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Autore: Daleko    21/03/2018    1 recensioni
"Lui camminava guardando lei, lei gli trotterellava al fianco fissando la strada. «Ma Nico che ha detto, viene per Olandese?» gli chiese all'improvviso. Alessandro notò lo smartphone crepato che stringeva nella mano destra. «Gli stai scrivendo?» domandò in rimando, occhieggiando lo schermo. «Sì, ma su Whatsapp non risponde» gli mostrò lei: gli ultimi sei messaggi erano stati inviati da Chiara. Alessandro apprezzò mentalmente il non aver trovato emoticon affettuose sullo schermo."
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"«Giuro che questa volta t'ammazzo, questa volta ti... Devi smetterla di tirarmi in mezzo a questa roba, hai capito?» ringhiò il ragazzo al telefono. Ci fu qualche secondo di silenzio riempito solo dalla pioggia. Nicola si era riparato sotto uno dei balconi del primo piano, l'acqua gli schizzava sulle scarpe ma la rabbia gli impediva di sentire freddo. «Senti Nico... Tu non devi rompere i coglioni a me perché tu c'hai i cazzi tuoi per la testa e all'improvviso te ne vuoi tirare fuori, t'è chiaro?». La voce al cellulare era stranamente glaciale, sgarbata, poco familiare. Il ragazzo non fu reattivo come avrebbe voluto."

Storia romantica ambientata all'Università "L'Orientale".

Feb2019: Storia modificata e revisionata.
Genere: Malinconico, Slice of life, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amori sanguigni'
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11.

 
Il vento spirava con forza, uggiolando contro la finestra chiusa. Il bambino era steso a letto, impegnato con un giochino rumoroso sul suo vecchio GameBoy, mentre il fratello maggiore si teneva impegnato alla scrivania. Al di fuori della loro camera in comune, la casa era buia e silenziosa; anche il solito sottofondo musicale mancava, quella sera. Luca non alzava lo sguardo dal quadrato luminoso davanti a sé, e Nicola un po' scribacchiava su un quaderno, un po' si barcamenava fra canali Discord, email onion, e un paio di borsellini di criptovalute; quando, di tanto in tanto, gli si illuminava lo schermo del cellulare, gettava un occhio anche lì, eventualmente rispondendo. La monotonia venne spezzata da un rumore familiare: entrambi i presenti udirono aprirsi la porta d'ingresso, e mentre Nicola si limitava a ignorare il nuovo suono, Luca saltò giù dal letto. «Mamma!» urlò lasciando il giochino sulla coperta e correndo nell'ingresso. «Luca, metti le pantofole» gli ricordò il fratello senza alzare lo sguardo dal quaderno, ma l'altro non lo udì o lo ignorò, già con le braccia attorno al busto della madre.

«Ciao amore, come ti senti?» lo salutò la donna, scoccandogli un bacio sulla fronte e ricevendone, in cambio, uno sulla guancia. Sembrava stanca: il viso, con rimasugli di giovinezza, era attraversato da rughe di preoccupazione; tra i capelli castani c'erano molti luccichii argentati, il cappotto le cadeva sformato sulle spalle, e i jeans slavati sembravano troppo larghi di qualche taglia. Luca la lasciò andare, restando comunque nei paraggi, e lei si avvicinò al divano per poggiare la borsa, sfilare la giacca e dedicare la propria attenzione alla posta, ritirata da poco e stretta nella mano destra. «Ciao ma'» la salutò Nicola ad alta voce, ancora concentrato al computer. «Che fai?» chiese Luca tirandola per un lembo del maglione. La madre controllava qualche bolletta, sospirando e sfogliandole come un mazzo di carte. Arrivò a una busta bianca, senza affrancatura e senza nome, e rimase a fissarla per qualche istante. Poi urlò: «Nico!». Si voltò verso la camera dei figli, ignorando il più piccolo e correndo verso il maggiore, il quale si voltò incuriosito. «Nico, ha ricominciato!» continuò eccitata; si sedette sul bordo di uno dei letti, osservando la busta e poi il figlio, ora seduto davanti a un desktop pulito. «Come fai a dirlo? L'hai già aperta?» domandò Nicola, dedicandole la sua attenzione. Luca arrivò dopo un po', incuriosito da quel trambusto e contrariato per non essere lui al centro dell'attenzione; andò a sedersi accanto alla madre, guardando la scena in silenzio e muovendo ritmicamente le gambe magre. «No, ma cos'altro può essere? Non c'è scritto niente» rispose lei, voltando la busta per riguardarla meglio. Nicola fece spallucce. «Allora aprila» la invitò; lei gli rivolse un ultimo sguardo trepidante, stringendo le labbra, poi portò le dita sottili all'apertura. Strappò il bordo in modo irregolare, guardò l'interno e schiuse le labbra, traendo aria con difficoltà. «Oh mio Dio... Ha ricominciato davvero!» sussurrò. Nicola abbassò lo sguardo. «Quanto?» le chiese. La donna estrasse delle banconote dalla busta, accompagnata da un «Wow!» del figlio minore. «Quattro... No, cinquecento!» continuò con voce tremante. Ritornò a guardare Nicola. «Aveva smesso da quanto tempo, sei mesi? Dio, credevo che non ne sarebbero arrivate altre!». Strinse le mani attorno alla busta, riponendovi le banconote con difficoltà. «Mamma, ma è papà che ci manda tutti questi soldi?» chiese con voce squillante. La donna e l'altro figlio si scambiarono uno sguardo imbarazzato, poi lei si alzò senza dire altro, lasciandoli soli. Nicola sospirò. «Luca, ti va se giochiamo un po' all'XBOX? Finisco di studiare più tardi» propose al fratellino, il quale accettò euforicamente. Uscirono anche loro dalla stanza; mentre Luca accendeva la console, Nicola si diresse verso la camera della madre. La trovò a riporre le banconote in un vecchio portagioie sul comò, e le si avvicinò senza dire nulla. Restarono in silenzio per qualche momento, poi lui le poggiò una mano sulla spalla. «L'importante è che siano arrivati, no?» butto lì. Lei annuì freneticamente. «Sì, ma... Vorrei sapere chi è. Ringraziarlo. Io non conosco nessuno, non frequento nessuno...» si voltò a guardare il ragazzo. «Ma chi è? Un amico di tuo padre? Davvero non ne sai niente?» chiese con gli occhi lucidi. Nicola distolse lo sguardo, scuotendo il capo. «Che importa chi è? Prenditi un giorno di ferie e porta di nuovo Luca da quel cazzo di pediatra, ma'. Non può restare a casa per sempre» s'irritò. Lei distolse a sua volta gli occhi dall'altro, portandoli istintivamente in direzione del salotto, dove si trovava il figlio minore. «Ho capito Nico... Ma come lo spiego che ha di nuovo un occhio nero? Penseranno che lo picchio, o...» s'interruppe con voce tremante. «Non possono portartelo via e basta, ma'! Ma lo vedi che ha sempre la febbre? Lo vedi che non mangia un cazzo? Sono sempre a casa con lui, se non ci sono io c'è Tina, ma poi ti sei vista allo specchio? Chi può mai pensare che picchi tuo figlio? Fai sul serio?!» le urlò contro, facendo un passo indietro. La madre cominciò a tormentarsi le mani callose. «...ma il pediatra ha già detto che è anemico, tutto qui, è normale che...» «È normale un cazzo, è normale!» continuò ad abbaiare il figlio. Spuntò improvvisamente, dalla porta, il diretto interessato. «Nico, vieni?» domandò con voce sottile, e i due adulti trasalirono, vergognandosi di essere stati sorpresi a discutere in quel modo. La madre teneva gli occhi bassi. «Sì Luca, vengo» acconsentì lui, allontanandosi col fratellino e lasciando la madre nella penombra di camera sua. 
 

* 
 

«Era davvero un sacco di tempo che non uscivamo insieme, mi mancava un sacco» rideva una delle ragazze. L'altra annuì. «Sì, anche a me» confermò con le labbra scure di rossetto. Erano nel chiuso di una paninoteca, sedute insieme a un tavolino di legno scuro, e aspettavano la loro ordinazione. «Allora, cos'hai deciso di fare con Gio?» introdusse l'argomento una delle due, tenendo gli occhi grigi ben fissi sull'amica; quella arrossì lievemente. «Oh, vero, non te l'ho più detto. Mi ha chiesto di andare a un concerto insieme, però– però come amici!» esclamò subito, notando l'espressione dell'amica. «Sì, come amici, ti credo di sicuro» scherzò. «No, davvero! Mi ha anche chiesto di invitare i miei amici, così... Vuoi venire anche tu? Suonano i The Do». Cinzia batté le mani. «Oh, sì, perché no? Viene anche Ale?» «Ale? Sì, perché?» si accigliò Chiara. L'altra fece una smorfia. «Che stronzo, non me l'ha mica detto. Magari non sapeva di potermi invitare?» rifletté ad alta voce. Chiara batté le palpebre. «Ma scusa, che c'entra Ale?» domandò ancora una volta. Cinzia scoppiò a ridere. «Ma daaai, non fare la finta tonta! Davvero non ti ha detto niente?» «Niente cosa?» s'irritò. «Usciamo insieme da un po'» le sussurrò l'amica, emozionata. L'espressione di Chiara mutò in un misto di irritazione e turbamento. «Davvero?» «Sì, perché?» «E da quanto?» «Ma non lo so Chia', perché?» abbozzò un sorriso confuso. Chiara si strinse nelle spalle. «No, così. Nessuno me l'ha detto» bofonchiò. Un cameriere si avvicinò al loro tavolo, interrompendo la conversazione e servendo i loro panini. Ringraziarono, poi Cinzia prese nuovamente la parola. «Dai, che permalosa che sei! Non c'è stata occasione. Allora, Gio e quella stronza si sono lasciati?» tornò all'argomento principale; mentre Chiara le rispondeva lei morse il panino, affamata. «Sì. Così mi ha detto, almeno. Non ho indagato» soddisfò bruscamente la sua curiosità. Cinzia rimase in silenzio, osservando l'altra alle prese con la sua cena, poi decise che non era la serata adatta per parlare di altre persone. «Certo che il mio è proprio buono! Il tuo com'è?» spostò allegramente l'attenzione sul cibo. L'altra si limitò a un altro movimento sterile delle spalle, mangiando in silenzio.

 

*


Alessandro si ritrovava molto raramente in città a quell'ora della sera. Abitando in provincia, costretto a muoversi con i mezzi pubblici, era sua abitudine tornare a casa nel tardo pomeriggio, uscendo con gli amici nel suo stesso quartiere. Quel giorno fece eccezione perché diretto a una festa di compleanno: non poteva rifiutare l'invito e suo padre si era offerto di recuperarlo in auto, una volta finita la festa. Camminava col suo gruppo di amici, stretto in una giacca a vento dalla quale usciva il colletto della camicia, e rideva di qualcosa inerente al liceo. Nessuno di loro portava un pacco regalo, avendo optato per un più pratico dono monetario, e così sembravano un normale gruppo di adolescenti, impegnati in una passeggiata serale per le vie di Napoli. Alessandro non era abituato a quei luoghi, muovendosi solo nelle zone attinenti all'università, così si scrutava intorno con interesse. «Oh, Ste', che piazza è questa?» chiese a uno degli amici; quegli rise. «Sei proprio un paesano, Alessa'. Manco Bellini conosci?». Alessandro appellò sua madre in modo poco carino, vi fu qualche risata e qualche schiaffo scherzoso sulle braccia, poi tornò a guardarsi intorno: vedeva persone benvestite sedute ai tavolini, camerieri muoversi velocemente tra la gente, e poi in qualche modo vide lui. Inizialmente non riconobbe la figura stravaccata sulla panchina, seduta con una birra in una mano e un'altra persona al suo fianco, tenuta vicina con un braccio attorno alle spalle. Intenti com'erano a baciarsi, pensò Alessandro, non aveva occasione di vederli in viso –e probabilmente, pensò ancora, era quel bacio così spinto ad aver attirato la sua attenzione; poi il ragazzo con la birra in mano rialzò le palpebre, senza smettere di baciare l'altro, e fissò lui –proprio lui, in quella folla scomposta– dritto negli occhi. Alessandro si sentì stringere lo stomaco, riconoscendo in quella persona l'amico di Nicola nonché palese cotta di Chiara. L'altro Alessandro, che staccava la sua bocca da quella del fulvo al suo fianco, e la occupava con la birra gettata in gola. Si ritrovò a fissare il suo pomo d'Adamo (o a immaginarlo solo, vista la distanza), mentre la sua mente associava l'altro ragazzo a quello conosciuto il giorno prima. Mirko, ricordò dopo un momento, il quale teneva la testa poggiata sulla spalla dell'amante, non sapendo di essere guardato. I due Alessandro si guardarono una volta ancora, intensamente, poi quello seduto alzò scherzosamente la birra nella sua direzione. «Oh, fra', ma che cazzo fai qua impalato?» gli urlò una voce in un orecchio. Alessandro trasalì vistosamente, voltandosi verso gli amici. Era rosso in viso, con gli occhi stralunati e appariva un po' confuso. «Come?» «Cosa come, ti avevamo perso! Che ti sei fermato a fare qua?» domandò l'amico. Alessandro batté le palpebre, vergognandosi di quel momento appena trascorso. «Scusa, mi sono distratto. Andiamo» rispose scontroso, riprendendo a camminare e anticipando gli altri, senza ben sapere in quale direzione andare.

 
 


Note dell'Autore

Chi è il vostro personaggio preferito? Finora, in privato, ho sentito di tutto (tranne Chiara: per qualche motivo a me poco chiaro, Chiara è antipatica proprio a tutti). Dovrei aprire un sondaggio in stile reality show... Anche se non ce lo vedo, Nicola, in un confessionale.

NB: Tutti i personaggi sono solo frutto della mia immaginazione.
   
 
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