33
Stay hungry
"Rising
up, back on the street
Did my time, took my chances
Went the
distance
Now I'm back on my feet
Just a man and his will to
survive"
[Eye Of The Tiger – Survivor]
“Dove
sono?"
Tony si risvegliò in un mare oscuro. Si sentiva
galleggiare, ma sembrava una sostanza più densa dell'acqua,
simile a
inchiostro. Il reattore arc brillava nel suo petto, rilucendo appena
sulla superficie metallica delle protesi. Quello strano liquido
sembrava aiutare i suoi movimenti: si sentiva più leggero,
quasi
incorporeo. Provò a nuotare attraverso quella massa viscosa,
ma si
trovò solo a roteare su se stesso senza riuscire ad avanzare.
Rimase
calmo, stranamente non allarmato da quella situazione anomala. Non
percepiva dolore o fastidio, solo curiosità.
Intuì un movimento
dal suo lato cieco e voltò la testa: in lontananza si era
acceso un
puntino luminoso che sembrava pulsare. Fece per dirigersi verso di
esso, quando ne percepì un altro spuntare ai limiti della
sua
visuale, più grande del primo, seguito da un altro e un
altro
ancora, fino a che tutta l'oscurità non fu trapunta di luci
ovunque
posasse lo sguardo.
Stelle,
gli balenò in testa. Erano stelle.
Quello che aveva scambiato per
un oceano era in realtà il vuoto assoluto dello spazio.
Tutto
sembrava estremamente lontano da lui: stava andando alla deriva in un
quadrante vuoto dell'universo.
Improvvisamente avvertì un tremito
– nello spazio? – riverberargli nelle ossa e
aumentare, come se
qualcosa si stesse avvicinando. Si guardò intorno
più volte,
finché non individuò uno dei puntini in lento
movimento verso di
lui. Man mano che si avvicinava riusciva a distinguerne i colori
–
rosso e oro? – e finalmente si delineò la forma
inconfondibile
della sua armatura.
Si fermò davanti a lui e spense i propulsori
innaturalmente silenziosi nel vuoto. Notò l'assenza del
reattore
nella cavità della corazza; anche le fessure dell'elmo erano
spente,
prive della consueta luce azzurrina. Si accorse subito che non era la
Mark III: il suo design era più snello e il pattern della
cromatura
differente. Sembrava un'armatura leggermente più avanzata di
quella
che aveva perso nello scontro con Iron Monger.
Tese un braccio
verso di essa e quella imitò il gesto, specularmente.
Aggrottò le
sopracciglia.
"Ancora specchi?"
Abbassò il braccio
con una lieve inquietudine; l'armatura continuava a seguire i suoi
movimenti. Si protese in avanti cercando di raggiungerla e quella
diede una leggera spinta coi propulsori, arrivando a portata di mano.
La afferrò d'istinto per il polso col braccio artificiale,
senza
incontrare resistenza. La protesi si mosse con agilità
inaspettata.
Con sua sorpresa, le placche dell'armatura si schiusero all'istante
lasciando intravedere l'interno scuro e vuoto, come a
invitarlo.
Esitò, ma l'armatura l'aveva già inglobato,
saldandosi sulla sua pelle prima che potesse ritrarsi. Si
ritrovò
nella penombra familiare e stranamente fredda, priva di schermate
virtuali. Provò ad attivare i propulsori, ma l'impulso non
raggiunse
l'armatura. Non riusciva a spostarla con la sua sola forza; poteva
solo a sollevare appena gli arti meccanici, più potenti del
normale.
Era in trappola, realizzò con un rantolo, sentendosi
opprimere in quello spazio così angusto e rigido. Attraverso
le
fessure dell'elmo intravedeva solo buio: le stelle erano
scomparse.
Doveva trovare un modo per riattivare l'armatura, ma
sentiva il senso di claustrofobia che deviava i suoi pensieri.
L'involucro metallico sembrava pesare sul suo corpo, schiacciandolo.
Chiuse gli occhi in cerca di un barlume di lucidità e si
sentì
avvolgere da un'improvvisa calma; la stretta al petto svanì,
così
come il sudore freddo che gli imperlava la fronte.
Doveva trovare
una soluzione, certo. C'erano molte cose che doveva assolutamente
portare a termine... ma si sentiva protetto, là dentro.
Aveva
davvero così tanta fretta di uscire?
***
Tony
aprì a fatica l'occhio e fu colto da un senso di vertigine.
La prima
cosa che registrò fu una paurosa emicrania, seguita da una
fitta al
collo quando provò a muoversi. Fece una smorfia e
scollò lentamente
la guancia dalla scrivania sulla quale si era addormentato. Avrebbe
mai avuto un risveglio piacevole?
«Ben svegliato, signor Stark.
Sono le 10:45 del 12 maggio,» lo accolse non richiesta la
voce
elettronica di JARVIS.
Tony ebbe un sussulto nel sentire
l'ora.
«Quanto ho dormito?» chiese con voce impastata,
soffocando un enorme sbadiglio.
«Si è addormentato intorno a
mezzanotte, signore.»
Tony emise un grugnito scontento: non
poteva permettersi di oziare così a lungo.
«La prossima volta ti
autorizzo a svegliarmi con la fanfara di Capitan America dopo al
massimo sette ore,» bofonchiò.
Si poggiò allo schienale,
sentendosi più indolenzito del solito, e si concesse qualche
minuto
per svegliarsi completamente e riattivare i neuroni ancora persi nel
vuoto siderale. Iniziava ad averne abbastanza di quei sogni
strampalati, soprattutto quando non gli fornivano intuizioni geniali.
Come se avesse bisogno di un ulteriore promemoria riguardo
all'urgenza di rimettersi in piedi per riprendere il suo ruolo di
Iron Man.
Sbuffò, stropicciandosi la nuca nel tentativo di
alleviare il mal di testa incipiente, mentre scandagliava la scrivania
alla
ricerca di qualcosa da bere. Individuò una borraccia e vi si
attaccò
assetato, venendo inondato dallo sgradevole sapore della clorofilla
che gli anestetizzò la lingua, ma ormai ci aveva fatto
l'abitudine.
Subito dopo recuperò il rilevatore di tossicità,
riscontrando che
il tasso di palladio era ancora fisso al 14%. Forse doveva passare
più tempo in laboratorio...
Ripose in tasca il congegno e si
decise a riprendere il foglio su cui stava lavorando la sera prima.
Sospirò:
decifrare la sua scrittura mancina e assonnata non fu facile,
soprattutto con un occhio solo. Nel frattempo stiracchiò il
braccio e la gamba artificiali in un coro di cigolii e proteste
metalliche. Sì, doveva decisamente fare qualcosa per le
articolazioni, ribadì tra sé mentre sgranchiva
goffamente le
dita di mano e piede senza riuscire a controllarle appieno.
Rilassò
infine le protesi avvertendo delle spiacevoli fitte ai moncherini,
come sempre più acute al mattino.
Poggiò il foglio sulla
scrivania e vi scribacchiò un appunto per completare una
frase
lasciata in sospeso, poi afferrò le stampelle là
accanto e si
sollevò lentamente per completare la sua routine mattutina:
colazione-lampo, antidolorifici, bagno, barba e medicazione
dell'occhio. Avrebbe rimandato gli esercizi di fisioterapia a dopo
pranzo: aveva già perso tempo dormendo più del
dovuto, ma non aveva intenzione di scombinare del tutto i suoi bioritmi
appena ritrovati.
Mezz'ora
dopo era di nuovo operativo e si districava tra modelli 3D, esplosi
delle protesi e vari ologrammi che fluttuavano pigramente attorno a
lui mostrando dati e grafici. Ogni tanto dava un'occhiata alla
protesi inferiore e prendeva qualche nota abbastanza disordinata,
sorseggiando con parsimonia il suo unico caffè non
decaffeinato
della giornata. Si tamponò infastidito un taglietto sul
mento che si
era rimediato mentre si rasava: a volte la mancina si dimostrava
ancor meno collaborativa della protesi. Represse la frustrazione per
quei piccoli, costanti incidenti, e si concentrò nuovamente
sui suoi
calcoli.
Nei giorni precedenti era già riuscito a riprogettare la
protesi trovando il giusto equilibrio tra resistenza,
mobilità e
peso, che aveva ridotto drasticamente: ora non gli restava che
applicare le modifiche. Sicuramente avrebbero facilitato i suoi
movimenti, ma era consapevole che il peso non era il problema
primario.
Stava infatti lavorando a un nuovo modello di
articolazione, qualcosa che aveva in mente da tempo ma che aveva
sempre rimandato, restio a modificare a tal punto il progetto
originario. L'unobtanium svolgeva un buon lavoro nel sostituire la
cartilagine, ma l'attrito era ancora troppo e le giunture rimanevano
rigide, dando delle movenze robotiche e imprecise ai suoi gesti. Per
piegare braccio e gamba doveva prima vincere una resistenza
innaturale ed era anche per quell'impedimento che perdeva
l'equilibrio mentre cercava di camminare. Aveva passato la scorsa
notte a ideare delle capsule di sospensione in unobtanium gelatinoso
che avvolgessero completamente l'articolazione, invece di fare solo
da cuscinetto tra i punti di giunzione. Ciò avrebbe dovuto
rendere
più morbidi e meno faticosi i movimenti riducendo
ulteriormente
l'usura, ma realizzarle richiedeva molto più di una
settimana –
cinque giorni, ormai – e aveva bisogno di qualcosa che
accelerasse
i suoi progressi nell'immediato. Solo la fusione e la modellazione
dell'unobtanium
necessario per ginocchio e caviglia gli avrebbe portato via due
settimane, forse dieci giorni se avesse lavorato ai ritmi massacranti
di qualche mese prima. E quella non era un'opzione accettabile.
Finì
di disegnare un bozzetto della capsula contornato di note a margine,
percentuali e vettori, poi mise da parte il foglio su una risma
ordinata in un angolo della scrivania, dove già erano
impilati i
progetti per la struttura alleggerita delle protesi, e
ordinò a
JARVIS di scannerizzarlo.
Fece oscillare tra le dita sane la penna
e si dondolò sulla sedia girevole, pensoso. Gli veniva in
mente
almeno una decina di migliorie possibili, nessuna utile ad aiutare la
sua mobilità. Sbuffò frustrato. Continuava a
pensare che forse
l'unica soluzione fosse modificare la piastra d'aggancio delle
protesi, ma era un'idea al momento inapplicabile, oltre che
pericolosa, e richiedeva l'assistenza di Ian.
Eppure la sua mente
continuava a pungolarlo in quella direzione. Ci doveva essere
qualche
problema alla base, gli diceva l'istinto. E il suo istinto
raramente... – gli eventi degli ultimi
mesi passarono in
rapida successione nella sua testa, demolendo la sua sicurezza. Ok,
forse il suo istinto non era così
infallibile, ma almeno per
le questioni tecniche non l'aveva mai deluso.
Fissò il braccio
prostetico, muovendo con attenzione le dita. Queste risposero come
sempre con un leggero ritardo e a scatti. Corrugò le
sopracciglia.
C'era stato un momento, subito dopo l'innesto del
braccio, in cui muovere la protesi era stato più facile. Non
certo
facile, ma sicuramente più di
adesso.
Riusciva addirittura a
impugnare una penna, anche se goffamente e spesso rompendola.
Provò
a farlo e, mentre gli riuscì più semplice trovare
la giusta forza
per non disintegrarla, non riuscì a controllare e coordinare
le dita
come avrebbe voluto. Le dita metalliche scivolavano sulla superficie
liscia, senza fare presa – "palmo antiscivolo"
appuntò
velocemente su un foglio con la mancina cercando di non perdere la
concentrazione, ma quello era il minore dei problemi. C'era troppo
ritardo tra il suo impulso nervoso e l'esecuzione. Anche tenendolo da
conto non riusciva a governare i suoi movimenti, che sembravano
andare a singhiozzo. Non appena si distrasse, la penna cadde sulla
scrivania con un toc
sommesso.
Tony si accarezzò concentrato il pizzetto, fissando un
punto indefinito tra i vari ologrammi che lo circondavano. Si
ricordava di come prima riuscisse a muovere il braccio più
liberamente; gestiva persino la fusione dell'unobtanium da solo senza
troppi problemi. Non poteva dire che si muovesse in scioltezza, ma in
confronto ad ora sembrava un giocoliere.
Cosa era cambiato? Lo
sguardo gli cadde sulla bottiglietta di antidolorifici. Sicuramente
prima ne assumeva molti di più. Potevano aver inficiato i
nervi in
modo permanente? Gli sembrava improbabile, o avrebbe avuto
difficoltà
motorie generalizzate, ma a parte una lieve atrofia muscolare dovuta
all'immobilità, durante la riabilitazione non aveva
riscontrato
alcun problema grave.
Cosa era cambiato? Socchiuse
l'occhio, cercando di riordinare i pensieri.
Adesso assumeva più
clorofilla, ma difficilmente poteva essere determinante, se non nel
dargli una marcia in più a un provino per il ruolo di Hulk.
Gli si
era staccata una mano al processo – uno dei momenti
più alti della
sua carriera, doveva ammetterlo – e poi... poi
Rogers aveva
completato il lavoro, distruggendola del tutto. Che in
quell'occasione si fosse danneggiato il microreattore?
S'incupì:
se davvero la causa di tutto era da imputare a quel damerino a stelle
e strisce, non avrebbe risposto di sé. A ripensarci gli
saliva
ancora la rabbia, nonostante si rendesse conto di non aver fatto
nulla per evitare il conflitto, anzi. Per colpa di quel disadattato
temporale aveva dovuto riprogettare da zero braccio e gamba... anzi,
la gamba fortunatamente no, quella era venuta dopo...
Si
riscosse di colpo e schioccò di riflesso le dita buone,
puntando lo
sguardo sulla protesi inferiore come un detective che ha appena
trovato una pista.
Ecco cos'era cambiato: si era impiantato la
gamba!
"... e quindi?"
Il suo entusiasmo scemò un
poco. Poteva sentire le sinapsi che si accapigliavano tra loro per
cercare di
trarre un senso da quella conclusione.
Più peso? Più unobtanium?
Picchiettò meccanicamente sul reattore in mezzo al petto,
mordendosi nervoso le labbra. Arrestò bruscamente la
marcetta che
aveva preso a tamburellare sulla superficie metallica, dandosi
dell'idiota mentre rivolgeva lo sguardo alla luce azzurrina: più
reattori. Ecco la differenza che cercava. Un sorrisetto
trionfante si allargò sul suo volto: il problema era
alla
base. In quel campo il suo istinto non lo tradiva mai.
«Ehi,
JARVIS, capta le radiazioni elettromagnetiche emesse dai reattori
arc,» ordinò, ruotando allegramente qua e
là con la sedia per
chiudere le varie schermate aperte.
Forse aveva finalmente dato
una svolta al lavoro apparentemente inutile di quei giorni. Una
luce verdognola prese a scansionarlo e un olografico apparve davanti
a lui, con tre oscillogrammi che vi si dipanavano seguendo le
variazioni di frequenza dei tre reattori. Apparivano abbastanza
stabili,
se non per dei lievi picchi simultanei. Tony selezionò con
due dita
uno dei picchi, ingrandendo la traccia con interesse.
«Sembra che
vi siano delle interferenze reciproche tra i campi elettromagnetici
dei reattori, signore,» disse JARVIS, anticipando la sua
osservazione.
«Notavo. Ed è una gioia per il mio corpo,
immagino.»
Una colonna di dati numerici affiancò il grafico, con
dei valori evidenziati in tre colori diversi a rappresentare ognuno
dei reattori.
«Il reattore cardiaco mostra di non risentire degli
effetti in modo preoccupante,» rilevò JARVIS,
ingrandendo i valori
più bassi di poco superiori alla norma.
«Ringraziando il cielo,
o sarei già morto d'infarto,» borbottò
Tony corrucciato.
«Al
contrario, i micro-reattori sono soggetti a variazioni di frequenza
ingenti sia reciproche che causate dal reattore centrale.»
«Prima
funzionava tutto a dovere... dev'essere stato il terzo reattore a
mandare in tilt il sistema,» concluse Tony.
«Parrebbe di sì.
Rilevo una concentrazione troppo alta di onde elettromagnetiche.
Ipotizzo che ciò ostacoli la trasmissione degli impulsi
nervosi.»
"Eureka," pensò lui, tetramente.
La sua
soddisfazione era svanita. Un malfunzionamento dei reattori era
irreparabile sotto ogni punto di vista. Portò una mano alla
fronte,
sentendosi improvvisamente spossato.
Come aveva fatto a non
rendersene conto prima? Era perfettamente consapevole delle
interferenze che si venivano a creare tra due flussi di energia arc;
semplicemente non aveva pensato che potessero riguardare dei reattori
così piccoli. Ripensò all'incidente avvenuto
durante l'impianto del
braccio, quando era quasi andato in arresto cardiaco: quanto era
stato ottuso a non dare a quell'evento il giusto peso?
Strinse i
denti, rimproverandosi ancora. Era stato troppo avventato nel volersi
impiantare definitivamente i micro-reattori senza un periodo di
prova. Ian aveva tentato di avvertirlo, ma no, lui doveva fare
testa
propria. Quella negligenza avrebbe potuto costargli la vita, oltre alla
mobilità.
Si
schiarì la gola, notando solo ora l'assenza dei commenti
pedanti del
suo maggiordomo virtuale.
«Qualche suggerimento per risolvere
questo casino? A parte trovare un'alternativa al
palladio,»
si affrettò a precisare, vedendo apparire dinanzi a
sé la
proiezione di una tavola periodica.
«Sarebbe la soluzione più
logica: sostituire il palladio con un ipotetico elemento compatibile
modificherebbe l'orientamento delle molecole nei reattori,
evitando...» continuò lui implacabile, aggiungendo
un modello
molecolare a un palmo dal suo naso.
Tony lo scacciò con un gesto
seccato.
«Lo so, e grazie per aver messo in dubbio
la mia
laurea in fisica, ma ti sembra che abbia il tempo per inventarmi un
nuovo elemento? Non dico che non potrei, ma ho una certa fretta di
tornare a camminare.»
Il suo sguardo corse involontariamente
alle
armature, ma lo distolse subito.
"Prima camminare, poi
volare," si rammentò: Iron Man sarebbe stato
tutt'altro
problema...
Seguì un breve silenzio poco promettente da parte
dell'intelligenza artificiale, al che Tony capì che ormai
non poteva
più parlare di "soluzioni", ma solo di "contenimento
danni".
Riprese in mano la penna. Se gli impulsi nervosi
avevano difficoltà a trasmettersi doveva cercare di
amplificarli, per
tentare di far arrivare un segnale più leggibile alle
terminazioni
artificiali. Aumentare la potenza dei reattori era impossibile e
nocivo, ma almeno per il braccio poteva eliminare i resistori
impiantati qualche mese prima, dicendo addio al calore del braccio:
un sacrificio risibile, in confronto al poterlo muovere
decentemente.
Poi avrebbe dovuto migliorare la conduttività dei
nervi in unobtanium in entrambi gli arti. Per ora gli interessava
solo la gamba: al braccio avrebbe pensato in seguito. Sperava solo
che bastasse aumentarne la densità per aggirare il problema
e avere
più controllo sui propri movimenti. Probabilmente avrebbe di
nuovo
avuto difficoltà a dosare la potenza delle protesi e sarebbe
tornato
in modalità "elefante in una cristalleria", ma era un
compromesso accettabile. Dopotutto non doveva certo informare i suoi
amichetti in toga e parrucchino di ogni modifica potenzialmente
pericolosa che apportava alle sue presunte "armi".
Cercò
con lo sguardo il fidato robot telescopico e lo individuò in
fondo
al
laboratorio.
«Ehi, tu! Mani di burro!» Dum-E si
rianimò con un
ronzio. «Rispolvera l'attrezzatura per la fusione. E niente
pozze di
unobtanium in giro, stavolta. Si torna al lavoro,»
ordinò con
vivacità, sentendosi rinvigorito dall'avere di nuovo
qualcosa da
fare.
Non era una soluzione, ma era tutto ciò di cui disponeva al
momento.
***
13 Maggio, Villa Stark
«Ok,
adesso piano. Piano!»
Dum-E scattò bruscamente in
avanti facendogli perdere l'equilibrio, ma lui riuscì a
mantenere la
presa sul braccio telescopico e compensò la distanza con un
cauto
passo della gamba sana. Il moncherino protestò per la
posizione
scomoda, ma la protesi resse.
"Ora l'altra," si
incoraggiò, cercando la percezione del suo arto meccanico.
In
seguito alle modifiche gli sembrava leggermente più
sensibile,
infatti riuscì a muovere il piede di qualche centimetro. Si
aggrappò
più saldamente al robot, tentando di governare quell'impulso
che
sembrava sfuggirgli e che non riusciva ancora a localizzare. Il suo
ginocchio fremette, ma il resto dell'arto non rispose.
Imprecò
tra sé.
"Quanto potrà mai
essere difficile muovere una
stramaledetta gam–..." la protesi scelse quel momento per
reagire inaspettatamente, sferrando un involontario calcio in avanti
che assomigliava molto poco a un passo.
Frenò appena in tempo lo
slancio, ma la pianta del piede impattò con durezza col
pavimento,
inviandogli una vibrazione dolorosa fino al moncherino.
Serrò denti
e occhio, grato per aver progettato un robot ottuso ma solido:
sostenne il suo peso evitandogli di rovinare a terra, seppur con un
lieve ronzio di protesta.
«Signore, secondo i miei calcoli la
capacità di trasmissione...» cominciò
JARVIS, inopportuno come
sempre.
«Muto,» lo zittì lui con un sibilo
sforzato.
Cercò a
tentoni la sedia dietro di sé e vi si abbandonò
sentendosi già
esausto, ma determinato. Stavolta era riuscito a muovere la gamba,
seppur non come voleva, ma la potenza del segnale era ancora troppo
ridotta e instabile.
Rivolse uno sguardo sconsolato al piano di
lavoro invaso di componenti elettronici, pozze semisolide di metallo,
e cavi. Aveva passato una giornata intera a modificare la
densità di
ogni singolo nervo in unobtanium e adesso doveva ricominciare da capo
per aumentarla ancora. E in futuro avrebbe dovuto fare tutto una
terza volta per il braccio...
Si costrinse a riscuotersi da quelle
considerazioni: non aveva tempo da perdere. Rimosse con un gesto
deciso la gamba ignorando la replica della ferita e la
poggiò
nuovamente sul bancone, studiandola con aria di sfida. Era una sua
creazione e avrebbe funzionato come voleva lui.
Si rimise gli
occhiali protettivi e fece seccamente cenno a Dum-E di avvicinarsi,
fissando nella sua pinza un saldatore caricato ad unobtanium e
impugnandone un altro lui stesso.
«Tu, fai quello che ti dico io
o diventerai la mia prossima stampella,» gli
intimò, ricevendo un
ronzio agitato in risposta. «JARVIS, memorizza i valori
errati
e
resetta il collaudo. Ci riproviamo.»
***
17 Maggio, Villa Stark
«Che
ti avevo detto?» sbottò Tony, sfoggiando un ghigno
soddisfatto
nonostante l'affanno che gli spezzava la voce.
Nataša non si
mostrò particolarmente impressionata e si limitò
a fissarlo con la
faccia di qualcuno che sta seriamente prendendo in considerazione
l'omicidio, anche se sembrava in realtà trattenere il suo
stupore.
«Quante volte vuoi ribadire che avevi
ragione?»
sospirò infine.
«Tutte le volte che lo riterrò
necessario,»
rispose prontamente lui, piegando di nuovo la gamba meccanica con
evidente sforzo.
Era sdraiato sulla schiena con la gamba a
mezz'aria, impegnato coi soliti esercizi di mobilità con
molto più
successo, come aveva avuto modo di puntualizzare ripetutamente e in
modo saccente nel corso dell'ultima ora.
Nataša non si era
aspettata di trovare Tony d'umore più che positivo. Aveva
pensato
di doverlo minacciare per farlo tornare al lavoro: quando il
miliardario aveva invocato una pausa per "migliorare le
protesi", aveva creduto che fosse solo una delle sue scuse per
potersi crogiolare nell'indolenza e nell'autocommiserazione, come
aveva già fatto in precedenza. Invece aveva appena fatto in
tempo
a mettere piede a Villa Stark che si era vista il padrone di casa
venirle incontro con aria euforica, rischiando di inciampare tra
stampelle e protesi senza per questo curarsene, annunciandole che
doveva assolutamente vedere gli "straordinari progressi"
che aveva raggiunto in sua assenza.
Nataša si era mostrata
scettica, ma le erano bastati i primi minuti di esercizi per capire
che quelle di Stark per una volta non erano esagerazioni. Adesso era
veramente in grado di controllare la gamba artificiale. Con
difficoltà, ovvio, e tirando giù un intero
calendario anche solo
per alzare un dito, certo, ma non era più il peso morto che
si
trascinava dietro fino a una settimana prima. Assieme alla
mobilità fisica sembravano ricomparse anche la sua arroganza
e
naturale indisciplinatezza, rendendolo decisamente più
temerario di
quando l'aveva lasciato. E gestibile quanto un bambino di cinque anni
con troppo zucchero in circolo.
«Bene, direi di passare a
qualcosa di più impegnativo!» stabilì
infatti l'uomo, facendo leva
sul bordo del ring per issarsi in piedi, ancora decisamente
instabile.
Appunto.
"Ma come ha fatto Potts a sopportarlo
per dieci anni?"
Se gli ordini di Fury non fossero
stati categorici gli avrebbe già spezzato l'osso del
collo... anche
se doveva ammettere che preferiva questa sua versione energica e
ribelle allo stato di quiete prossimo alla prostrazione in cui
l'aveva trovato.
«A cuccia, Stark. Che ne dici di non mandare
tutto a puttane subito, per una volta?» lo
richiamò con cipiglio
minaccioso, ma lui rispose con un verso di scherno, l'occhio
illuminato da una luce ostinata.
«Ho passato tre notti insonni su
questo gioiellino,» esordì scuotendo con orgoglio
la gamba ancora
restia ad eseguire i suoi ordini. «Ho tutto il diritto di
testarlo
come mi pare e piace,» sentenziò, e
lasciò al contempo il
supporto del
ring.
Nataša fece per scattare in avanti per afferrarlo prima
della prevedibile caduta ma si bloccò, interdetta: Tony era
rimasto
in piedi, oscillando appena, con le braccia sollevate in alto come a
dimostrare che non
c'era alcun trucco.
Un sorriso sghembo gli attraversava il volto
sfidandola a dire qualcosa; solo le increspature della sua fronte
tradivano il suo reale sforzo e la concentrazione che quel gesto
apparentemente banale gli richiedeva. Dopo appena un paio di secondi,
spostò il baricentro un po'
troppo in
avanti e fu costretto cercare di nuovo il sostegno della pedana,
puntandovi i palmi senza però abbandonare la sua posizione
eretta.
La sua
felicità era
palpabile, al punto che lei non ebbe cuore di riprenderlo
ancora. Incrociò le braccia, scuotendo la testa con falso
rimprovero.
«Questa te la sei preparata,» si limitò
ad
insinuare divertita e Tony alzò le spalle con fare
innocente, colto
in fallo.
Quel piccolo movimento bastò a squilibrarlo del tutto, e
fece per
aggrapparsi convulsamente alle corde del ring per non far collassare
la protesi. La mano meccanica mancò l'appiglio, le
sue gambe s'incrociarono malamente e lui
rovinò a
terra, sbattendo lo zigomo sul bordo della pedana. Gli
sfuggì un
lamento prolungato, mentre si tastava con cautela il volto dolorante
e si lasciava scivolare sul pavimento.
Nataša si avvicinò
scuotendo la testa e si accovacciò al suo fianco, aiutandolo
a
raddrizzarsi seduto e assicurandosi che non si fosse rotto nulla; lo
squadrò con severità.
«Che ti avevo detto?» lo prese in
giro, imitando il suo tono derisorio di poco prima.
Tony scostò
la mano dalla guancia arrossata, su cui sarebbe rimasto un bel
livido, e Nataša si accorse che stava ancora sorridendo,
come
estraniato sia dalle sue parole che dal dolore.
«Funziona... sta
funzionando!» riuscì ad
esclamare infine, guardandola con lo
sguardo che luccicava, e stavolta la sua voce era incredula e quasi
tremante.
Nataša distolse lo sguardo, stringendolo appena per le
spalle in un gesto che voleva essere di sostegno sia fisico che
morale. Aveva la netta sensazione di essere di troppo. Non era lei
a dover essere accanto a Stark in quello che probabilmente era il
momento più importante della sua vita negli ultimi mesi.
Strinse le
labbra amareggiata mentre aspettava che si riprendesse dalla caduta,
rimanendo comunque chinata alla sua altezza, senza muovere le mani.
«Ehi, cos'è quella
faccia? Ti faccio disperare così tanto?»
sbottò Tony dopo un po',
nuovamente scherzoso, facendola sobbalzare.
«Non ne hai idea,
Stark., scosse la testa lei, seccata per essersi fatta
sorprendere
con la guardia abbassata.
Si scostò da lui e si rimise in piedi
riprendendo le sue distanze, ma gli rivolse un fugace sorrisetto:
dopotutto era contenta di rivederlo così spigliato e quasi
sereno.
«Prima o poi doveva toccare anche a te,»
commentò lui,
decidendo che rimanere seduto là era decisamente
più comodo che
tentare di alzarsi ancora.
Si accorse dello sguardo interrogativo
della donna e si affrettò a chiarificare:
«Prima Coulson, poi
Fury, poi Banner, poi Hawkeye, adesso tu...»
elencò, cercando di
contare sulle dita della protesi con un po' di difficoltà.
Si
accigliò: doveva decisamente trovare il tempo di ricalibrare
anche
quella.
«Tutti voi vi siete trovati a supportarmi e sopportarmi
in un modo o nell'altro. Più del solito, intendo.
All'appello
mancano solo Thor... e Rogers,» considerò infine,
poco entusiast.a
«Francamente, posso sopportare un semidio Asgardiano che
gironzola
per casa scolandosi il mio whiskey, almeno finché mi lascia
analizzare Mjolnir, ma
penso che
chiuderei Mr. Frisbee nello stanzino a far compagnia alle anticaglie
di mio padre.»
«Nessuno dei due sarebbe così entusiasta di
avere a che fare con te, credimi,» osservò
Nataša, chiedendosi se
quell'uscita improvvisa fosse un modo tutto suo per dire
"grazie".
«Ma dovranno! E prima o poi dovrò anche
offrirvi da bere per la vostra pazienza... sì, anche
a
Rogers, sempre che regga l'alcol,» puntualizzò,
storcendo le labbra imbronciato.
«Mi ha sfondato la
protesi, ma è grazie... beh, quasi
grazie a lui che ho
risolto qualche problema tecnico. Diciamo che ha involontariamente
aiutato il processo logico, ma potrebbe fare di meglio,»
minimizzò
infine.
Fece leva sulla panca davanti a lui, issandosi a sedere
con un altro lamento soffocato.
«Devo rimettermi in piedi al più
presto. Ho un bel po' di problemi da risolvere con...»
esitò,
incupendosi brevemente e passandosi una mano tra i capelli spettinati.
«Beh, con tutti, a pensarci bene. Ma a questo punto
è impossibile
non perdonami, no?» tornò a sfoggiare il suo
solito sorrisetto
impertinente, che sembrava aver ritrovato posto sul suo volto dopo
una lunga assenza.
Nataša si sentì contagiare da quella
ritrovata sicurezza e ricambiò con una delle sue occhiate
enigmatiche, stemperata da un'aria di sfida giocosa.
«Vedremo,»
rispose vagamente alla sua domanda e Tony ammiccò con
sfrontatezza,
prendendolo già per un sì.
***
19 Maggio, Villa Stark, 17:10
Kyle
ringraziò Happy per averlo aiutato a scendere dall'auto e
rivolse lo
sguardo all'ingresso di Villa Stark, sontuoso come se lo ricordava.
Sentì le ruote della macchina stridere sul vialetto
d'ingresso e
presto il rombo del motore si confuse con quello delle onde.
Il
cielo era grigio e prometteva pioggia, ma l'aria era calda e quasi
afosa. Un tuono brontolò in lontananza e Kyle si
affrettò a
sospingersi verso la porta d'ingresso; questa si sbloccò
automaticamente. I sensori di JARVIS dovevano averlo identificato.
Spinse un poco la sedia a rotelle e la porta si spalancò per
facilitargli l'entrata. Kyle si ritrovò a sorridere: un
maggiordomo
virtuale avrebbe fatto comodo anche a lui.
«Benvenuto, signor
Andrews,» la voce del computer risuonò nell'atrio.
Kyle si
guardò intorno perplesso. Non mancava qualcosa? Dopo un
altro paio
di occhiate registrò l'assenza della parete divisoria tra
ingresso e
salone. Sembrava che fosse... crollata? Si raddrizzò gli
occhiali
sul naso, al colmo della perplessità.
Ian aveva accennato ad un'
"accesa lite di Stark con uno dei suoi colleghi", e si
chiese se quella fosse una delle conseguenze. In verità,
preferiva
non saperlo. Bastava Ian ad essere trascinato qua e là negli
affari
dello SHIELD contro la sua volontà e gli lasciava volentieri
l'onore
e l'onere di conoscere le informazioni extra al riguardo.
S'inoltrò
un poco nell'atrio, trovandolo in un certo senso più vuoto
del
solito. Non entrava lì dentro da più di un mese:
dopo il
tentato suicidio aveva preferito lasciare a Tony un po' di respiro.
Capiva fin troppo bene quello che stava passando il suo cliente
– e
compagno di sventure, in un certo senso – ed era
più che
consapevole che presentarsi a casa sua non invitato non sarebbe stato
saggio, fino a qualche settimana fa. Certi eventi andavano
metabolizzati in solitudine.
Adesso però si era convinto che
fosse il momento giusto per fargli visita, soprattutto dopo averlo
visto così pacato al processo. E anche per lo strano
silenzio di
Virginia, praticamente sparita sia dai suoi radar che da quelli di
Ian. Il medico gli aveva suggerito di non immischiarsi –
"sono
adulti, idioti e vaccinati: lascia fare a loro" era stato il suo
unico, burbero commento in proposito –, ma Kyle temeva che ci
fosse
stato qualche deleterio confronto dietro le quinte tra i due. E doveva
ammettere che gli sarebbe dispiaciuto che troncassero i rapporti a
quel modo, dopo tutto quello che avevano superato assieme. Non
riusciva a spiegarsi altrimenti l'improvvisa irreperibilità
della
donna, quando
fino a un paio di settimane prima sembrava accogliere di buon grado i
suoi aggiornamenti sulla salute e le beghe legali di
Tony.
Quest'ultimo, d'altro canto, era abile come sempre nel
nascondere il suo reale stato d'animo; in quel breve periodo di
conoscenza aveva imparato che non poteva fidarsi dell'apparente
imperturbabilità del miliardario. Vederlo così
sereno al processo
poteva voler dire tutto e niente e il suo atteggiamento da sbruffone
poteva nascondere ben più cupi pensieri, anche se il
giudizio
positivo di Ian sulla faccenda lo faceva ben sperare. Sperava di
trovare conferma dell'anomalo ottimismo del suo medico.
Stava
giusto chiedendosi come mai Stark non si facesse vivo, quando il
campanello dell'ascensore trillò. Voltò la sedia
a rotelle in
quella direzione, chiedendosi in che stato avrebbe trovato il suo
imprevedibile assistito. A uscire dall'ascensore fu invece una
donna sconosciuta che lo trapassò subito con gli occhi di un
gelido
verde-azzurro. I capelli erano lunghi alle spalle, di un rosso cupo, e
aveva
un'espressione ombrosa che gli fece squillare un campanello d'allarme
in testa. Non riuscì a nascondere del tutto l'espressione
circospetta che gli affiorò in volto nel guardarla.
«Lei deve
essere l'avvocato del signor Stark,» esordì lei
con voce misurata
ma cordiale, tendendogli la mano.
«Kyle Andrews, piacere,
signorina...?»
«Nathalie Rushman. Sono la fisioterapista del suo
cliente,» si presentò, con un sorriso che non
raggiunse gli
occhi.
Kyle sorrise appena di rimando, tendendole la mano e
venendo ricambiato con una stretta molto più salda di quella
che si
aspettava. Ian era stato stranamente reticente sui dettagli
riguardanti la riabilitazione di Tony e l'avvocato sospettava una
nuova intromissione dello SHIELD. Non aveva intenzione di
approfondire la cosa, ma aveva la netta impressione che la signorina
"Rushman" non fosse esattamente una fisioterapista. Però
aveva apprezzato l'assenza di commenti e sguardi di compassione nel
vederlo: era abituato a venir squadrato dall'alto in basso in vari
modi egualmente fastidiosi, ma ciò non lo rendeva
più
sopportabile.
«Spero di non disturbare,» buttò
lì Kyle,
rompendo il silenzio un po' teso che si era venuto a creare.
«No,
assolutamente. Anzi, ha avuto un ottimo
tempismo,» rispose
lei, gli parve quasi con sollievo.
«Immagino. Stark non è
esattamente la persona più semplice da gestire,»
aggiunse con viva
comprensione.
Lei sembrò voler concordare per un secondo, poi il
suo volto tornò neutro:
«Diciamo che sa essere impegnativo. Sarò
da voi tra poco,» si congedò infine con un cenno
del capo,
avviandosi verso la cucina.
Kyle ammirò la sua compostezza,
sebbene forzata: Stark era davvero in grado far perdere le staffe a
chiunque.
Si risolse ad entrare in ascensore e solo allora si
accorse delle vibrazioni che aumentavano man mano che scendeva nel
seminterrato. L'ascensore si fermò e non appena si schiusero
le
porte l'avvocato fu quasi sbalzato via dalla musica che si
sprigionava a volume assordante dall'impianto stereo della palestra.
Dopo qualche secondo riconobbe le note di un qualche singolo degli
AC/DC oltre il muro di bassi frastornanti. Adesso capiva la fretta
di Nathalie nell'uscire di lì...
Si avvicinò con cautela,
individuando finalmente l'artefice di tutto quello scompiglio. Tony,
ancora ignaro della sua presenza, era impegnato a camminare, o almeno
a provarci, sorreggendosi a due sbarre di metallo parallele per non
cadere. Kyle si bloccò, meravigliato da quello spettacolo
insolito e
dimentico dei fragorosi accordi di chitarra in sottofondo.
Tony
forzò un passo stentato con la gamba meccanica, che
reagì con
rigidezza, fornendogli però un appoggio abbastanza solido
per
rimanere in equilibrio. Kyle lo vide contrarre il volto sudato per lo
sforzo, mentre cercava di non cedere: mancavano due passi alla fine
delle sbarre. Le sue nocche sbiancarono e le braccia ebbero un
fremito che riuscì però a controllare. Mosse di
nuovo la protesi e
stavolta riuscì a piegare meglio il ginocchio, anche se il
piede
rimase immobile. Concluse l'ultimo passo sbilenco e si
lasciò
sfuggire un rumoroso sospiro di soddisfazione e stanchezza,
inclinando il busto in avanti; continuò a sostenersi alle
sbarre e
rimase in piedi, nonostante le sue braccia tremassero
visibilmente.
Fu solo a quel punto che voltò appena la testa,
mettendo a fuoco Kyle, che sorrise di rimando. Sbarrò appena
l'unico occhio, spiazzato e
probabilmente imbarazzato per non essersi accorto di lui.
Schioccò
le dita e la musica scemò, diventando appena udibile.
«K! Da
quanto...» dovette interrompersi, troppo affannato per
parlare, e
ripiegò su un generico cenno di saluto con la mano.
Fu scosso da
un fremito e stavolta si lasciò scivolare a terra, vinto
dalla
spossatezza.
«Sono appena arrivato. Non volevo interromperti,»
rispose l'avvocato, sempre sorridendo.
Tony si limitò ad annuire,
ancora intento a riprendere fiato a grosse boccate. Aveva fatto appena
dieci passi e
si sentiva come se avesse corso una maratona. Si strinse la gamba nel
punto di congiunizione tra carne e metallo e poggiò la
fronte contro
il ginocchio freddo: non ricordava l'ultima volta che
gli aveva fatto così male. Anche il moncherino del braccio
era
provato per lo sforzo di sostenerlo e lo sentiva pulsare, a malapena
attenuato dagli antidolorifici. Eppure voleva ricominciare da
capo. Voleva rimettersi in piedi adesso, voltarsi e camminare di
nuovo fino all'altra estremità delle sbarre. E poi di nuovo,
e di
nuovo, finché non fosse riuscito a camminare davvero.
Si accorse
di sorridere e alzò la testa, incontrando lo sguardo
preoccupato di
Kyle.
«Tutto bene, Stark?»
Tony annuì di nuovo e deglutì a
fatica, sentendosi la gola secca.
«Devo ancora abituarmi. È solo
la terza volta che ci provo,» si schermì,
allungandosi per prendere
la borraccia di clorofilla, che bevve con più gusto del
solito per la
gran sete.
Non sentì arrivare risposta e quasi si strozzò
nel
realizzare la situazione. Si voltò a guardarlo con
espressione
colpevole: Kyle se ne stava seduto,
ovviamente, con aria tranquilla,
ma era sicuro che dentro di sé si stava chiedendo
perché Tony
Stark, egoista e megalomane ingrato con tendenza suicide, fosse in
grado di scorrazzare qua e là mentre lui era costretto a
guardarlo
da una maledetta sedia a rotelle. Sentì la stretta del senso
di
colpa, che ultimamente gli stava diventando un po' troppo
familiare. Da quant'era che non lavorava ai progetti per Kyle? O
meglio, da quanto non ci pensava?
«Senti, K, in realtà le
protesi non funzionano così bene come
sembra e... insomma,
non mi ero reso conto che...» stava per rimettersi in piedi,
ma ci
ripensò: magari era meglio rimanere lì per terra?
Perse il filo
del discorso.
Il giovane lo fissò stranito, non aspettandosi
quella reazione sconclusionata, poi un lampo di comprensione
balenò
sul suo volto, che si rabbuiò repentinamente.
«Stark, qualunque
cosa tu stia per dire, non dirla,» lo anticipò in
tono duro, ma
Tony non riuscì a trattenersi:
«Non è giusto, lo so, e capisco che tu
sia arrabbiato, ma...»
«Credevo che avessi un'opinione più alta
di me,» lo interruppe Kyle, risentito.
Tony batté le ciglia,
interdetto. Kyle si avvicinò a lui con un sospiro, lo
affiancò e
gli offrì una mano, sporgendosi dalla sedia a rotelle.
L'altro fissò
incredulo il suo palmo teso, incerto su come reagire, al che Kyle la
lasciò ricadere,
alzando platealmente gli occhi al cielo.
«Pensi seriamente
che metterò il broncio perché "tu puoi camminare
e
io no?"» impose
alla sua voce una cadenza ironicamente lagnosa, come di un bambino
che canzonasse qualcuno. «Per fortuna non sono
così
irritabile, o
dovrei prendermela col mondo intero,» sbottò
infine, e lasciò
trapelare tutta la sua irritazione nonostante sul volto fosse ancora
dipinta
un'espressione giocosa.
«Ne avresti tutto il diritto. Di
prendertela con me, intendo,» replicò Tony,
abbassando lo sguardo e
restio ad abbandonare il suo senso di colpa.
A quel punto Kyle
diventò paonazzo, come sempre quando perdeva la calma.
«Io ti ho
chiesto di fare qualcosa che tutti ritengono impossibile. Ho passato
una vita a sentirmi dire che non avrei mai più potuto
camminare,»
esclamò accalorandosi. «E adesso, proprio adesso,
tu ci stai
riuscendo! Stai provando al mondo che non è
impossibile!» si
aprì in un ampio sorriso spontaneo che lasciò
Tony a fissarlo con
aria stolida, allo stesso tempo colpito da quell'inaspettata
veemenza. «I tuoi successi saranno i miei
successi.
Io sto dalla tua
parte, Stark.» concluse con fermezza, e gli
tese di
nuovo la mano con fare perentorio.
Tony esitò ancora un istante
prima di accettarla.
«E io dalla tua,» replicò a bassa voce,
concedendosi un accenno di sorriso.
Si issò in piedi,
appoggiandosi un po' a Kyle e un po' alla sbarra e ritrovando un
equilibrio precario. Non si azzardò a lasciare il suo
sostegno,
sentendo la gamba ancora troppo provata per reggere il suo
peso.
Guardò di sottecchi Kyle. Non c'era traccia di
falsità sul
suo volto spigliato, con gli occhi animati dalla loro consueta luce
limpida e vivace. Ripensò alla prima volta che l'aveva
visto:
anche allora si era chiesto da dove potesse provenire quella sua
tenace allegria, in un corpo tanto fragile e ostile verso il suo
proprietario. Sentì la propria ammirazione per quel ragazzo
crescere
ancora, insieme a un pizzico di fiducia in più nei suoi
confronti.
Avrebbe potuto continuare a difenderlo per puro
tornaconto personale, invece si spingeva al punto da incoraggiarlo e
spronarlo con convinzione, ignorando il fatto che lui riuscisse
sempre a deludere tutti. Forse un tempo anche Kyle era stato prima
furioso e poi scoraggiato come lui, si trovò a pensare. Non
poteva
saperlo: non gliel'aveva mai chiesto. Era sempre troppo concentrato
su se stesso per pensare agli altri, realizzò con
amarezza.
«Comunque dovrei esserti grato per fare da cavia a una
tecnologia sconosciuta,» sogghignò Kyle, per
stemperare quel
momento un po' troppo serio e intenso per i suoi gusti.
Tony si
limitò a sorridere fingendosi divertito, chiedendosi se
fosse il
caso di informarlo dell'intossicazione da palladio. Magari non
l'avrebbe riguardato, se fossero riusciti a realizzare il progetto
del micro-reattore spinale. Dopotutto, a lui stava dando problemi
principalmente il reattore cardiaco, un congegno con evidenti limiti
e difetti strutturali ormai inalterabili. Gli effetti collaterali dei
microreattori erano in realtà minimi.
Fissò il volto speranzoso
di Kyle e tacque: non voleva lanciare un'ombra così cupa sul
suo
futuro.
«Direi di fare una pausa, prima che la "cavia"
abbia un collasso,» decise, zoppicando verso la sua solita
panca e
sedendovisi quasi di schianto.
Recuperò un cacciavite, saggiando
la tenuta delle viti sulla protesi inferiore e stringendone un paio.
Notò lo
sguardo incuriosito di Kyle.
«È ancora in fase di collaudo,»
gli spiegò, sobbalzando nel sentire un scossa lungo i nervi
quando
mosse troppo bruscamente il cacciavite sulla rotula.
«Mi sembra che funzioni
molto meglio di prima,» commentò Kyle, alzando le
spalle ad
ammettere la propria ignoranza in materia.
«Potrei elencarti nel
dettaglio tutte le modifiche che ho apportato nell'ultimo mese e
mezzo, ma penso che finiresti col farmi causa per molestie.»
«Mi
accontenterò di osservare i risultati.»
«Anche la fisioterapia
ha fatto la sua parte,» aggiunse Tony, con impensabile
modestia.
«Non stento a crederlo. La tua fisioterapista mi è
sembrata molto... autoritaria,» commentò Kyle,
alla vana ricerca di
un termine neutro.
«Oh, quindi hai incrociato Nataša,»
s'illuminò Tony, imprecando poi contro un falso contatto.
«Intendi
Nathalie?»
«Nathalie, Nataša, Nat...»
sbuffò
lui. «Che ne pensi di
lei?» aggiunse, con un sorrisetto malizioso.
«In che senso?»
«In
quel senso, K.»
Kyle arrossì un poco.
«Diciamo che
non è esattamente il
mio tipo.»
Tony smise di accanirsi su una
giuntura del ginocchio e lo fissò sbigottito, come se avesse
affermato che la terra era piatta.
«K, la bellezza è oggettiva,
non deve rispecchiare per forza i tuoi gusti
sess–...»
«Non
starei con nessuno che mi guarda come se volesse
uccidermi,»
lo interruppe lui, incrociando con decisione le braccia.
Lui
meditò per qualche momento su quell'informazione, per poi
alzare le
spalle con fare rassegnato.
«Quello è un grosso punto a
suo sfavore, ma ho un debole per le rosse,» ammise
sovrappensiero.
«Lo so,» commentò Kyle, sorridendo
candidamente sotto i baffi.
Solo
allora Tony si voltò a guardarlo di scatto con un moto di
panico,
realizzando le implicazioni di ciò che aveva appena
affermato. Kyle
si limitò a fissarlo sornione, mentre lui
metteva a
soqquadro il cervello alla disperata ricerca di una replica sagace,
ma il suo server dell'umorismo sembrava momentaneamente offline.
Si
sentì in quel momento il sibilo dell'ascensore in movimento,
seguito
dalle porte che si aprivano, suoni che Tony accolse come una salvezza
provvidenziale per trarlo d'impaccio, attaccando a parlare a raffica
di tutt'altro:
«Ehi, arriva Nataša! Tienti per te i tuoi pareri
su di lei o ti ammazza veramente. Sono serio. L'ho vista atterrare il
fossile a stelle e strisce per un commento sui suoi capelli.»
«Il
fossile a cosa?»
«Bel soprannome, eh? Lui preferisce il titolo
di "Primo Vendicatore",» Tony mimò delle esagerate
virgolette con le dita, «ma rimane un vecchio attempato in
calzamaglia che lancia un frisbee col mio marchio
sopra.»
Aveva
gradualmente e incautamente alzato la voce, mentre Nataša si
avvicinava accigliandosi per aver colto uno stralcio della loro
discussione: Tony aveva sottovalutato il suo udito superiore alla
norma.
«Non sono sicuro di voler
o poter
sapere
queste...»
cercò di frenarlo Kyle.
«Macché, tutti sanno di Capitan
Ghiacciolo e della sua inutilità, almeno una volta a
missione
rischiava di farmi ammazzare col suo ...»
«Stark.»
«Ehi,
Nataša!» si girò verso di lei senza
cogliere appieno il livore del
suo volto, che aumentò nel sentirsi chiamare col suo vero
nome.
Tony
continuò a parlare con aria gioviale:
«Digli di quella volta che
hai battuto Mr. Muscolo con...»
«Stark!»
«Cosa,
dolcezza?»
«L'espressione "copertura" ti dice nulla?»
sibilò avvicinandosi a passo di carica, adesso incurante di
mantenere un contegno dinanzi a Kyle; lui in tutta risposta
cercò di
apparire il più indifferente possibile e fece retromarcia di
un
metro buono.
«Nah, non mi dona; infatti la mia è durata molto
poco e... ehi! Ehi! Mollami!»
Nataša lo afferrò per il
colletto, sbilanciandolo dalla panca. «Così
è sleale, sono quasi
invalido e senza armatura, non puoi...» si ritrovò
per terra a
gambe all'aria, stordito e sorpreso come sempre dalla sua forza.
«Non
vedo l'ora che tu ti regga sulle tue gambe, Stark, così
potremo
cominciare anche le sessioni di allenamento vere,»
indicò il
ring con fare minaccioso, ma con un sottotono divertito che non gli
sfuggì.
«Quando vuoi, è sempre un piacere fare a botte con
te,»
replicò Tony con un sorrisetto sfacciato, forte del fatto
che almeno
per il momento era intoccabile in quanto atterrato.
«Sono sicura che l'Agente Barton
sarebbe molto felice di saperlo.»
Il sorriso si eclissò
dal volto di Tony. Gli mancava solo una freccia infilzata da qualche
parte...
«Poi dovrete spiegarmi il motivo di tutta questa
segretezza.» bofonchiò, rimettendosi a sedere e
lanciando
un'occhiata esasperata a Kyle, che in tutto ciò si stava
impegnando a
fingere di non esistere.
«Si chiamano protocolli, Stark. Quelli
che tu non segui mai.»
Tony non trovò di che ribattere e
anche Nataša sembrò aver concluso la sua
ramanzina.
«Bene. A
quanto pare io devo tornare alla base, mi hanno appena convocata
d'urgenza; starò via per qualche giorno... per faccende che non
ti competono,» si affrettò a specificare, prima
che il collega
potesse tempestarla di domande.
«Se è un'emergenza, dovrebbe
competermi,» precisò lui, imperterrito, tirandosi
su a sedere.
«Non nelle tue
condizioni.»
«Ehi, io sono prima di tutto un consulente, non ho
bisogno delle gambe per...»
«Tu per ora sei sul libro
nero di Fury,» gli ricordò Nataša,
costringendolo a tacere.
«Limitati ad essere "il Meccanico", almeno per ora... e
cerca di non combinare troppi disastri,» sospirò
in tono più
gentile, stringendogli brevemente il braccio sano a mo' di congedo.
Tony
fece un gesto esasperato con la mano, ma annuì e non
protestò
oltre, non nascondendo però la sua delusione per l'essere
messo
ancora una volta in disparte.
Nataša fece un breve cenno di
saluto a Kyle che somigliava molto a un "ti tengo d'occhio".
«Tu
non sai niente,» gli intimò.
«Sissignora,» rispose lui
docilmente con un'alzata di spalle, mentre la donna usciva in tutta
fretta senza voltarsi indietro.
Tony si grattò la testa,
perplesso per la piega improvvisa degli eventi.
«Pare che la mia
fisioterapista sia troppo impegnata per occuparsi di me,»
osservò
infine, girandosi verso Kyle con rassegnazione.
Lui sbuffò
appena, con un mezzo sorriso incoraggiante.
«Ho un paio d'ore da
sprecare prima di tornare ad occuparmi del tuo
caso.»
«Prepara i
popcorn.»
***
19 Maggio, Villa Stark, 21:00
Non
ricordava l'ultima volta che si era impegnato così tanto in
qualcosa. Ovviamente costruire le protesi gli aveva richiesto
un'attenzione costante che aveva riempito totalmente la sua vita
negli ultimi quattro mesi, ma era comunque qualcosa che era abituato
a fare. Anche in passato gli era capitato di spendere giorni interi
in laboratorio, immerso in qualche progetto particolarmente
complesso. Era cresciuto tra macchinari e apparecchiature
elettroniche: quello era il suo mondo, fatto di robot, computer e
dispositivi futuristici che curava e perfezionava con
dedizione.
Questo, invece...
Tony trattenne bruscamente il
fiato nel poggiare il piede, ma riuscì a non sbilanciarsi in
avanti
e si artigliò alle sbarre di sostegno. Questo era molto
più
difficile di qualunque progetto su cui avesse mai lavorato,
principalmente perché sentiva di non poter evitare in alcun
modo i
problemi che gli si paravano davanti. Quella era sempre stata la sua
mentalità: se non puoi risolvere un problema, aggiralo.
Aveva sempre
funzionato, anche nella fase di costruzione delle protesi. Per quanto
insormontabili gli fossero sembrati gli ostacoli tecnici in cui si
era imbattuto, era sempre stato consapevole di essere in grado di
superarli grazie al suo ingegno e a un po' di furbizia.
In quel
caso il limite era il suo corpo e quegli ostacoli potevano solo
essere abbattuti, a suon di tentativi, perseveranza e forza di
volontà, oltre a un considerevole quantitativo di lividi.
Fece un altro passo, spingendo con la gamba meccanica.
Gli sembrava un po' più stabile, o forse era solo il
moncherino che
si era intorpidito. Si sentiva bruciare i muscoli superstiti e aveva
già dovuto contenere un paio di crampi. Nataša lo
aveva
avvertito di non forzare le cose e di prendersi il riposo necessario
ma lui, nonostante le proteste del suo corpo, sentiva di poter
continuare all'infinito. Sapeva che in fondo era solo un'illusione e
che il mattino dopo si sarebbe risvegliato con dolori più
atroci del
solito, ma la sensazione elettrizzante di essere finalmente in piedi
sulle proprie gambe lo inebriava, ed era disposto a pagare le
conseguenze della sua testardaggine.
La sua concentrazione fu
spezzata da un sibilo preoccupante proveniente da uno dei raccordi
del ginocchio. Si affrettò a saltellare sulla gamba buona
per
raggiungere la panca. Valutò le condizioni della protesi,
innaturalmente calda al tatto; intravedeva addirittura un sottile
filo di vapore che scaturiva dal ginocchio. Assottigliò le
labbra,
contrariato.
Aumentare la capacità conduttiva dei nervi causava
un surriscaldamento eccessivo e di quel passo l'articolazione si
sarebbe usurata troppo rapidamente. A breve avrebbe dovuto
interrompere nuovamente la fisioterapia per sostituire le
articolazioni: non poteva rischiare di danneggiare irreparabilmente
la protesi. Sospirò con rassegnazione, contraendo la
mascella:
quel continuo tira-e-molla lo esasperava.
«JARVIS, scannerizza i
miei ultimi appunti ed elabora un modello digitale di quelle capsule
in unobtanium. Tienilo pronto per domattina,»
ordinò.
Seguì un
segnale acustico affermativo da parte del computer che
echeggiò
nella sala deserta.
Kyle se n'era andato verso sera dopo aver
pazientemente assistito ai suoi esercizi, facendogli addirittura il
tifo ed alleviandone il peso; nelle pause si erano ritrovati a
parlare del più e del meno, senza riferimenti a processi,
protesi e
agli eventi passati. Ciò l'aveva sollevato: si era sentito
più
loquace del solito e aveva accettato di buon grado la sua compagnia.
Si era persino arrischiato a chiedere informazioni su Pepper, ma la
risposta era stata estremamente vaga e Kyle aveva subito sviato
l'argomento, così aveva rinunciato senza rammaricarsene
troppo.
Avrebbe avuto modo di far fronte anche a quel problema, prima o poi.
Non poteva distrarsi proprio adesso che era così vicino alla
prima
tappa del suo percorso.
In compenso aveva ricevuto un resoconto
dettagliato dei trascorsi amorosi dell'avvocato, trovandosi per la
prima volta a corto di consigli in quel campo, a parte evitare come
la peste camicie hawaiane e cravatte rosa shocking. Kyle sembrava
aver trovato il suo imbarazzo molto divertente e si erano congedati
su una nota scherzosa, nonostante l'avvocato gli avesse
indirettamente ricordato di prepararsi al processo. Tony aveva
risposto con un falsissimo sorriso rassicurante, cosciente che non si
era avvicinato neanche per sbaglio alle scartoffie che Kyle gli aveva
diligentemente lasciato da studiare settimane prima.
Happy, passato a prendere Kyle, si era trattenuto brevemente per
salutare, e nel solito fare burbero del suo autista Tony aveva colto
una nota quasi commossa, unita alla promessa di un futuro incontro sul
ring. Tony sperava con tutto il cuore che sarebbe arrivato presto.
***
Si era
fatto buio da un pezzo, e le vetrate lasciavano intravedere solo le
luci soffuse
dei lampioni in giardino. Doveva essere molto tardi, ma non avrebbe
saputo dire quanto.
Tony revisionò rapidamente la protesi, adesso
più fredda, concludendo che era in grado di reggere almeno
un altro
paio di
passeggiate zoppicanti. Poi, a nanna. Non poteva pretendere troppo
dal suo corpo, o si sarebbe trovato di nuovo immobilizzato a letto.
Fece leva sulle stampelle e si alzò un po'sbilenco,
accigliandosi
per quella prospettiva poco entusiasmante.
Riprese posizione alle
sbarre, poggiandovi il proprio peso, e saggiò la
stabilità delle sue
gambe. Si preparò mentalmente ai dieci o quindici minuti che
gli
avrebbero richiesto quei pochi passi, poi si umettò le
labbra,
ignorando la stanchezza e concentrando le proprie energie sull'esatta
sequenza di movimenti che avrebbe dovuto svolgere. Scaricò
il peso
anche sulla protesi e dopo qualche secondo di oscillazioni
trovò un
punto di equilibrio.
Si arrischiò a lasciare la presa dal suo
sostegno, pronto a riafferrarlo, e con suo enorme stupore
riuscì a
rimanere in piedi per più di qualche secondo, sebbene con
sforzo.
Raddrizzò la schiena e la gamba meccanica tremò
leggermente, così
divaricò leggermente le piante dei piedi per ammortizzare
meglio la
vibrazione. Rimase immobile a lungo, testando la resistenza della
protesi e del proprio corpo. Perse lentamente la percezione del
moncherino, della pressione sulla piaga, della pesantezza e
rigidità
innaturali della gamba. Gli sembrava di non avere alcuna protesi: era
una strana sensazione, ma in un certo senso rassicurante.
Ebbe un
inatteso tuffo al cuore nel realizzare che era finalmente in
piedi.
Sentì un fiotto di calore infiammargli il petto,
improvvisamente conscio di quel che stava accadendo e la testa gli si
fece leggera, confusa dal rimescolarsi di mille sensazioni; il suo
volto non sapeva che espressione assumere e rimase vacuo per qualche
istante, prima di aprirsi in un sorriso incredulo e poi in una risata
liberatoria. Non si era mai immaginato di poter essere così
felice
per un gesto così semplice.
Si trovò a desiderare che ci fosse
qualcuno lì a guardarlo, ad assistere al suo successo, alla
conquista a cui aveva aspirato per tutti quei mesi. Il suo sguardo
spaziò sulla palestra vuota e sentì la sua
euforia smorzarsi un
poco, sapendo in cuor suo chi avrebbe voluto avere al suo fianco in
quel momento. Gli rimase comunque un'espressione soddisfatta stampata
in faccia, nella segreta speranza che, forse, il giorno in cui
Pepper avrebbe potuto vederlo in piedi sarebbe arrivato prima del
previsto.
"Forse
anche adesso..."
All'improvviso venne folgorato da un'idea
molto sciocca, ma anche molto allettante.
«Ehi, JARVIS,» chiamò
piano, timoroso di rompere il suo fragile equilibrio, e si
stupì nel
sentire il tremore emozionato nella sua voce. «Immortala il
momento.»
«Vuole rendere noti al mondo i suoi progressi,
signore?» chiese lui, con una curiosità insolita
anche per un
super-computer.
«Ancora no... per ora mi limito a spedire una
cartolina allo SHIELD,» replicò lui, con sicurezza.
Uno schermo-specchio olografico si materializzò davanti a
lui.
Tony
osservò il suo riflesso e per la prima volta dal momento
dell'incidente non provò rabbia o sconforto o rassegnazione
nel
vedersi. Era semplicemente lui,
stanco dopo una giornata di lavoro, coi capelli un po' arruffati e la
solita aria impertinente, ben saldo sulle sue gambe. La canotta scura
faceva risaltare la familiare, rassicurante luce azzurrina del
reattore arc. Quell'immagine gli appariva naturale. E il nero gli
donava, concluse in un guizzo d'amara autoironia, contemplando il
rivestimento opaco delle protesi fin troppo evidenti. Si
coprì esitante lo sfregio
in volto con la mano, seguendo i movimenti del suo gemello
olografico. Fece una smorfia dubbiosa e scoprì la ferita,
per poi
ripensarci, osservando l'effetto; si risolse a rimettersi la benda.
«Quando vuoi, JARVIS, non ho tutto il giorno,» lo
spronò
con uno schiocco di dita; iniziava a percepire una stanchezza
tangibile, ma si sentiva proprio in vena di una delle sue trovate
stravaganti e imprevedibili.
Un countdown di tre secondi lampeggiò
sull'ologramma mentre il computer aggiustava la messa a fuoco, pronto
a scattare.
Tony si mise in posa e sollevò entrambe le mani,
sfoggiando due segni di vittoria e un sorriso da spaccone.
Note Dell'Autrice:
Buonsalve, gente!
Torno prima del previsto ad aggiornare, principalmente perché la stesura procede bene e perché, lo ammetto, un po' smaniavo per pubblicare questo capitolo.
Considero questo capitolo una conquista sia per Tony, che Alleluja è finalmente in piedi, sia per la storia, che finalmente arriva al punto di svolta agognato sin dall'inizio della stesura. Scriverlo mi ha messo allegria e spero che possa trasmetterla anche a chi legge :)
Come è evidente, mi sono votata nuovamente alle parti tecniche, stavolta con l'appoggio di un Consulente che mi ha aiutato (e impedito) di scrivere troppe stronzate riguardo ai reattori. Rimane comunque pseudo-scienza, ma manterrà una sua logica nel corso della storia.
A parte ciò, ho finalmente voluto dedicare un po' di spazio a Kyle, che era stato messo abbastanza da parte negli ultimi capitoli. Spero di essere riuscita a renderlo un po' più "vivo" come personaggio, insomma. Vi rallegro anche con una chicca su di lui, ovvero il disegno a fine note, realizzato da una mia (all'epoca) compagna di classe, che un tempo aveva un account qui come Biatheginger (che a quanto pare ha eliminato, ma mi sembra giusto creditarla).
Detto ciò, sommergo come sempre di ringraziamenti la carissima _Atlas_, supporter nr.1 di questa storia e sua assidua commentatrice <3
E grazie a chiunque leggerà e/o recensirà!
Spero di riuscire ad aggiornare prima dell'uscita di Infinity War (la butto là: probabilmente sarà il giorno prima), visto che la stesura dei restanti capitoli procede abbastanza bene :D
Hasta la vista,
-Light-
P.S. L'arrivo di Eye Of The Tiger come colonna sonora di un capitolo era un pelino prevedibile e scontato, ma non ho resistito :P
P.P.S. E parlando di cose prevedibili, anche il titolo del prossimo capitolo lo è, credo...
© Biatheginger
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