finché mi lascia analizzare Mjolnir, ma penso che chiuderei Mr. Frisbee nello stanzino a far compagnia alle anticaglie di mio padre.»
«Nessuno dei due sarebbe così entusiasta di avere a che fare con te, credimi,» osservò Nataša, chiedendosi se quell'uscita improvvisa fosse un modo tutto suo per dire "grazie".
«Ma dovranno! E prima o poi dovrò anche offrirvi da bere per la vostra pazienza... sì, anche a Rogers, sempre che regga l'alcol,» puntualizzò, storcendo le labbra imbronciato. «Mi ha sfondato la protesi, ma è grazie... beh, quasi grazie a lui che ho risolto qualche problema tecnico. Diciamo che ha involontariamente aiutato il processo logico, ma potrebbe fare di meglio,» minimizzò infine.
Fece leva sulla panca davanti a lui, issandosi a sedere con un altro lamento soffocato.
«Devo rimettermi in piedi al più presto. Ho un bel po' di problemi da risolvere con...» esitò, incupendosi brevemente e passandosi una mano tra i capelli spettinati. «Beh, con tutti, a pensarci bene. Ma a questo punto è impossibile non perdonami, no?» tornò a sfoggiare il suo solito sorrisetto impertinente, che sembrava aver ritrovato posto sul suo volto dopo una lunga assenza.
Nataša si sentì contagiare da quella ritrovata sicurezza e ricambiò con una delle sue occhiate enigmatiche, stemperata da un'aria di sfida giocosa.
«Vedremo,» rispose vagamente alla sua domanda e Tony ammiccò con sfrontatezza, prendendolo già per un sì.


***


19 Maggio, Villa Stark, 17:10

Kyle ringraziò Happy per averlo aiutato a scendere dall'auto e rivolse lo sguardo all'ingresso di Villa Stark, sontuoso come se lo ricordava. Sentì le ruote della macchina stridere sul vialetto d'ingresso e presto il rombo del motore si confuse con quello delle onde.
Il cielo era grigio e prometteva pioggia, ma l'aria era calda e quasi afosa. Un tuono brontolò in lontananza e Kyle si affrettò a sospingersi verso la porta d'ingresso; questa si sbloccò automaticamente. I sensori di JARVIS dovevano averlo identificato. Spinse un poco la sedia a rotelle e la porta si spalancò per facilitargli l'entrata. Kyle si ritrovò a sorridere: un maggiordomo virtuale avrebbe fatto comodo anche a lui.
«Benvenuto, signor Andrews,» la voce del computer risuonò nell'atrio.
Kyle si guardò intorno perplesso. Non mancava qualcosa? Dopo un altro paio di occhiate registrò l'assenza della parete divisoria tra ingresso e salone. Sembrava che fosse... crollata? Si raddrizzò gli occhiali sul naso, al colmo della perplessità.
Ian aveva accennato ad un' "accesa lite di Stark con uno dei suoi colleghi", e si chiese se quella fosse una delle conseguenze. In verità, preferiva non saperlo. Bastava Ian ad essere trascinato qua e là negli affari dello SHIELD contro la sua volontà e gli lasciava volentieri l'onore e l'onere di conoscere le informazioni extra al riguardo.
S'inoltrò un poco nell'atrio, trovandolo in un certo senso più vuoto del solito. Non entrava lì dentro da più di un mese: dopo il tentato suicidio aveva preferito lasciare a Tony un po' di respiro. Capiva fin troppo bene quello che stava passando il suo cliente – e compagno di sventure, in un certo senso – ed era più che consapevole che presentarsi a casa sua non invitato non sarebbe stato saggio, fino a qualche settimana fa. Certi eventi andavano metabolizzati in solitudine.
Adesso però si era convinto che fosse il momento giusto per fargli visita, soprattutto dopo averlo visto così pacato al processo. E anche per lo strano silenzio di Virginia, praticamente sparita sia dai suoi radar che da quelli di Ian. Il medico gli aveva suggerito di non immischiarsi – "sono adulti, idioti e vaccinati: lascia fare a loro" era stato il suo unico, burbero commento in proposito –, ma Kyle temeva che ci fosse stato qualche deleterio confronto dietro le quinte tra i due. E doveva ammettere che gli sarebbe dispiaciuto che troncassero i rapporti a quel modo, dopo tutto quello che avevano superato assieme. Non riusciva a spiegarsi altrimenti l'improvvisa irreperibilità della donna, quando fino a un paio di settimane prima sembrava accogliere di buon grado i suoi aggiornamenti sulla salute e le beghe legali di Tony.
Quest'ultimo, d'altro canto, era abile come sempre nel nascondere il suo reale stato d'animo; in quel breve periodo di conoscenza aveva imparato che non poteva fidarsi dell'apparente imperturbabilità del miliardario. Vederlo così sereno al processo poteva voler dire tutto e niente e il suo atteggiamento da sbruffone poteva nascondere ben più cupi pensieri, anche se il giudizio positivo di Ian sulla faccenda lo faceva ben sperare. Sperava di trovare conferma dell'anomalo ottimismo del suo medico.
Stava giusto chiedendosi come mai Stark non si facesse vivo, quando il campanello dell'ascensore trillò. Voltò la sedia a rotelle in quella direzione, chiedendosi in che stato avrebbe trovato il suo imprevedibile assistito. A uscire dall'ascensore fu invece una donna sconosciuta che lo trapassò subito con gli occhi di un gelido verde-azzurro. I capelli erano lunghi alle spalle, di un rosso cupo, e aveva un'espressione ombrosa che gli fece squillare un campanello d'allarme in testa. Non riuscì a nascondere del tutto l'espressione circospetta che gli affiorò in volto nel guardarla.
«Lei deve essere l'avvocato del signor Stark,» esordì lei con voce misurata ma cordiale, tendendogli la mano.
«Kyle Andrews, piacere, signorina...?»
«Nathalie Rushman. Sono la fisioterapista del suo cliente,» si presentò, con un sorriso che non raggiunse gli occhi.
Kyle sorrise appena di rimando, tendendole la mano e venendo ricambiato con una stretta molto più salda di quella che si aspettava. Ian era stato stranamente reticente sui dettagli riguardanti la riabilitazione di Tony e l'avvocato sospettava una nuova intromissione dello SHIELD. Non aveva intenzione di approfondire la cosa, ma aveva la netta impressione che la signorina "Rushman" non fosse esattamente una fisioterapista. Però aveva apprezzato l'assenza di commenti e sguardi di compassione nel vederlo: era abituato a venir squadrato dall'alto in basso in vari modi egualmente fastidiosi, ma ciò non lo rendeva più sopportabile.
«Spero di non disturbare,» buttò lì Kyle, rompendo il silenzio un po' teso che si era venuto a creare.
«No, assolutamente. Anzi, ha avuto un ottimo tempismo,» rispose lei, gli parve quasi con sollievo.
«Immagino. Stark non è esattamente la persona più semplice da gestire,» aggiunse con viva comprensione.
Lei sembrò voler concordare per un secondo, poi il suo volto tornò neutro:
«Diciamo che sa essere impegnativo. Sarò da voi tra poco,» si congedò infine con un cenno del capo, avviandosi verso la cucina.
Kyle ammirò la sua compostezza, sebbene forzata: Stark era davvero in grado far perdere le staffe a chiunque.
Si risolse ad entrare in ascensore e solo allora si accorse delle vibrazioni che aumentavano man mano che scendeva nel seminterrato. L'ascensore si fermò e non appena si schiusero le porte l'avvocato fu quasi sbalzato via dalla musica che si sprigionava a volume assordante dall'impianto stereo della palestra. Dopo qualche secondo riconobbe le note di un qualche singolo degli AC/DC oltre il muro di bassi frastornanti. Adesso capiva la fretta di Nathalie nell'uscire di lì...
Si avvicinò con cautela, individuando finalmente l'artefice di tutto quello scompiglio. Tony, ancora ignaro della sua presenza, era impegnato a camminare, o almeno a provarci, sorreggendosi a due sbarre di metallo parallele per non cadere. Kyle si bloccò, meravigliato da quello spettacolo insolito e dimentico dei fragorosi accordi di chitarra in sottofondo.
Tony forzò un passo stentato con la gamba meccanica, che reagì con rigidezza, fornendogli però un appoggio abbastanza solido per rimanere in equilibrio. Kyle lo vide contrarre il volto sudato per lo sforzo, mentre cercava di non cedere: mancavano due passi alla fine delle sbarre. Le sue nocche sbiancarono e le braccia ebbero un fremito che riuscì però a controllare. Mosse di nuovo la protesi e stavolta riuscì a piegare meglio il ginocchio, anche se il piede rimase immobile. Concluse l'ultimo passo sbilenco e si lasciò sfuggire un rumoroso sospiro di soddisfazione e stanchezza, inclinando il busto in avanti; continuò a sostenersi alle sbarre e rimase in piedi, nonostante le sue braccia tremassero visibilmente.
Fu solo a quel punto che voltò appena la testa, mettendo a fuoco Kyle, che sorrise di rimando. Sbarrò appena l'unico occhio, spiazzato e probabilmente imbarazzato per non essersi accorto di lui. Schioccò le dita e la musica scemò, diventando appena udibile.
«K! Da quanto...» dovette interrompersi, troppo affannato per parlare, e ripiegò su un generico cenno di saluto con la mano.
Fu scosso da un fremito e stavolta si lasciò scivolare a terra, vinto dalla spossatezza.
«Sono appena arrivato. Non volevo interromperti,» rispose l'avvocato, sempre sorridendo.
Tony si limitò ad annuire, ancora intento a riprendere fiato a grosse boccate. Aveva fatto appena dieci passi e si sentiva come se avesse corso una maratona. Si strinse la gamba nel punto di congiunizione tra carne e metallo e poggiò la fronte contro il ginocchio freddo: non ricordava l'ultima volta che gli aveva fatto così male. Anche il moncherino del braccio era provato per lo sforzo di sostenerlo e lo sentiva pulsare, a malapena attenuato dagli antidolorifici. Eppure voleva ricominciare da capo. Voleva rimettersi in piedi adesso, voltarsi e camminare di nuovo fino all'altra estremità delle sbarre. E poi di nuovo, e di nuovo, finché non fosse riuscito a camminare davvero.
Si accorse di sorridere e alzò la testa, incontrando lo sguardo preoccupato di Kyle.
«Tutto bene, Stark?»
Tony annuì di nuovo e deglutì a fatica, sentendosi la gola secca.
«Devo ancora abituarmi. È solo la terza volta che ci provo,» si schermì, allungandosi per prendere la borraccia di clorofilla, che bevve con più gusto del solito per la gran sete.
Non sentì arrivare risposta e quasi si strozzò nel realizzare la situazione. Si voltò a guardarlo con espressione colpevole: Kyle se ne stava seduto, ovviamente, con aria tranquilla, ma era sicuro che dentro di sé si stava chiedendo perché Tony Stark, egoista e megalomane ingrato con tendenza suicide, fosse in grado di scorrazzare qua e là mentre lui era costretto a guardarlo da una maledetta sedia a rotelle. Sentì la stretta del senso di colpa, che ultimamente gli stava diventando un po' troppo familiare. Da quant'era che non lavorava ai progetti per Kyle? O meglio, da quanto non ci pensava?
«Senti, K, in realtà le protesi non funzionano così bene come sembra e... insomma, non mi ero reso conto che...» stava per rimettersi in piedi, ma ci ripensò: magari era meglio rimanere lì per terra? Perse il filo del discorso.
Il giovane lo fissò stranito, non aspettandosi quella reazione sconclusionata, poi un lampo di comprensione balenò sul suo volto, che si rabbuiò repentinamente.
«Stark, qualunque cosa tu stia per dire, non dirla,» lo anticipò in tono duro, ma Tony non riuscì a trattenersi:
«Non è giusto, lo so, e capisco che tu sia arrabbiato, ma...»
«Credevo che avessi un'opinione più alta di me,» lo interruppe Kyle, risentito.
Tony batté le ciglia, interdetto. Kyle si avvicinò a lui con un sospiro, lo affiancò e gli offrì una mano, sporgendosi dalla sedia a rotelle. L'altro fissò incredulo il suo palmo teso, incerto su come reagire, al che Kyle la lasciò ricadere, alzando platealmente gli occhi al cielo.
«Pensi seriamente che metterò il broncio perché "tu puoi camminare e io no?"» impose alla sua voce una cadenza ironicamente lagnosa, come di un bambino che canzonasse qualcuno. «Per fortuna non sono così irritabile, o dovrei prendermela col mondo intero,» sbottò infine, e lasciò trapelare tutta la sua irritazione nonostante sul volto fosse ancora dipinta un'espressione giocosa.
«Ne avresti tutto il diritto. Di prendertela con me, intendo,» replicò Tony, abbassando lo sguardo e restio ad abbandonare il suo senso di colpa.
A quel punto Kyle diventò paonazzo, come sempre quando perdeva la calma.
«Io ti ho chiesto di fare qualcosa che tutti ritengono impossibile. Ho passato una vita a sentirmi dire che non avrei mai più potuto camminare,» esclamò accalorandosi. «E adesso, proprio adesso, tu ci stai riuscendo! Stai provando al mondo che non è impossibile!» si aprì in un ampio sorriso spontaneo che lasciò Tony a fissarlo con aria stolida, allo stesso tempo colpito da quell'inaspettata veemenza. «I tuoi successi saranno i miei successi. Io sto dalla tua parte, Stark.» concluse con fermezza, e gli tese di nuovo la mano con fare perentorio.
Tony esitò ancora un istante prima di accettarla.
«E io dalla tua,» replicò a bassa voce, concedendosi un accenno di sorriso.
Si issò in piedi, appoggiandosi un po' a Kyle e un po' alla sbarra e ritrovando un equilibrio precario. Non si azzardò a lasciare il suo sostegno, sentendo la gamba ancora troppo provata per reggere il suo peso.
Guardò di sottecchi Kyle. Non c'era traccia di falsità sul suo volto spigliato, con gli occhi animati dalla loro consueta luce limpida e vivace. Ripensò alla prima volta che l'aveva visto: anche allora si era chiesto da dove potesse provenire quella sua tenace allegria, in un corpo tanto fragile e ostile verso il suo proprietario. Sentì la propria ammirazione per quel ragazzo crescere ancora, insieme a un pizzico di fiducia in più nei suoi confronti.
Avrebbe potuto continuare a difenderlo per puro tornaconto personale, invece si spingeva al punto da incoraggiarlo e spronarlo con convinzione, ignorando il fatto che lui riuscisse sempre a deludere tutti. Forse un tempo anche Kyle era stato prima furioso e poi scoraggiato come lui, si trovò a pensare. Non poteva saperlo: non gliel'aveva mai chiesto. Era sempre troppo concentrato su se stesso per pensare agli altri, realizzò con amarezza.
«Comunque dovrei esserti grato per fare da cavia a una tecnologia sconosciuta,» sogghignò Kyle, per stemperare quel momento un po' troppo serio e intenso per i suoi gusti.
Tony si limitò a sorridere fingendosi divertito, chiedendosi se fosse il caso di informarlo dell'intossicazione da palladio. Magari non l'avrebbe riguardato, se fossero riusciti a realizzare il progetto del micro-reattore spinale. Dopotutto, a lui stava dando problemi principalmente il reattore cardiaco, un congegno con evidenti limiti e difetti strutturali ormai inalterabili. Gli effetti collaterali dei microreattori erano in realtà minimi.
Fissò il volto speranzoso di Kyle e tacque: non voleva lanciare un'ombra così cupa sul suo futuro.
«Direi di fare una pausa, prima che la "cavia" abbia un collasso,» decise, zoppicando verso la sua solita panca e sedendovisi quasi di schianto.
Recuperò un cacciavite, saggiando la tenuta delle viti sulla protesi inferiore e stringendone un paio. Notò lo sguardo incuriosito di Kyle.
«È ancora in fase di collaudo,» gli spiegò, sobbalzando nel sentire un scossa lungo i nervi quando mosse troppo bruscamente il cacciavite sulla rotula.
«Mi sembra che funzioni molto meglio di prima,» commentò Kyle, alzando le spalle ad ammettere la propria ignoranza in materia.
«Potrei elencarti nel dettaglio tutte le modifiche che ho apportato nell'ultimo mese e mezzo, ma penso che finiresti col farmi causa per molestie.»
«Mi accontenterò di osservare i risultati.»
«Anche la fisioterapia ha fatto la sua parte,» aggiunse Tony, con impensabile modestia.
«Non stento a crederlo. La tua fisioterapista mi è sembrata molto... autoritaria,» commentò Kyle, alla vana ricerca di un termine neutro.
«Oh, quindi hai incrociato Nataša,» s'illuminò Tony, imprecando poi contro un falso contatto.
«Intendi Nathalie?»
«Nathalie, Nataša, Nat...» sbuffò lui. «Che ne pensi di lei?» aggiunse, con un sorrisetto malizioso.
«In che senso?»
«In quel senso, K.»
Kyle arrossì un poco.
«Diciamo che non è esattamente il mio tipo.»
Tony smise di accanirsi su una giuntura del ginocchio e lo fissò sbigottito, come se avesse affermato che la terra era piatta.
«K, la bellezza è oggettiva, non deve rispecchiare per forza i tuoi gusti sess–...»
«Non starei con nessuno che mi guarda come se volesse uccidermi,» lo interruppe lui, incrociando con decisione le braccia.
Lui meditò per qualche momento su quell'informazione, per poi alzare le spalle con fare rassegnato.
«Quello è un grosso punto a suo sfavore, ma ho un debole per le rosse,» ammise sovrappensiero.
«Lo so,» commentò Kyle, sorridendo candidamente sotto i baffi.
Solo allora Tony si voltò a guardarlo di scatto con un moto di panico, realizzando le implicazioni di ciò che aveva appena affermato. Kyle si limitò a fissarlo sornione, mentre lui metteva a soqquadro il cervello alla disperata ricerca di una replica sagace, ma il suo server dell'umorismo sembrava momentaneamente offline.
Si sentì in quel momento il sibilo dell'ascensore in movimento, seguito dalle porte che si aprivano, suoni che Tony accolse come una salvezza provvidenziale per trarlo d'impaccio, attaccando a parlare a raffica di tutt'altro:
«Ehi, arriva Nataša! Tienti per te i tuoi pareri su di lei o ti ammazza veramente. Sono serio. L'ho vista atterrare il fossile a stelle e strisce per un commento sui suoi capelli.»
«Il fossile a cosa?»
«Bel soprannome, eh? Lui preferisce il titolo di "Primo Vendicatore",» Tony mimò delle esagerate virgolette con le dita, «ma rimane un vecchio attempato in calzamaglia che lancia un frisbee col mio marchio sopra.» 
Aveva gradualmente e incautamente alzato la voce, mentre Nataša si avvicinava accigliandosi per aver colto uno stralcio della loro discussione: Tony aveva sottovalutato il suo udito superiore alla norma.
«Non sono sicuro di voler o poter sapere queste...» cercò di frenarlo Kyle.
«Macché, tutti sanno di Capitan Ghiacciolo e della sua inutilità, almeno una volta a missione rischiava di farmi ammazzare col suo ...»
«Stark.»
«Ehi, Nataša!» si girò verso di lei senza cogliere appieno il livore del suo volto, che aumentò nel sentirsi chiamare col suo vero nome.
Tony continuò a parlare con aria gioviale:
«Digli di quella volta che hai battuto Mr. Muscolo con...»
«Stark!»
«Cosa, dolcezza?»
«L'espressione "copertura" ti dice nulla?» sibilò avvicinandosi a passo di carica, adesso incurante di mantenere un contegno dinanzi a Kyle; lui in tutta risposta cercò di apparire il più indifferente possibile e fece retromarcia di un metro buono.
«Nah, non mi dona; infatti la mia è durata molto poco e... ehi! Ehi! Mollami!» Nataša lo afferrò per il colletto, sbilanciandolo dalla panca. «Così è sleale, sono quasi invalido e senza armatura, non puoi...» si ritrovò per terra a gambe all'aria, stordito e sorpreso come sempre dalla sua forza.
«Non vedo l'ora che tu ti regga sulle tue gambe, Stark, così potremo cominciare anche le sessioni di allenamento vere,» indicò il ring con fare minaccioso, ma con un sottotono divertito che non gli sfuggì.
«Quando vuoi, è sempre un piacere fare a botte con te,» replicò Tony con un sorrisetto sfacciato, forte del fatto che almeno per il momento era intoccabile in quanto atterrato.
«Sono sicura che l'Agente Barton sarebbe molto felice di saperlo.»
Il sorriso si eclissò dal volto di Tony. Gli mancava solo una freccia infilzata da qualche parte...
«Poi dovrete spiegarmi il motivo di tutta questa segretezza.» bofonchiò, rimettendosi a sedere e lanciando un'occhiata esasperata a Kyle, che in tutto ciò si stava impegnando a fingere di non esistere.
«Si chiamano protocolli, Stark. Quelli che tu non segui mai
Tony non trovò di che ribattere e anche Nataša sembrò aver concluso la sua ramanzina.
«Bene. A quanto pare io devo tornare alla base, mi hanno appena convocata d'urgenza; starò via per qualche giorno... per faccende che non ti competono,» si affrettò a specificare, prima che il collega potesse tempestarla di domande.
«Se è un'emergenza, dovrebbe competermi,» precisò lui, imperterrito, tirandosi su a sedere.
«Non nelle tue condizioni.»
«Ehi, io sono prima di tutto un consulente, non ho bisogno delle gambe per...»
«Tu per ora sei sul libro nero di Fury,» gli ricordò Nataša, costringendolo a tacere. «Limitati ad essere "il Meccanico", almeno per ora... e cerca di non combinare troppi disastri,» sospirò in tono più gentile, stringendogli brevemente il braccio sano a mo' di congedo.
Tony fece un gesto esasperato con la mano, ma annuì e non protestò oltre, non nascondendo però la sua delusione per l'essere messo ancora una volta in disparte.
Nataša fece un breve cenno di saluto a Kyle che somigliava molto a un "ti tengo d'occhio".
«Tu non sai niente,» gli intimò.
«Sissignora,» rispose lui docilmente con un'alzata di spalle, mentre la donna usciva in tutta fretta senza voltarsi indietro.
Tony si grattò la testa, perplesso per la piega improvvisa degli eventi.
«Pare che la mia fisioterapista sia troppo impegnata per occuparsi di me,» osservò infine, girandosi verso Kyle con rassegnazione.
Lui sbuffò appena, con un mezzo sorriso incoraggiante.
«Ho un paio d'ore da sprecare prima di tornare ad occuparmi del tuo caso.»
«Prepara i popcorn.»


***


19 Maggio, Villa Stark, 21:00

Non ricordava l'ultima volta che si era impegnato così tanto in qualcosa. Ovviamente costruire le protesi gli aveva richiesto un'attenzione costante che aveva riempito totalmente la sua vita negli ultimi quattro mesi, ma era comunque qualcosa che era abituato a fare. Anche in passato gli era capitato di spendere giorni interi in laboratorio, immerso in qualche progetto particolarmente complesso. Era cresciuto tra macchinari e apparecchiature elettroniche: quello era il suo mondo, fatto di robot, computer e dispositivi futuristici che curava e perfezionava con dedizione.
Questo, invece...
Tony trattenne bruscamente il fiato nel poggiare il piede, ma riuscì a non sbilanciarsi in avanti e si artigliò alle sbarre di sostegno. Questo era molto più difficile di qualunque progetto su cui avesse mai lavorato, principalmente perché sentiva di non poter evitare in alcun modo i problemi che gli si paravano davanti. Quella era sempre stata la sua mentalità: se non puoi risolvere un problema, aggiralo. Aveva sempre funzionato, anche nella fase di costruzione delle protesi. Per quanto insormontabili gli fossero sembrati gli ostacoli tecnici in cui si era imbattuto, era sempre stato consapevole di essere in grado di superarli grazie al suo ingegno e a un po' di furbizia.
In quel caso il limite era il suo corpo e quegli ostacoli potevano solo essere abbattuti, a suon di tentativi, perseveranza e forza di volontà, oltre a un considerevole quantitativo di lividi.
Fece un altro passo, spingendo con la gamba meccanica. Gli sembrava un po' più stabile, o forse era solo il moncherino che si era intorpidito. Si sentiva bruciare i muscoli superstiti e aveva già dovuto contenere un paio di crampi. Nataša lo aveva avvertito di non forzare le cose e di prendersi il riposo necessario ma lui, nonostante le proteste del suo corpo, sentiva di poter continuare all'infinito. Sapeva che in fondo era solo un'illusione e che il mattino dopo si sarebbe risvegliato con dolori più atroci del solito, ma la sensazione elettrizzante di essere finalmente in piedi sulle proprie gambe lo inebriava, ed era disposto a pagare le conseguenze della sua testardaggine.
La sua concentrazione fu spezzata da un sibilo preoccupante proveniente da uno dei raccordi del ginocchio. Si affrettò a saltellare sulla gamba buona per raggiungere la panca. Valutò le condizioni della protesi, innaturalmente calda al tatto; intravedeva addirittura un sottile filo di vapore che scaturiva dal ginocchio. Assottigliò le labbra, contrariato.
Aumentare la capacità conduttiva dei nervi causava un surriscaldamento eccessivo e di quel passo l'articolazione si sarebbe usurata troppo rapidamente. A breve avrebbe dovuto interrompere nuovamente la fisioterapia per sostituire le articolazioni: non poteva rischiare di danneggiare irreparabilmente la protesi. Sospirò con rassegnazione, contraendo la mascella: quel continuo tira-e-molla lo esasperava.
«JARVIS, scannerizza i miei ultimi appunti ed elabora un modello digitale di quelle capsule in unobtanium. Tienilo pronto per domattina,» ordinò.
Seguì un segnale acustico affermativo da parte del computer che echeggiò nella sala deserta.
Kyle se n'era andato verso sera dopo aver pazientemente assistito ai suoi esercizi, facendogli addirittura il tifo ed alleviandone il peso; nelle pause si erano ritrovati a parlare del più e del meno, senza riferimenti a processi, protesi e agli eventi passati. Ciò l'aveva sollevato: si era sentito più loquace del solito e aveva accettato di buon grado la sua compagnia. Si era persino arrischiato a chiedere informazioni su Pepper, ma la risposta era stata estremamente vaga e Kyle aveva subito sviato l'argomento, così aveva rinunciato senza rammaricarsene troppo. Avrebbe avuto modo di far fronte anche a quel problema, prima o poi. Non poteva distrarsi proprio adesso che era così vicino alla prima tappa del suo percorso.
In compenso aveva ricevuto un resoconto dettagliato dei trascorsi amorosi dell'avvocato, trovandosi per la prima volta a corto di consigli in quel campo, a parte evitare come la peste camicie hawaiane e cravatte rosa shocking. Kyle sembrava aver trovato il suo imbarazzo molto divertente e si erano congedati su una nota scherzosa, nonostante l'avvocato gli avesse indirettamente ricordato di prepararsi al processo. Tony aveva risposto con un falsissimo sorriso rassicurante, cosciente che non si era avvicinato neanche per sbaglio alle scartoffie che Kyle gli aveva diligentemente lasciato da studiare settimane prima. 
Happy, passato a prendere Kyle, si era trattenuto brevemente per salutare, e nel solito fare burbero del suo autista Tony aveva colto una nota quasi commossa, unita alla promessa di un futuro incontro sul ring. Tony sperava con tutto il cuore che sarebbe arrivato presto.


***

Si era fatto buio da un pezzo, e le vetrate lasciavano intravedere solo le luci soffuse dei lampioni in giardino. Doveva essere molto tardi, ma non avrebbe saputo dire quanto.
Tony revisionò rapidamente la protesi, adesso più fredda, concludendo che era in grado di reggere almeno un altro paio di passeggiate zoppicanti. Poi, a nanna. Non poteva pretendere troppo dal suo corpo, o si sarebbe trovato di nuovo immobilizzato a letto. Fece leva sulle stampelle e si alzò un po'sbilenco, accigliandosi per quella prospettiva poco entusiasmante.
Riprese posizione alle sbarre, poggiandovi il proprio peso, e saggiò la stabilità delle sue gambe. Si preparò mentalmente ai dieci o quindici minuti che gli avrebbero richiesto quei pochi passi, poi si umettò le labbra, ignorando la stanchezza e concentrando le proprie energie sull'esatta sequenza di movimenti che avrebbe dovuto svolgere. Scaricò il peso anche sulla protesi e dopo qualche secondo di oscillazioni trovò un punto di equilibrio.
Si arrischiò a lasciare la presa dal suo sostegno, pronto a riafferrarlo, e con suo enorme stupore riuscì a rimanere in piedi per più di qualche secondo, sebbene con sforzo. Raddrizzò la schiena e la gamba meccanica tremò leggermente, così divaricò leggermente le piante dei piedi per ammortizzare meglio la vibrazione. Rimase immobile a lungo, testando la resistenza della protesi e del proprio corpo. Perse lentamente la percezione del moncherino, della pressione sulla piaga, della pesantezza e rigidità innaturali della gamba. Gli sembrava di non avere alcuna protesi: era una strana sensazione, ma in un certo senso rassicurante.
Ebbe un inatteso tuffo al cuore nel realizzare che era finalmente in piedi.
Sentì un fiotto di calore infiammargli il petto, improvvisamente conscio di quel che stava accadendo e la testa gli si fece leggera, confusa dal rimescolarsi di mille sensazioni; il suo volto non sapeva che espressione assumere e rimase vacuo per qualche istante, prima di aprirsi in un sorriso incredulo e poi in una risata liberatoria. Non si era mai immaginato di poter essere così felice per un gesto così semplice.
Si trovò a desiderare che ci fosse qualcuno lì a guardarlo, ad assistere al suo successo, alla conquista a cui aveva aspirato per tutti quei mesi. Il suo sguardo spaziò sulla palestra vuota e sentì la sua euforia smorzarsi un poco, sapendo in cuor suo chi avrebbe voluto avere al suo fianco in quel momento. Gli rimase comunque un'espressione soddisfatta stampata in faccia, nella segreta speranza che, forse, il giorno in cui Pepper avrebbe potuto vederlo in piedi sarebbe arrivato prima del previsto.
"Forse anche adesso..."
All'improvviso venne folgorato da un'idea molto sciocca, ma anche molto allettante.
«Ehi, JARVIS,» chiamò piano, timoroso di rompere il suo fragile equilibrio, e si stupì nel sentire il tremore emozionato nella sua voce. «Immortala il momento.»
«Vuole rendere noti al mondo i suoi progressi, signore?» chiese lui, con una curiosità insolita anche per un super-computer.
«Ancora no... per ora mi limito a spedire una cartolina allo SHIELD,» replicò lui, con sicurezza.
Uno schermo-specchio olografico si materializzò davanti a lui.
Tony osservò il suo riflesso e per la prima volta dal momento dell'incidente non provò rabbia o sconforto o rassegnazione nel vedersi. Era semplicemente
lui, stanco dopo una giornata di lavoro, coi capelli un po' arruffati e la solita aria impertinente, ben saldo sulle sue gambe. La canotta scura faceva risaltare la familiare, rassicurante luce azzurrina del reattore arc. Quell'immagine gli appariva naturale. E il nero gli donava, concluse in un guizzo d'amara autoironia, contemplando il rivestimento opaco delle protesi fin troppo evidenti. Si coprì esitante lo sfregio in volto con la mano, seguendo i movimenti del suo gemello olografico. Fece una smorfia dubbiosa e scoprì la ferita, per poi ripensarci, osservando l'effetto; si risolse a rimettersi la benda.
«Quando vuoi, JARVIS, non ho tutto il giorno,» lo spronò con uno schiocco di dita; iniziava a percepire una stanchezza tangibile, ma si sentiva proprio in vena di una delle sue trovate stravaganti e imprevedibili.
Un countdown di tre secondi lampeggiò sull'ologramma mentre il computer aggiustava la messa a fuoco, pronto a scattare.
Tony si mise in posa e sollevò entrambe le mani, sfoggiando due segni di vittoria e un sorriso da spaccone.




_________________________________________________________________________________________

Note Dell'Autrice:

Buonsalve, gente!
Torno prima del previsto ad aggiornare, principalmente perché la stesura procede bene e perché, lo ammetto, un po' smaniavo per pubblicare questo capitolo.
Considero questo capitolo una conquista sia per Tony, che Alleluja è finalmente in piedi, sia per la storia, che finalmente arriva al punto di svolta agognato sin dall'inizio della stesura. Scriverlo mi ha messo allegria e spero che possa trasmetterla anche a chi legge :)

Come è evidente, mi sono votata nuovamente alle parti tecniche, stavolta con l'appoggio di un Consulente che mi ha aiutato (e impedito) di scrivere troppe stronzate riguardo ai reattori. Rimane comunque pseudo-scienza, ma manterrà una sua logica nel corso della storia.
A parte ciò, ho finalmente voluto dedicare un po' di spazio a Kyle, che era stato messo abbastanza da parte negli ultimi capitoli. Spero di essere riuscita a renderlo un po' più "vivo" come personaggio, insomma. Vi rallegro anche con una chicca su di lui, ovvero il disegno a fine note, realizzato da una mia (all'epoca) compagna di classe, che un tempo aveva un account qui come Biatheginger (che a quanto pare ha eliminato, ma mi sembra giusto creditarla).

Detto ciò, sommergo come sempre di ringraziamenti la carissima _Atlas_, supporter nr.1 di questa storia e sua assidua commentatrice <3
E grazie a chiunque leggerà e/o recensirà!

Spero di riuscire ad aggiornare prima dell'uscita di Infinity War (la butto là: probabilmente sarà il giorno prima), visto che la stesura dei restanti capitoli procede abbastanza bene :D
Hasta la vista,

-Light-

P.S. L'arrivo di Eye Of The Tiger come colonna sonora di un capitolo era un pelino prevedibile e scontato, ma non ho resistito :P
P.P.S. E parlando di cose prevedibili, anche il titolo del prossimo capitolo lo è, credo...


Image and video hosting by TinyPic

© Biatheginger    



© Marvel
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: ___MoonLight