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Autore: weremar    18/03/2018    2 recensioni
Lisedore Elaine Nott non è esattamente l'ereditiera ideale di una famiglia Purosangue; è pigra, acida e avrebbe preferito immergere una mano nell'acido piuttosto che capitare in Serpeverde.
Hugo Weasley è l'impeccabile discendente dei gemelli Weasley, con tanto di capelli rossi, ghigno di chi sta per combinartene una e infinito repertorio di scherzi.
Se l'una è il ghiaccio, l'altro è il fuoco; ma non è forse vero che solo attraverso l'unione degli opposti si può ottenere la totalità?
| Non tiene conto degli avvenimenti raccontati ne La Maledizione dell'Erede.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hugo Weasley, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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I.

 

 

«Sai, Nott, non vorrei rovinarti i piani, ma non sono sicuro che questo sia legale», sussurrò Lysander Scamandro, camminandomi accanto tra i corridoi del Castello. Io mi strinsi nelle spalle: era chiaramente illegale, ma come dice quel detto babbano? Occhio non vede, cuore non duole?
«Tra l'altro, sono anche le due di notte. Se lo avessimo fatto di giorno, forse...», continuò il mio amico. Lo conoscevo da anni ormai, e sapevo che non era seriamente preoccupato di essere beccato. Doveva semplicemente dare aria alla bocca.
«Sta zitto, Scamandro», lo freddai, sbuffando.
Non stavamo andando nella Foresta Proibita a drogarci. Stavamo andando nelle cucine perché il mio stomaco stava brontolando più di mia sorella quando sbagliava a mettere lo smalto. Se anche ci avessero beccato, con quale cattiveria avrebbero potuto negare ad una povera ragazza col ciclo la sua buona dose di cioccolata?
Mi arrestai improvvisamente quando sentii dei sussurri. Afferrai il mio amico per un braccio e mi appiattii contro il muro, cercando di ascoltare.
«Tu sei totalmente impazzita, Potter.» Era una voce maschile, roca. Sembrava assonnata e forse spazientita, ma non riuscii ad associarla a nessuno. Tentai di fare mente locale: Potter? Non mi sembrava che Lily Potter fosse Prefetto.
«Lo so», rispose una voce femminile. «Andiamo, dov'è finito il tuo spirito di avventura? Non eri così pappamolle prima.»
Sentii uno sbuffo, probabilmente proveniente dal ragazzo. «Non cercare di colpirmi nell'orgoglio, Lily. La scuola è cominciata da due settimane, non voglio già una punizione.»
Okay, non erano decisamente Prefetti. Lasciando il braccio di Lysander, che non mi ero neppure resa conto di star tenendo stretto tra le mani, allungai la testa oltre il muro, sbirciando i due studenti. Riconobbi immediatamente la figura maschile di fronte Lily Potter: era Hugo Weasley, la zazzera di capelli che al buio sembrava quasi castana, gli occhi luminosi, la fronte aggrottata.
Il clan della famiglia Potter-Weasley (come li definiva mia sorella) non mi era mai stato particolarmente simpatico; avevo passato i primi cinque anni della mia carriera scolastica a litigare con James Potter, poi lui si era diplomato, privandomi della sua inestimabile e soave presenza. Rose Weasley mi toglieva più punti quotidianamente di quanti ne guadagnassi in un anno; l'anno prima avevo trovato Dominique Weasley appartata in un angolino della biblioteca con il mio ragazzo, e non stavano leggendo libri. L'estremamente intelligente Hugo, invece, condivideva con sua cugina Lily la passione per gli scherzi. Un giorno, durante il mio terzo anno, ritrovai il mio Dormitorio appestato da un disgustoso aroma di vomito; riuscimmo a capire da dove provenisse soltanto tre giorni dopo, quando notammo quelle piccole palline di naftalina (provenienti però dal negozio Tiri Vispi Weasley) sotto i nostri materassi. Nonostante tutte queste divergenze, non avevo mai avuto scontri diretti con il clan – James Potter a parte. E non perché avevo il cuore tenero e pensavo che tutti meritassero seconde occasioni, soprattutto se avevano seri problemi patologici come il sopracitato Hugo Weasley. Ero semplicemente troppo pigra per urlare come faceva mia sorella, figuriamoci per escogitare una vendetta.
Ed ero decisamente troppo pigra per impedir loro di fare l'ennesimo scherzo a qualche povero Serpeverde innocente. Motivo per cui, mi limitai a passar loro davanti con noncuranza, sperando di non destare troppi sospetti. Speranza vana, ovviamente. Quando sentii la voce di Lily sussurrare un nervoso «Lysander!», mi fermai insieme al mio amico.
Dimenticavo quotidianamente che Lysander e suo fratello Lorcan erano praticamente cresciuti nel clan Potter-Weasley. Neanche quando il cappello l'aveva smistato a Serpeverde era cambiato alcunché; continuavano ad essere amici per la pelle.
«Hey, Lily! Hugo», esclamò allegramente il mio amico. A volte mi sembrava che Lysander fosse costantemente sotto effetto di droghe pesanti. Altrimenti non si spiegava la sua costante allegria.
Ma gli occhi dei due pel di carota erano fissi su di me. Sbattei leggermente le palpebre. Avevo in faccia lo stemma dei Grifondoro o cosa?
«Se ci denunci ricordati che anche tu hai violato il coprifuoco», disse velocemente la Potter, assottigliando gli occhi.
Oh, Merlino. Il quoziente intellettivo di una padella dev'essere ereditario.
«Dopo quest'osservazione degna di Sherlock Holmes posso anche andarmene in pace?», commentai acidamente. Non mi aspettavo davvero che conoscessero Sherlock Holmes. Volevo soltanto andare a mangiare.
Mentre la rossa mi fulminava con lo sguardo, voltai le spalle e mi incamminai verso le Cucine. Sentii Lysander borbottare qualcosa, poi i suoi passi affrettati che cercavano di raggiungermi. Sapevo già cosa stava per dirmi.
«Nott, sei più dolce di un budino.»

 

*


Quando, il giorno dopo, Gretel Goyle si presentò a colazione con i capelli verde vomito, non me ne stupii minimamente. Era buffo che i due cugini si divertissero soprattutto nel Dormitorio delle ragazze; non ero sicura se fosse a causa di Lily, il cui ragazzo aveva dormito di più tra le lenzuola verdi e argento che nelle proprie, oppure di Scorpius Malfoy, che avrebbe preso a cazzotti Hugo se uno scherzo del genere fosse capitato a lui.
Lysander osservò Gretel con un'espressione indecifrabile. La Serpeverde era l'essere più fastidioso della Terra, seconda solo a Perrie Parkinson, ma immagino che i capelli verde vomito fossero una cosa che non si augura a nessuno, perché sembrava quasi dispiaciuto. Non abbastanza da impedire ai suoi amichetti del cuore di fare una cosa del genere, comunque. Appoggiai la testa sul tavolo, chiudendo gli occhi e cercando di placare il mal di pancia con la forza della mente. Cosa c'era di peggio dell'affrontare due ore di Storia della Magia con le mestruazioni?
«Non è possibile che siamo qui solo da due settimane e quei due microcefali dai capelli rossi abbiano già fatto casino.»
Ecco cos'era peggio. Mia sorella che mi parlava a prima mattina.
Alzai gli occhi, ritrovandomi a fissare il suo viso ovale e privo di imperfezioni.
Se fosse esistita una scala delle ingiustizie della vita, la genetica avrebbe occupato sicuramente il primo posto. Perché altrimenti non si spiegava il motivo per cui, pur essendo gemelle omozigote, lei fosse così bella, aggraziata, delicata, e attirasse l'attenzione persino indossando un sacco della spazzatura, mentre io venivo calcolata soltanto dal signor Austen, un quadro di un uomo dell'Inghilterra dell'Ottocento. Avevamo entrambe i capelli neri, certo, ma i suoi erano sempre lisci e morbidi, mentre i miei diventavano più gonfi del pelo di un gatto dopo aver preso la scossa con il minimo accenno di umidità. Avevamo entrambe gli occhi verdi, ma i miei diventavano grigio smorto se il cielo era nuvoloso. Avevamo entrambe la pelle chiara, ma la sua sembrava porcellana; io avevo sempre occhiale violacee che mi facevano sembrare un cadavere e lividi su ogni parte del corpo – sempre dovuti alla mia costante eleganza nei movimenti.

Ma la cosa più importante era che Adeline Nott ed io non avevamo assolutamente niente in comune a livello caratteriale. Da piccole ci odiavamo così tanto che gli scherzi di Weasley e Potter in confronto erano giochi per bambini. A tre anni, Adeline fece volare il mio peluche preferito – quello a forma di orso – fuori la finestra. Il povero Buddy finì in poco tempo nelle fauci del cane del vicino: di lui rimasero soltanto una zampa e la coda. Poco tempo dopo, Adeline si ritrovò tutte le teste mozzate delle sue bambole ai piedi del letto, e urlò così tanto che mi fischiarono le orecchie per almeno due ore. A cinque anni, la mia amorevole sorella mi spinse in piscina, pur sapendo che non sapevo nuotare, e se mio padre non fosse passato lì sarei probabilmente morta. A sette anni le tagliai i capelli mentre dormiva. A nove anni, i miei genitori comprarono una nuova casa in cui avevamo camere separate.
In linea di massima, anche a sedici anni continuavamo a gettarci occhiate di sufficienza e a snobbarci reciprocamente, ma almeno non eravamo un pericolo l'una per l'altra.
«Che ne sai che sono stati loro?», domandò Lysander, sulla difensiva. Io continuai a tenere gli occhi chiusi e ad immaginare unicorni e leprecauni che saltellavano su un piato fiorito, ma poi mi resi conto che l'immagine della Parkinson che batteva ripetutamente la testa contro il muro mi faceva sentire meglio.
«Chi altro potrebbe essere stato, Scamandro?», ribatté fredda mia sorella. «Sono terribilmente infantili, pensavo che almeno al sesto anno sarebbero cresciuti.»
«Perché tu sei un esempio di grande maturità intellettuale», commentai ironica. Non è che stessi difendendo i due pel di carota, sia chiaro, ma era divertente stuzzicarla.
«Almeno io ho smesso di giocare con i colori a otto anni, Lisedore», fu la sua risposta. Se c'era una cosa che riusciva ad infastidirmi, quella era il mio nome completo. Far parte di una famiglia nobile e purosangue ha molti pro e contro, ma di certo i nomi che scelgono fanno schifo. Non potevano chiamarmi semplicemente Jennifer?
Decisi di non rispondere, concentrandomi di nuovo sulle immagini felici che venivano proiettate nella mia mente. Perché non potevo nascere uomo? Così avrei avuto la forza di picchiare violentemente Adeline senza temere una sua reazione. Aveva le unghie così affilate che ero certa mi potessero cavare gli occhi.
«Lis, vieni?» Sentii il mio amico scuotermi leggermente il braccio, così mi riscossi e lo seguii fuori dalla Sala Grande. «Tua sorella è proprio una vipera», proclamò, dopo aver appurato di essere fuori la sua portata d'orecchio. Mi strinsi nelle spalle, restando il silenzio. Era indubbiamente la verità, ma da un lato aveva anche ragione: era stato uno scherzo idiota ed infantile, ma ero davvero troppo stanca per far valere le mie idee.
Entrammo nell'aula di Storia della Magia quando era ancora deserta, occupando i due posti in fondo. Neanche in condizioni normali avrei seguito la lezione, figuriamoci con un branco di Thestral che mi camminavano nelle ovaie. Tornai nella posizione che avevo assunto anche a colazione, con la testa sul banco e gli occhi chiusi. Non riuscii a godermi il silenzio neppure per un istante, perché Lysander non riusciva proprio a stare zitto.
«Ho una teoria», esordì, con un tono quasi fiero. Mugolai in risposta, lasciando intendere che lo stavo ascoltando. «Io e te in realtà siamo fratelli.»
Probabilmente avrei dovuto essere abituata alle stronzate che sparava quotidianamente, ma l'assurdità di quella constatazione era tale che aprii gli occhi e lo fissai stranulata. «Eh?»
«Be', entrambi abbiamo un gemello che ha Eccezionale in tutto ed è Prefetto ed è simpatico, gentile e amato da tutti», spiegò lui, come se fossi una bambina ritardata.
«Hai appena detto che mia sorella è simpatica, gentile e amata da tutti?» Io l'ho detto che Lysander era costantemente sotto effetto di droghe.
«Con gli altri è così.» Fece una piccola pausa, come se la mia interruzione gli avesse fatto perdere il filo del discorso. «Comunque, la mia teoria è che in realtà io e te siamo fratelli e Lorcan e Adeline sono fratelli e in realtà siamo stati tutti scambiati.»
Sbattei lentamente le palpebre. «Lysander», cominciai. «io credo che tu abbia seri disturbi mentali.»
La sua risata cristallina riempì la stanza, così tornai a chiudere gli occhi. Quasi feci il conto alla rovescia per quando avrebbe ricominciato a blaterare di stupidaggini, ma furono altre le voci a rompere il silenzio.
«Ma non hai visto la sua faccia? Soltanto quello ne valeva la pena», ridacchiò la voce di Lily Potter. Quello che ero sicura fosse Hugo Weasley non replicò, probabilmente perché si era accorto della nostra presenza. I due salutarono ad alta voce Lysander, che ricambiò, e poi si sedettero – con mio grande sconcerto – esattamente nei banchi davanti ai nostri.
«Hey, Lys, grazie per non aver detto nulla. Ovviamente tutti sospettano di noi ma fin quando non hanno prove...»

Per un attimo, temetti che stesse parlando con me; poi mi ricordai che gli amici di Lysander lo soprannominavano Lys. Così come Lysander mi chiamava Lis. Io lo chiamavo semplicemente Lysander, o Scamandro. Quando nessuno ascoltava ed io ero particolarmente sentimentale, lo chiamavo Sandy. Questo perché al primo anno ero una bambina un po' disturbata.
«Non l'avrei mai fatto, ragazzi», replicò il mio amico. Mi trattenni dal simulare un conato di vomito.
«Vincerete sicuramente la medaglia come migliori amici dell'anno», borbottai.
Quando non udii alcuna risposta, mi sollevai leggermente e osservai i due ragazzi. Il Weasley era appoggiato contro il muro, le lunghe gambe distese verso Lily, che invece era totalmente girata verso di noi. Osservandoli meglio e alla luce del sole, notai che nessuno dei due era effettivamente un pel di carota: Hugo aveva i capelli rosso scuro, quasi castani, mentre quelli di Lily erano molto più tendenti al rosso fuoco. Eppure avevo la sensazione che avrei continuato a chiamarli pel di carota lo stesso.
Lily non sembrò gradire il mio commento, ma si limitò a stirare le labbra in una linea dura, senza dire niente. Hugo sollevò un angolo della bocca nell'imitazione di un sorriso.
«Nott, se invece di gironzolare per il Castello alle due di notte andassi a dormire, non avresti quelle occhiaie», fu la sua intelligente osservazione.
Alzai un sopracciglio. «Weasley, se invece di fare commenti inutili ti facessi una vagonata di cazzi tuoi, vivresti cent'anni.»
Lysander soffocò una risata, ma Hugo non cambiò espressione. Sembrò solo più divertito.
«Che senso ha vivere una lunga vita, se poi devi annoiarti?»
«Ci sono tante cose che puoi fare per divertirti, Weasley. Giocare all'impiccato con un vero cappio. Stare sotto ad un albero durante un temporale.» Ero così simpatica di mattina. Avrei dovuto parlare più spesso. Prima che pel di carota potesse rispondere, il resto della classe entrò schiamazzando, facendomi venire mal di testa ancor prima che Ruf cominciasse a parlare. Sarebbe stata una giornata di merda.

 

*
 

«Non ci posso credere, quella ragazza non ha proprio dignità!», squittì con aria disgustata Clarissa Jenkins, seduta sul letto a baldacchino di mia sorella. Adeline era seduta in modo composto, con la schiena leggermente curva, e stava ponendo tutta la sua attenzione nel mettere con precisione lo smalto sui piedi. Perrie Parkinson, comodamente distesa sul letto accanto, concordò con l'amica.
«È quello che dico anche io! Un minimo di contegno.» Contegno? Non credevo che parole del genere fossero nel vocabolario della Parkinson. «Quando un ragazzo ritorna disponibile devi aspettare almeno una settimana prima di uscirci, è risaputo.» Fissai le pagine del tomo di Rune Antiche senza realmente leggerle. È risaputo? Cosa c'era, esisteva un manuale per non essere delle grandissime troie?
«Soprattutto se la sua ex ragazza è una tua amica.»
Era buffo che quella che avrebbe dovuto essere più interessata alla conversazione era in realtà quella più distratta. Adeline alzò lo sguardo soltanto dopo aver terminato il mignolo del secondo piede, poi guardò le sue amiche negli occhi con fare teatrale.
«Ragazze, non sprecate fiato su una sciacquetta da quattro soldi», disse con voce serena. E lo trovai strano perché, normalmente, Adeline era una ragazza molto vendicativa.
All'inizio del quinto anno, Adeline aveva cominciato a frequentare l'affascinante Gideon Zabini, sesto anno e occhi blu cobalto. Era persino il meno spiacevole del clan “popolari” (formato da Malfoy, Zabini, Rosier e Goyle – che di attraente non aveva neanche una ciglia, ma era comunque considerato parte del gruppo) perché non rischiava di perdere tutta la sua grazia quando apriva bocca, dato che stava sempre zitto. Comunque, durante quell'anno, Adeline era stata riempita così tanto di corna da sembrare un cervo in seguito ad una mutazione genetica, così, appena tornata a scuola, l'aveva scaricato. Tempo sei giorni e Zabini aveva cominciato a frequentare Melanie Wilson, una ragazza con cui ogni tanto Adeline scambiava gli appunti e quindi, secondo l'acuto parere di Parkinson e Jenkins, una sua amica. Era davvero difficile per me capire la loro logica, ma era comunque più facile di Rune Antiche.
«In realtà, ultimamente non riesco a fare a meno di pensare ad un ragazzo.» Adeline sganciò la bomba all'improvviso e, come probabilmente si aspettava, ci vollero esattamente due secondi prima che le due ragazze cominciassero a starnazzare come oche.
Prima di sentire i dettagli, che mi avrebbero più o meno dato lo stesso effetto di un lassativo, chiusi il tomo e scivolai fuori dalla stanza. Generalmente, quando non riuscivo più a sopportare le chiacchiere dello Sleepover Club, attraversavo velocemente il corridoio e mi infilavo nei Dormitori maschili. Con il tempo, i compagni di stanza di Lysander ci avevano fatto l'abitudine e avevano smesso di fare battute idiote. Almeno in mia presenza. Purtroppo sapevo benissimo che non avrei studiato neanche una pagina se avessi cominciato a raccontare al mio amico di come la Parkinson storcesse il naso in un'espressione vagamente simile a quella di un carlino mentre parlava di cose che la infastidivano, come Melanie Wilson e i carboidrati.
Così mi diressi verso il Lago Nero, ben consapevole che poi avrei fatto ritorno con un ghiacciolo al posto del naso.
Prima di beccare il mio ragazzo pomiciare allegramente con Dominique Weasley – che, per chi non la conoscesse, è l'assassina di autostima femminile per eccellenza – mi piaceva molto andare in Biblioteca. Poi cominciai ad avere strane paranoie e preferii evitarla.

Mi lasciai cadere su una sponda del Lago, con la schiena appoggiata ad una roccia. Cos'è che mi ero fumata esattamente, al terzo anno, quando avevo deciso di iniziare Rune Antiche? Sbuffai, rabbrividendo quando una folata di vento mi sterzò il viso, e finalmente mi decisi ad aprire il tomo.
C'era anche da dire che io effettivamente ci provavo a studiare, ma c'erano cause di forza maggiore che ogni volta mi impedivano di concentrarmi. Quel giorno, si trattava di Gretel Goyle e Lily Potter (le riconobbi anche da lontano grazie alla sobrietà dei loro capelli) che si azzuffavano in modo non tanto scherzoso. Rimasi a fissarle per qualche istante, durante i quali imparai tantissime cose sulle tecniche di corpo-a-corpo femminile, ma dopo che la Goyle ebbe sferrato un pugno così forte in faccia alla rossa mi alzai in piedi. Normalmente non sarei intervenuta, certo, ma avevo anche io una coscienza e la Goyle era almeno un metro più alta della Potter, senza contare che le sue spalle erano larghe quanto un campo da Quidditch. E poi, se l'avesse uccisa, non avrei voluto essere incolpata per complicità. Meglio evitare queste cose spiacevoli.
Più mi avvicinavo, più mi rendevo conto di quanto la mia idea fosse idiota. Insomma, quando dicevo di essere alta un metro e sessantacinque mentivo. Ero appena un metro e sessantadue. Con gli anfibi. «Hey, Goyle!», chiamai, prima di potermene pentire. Peccato che fossi già pentita. La ragazza si girò, fulminandomi con lo sguardo, e Lily ne approfittò per afferrarle i capelli e strattonarli. Oh, Merlino. La Serpeverde allora agguantò il braccio della rossa e lo storse, facendole gettare un urlo di dolore. Come facevo ad intervenire? Con la bacchetta? Loro non stavano usando alcuna magia, era legale usare la bacchetta? Prima di poterci pensare due volte, mi misi in mezzo a loro due, ma quando il pugno di Goyle mi colpì lo stomaco, capii che avevo fatto la stronzata più colossale della mia vita. Che me ne fregava se quella lottatrice di sumo riduceva in polpette Lily Potter? Non eravamo amiche e io non ero una Grifondoro. Mi piegai in due, portando le mani sul punto colpito. Credevo di aver sentito il rumore della mia milza che si spappolava, ma non ne ero sicura; almeno le due pazze avevano smesso di picchiarsi e mi stavano guardando preoccupate. Gretel Goyle si dileguò in un battito di ciglia, senza mostrare neppure in briciolo di solidarietà nei confronti della sua compagna di casata. Lily Potter invece mi prese delicatamente un braccio. «Oh Morgana, Nott, mi dispiace tantissimo.» Aveva il segno di cinque dita su una guancia, i capelli che sembravano un nido di rondini e un occhio che sarebbe diventato presto nero. Eppure si preoccupava per me. «Ce la fai ad arrivare in infermeria?»
Annuii piano, seguendola nella direzione del Castello. Aveva decisamente preso la milza. Non avrebbe dovuto fare così tanto male, o sì? Quella ragazza era una specie di armadio-wrestel professionista.
«Mi dispiace tantissimo, quel pugno era diretto a me», continuò, mordendosi un labbro. Quasi mi venne da ridere. Lei non c'entrava nulla, ero io che ero stata colta da una crisi di personalità; forse il troppo freddo mi aveva congelato il cervello e per un attimo avevo creduto di essere una Grifondoro.
«Magari la prossima volta evita di far arrabbiare Goyle, eh?» Non riuscivo ad immaginare cosa sarebbe successo se la Serpeverde avesse fatto la spia a suo fratello. Calvin Goyle faceva molta più paura, il che era tutto dire.
Lei annuì, sinceramente pentita. Finalmente arrivammo in infermeria; la signora Wright fece sedere entrambe su un lettino ma alla fine quella che trattenne anche dopo la visita fu Lily; a quanto pare aveva il naso rotto. Io ero solo melodrammatica, almeno per quanto ne diceva lei (ero ancora seriamente convinta che mi avesse spappolato la milza).
Quando stavo per andarmene, Lily mi richiamò. «Hey, scusami, non è che andresti a cercare Hugo? Ho paura che possa succedere qualcosa anche a lui.» C'erano poche probabilità che non fosse già successo, comunque non me la sentii di negare. Pensai al povero tomo di Rune Antiche, che mi fissava con disapprovazione, e annuii. Voltai di nuovo le spalle, ma la rossa attirò di nuovo la mia attenzione. «Nott», disse. «Grazie.» Io tacqui, senza neppure guardarla: la gratitudine era un sentimento che mi aveva sempre messo a disagio. Così mi limitai ad uscire dall'infermeria e ad incamminarmi per i corridoi. Dove cavolo poteva essere Hugo Weasley? Se anche fosse stato nella Sala Comune dei Grifondoro, non avevo idea di quale fosse la parola segreta. Mi diressi comunque verso la Torre, sperando di incontrare qualcuno del clan al più presto. C'erano più Weasley che quadri, nel Castello, eppure quando me ne serviva uno non ce n'era neanche l'ombra. Giunta di fronte al quadro della Signora Grassa, mi guardai intorno, ma il corridoio era deserto. Sbuffai, facendo dietro front con l'intenzione di cercare un Grifondoro qualunque che mi facesse entrare, ma proprio mentre mi voltavo andai a sbattere contro qualcuno.
«Uh, ehm, scusa», balbettò Albus Potter, arrossendo fino alla punta dei capelli. A me si accese una lampadina in testa.
«Potter, sai dove trovare Weasley?» Poi mi diedi dell'idiota. «Hugo.»
Lui aggrottò la fronte. «Ehm, c-credo sia dentro.» Indicò con un cenno della testa il ritratto della Signora Grassa. «Perché?»
Ci pensai un attimo. Lily non aveva detto niente riguardo a suo fratello, quindi immaginai non volesse farglielo sapere; magari pensava di farlo preoccupare inutilmente. In ogni caso, non spettava a me informarlo.
«Mi serve per una cosa di Rune Antiche», inventai, dato che avevo ancora il libro in mano. Potter guardò prima me, poi il tono, poi di nuovo me.
«Ma Hugo non frequenta Rune Antiche.»
E porco Godric! Aveva più cugini che peli in testa e riusciva a ricordare le materie che frequentavano?!
«Posso entrare con te o no?», insistetti, spazientita. Lui sembrò incerto, ma arrossì di nuovo e sussurrò qualcosa alla Signora Grassa, facendosi di lato per farmi entrare per prima. «Grazie, milord», esclamai allora sarcastica, precedendolo e ritrovandomi dopo pochi passi nella Sala Comune dei Grifondoro. I colori erano così accesi che mi venne un immediato mal di testa, e cercai di non pensare a tutti gli occhi puntati su di me. Mi concentrai su una testa rossa in particolare e mi diressi in quella direzione.
Hugo Weasley era stravaccato su una poltrona, le lunghe gambe distese davanti a sé, e stava chiacchierando amabilmente con un ragazzo del nostro stesso anno. Il viso mi era familiare ma non avevo idea di come si chiamasse. Comunque, il pel di carota non aveva nessun occhio nero, cosa che considerai positiva (almeno sotto certi aspetti); i suoi occhi azzurri si incatenarono immediatamente ai miei e riuscii a scorgervi parecchia confusione.
«Weasley», salutai, tossicchiando leggermente. Non che fossi in imbarazzo, ma poteva il resto delle persone smettere di fissarmi? L'intera stanza era piombata nel silenzio; era una situazione che avrebbe messo in soggezione chiunque, insomma.
«Nott», replicò lui.
«Possiamo parlare un attimo in privato?»
Lui annuì, ancora confuso, e si alzò per raggiungermi. Mi stupì quanto fosse alto: non ci avevo mai fatto caso. Mi affrettai a raggiungere lo stesso varco da cui ero entrata, e quando finalmente mi ritrovai nel corridoio ripresi fiato.
«Ma porca Morgana, i tuoi compagni non hanno mai visto un Serpeverde?», sbottai, lanciando un'occhiata inquisitoria dietro di me.
Lui ridacchiò, infilando le mani nelle tasche della divisa. «Sì, ma non hanno mai visto una Nott rivolgere la parola ad un Weasley.»
Inarcai un sopracciglio. Che diamine significava? Io non rivolgevo la parola a nessuno in generale, non facevo alcuna differenza tra pel di carota e biondi ossigenati.
«Senti, mi manda tua cugina. Gretel Goyle l'ha pestata», snocciolai velocemente. Weasley ci mise un istante di troppo ad assimilare quella notizia; poi la colorazione del suo viso passò dal bianco cadavere al verde vomito.
«Porca puttana, come sta?», domandò ansioso. «È in infermeria?»
Annuii, evitando la prima domanda, alla quale comunque non avrei saputo come rispondere. «Ha paura che possa pestare anche te, quindi niente, stai attento e addio.» Voltai i tacchi, sentendo lo stomaco brontolare. Che diamine di ora era? Il libro di Rune Antiche continuava a fissarmi con sguardo accusatorio.
«Non è colpa mia!», sbottai, attirando gli sguardi straniti di alcuni Corvonero.

Niente da fare: quando ti svegliavi credendo che sarebbe stata una giornata di merda, poi si rivelava una giornata di merda.

 

 

 

 

 

***

 

 

Spazio autrice:

 

Salve a tutti! Sono davvero emozionata nel presentarvi questa nuova storia, che ho iniziato a scrivere ormai due anni fa. Mi sono decisa a postarla solo una volta conclusa perché sapevo che sarei stata molto lenta negli aggiornamenti, e non volevo farvi aspettare troppo!

Sono sempre stata affascinata dalla Nuova Generazione, in particolare dai personaggi “secondari” di cui non interessa a nessuno: Hugo, Louis, Lucy... spero vi piaccia la mia versione delle loro storie!

Fatemi sapere cosa ne pensate attraverso una recensione, per me è davvero importante :)

  
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