Ostara
Quella
sera era stata la più mite di tutta una settimana, il Sole
marzolino
aveva cominciato a scendere alle sei ed aveva lasciato dietro di
sé
una tiepida brezza, che accarezzava dolcemente le finestre di Alfea.
Gli
sbuffi che si introducevano delicatamente, dove trovavano uno spazio
sufficiente, trasportavano all'interno della scuola l'aroma degli
alberi in fiore e l'esplosione di vita così tipica di Ostara.
Il
solstizio di primavera, infatti, non aveva mai mancato l'occasione di
stupire chi, con particolare sensibilità, si apprestava ad
udire le
melodie di pace cantate dalla natura alla sua massima salute. Quando
era calata la notte e le stelle avevano fatto la propria comparsa, il
tepore se n'era andato, seppur non completamente, trovando rifugio
nel cuore delle sale del castello.
I
petali che vi si erano introdotti spazzavano appena il lucido
pavimento della sala da ballo, ove i festeggiamenti si erano
protratti fino al tramonto: gli addobbi puramente floreali
ondeggiavano ancora, i tavoli coperti da uno spesso tessuto di rose
si perdevano lentamente nell'oscurità che le lanterne,
pendenti dal
soffitto, non erano in grado di illuminare.
Le
stanze deserte, ma in grado di ospitare la profonda e piacevole
atmosfera della festività, erano loro stesse calde e
rassicuranti; e
niente avrebbe potuto disturbare l'immobilità del momento.
Niente,
ma non nessuno.
Nella
notte e nel buio, infatti, non tutti riposavano aspettando lo
splendido indomani: nel muoversi piano non produceva alcun rumore,
attraversando il breve corridoio di uno degli alloggi. La mano
leggermente tesa abbassò la maniglia di una delle grandi e
ben
decorate porte, non uno scatto del meccanismo né un
qualsiasi
cigolio.
Ai
suoi occhi non ci era voluto molto per abituarsi a riconoscere i
dettagli nell'oscurità, seppur avesse bisogno di molto di
più: data
la numerosa presenza di vasi doveva preoccuparsi principalmente di
non urtarne alcuno, per evitare di disturbare il sonno delle fate
presenti.
A
quel punto non sarebbe riuscita a trovare ciò che era suo di
diritto
e riappropriarsene. Due corpi dormienti, avvolti nelle coperte, non
davano alcun segno di starsi destando dalla propria condizione. I
respiri appesantiti le assicuravano di avere parecchio tempo per
agire: non
importava, gliene bastava poco.
Non
c'era alcun margine d'errore in ciò che aveva programmato e
nessuna
variazione avrebbe potuto portare la sua strategia alla rovina;
nell'avvicinarsi alla portafinestra la sua sagoma si fece leggermente
più chiara, staccandosi per contrasto dal nero degli angoli
della
stanza. Gli addobbi floreali in ogni dove splendevano anche
nell'oscurità.
Pensò
che per esser stati sistemati dalle fate si armonizzavano molto
meglio di quanto si fosse
aspettata.
Restava il fatto
che la maggior parte di loro non sapesse come si festeggiava Ostara:
spesso e volentieri le fate facevano l'errore di confonderla e
contaminarla con le usanze della terrestre Pasqua.
Le
uova avevano invaso i saloni nei quali aveva dato un'occhiata prima
di giungere alla propria destinazione: uova portate dagli
Specialisti, come in ogni festa di benvenuto, oppure dipinte con
cangianti colori dalla magia bianca delle allieve.
Erano
riposte con cura in delle ceste, i contenuti celati da gusci ricchi
di decorazioni; sarebbero state aperte all'indomani, con ogni
probabilità. Era certa non dipendesse dai colori, ma vederle
le
aveva fatto nascere una sincera espressione disgustata sul volto.
Ad
Alfea sanno di certo come uccidere le tradizioni altrui.
Avrebbe
voluto che tale considerazione fosse passata in secondo piano, ma non
poteva farci molto se nella sua crescita le tradizioni erano state
piuttosto importanti: non era quindi in grado di lasciar correre un
affronto simile.
Ogni
azione ha le proprie conseguenze.
Il
suo obiettivo principale, in ogni caso, rimaneva un altro; e non
produsse alcun suono nemmeno nell'avvicinarsi ad uno dei due corpi.
Non
aveva bisogno di una particolare luce nel cogliere con lo sguardo
ciò
che cercava: quei capelli rossi li avrebbe riconosciuti in qualsiasi
circostanza. Qualche secondo in più e sarebbe sparita con
ciò per
cui aveva rischiato tanto.
Bloom
si svegliò di soprassalto, ansimando pesantemente contro la
fresca
aria del mattino. Il sole non era ancora sorto, ma qualche fioco
bagliore riusciva già a delineare le pareti e le numerose
piante che
la sera prima, lei e la sua compagna di stanza, avevano sistemato con
cura.
L'ambiente
era lo stesso che aveva visto sul retro delle proprie palpebre,
seppur meno cupo e spaventoso: le ci volle qualche minuto per
riordinare le informazioni che ricordava a proposito dell'incubo che
l'aveva destata così d'improvviso, imperlandole la fronte
con
qualche goccia di freddo sudore. Era stato talmente realistico da
farla preoccupare di portarsi una mano tremante al petto, per
controllare che il famigliare calore che la pervadeva fosse ancora
presente e non le fosse stato sottratto.
I
polpastrelli ebbero un brivido nel poggiarsi delicatamente sullo
sterno, ma nel sentire la forza della Fiamma del Drago si distesero
leggermente, allentando anche la più minima pressione. Verso
sinistra, i battiti del cuore cominciavano a farsi meno martellanti,
segno che ormai anche il suo corpo aveva deciso di imporsi un
contegno.
Nella
camera, ovviamente non considerando sé stessa e Flora, non
c'era
nessuno, né vi era alcuna traccia della presenza di qualcun
altro
durante il suo sonno.
Neanche
sforzando i suoi celesti occhi ad osservare gli angoli ancora bui
sarebbe riuscita a delineare una figura estranea: la quiete e
l'ordine, del resto, erano prove schiaccianti del fatto che la sua
mente le stesse semplicemente giocando un brutto scherzo.
Eppure
l'immagine dello snello corpo di Icy che si chinava sul suo,
completamente immobilizzato dalla propria mente, sembrava fin troppo
tangibile e reale. L'aveva scrutata con i suoi gelidi occhi azzurri
ed aveva mosso una sola mano verso il suo petto: un'elegante boccetta
in cristallo aveva cominciato a risplendere nella notte, mentre il
dolore si impossessava delle membra della fulva, senza che lei
potesse in alcun modo reagire.
L'attimo
le aveva riportato a galla ricordi che aveva preferito soffocare,
immagini che richiamavano alla mente l'oscura voragine che aveva
dilaniato il proprio salotto a Gardenia, quella sera.
Nel
prendere il primo passo sulla soglia di casa, si era resa conto che
finché ci fosse stata lei nessuno dei suoi cari ci avrebbe
rimesso
la vita; ma non avrebbe mai dimenticato il forte odore di morte che
aveva sentito sulla propria pelle.
Come
non sarebbe riuscita a togliersi dalla testa il pungente freddo che
l'aveva avvolta dopo aver perso – per sempre, credeva lei
– il
suo prezioso potere del quale aveva appena scoperto il valore.
L'immagine di Mike e Vanessa, riversi a terra sul pavimento ormai
ricostruito, era stata la prima cosa che era stata in grado di
mettere a fuoco; la voce di Stella, così distante, aveva
colmato in
parte il vuoto che aveva preso il posto del calore, ma non si era
rivelata sufficiente a sollevarle il morale.
Era
stata una stupida a pensare che tale decisione non avrebbe avuto
alcuna ripercussione sulla Dimensione Magica: tuttavia, trovava
inutile piangere sul latte versato. Aveva affrontato e risolto la
situazione, una volta ripreso un briciolo di controllo sulla propria
vita.
Date
le circostanze abbastanza pacifiche, non capiva ancora il motivo per
il quale la notte di un giorno così lontano da quello, tutto
ciò
aveva deciso di fare il suo ritorno.
Si
stiracchiò leggermente e si levò dal letto,
più per scacciare i
propri dannosi pensieri che per il desiderio di voler lasciare le
coperte: se ne fosse stata in grado, sarebbe tornata volentieri a
dormire, ma in condizioni simili non ci sarebbe riuscita.
In
tutta Alfea regnava il silenzio più totale durante le prime
ore del
mattino, e l'alba di Ostara non faceva eccezione: anche uscendo in
terrazza non si poteva scorgere alcuna luce provenire dalle tante
finestre che si affacciavano sul cortile. Il sole cominciava a
proiettare l'ombra delle montagne sulle morbide e bianche nuvole che
occupavano, qua e là, il cielo.
Nel
vederle, nel tracciare il loro lento e regolare movimento, Bloom
trovò la forza per calmarsi e convincersi che non ci fosse
nulla di
strano nella giornata a venire.
Avrebbe
scoperto di starsi sbagliando qualche minuto dopo.
Con
l'alba, arrivarono anche le prime grida delle fate che si erano
destate presto e, senza fare alcun rumore, si erano introdotte nelle
sale decorate per scoprire cosa contenesse il ben decorato uovo che
spettava loro. I suoni avevano causato un attimo di sgomento nella
fulva, mettendola in allarme solo dopo una ventina di secondi dal
loro inizio: le realistiche immagini del proprio sogno potevano non
appartenere solamente al suo cervello, seppure la presenza delle Trix
nel castello sarebbe stata per loro stesse sconveniente.
In
un periodo simile sarebbe stato da stupidi rischiare tanto,
soprattutto senza un corposo obiettivo come la Fiamma del Drago:
nonostante essa fosse al sicuro, la fata si trovò ad uscire
di corsa
dalla propria stanza senza fornire informazioni a Flora, che doveva
esser stata svegliata dalle numerose urla.
Doveva
assolutamente scoprire cosa stesse succedendo ai piani inferiori, in
fretta.
Non
le servì arrivarci per capirlo: una scutigera delle
dimensioni di un
cane di piccola taglia si mosse velocemente nella sua direzione,
costringendola a scartarla di lato per evitare che le camminasse
sulle scarpe. Con un'espressione disgustata la fulva ne
seguì il
moto lungo il corridoio, osservando i suoi repentini cambi di
direzione qualora avesse incontrato un qualsiasi ostacolo: come i
propri dubbi su un'eventuale azione delle nemiche erano spariti in
pochi minuti, così avevano fatto sentire prepotentemente il
proprio
peso sulla sua mente.
Il
passaggio della bestia l'aveva fatta arrestare a lato del corridoio
principale, lasciandola a domandarsi se la cosa più utile da
farsi
fosse stata proseguire oppure tornare alla sua stanza e scacciare una
volta per tutte le numerose questioni che le avevano affollato la
testa da qualche secondo.
Scendere
non avrebbe confermato ciò che credeva, in quanto anche se
le
streghe avessero lasciato tracce del loro passaggio, di certo ad un
orario simile non le avrebbe trovate in alcuna ala del castello.
L'unico
dettaglio a cui poteva aggrapparsi era appeso nel suo armadio: la sua
non presenza poteva rivelarle un indizio fondamentale.
Musa
avrebbe veramente voluto dormire fino a tardi, quel giorno: Ostara,
aveva sentito si chiamasse così, non era mai stata
festeggiata su
Melody per via delle sue tradizioni; pertanto la fata della musica
non aveva la minima intenzione di raggiungere le altre fate di Alfea
in una festività della quale non sapeva assolutamente
niente, né ne
condivideva lo spirito.
Si
sarebbe volentieri presa il tempo necessario per destarsi dal sonno
in tutta tranquillità, se
non fosse
stata buttata giù dal letto da delle grida a massimo volume,
provenienti dalla stanza vicino alla sua: avrebbe volentieri
scaricato la colpa su Stella, se non fosse stata sicura che
quest'ultima stesse dormendo e non avesse riconosciuto al volo il
timbro della voce che le stava seriamente disturbando i timpani.
Soffocarsi
con il proprio cuscino per tornare nel mondo dei sogni era stato
pressoché inutile: così si era trovata ad
osservare il cumulo di
vestiti davanti al semiaperto armadio di Bloom, ascoltandone il tono
agitato con il quale urlava ad intervalli regolari qualcosa simile ad
“Oh mio Dio!” – un
modo di dire probabilmente terrestre, in quanto non l'avesse mai
sentito in vita sua.
Flora,
per sua
immensa fortuna,
doveva essere uscita da tempo.
I
capi volavano al di fuori dell'anta aperta, dalla quale si potevano
scorgere un paio di trecce fulve muoversi furiosamente fra gli abiti
rimasti illesi, alla ricerca di qualcosa che la fata della musica non
era stata in grado di collegare: con ogni probabilità,
tuttavia,
riguardava l'unico argomento per il quale l'altra aveva perso la
testa negli ultimi tempi.
Purtroppo
il solo osservare non l'avrebbe portata alla soluzione, né
le
avrebbe conferito l'onore di far smettere di urlare l'amica; quindi
si sporse leggermente, reggendosi all'anta ed osservando la pura
distruzione all'interno dell'angusto spazio.
“Bloom,
cosa diamine...”
Sentendosi
chiamare, lei si girò con gli occhi sbarrati, colmi di una
strana
forma di paura, fra le mani la sua gonna blu a balze. Musa
inarcò un
sopracciglio nel guardarla, quasi pentendosi di aver palesato la sua
presenza.
“Oh
mio Dio, Musa. Icy è stata qui, ti giuro, ho le
prove.” le rispose
tutto ad un fiato, gettando di lato il sopracitato tessuto: nella
foga della ricerca, però, aveva dimenticato il fatto che le
sue
compagne, per sua volontà, non potessero sapere nulla a
proposito
del pregiato vestito nero che aveva sottratto dalla casa delle
streghe quasi due mesi prima.
Aveva
un bisogno assoluto di risposte, pertanto era riuscita a mantenere il
segreto così a lungo e a condurre le proprie ricerche senza
destare
alcun sospetto, secondo il suo punto di vista.
Ed
in pochi attimi era riuscita a mandare tutto all'aria senza essere
giunta ad una qualsiasi risposta.
“E
le prove sarebbero?” fece l'asiatica dopo un sospiro: al
momento
non aveva affatto l'intenzione di sentir parlare della strega dei
ghiacci per l'ennesima volta.
Ma
nel non udire Bloom cominciare a parlare a ruota senza darle il tempo
di rispondere, si stupì abbastanza da fissarla con la bocca
dischiusa: alla sua domanda si era morsa il labbro ed aveva distolto
lo sguardo con fare leggermente colpevole, nel suo singolare modo di
rivelare qualcosa a lei tenuto nascosto per troppo tempo.
La
sua ricerca frenetica si era arrestata in quel momento, entrambe le
fate erano immobili: se una stava cercando il contatto visivo per
trovarvici delle risposte, l'altra lo stava volutamente evitando.
“La
prova, non le prove.”
Una
voce alle spalle di Musa sbloccò la situazione di stallo che
andava
costruendosi fra lei e la fulva: Tecna, già vestita, fece il
suo
ingresso nella stanza, compiendo lunghi passi per evitare di
calpestare gli abiti sparsi sul pavimento.
“Ah,
buongiorno anche a te, Tec.” l'accolse l'asiatica,
accompagnando il
saluto con un fiacco cenno della mano: la fata della Fiamma del Drago
restò in silenzio ed a testa bassa, comprendendo di non
esser stata
abbastanza attenta da non farsi cogliere in flagrante dalla
zenithiana.
“La
tua ricerca non è passata del tutto inosservata –
rivolse il suo
sguardo a Bloom, dopo aver lanciato una veloce occhiata verso Musa in
risposta al suo saluto – ed ho avuto modo di analizzare io
stessa
la prova che ti sei portata dietro dalla nostra ultima missione. Un
capo antico, di fattura whisperiana: non ne avevo mai visto uno da
vicino e non avrei voluto vederlo affatto nel nostro
appartamento.”
“Di
Whisperia? Allora non ero totalmente fuori strada!” il colore
riacquistato dalla diretta interessata svanì subito quando
due paia
di iridi si erano puntate su di lei con uno sguardo di rimprovero.
“Comunque,
a parte la mia ricerca… E' sparito. Non è
più da nessuna parte e
no, non l'ho spostato io senza ricordarmi dove l'ho messo. Qualcuno
per forza deve averlo preso e quel qualcuno è sicuramente
Icy.” la
frase non avrebbe risolto la situazione in cui si era cacciata per
aver parlato troppo, ma aveva la necessità di ottenere
qualche
risposta, che fosse un insulto da parte della fata della musica,
oppure un ragionamento atto a distruggere la sua ipotesi: avrebbe
sperato, in ogni caso, in una conferma.
Aveva
fatto più buchi nell'acqua che altro, svolgendo tutto in
gran
segreto. Aveva identificato il tipo di tessuto, il tipo di capo
generalmente usato dalle vedove, ma non era mai riuscita a scoprirne
né la provenienza né il senso che aveva spinto la
strega ad
indossarlo la sera di Samhain.
Per
spiegare l'ormai ultima domanda rimasta, avrebbe dovuto cercare molto
più in profondità.
Nel
concentrarsi pienamente sulla propria ricerca, Bloom aveva quasi
completamente dimenticato ciò che aveva visto nell'ora
precedente;
tuttavia, non sarebbe riuscita ad aggirare l'argomento a lungo, in
quanto una colonna di fumo aveva cominciato a levarsi, corposa, dalla
sala da pranzo.
Forse
era giunto il momento di condividere la sua scoperta con le
altre.
“Ragazze...”
biascicò, mentre Tecna stava per proporle il proprio punto
di vista
sulla questione: la fata non apprezzava particolarmente l'essere
interrotta, ma seguendo l'indice dell'amica capì che si era
pronunciata per un motivo più che valido.
“Oh
cazzo – con gli occhi sgranati, Musa si lasciò
andare a qualche
imprecazione, indietreggiando verso la porta – Potevi dircelo
prima
che stava succedendo qualche casino di sotto!”
“Beh…
Mi è proprio scappato di mente, scusate.”
Lo
sguardo che le rivolse l'asiatica, nel varcare in fretta e furia la
porta, non prometteva nulla di buono: in attimi simili, la fulva
malediceva la sua abitudine di non pensare alle conseguenze prima di
compiere una qualsiasi azione.
L'addobbata
sala di Alfea, ora avvolta nelle fiamme, ne era una lampante
dimostrazione.
Non
era in grado di comprendere appieno il motivo per il quale si fosse
diretta nuovamente in tale luogo, dati i precedenti trascorsi. Era
estremamente rischioso, ne era ben conscia, ma la necessità
di una
situazione simile era cresciuta facendosi forte, forse più
forte del
suo stesso buonsenso che, normalmente, usava prevalere.
Era
entrata a testa bassa, la mente alleggerita dalla appena fastidiosa
sensazione di deja-vu: effettivamente non era una stranezza, in
quanto l'intera atmosfera risultasse molto simile alla sua versione
autunnale, di parecchi mesi prima.
Non
si sarebbe affatto stupita se ogni avvenimento avesse seguito lo
stesso filo conduttore di Mabon; ma si era ritrovata a sperare che
ciò non fosse in procinto di accadere.
Nella
posizione in cui si trovava non poteva permettersi di essere
individuata, mancava poco al raggiungimento dell'obiettivo:
nell'agire nell'ombra, lei e le sue sorelle, avevano risparmiato
energia e tempo, cose che la foga di dare una lezione alle fatine non
avrebbe mai portato. Nonostante qualche dubbio, così tipico
del suo
essere, era arrivata perfino a credere che fosse la volta buona, la
volta che non avrebbe portato un inesorabile fallimento.
La
prima volta, del resto, ci erano andate spaventosamente vicine:
allearsi con altri non aveva fatto altro che peggiorare la loro
condizione e, data l'ennesima conclusione in una vittoria per le
fate, un ritorno ad agire per conto loro non si sarebbe fatto
attendere.
Ordinò
lo stesso infuso di tale giorno, tenendo il cucchiaino con la punta
delle dita nel mescolare in senso orario: chiunque avrebbe potuto
trovare strano il fatto di voler riprodurre esattamente ogni azione,
ma al momento non le importava delle opinioni altrui. Non sarebbero
di certo state significative nel momento in cui la missione sarebbe
stata compiuta.
Tutto
ciò per cui aveva lavorato avrebbe dato i suoi frutti, ogni
sforzo
sarebbe giunto al termine: per riportare ogni cosa allo
splendore
di un tempo, si diceva; ripetere un lontano passato che
stava
sfuggendo alle sue memorie, facendosi sempre più sfocato ed
indistinguibile; recuperare ciò che in altro modo non
sarebbe
riuscita a ricordare, prima della sua definitiva scomparsa.
Quando
anche l'ultima immagine della propria infanzia sul pianeta natale si
fosse consumata, allora non avrebbe avuto alcun senso continuare ad
inseguire il potere; quando i ricordi di liete giornate nella pace di
Whisperia fossero stati totalmente dimenticati, procedere a ritroso
avrebbe perso il suo significato, non lasciandole altra scelta che
proseguire nella costruzione della propria vita.
Come
sarebbe stata, si era trovata spesso a riflettervici.
Diversa,
sicuramente, avrebbe differito da ciò che aveva conosciuto
finora, o
almeno avrebbe voluto lo facesse: vivere da latitante non giovava
né
alla sua salute mentale, né a quella delle sorelle, anche se
era
risultata un'opzione di gran lunga migliore rispetto ad un prolungato
soggiorno a Roccaluce. Non si era sentita di biasimare la scelta
della sorella maggiore a proposito, non avevano avuto a disposizione
molte alternative.
Dalla
sera nella quale la Griffin aveva annunciato la loro espulsione da
Torrenuvola sapeva che non ci sarebbe stata possibilità di
ritorno e
l'aveva accettato come lecita conseguenza di ciò che stavano
per
realizzare.
Ora
non ne era più certa.
Avendo
l'opportunità di ripercorrere i propri passi, non avrebbe
affermato
con sicurezza di voler prendere la stessa via: conosceva la
difficoltà del percorso e l'aveva affrontata con fermezza e
determinazione, ma nel lungo tempo compreso in quasi cinque anni
tutto si era fatto abbastanza insostenibile.
Necessitava
del successo, questa volta: avrebbe alleggerito la tensione creatasi
fra lei e le sorelle, avrebbe migliorato ogni situazione nella quale
si sarebbero trovate. Non avrebbe pensato a cosa ne avrebbe seguito,
il sapore della vittoria sarebbe bastato a farla sentire nuovamente
viva.
Nell'alzare
la tazza per prendere un sorso di tè, levando quindi lo
sguardo,
notò l'assenza di qualsiasi individuo ad occupare il
bancone:
l'unica differenza con Mabon doveva essere quindi quella.
Alla
sensazione di quiete che aveva calmato le acque nella sua mente si
contrappose un lieve senso di rammarico; nel riporre la tazza sul
piattino, Darcy ammise a sé stessa che, molto probabilmente,
avrebbe
voluto cambiare ogni dettaglio, tranne la mancante figura di Riven
intenta a darle le spalle.
Non
era ancora conscia del fatto che, con la primavera, i loro ruoli si
erano momentaneamente invertiti: l'avrebbe scoperto troppo tardi.
“Dov'eri.”
Stormy
sbuffò al tono della sorella maggiore e buttò
disordinatamente le
scarpe accanto alla porta d'entrata. Aveva sperato di rientrare prima
di lei, ma evidentemente la fortuna non era mai stata
dalla
sua parte.
“Non
rompere, sono solo andata a vedere la cazzo di viverna che sta
facendo arrosto la scuola delle fatine. Ti direi che hai esagerato,
ma lo spettacolo è fottutamente stupendo.”
Icy
ignorò il commento, come se non conoscesse ciò di
cui la sorella
stesse parlando, appoggiando le labbra sul bocchino d'avorio ed
accendendo la sigaretta all'estremità di esso. Non
necessitava di
ulteriori distrazioni nel momento in cui avrebbe dovuto tenere una
concentrazione pressoché perfetta, rivolta al piano che
aveva
ideato.
Nessun
errore era permesso.
“D'ora
in poi evita di farti vedere in giro. Le fatine ci stanno ancora
cercando.” la ammonì, espirando una consistente
nuvola di fumo
nella sua direzione; la strega delle tempeste la dissolse pigramente
con le mani.
“Stai
rompendo il cazzo a me, ma intanto io sono tornata. Ti ammazzo se
dopo non fai il cazziatone anche a Darcy.” rispose,
abbandonandosi
sul divano accanto all'albina: nel sentirne le parole, quest'ultima
si arrestò con le labbra a pochi centimetri dall'avorio.
“Mi
stai dicendo che non era con te.”
“Non
so neanche dove sia andata, se è per questo.”
La
riccia non realizzò interamente, prima di osservare la
reazione
della sorella: nel suo assottigliare gli occhi scorse un accenno,
quasi invisibile, di preoccupazione per le sorti della strega
dell'oscurità e, di conseguenza, per l'andamento del piano
che aveva
minuziosamente elaborato. Non avevano in mano nulla di certo e
pertanto avrebbero atteso fino al tramonto, ma il brutto
presentimento, che aveva percorso la sua mente nell'attimo in cui
aveva osservato la strega dei ghiacci riprendere a fumare mal celando
le proprie pessimistiche riflessioni, le impediva di stare immobile.
Si
torturò appena le mani ed irrigidì i muscoli
delle gambe, pronta a
levarsi dalla propria posizione.
“Non
andare. Sarebbe troppo stupido anche per te.”
l'anticipò la
sorella, rivolgendole un veloce e raggelante sguardo che,
straordinariamente, non sortì l'effetto desiderato.
“E
allora che cazzo devo fare.”
“Tornerà.
Porta pazienza, per una volta.”
La
mancanza di convinzione nel tono, tuttavia, non aiutò
affatto Stormy
a calmare i propri impulsi.
“Merda.”
biascicò in risposta, stringendo i pugni fino a far
sbiancare le
nocche.
Non
va bene. Non va per niente bene.
Sperò
ardentemente che Darcy si fosse sbrigata a tornare, almeno avrebbe
potuto sfogare la propria rabbia: contenerla era sempre stato per lei
deleterio.
Lo
sperò nel profondo per il suo bene; lo sperò
superficialmente
perché, se nulla fosse cambiato, avrebbe finito per
impazzire.
La
vendetta, del resto, si era fatta attendere anche troppo.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Questa
robaccia è un dolore fisico, dico sul serio.
E'
stato parecchio faticoso far uscire una cosa simile, ma almeno sono
riuscita a farlo in tempo e spero che almeno ne valga la pena; ci ho
lavorato qualcosa tipo quasi due mesi, non sto scherzando, ho
stallato di brutto su questa os.
E'
venuta più lunga delle altre, suppongo si noti, in quanto le
ultime
a concludere il cerchio saranno più lunghe per via dei
contenuti.
Prima
di passare ai ringraziamenti fornisco qualche informazioni: Ostara,
spesso coincidente con l'equinozio di primavera, festeggia l'avvento
della bella stagione, la fioritura, le giornate più luminose
e,
sostanzialmente, la primavera in generale che in sé porta il
significato di vitalità. Spesso, dal nome, confusa con la
odierna e
cristiana Pasqua (in inglese Easter ed in tedesco Ostern)
per i simili simboli quali le uova ed il coniglio.
Ed
ora arriva la parte in cui mi scuso, in quanto nelle note di Imbolc
ho dimenticato i ringraziamenti, quindi integro anche qui;
Ringrazio
Ghillyam,
Applepagly,
pappardella e
BlackyDragon per aver
recensito Yule, siete sempre presenti e la cosa mi fa molto piacere:
spero che le storie vi soddisfino come vorreste :)
Ringrazio
nuovamente Applepagly
per aver inserito Yule fra le sue storie preferite.
Ora
passiamo ad Imbolc;
Ringrazio
le onnipresenti Ghillyam,
Applepagly e
BlackyDragon per aver
espresso le loro opinioni anche su quella storia, sono felice che vi
sia piaciuta.
Un
bel grazie anche a Stealthy_step per
le sue azioni di stalking verso le storie di questa serie; inoltre,
ringrazio vivamente chiunque segua e abbia il tempo di leggere questa
storia, sperando che possa piacervi ed allietarvi le giornate.
Tornerò
con Beltane,
la penultima
storia della serie, il 5 maggio.
Grazie
per aver letto questa storia!
Mary