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Autore: Frulli_    23/03/2018    3 recensioni
Inghilterra, 1911. L'Europa sta attraversando un periodo di serenità e ricchezza, la "Belle Epoque". E se Parigi è il fulcro della moda e del divertimento, Londra certo non è da meno! Lo sanno bene i membri della famiglia Norton e dei suoi servitori, che per la Stagione londinese vengono catapultati in un mondo di divertimenti e finzione, dove tutti sono un pò "sottosopra", e rischiano di perdere di vista le cose vere e reali della vita, come i sentimenti e l'amicizia...
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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8. An unespected invitation


 
23 Aprile 1911



Quel che sarebbe dovuto essere un “giorno qualsiasi”, si rivelò l'evento più importante della loro vita. La notizia che la Regina avrebbe visitato un orfanotrofio di Londra, proprio il giorno di San Giorgio, raggiunse anche i villaggi più sperduti. E quando quella mattina Ethel raggiunse il St.Mary's House con largo anticipo si ritrovò a dover quasi spintonare la gente che si era accalcata intorno alla struttura, speranzosa di vedere la Regina in carne ed ossa. I poliziotti avevano aperto un varco tra la folla, per collegare la strada all'orfanotrofio, e fino a quel momento la riuscivano a contenere.
Doveva proprio ammetterlo: non aveva previsto tutta quella folla. Si ritrovò persino ad arrossire, in imbarazzo, quando un giornalista le chiese un'intervista. Tirò dritto avanti a sé, sfilandosi i guanti e varcò la soglia dell'orfanotrofio.
«Oh Miss Herbert, meno male che siete arrivata!» esclamò con ansia palpabile Miss Bridge, andandole incontro. Indossava un completo di gonna blu e camicia bianca, come la moda imponeva, ed una giacca blu sopra di essa. I capelli ben raccolti e sistemati, non come era di solito: scompigliata e felice.
«State calma, mia cara, la Regina arriverà fra almeno due ore. E' tutto pronto?» chiese, osservandola.
«Sì, i bambini sono lavati e le ragazze li stanno vestendo e pettinando. La sala è in ordine, il fioraio porterà i fiori quarantacinque minuti prima, freschi...se li porta prima c'è il rischio che appassiscano proprio quando dovrebbe arrivare Sua Maestà»
«E noi certo non vogliamo che accada, ben fatto cara. Andiamo ad aiutare le ragazze, forza! Sarà una giornata grandiosa, vedrete» annunciò Ethel, prendendola sottobraccio e sorridendole. Non le stava mentendo, era sicura che sarebbe stata una giornata perfetta e memorabile, e che la Regina sarebbe stata colpita dal loro lavoro.
Joseph le corse incontro, con il cravattino appeso al collo più come un cappio per criminali che come un ornamento maschile.
Mi vogliono strozzare! Le mani del piccolo quasi tremavano di rabbia mentre si fermava davanti ad Ethel, la quale poggiò un ginocchio a terra per abbracciare il bambino. Capì subito la sua paura e rise appena, cercando di sistemargli la cravatta. Ma il giovane testardo gliela strappò dalle mani, fissandola come se anche lei volesse ucciderlo.
Non ti voglio strozzare, Joseph. Quella è una cravatta, la portano gli uomini. Vedi? Simile a te ce l'ho anche io, e si indicò la camicia bianca che indossava, stretta al collo e chiusa da cravattino nero femminile. Il ragazzino la fissò, incerto, prima di avvicinarsi e docile lasciarsi sistemare dalla Direttrice.
E' vero che oggi conosciamo la Regina?, chiese Joseph. Ethel annuì. Allora magari possiamo chiedere a lei se puoi adottarmi! Lei è la Regina, è lei che decide no?
Ethel sospirò, amareggiata: non si era dimenticato della sua “promessa”.
Facciamo così, glielo chiedo io va bene? E soprattutto, signorino, non vai da nessuna parte se non ingrassi un po', e per precisare la minaccia provò a fargli il solletico, facendo uscire dalla bocca del bambino solo un rantolo simile all'eco di una risata, seppure il suo viso fosse piegato in un'aria divertita.
Forza, andiamo! Devi ancora metterti le scarpe, se ti ammali vedi tu dove ti mando!
Dove?
In ospedale, ecco dove!
No, Miss Herbert per favore, in ospedale no!
Sei un ragazzino troppo chiacchierone per avere solo cinque anni, sai?
Ma se sono muto!
Ethel rise. Non faceva una piega...


«Santo cielo quanta gente» mormorò Candice entusiasta, notando la calca di persone fuori dall'orfanotrofio. Erano tutti in attesa all'ingresso della struttura, Ethel e Miss Bridge in prima fila, il piccolo Joseph che non aveva voluto staccarsi dalle gonne della Direttrice.
«Le notizie viaggiano in fretta a Londra, cara. E una visita della Regina fa sempre clamore» commentò Daisy, scrollando le spalle. Calma, quasi indifferente.
«Chissà come mai Miss Howard non è voluta venire, ad Ethel è dispiaciuto molto...» chiese Alfred , cambiando argomento.
«Ha avuto un ripensamento all'ultimo momento» rispose Candice, sorridendo «non credo se la sentisse, a dirla tutta. Un vero peccato»
«Già...» ammise Alfred vago, osservando Ethel davanti a lui. La studiò, seppur di spalle, come se fosse la prima volta: non era più una ragazzina, la piccola Lulù. Era una donna, una brava persona; un'ottima direttrice, aveva notato l'amore che tutti i bambini lì provavano per lei. Aveva empatia da vendere, forse fin troppa. Non aveva più l'indole spensierata e folle che si ha da ragazzini, ma la maturità di una donna vera. Aveva notato i capelli grigi ai lati della testa, che mostrava senza alcuna vergogna. Li aveva anche lui, quei dannati capelli grigi. Si girò lentamente verso Candice: non potevano essere più diverse, lei ed Ethel. Candice incarnava in pieno quel periodo che l'Europa stava attraversando: la spensieratezza, l'eccesso, l'opulenza, l'esagerato. Era sempre felice, sempre entusiasta della vita. Ma era davvero un bene? A volte si rendeva conto che la felicità di Candice era finta, era apparenza: come il resto della società. Non aveva davvero empatia, non aveva amore verso qualcosa. Forse nemmeno per lui...
«Tutto bene?» a chiederlo non fu Candice, ma George. Alfred sollevò gli occhi verso l'amico, evadendo dai suoi pensieri. Sorrise appena, annuendo e tornando a guardare avanti a lui. Non si era minimamente accorto che la folla esultante stava accogliendo la Regina. Poco dopo, eccola varcare la soglia dell'orfanotrofio insieme ad un piccolo seguito di damigelle.
Ethel si prese del tempo per studiare bene quella figura che vedeva per la prima volta, così da vicino: era di media statura, ma aveva un'aria così composta e regale che sembrava una colonna di granito. Petto in fuori, l'aria sicura di sè, il sorriso gentile sulla bocca, due occhi chiari e profondi, calmi...sembrava il ritratto di qualche antica ed eroica Regina. Qualcuno ci nasce davvero col sangue blu, pensò tra sé non potendo fare a meno di guardarla, come fosse una calamita.
«Vostra Altezza Reale, benvenuta» annunciò alla fine, con garbo, avvicinandosi a lei. Porse un lieve inchino, insieme a Miss Bridge che tremava come se fosse sul patibolo. La Regina, dal canto suo, sorrise e porse la mano verso Ethel.
«Miss Herbert, grazie mille e perdonate il ritardo. Il traffico londinese è insopportabile, non trovate?»
Ethel si rialzò e incerta strinse la mano, prima di sorridere. «Dicono che a New York sia anche peggio, ma'am. Posso presentarvi la mia vice-Direttrice, Miss Bridge?»
«Onorata, Vostra Altezza...» mormorò nervosa Miss Bridge, stringendole la mano solo dopo che la Regina gliela ebbe porta.
«Tanto piacere, Miss Bridge. E questo è il vostro piccolo seguito?» chiese, indicando con lo sguardo le persone dietro di lei.
Ethel arrossì, in imbarazzo, e si girò notando come Daisy fosse arrossita anche lei, ma di rabbia: come osava la Regina darle della “damigella”?
«No, ma'am, sono parte della mia famiglia. Mr Herbert, mio fratello...Lord Norton, Miss Norton e Miss Williams, la fidanzata di Lord Norton»
Dopo essersi presentati come etichetta imponeva, la Regina sorrise verso Ethel.
«Siete fortunata ad avere una famiglia così numerosa. Anche io ho molti fratelli, sapete?»
«Si...lo so, ma'am» ammise sincera Ethel, facendola ridacchiare.
«Certo che lo sapete, che domanda sciocca» rispose la Regina, sospirando «Volete mostrarmi l'edificio? Sono molto curiosa»
«Da questa parte» annunciò Ethel indicando la scalinata che portava ai piani superiori.
Le mostrò così i dormitori, i bagni, il piccolo ambulatorio dove un medico privato visitava i bambini una volta al mese; scesero poi al piano inferiore dove la Regina ebbe modo di visitare la cucina, l'ufficio di Ethel, la sala giochi ed infine il refettorio.
«Quanti bambini avete detto che accogliete, Miss Herbert?»
«Trenta, allo stato attuale. Alcuni vengono adottati, altri tornano dai parenti prossimi, altri invece rimangono qui per anni, purtroppo. Noi cerchiamo di farli sentire il più possibile a loro agio»
«Compreso quel giovanotto che vi sta attaccato alle gonne da quando sono arrivata?» chiese sorridendo la Regina, composta.
Ethel si era quasi dimenticata di Joseph che era diventato quasi invisibile. Arrossì, prendendolo poi in braccio continuando a camminare al fianco della Regina.
«Perdonatelo, ma'am. E' molto timido, non gli piacciono gli estranei. Senza offesa per Voi, ovviamente»
«Oh nessuna offesa, nemmeno a me piace che la gente si intrufoli in casa mia senza permesso. Ma purtroppo non posso dirgli di no» ammise ironica la Regina, prima di sorridere verso Joseph che di tutta risposta si strinse ad Ethel, abbracciandola.
«Non parla?» chiese con tatto la Regina.
«No, ma'am. E' muto dalla nascita, io Miss Bridge e le altre ragazze dell'orfanotrofio siamo le uniche con cui può comunicare»
«Spero davvero che possa trovare una famiglia prima o poi. Siete sposata, Miss Herbert?»
Ethel deglutì a fatica, sentendo già gli occhi di Daisy trapassarla, il suo cuore stringersi in una morsa di imbarazzo nel doverlo dire proprio davanti a tutti, e alla Regina.
«No, ma'am»
«Oh...oh, sono stata indiscreta, mi spiace Miss Herbert»
«Mia sorella si è votata anima e corpo a questi bambini, Vostra Altezza Reale, tanto da dimenticare di avere quasi una vita all'infuori di questo edificio. A volte non la si vede per giorni» la voce di George fu l'unica che venne in suo soccorso. Ethel lo osservò, ringraziandolo con un sorriso.
«Oh posso capire! Vedrete che vostro padre vi troverà una sistemazione adatta anche senza matrimonio...»
Ethel sentì Daisy sbuffare appena, come se stesse per scoppiare a ridere.
«Io e mio fratello siamo orfani, ma'am, Lady e Lord Norton ci hanno cresciuti come figli loro, siamo parte della famiglia»
«Oh...oh, Lord Norton certo! Era molto amico di mio padre, sì. Mi spiace, Miss, sto facendo una figuraccia dietro l'altra. E' che in queste situazioni non so mai di cosa parlare...» ammise in un sussurro la Regina, in una confessione genuina. Ethel notò la sua aria insicura, di una persona costretta a fare ciò che non vorrebbe. Le sorrise, con sincera empatia.
«Possiamo anche stare in silenzio, ma'am, se vi aggrada. O potete ascoltare quel che dico e fare finta che vi interessi, salutarci e tornare ognuno nella nostra dimora, che ne dite?» chiese sorridendo.
«Dico che è un'ottima idea, mia cara...?»
«...Ethel»
«Ethel, giusto. Proprio un'ottima idea...»



«Com'è andata?» chiese Charlotte a Marie, la loro prima cameriera inglese.
«A momenti mi richiedeva il certificato di nascita» brontolò l'altra, lasciandosi cadere sulla panca del tavolo della cucina.
«E' faticoso, lo so. Resistiamo ancora qualche settimana e poi, a detta di Lady Maud, non ci romperà più le scatole» brontolò Josephine, dando qualche pacca a Marie per consolarla e incoraggiarla. Versò alle ragazze il thè e Mark portò poco dopo dei biscotti al burro.
«Miss Howard?» chiese Charlotte sempre a Marie, prima di prendere una tazza di thè. Dal primo momento si era presa a cuore la sorte di quella povera ragazza: vuoi per la Lady sua zia, o vuoi per l'empatia che anche Miss Herbert provava per lei.
«A piangere in camera sua. E' così da quando gli altri sono partiti» ammise Marie, sospirando.
«E perchè sta piangendo?» chiese confuso Mark.
«Non lo so, ma prima che gli altri partissero per il St.Mary's House ho visto Miss Williams uscire dalla sua camera. E da lì non ne è più uscita...»
«Chissà cosa gli avrà detto, quella femme fatale» mormorò Amélie, la sguattera francese.
«Lo scopriremo presto. Quando Miss Herbert verrà a saperlo ci sarà un putiferio. Ma prima...qualcuno deve scoprire che cosa è successo» precisò Josephine, e automaticamente tutti girarono il capo verso Charlotte, fissandola.
«Cosa...? No, scordatevelo. Io non faccio la spia» precisò secca la ragazza.
«Avanti, non è fare la spia! Vogliamo solo sapere cosa le ha detto quella stupida ragazzina» precisò Mark, calmandola «tu fai finta di salire su per chiederle come sta, essendo la cameriera personale di Miss Herbert si aprirà...et voilà»
«Io...» mormorò Charlotte, incerta.
«Senti...qui a nessuno sta simpatica Miss Williams, Charlie. E se magari riusciamo a trovare un modo per metterla in cattiva luce agli occhi di Lord Alfred, allora...» precisò Josephine, scrollando le spalle.
«Certo che siete proprio malvagi» sentenziò Charlotte, ridacchiando.
«No, è solo istinto di sopravvivenza. Da che gira il mondo, la servitù è sempre stata la sorvegliante della famiglia: dobbiamo analizzare bene chi entra qui dentro. Pensi che non l'abbiamo fatto su di te?» precisò l'altra, facendole un occhiolino.
«Giusto per essere chiari: a me sei piaciuta da subito!» precisò Mark, ironizzando.
Charlotte sorrise prima di alzarsi, poi sospirò «E va bene...vediamo che cosa riesco a scoprire» annunciò, lasciando poi i colleghi in cucina e risalendo ai piani alti, verso la camera di Miss Howard.
Cosa poteva dirle? Non aveva mai consolato una ragazza, né tantomeno cercato di carpirle informazioni. Si sentiva in colpa per quel che stava per fare, ma Josephine aveva ragione: Miss Williams la odiavano tutti, e secondo lei era anche una persona falsa. Superò la camera di Lady Howard quasi senza respirare, quindi camminò fino in fondo al corridoio, davanti la camera di Miss Howard. La sentiva, oltre la porta, tirare su col naso, come se stesse piangendo. Ma con quale scusa si sarebbe presentata? Sollevò gli occhi verso l'orologio appeso nel corridoio: era quasi ora di pranzo. Perfetto, pensò prima di bussare.
«Si?» la voce della ragazza arrivò ovattata oltre la porta.
«Sono Miss Murphy, Miss. Per il pranzo» annunciò, senza alzare troppo la voce: aveva il terrore di svegliare Lady Howard, che a quanto pareva trascorreva la maggior parte del suo tempo a dormire, o pregare.
Sentì dei passi oltre la porta, poi Miss Howard fece capolino oltre di essa, aprendola solo in parte. Aveva gli occhi rossi e lucidi, cristallini per le eccessive lacrime piante. Cercava di non far tremare il mento davanti alla cameriera, riuscendosi egregiamente.
Charlotte deglutì, sinceramente dispiaciuta. «Ci chiedevamo se volevate mangiare in camera, Miss, o attendere il resto della famiglia»
«Non ho fame, grazie»
«C'è lo stufato, Miss, se posso permettermi...è ottimo»
Miss Howard tentennò, prima di ricominciare a piangere, in silenzio. «A che serve tanto? Sono grassa e brutta!»
Charlotte sgranò appena gli occhi per quella “confessione” così diretta. Ma poi si irrigidì, sentendo dei passi in fondo al corridoio. Senza nemmeno girarsi per vedere chi fosse, spinse la porta della camera ed entrò, facendo arretrare la ragazzina. Richiuse la porta, l'aria un po' spaventata.
«Scusate, ma sono terrorizzata da vostra zia» ammise Charlotte, in un sussurro. Cassie sorrise tra le lacrime.
«Io ormai quasi non ci faccio più caso» commentò l'altra. Dentro la camera c'era un vero disordine: quasi tutti i vestiti erano stati tirati fuori dagli armadi, messi sottosopra, e così il resto degli accessori.
«Volete...che vi sistemi la camera?» chiese Charlotte, incerta.
«N-no, io...sto bene così. E' solo che...» la voce tremolante della nobile fece stringere ancora il cuore a Charlotte «voi siete la cameriera personale di Miss Herbert, vero? Posso fidarmi di voi?»
Charlotte deglutì, prima di annuire. Sarebbe andata all'Inferno per aver mentito a quella povera anima pura.
«Ebbene, io stamattina mi sono alzata di buona lena, e dopo aver esaudito ogni capriccio di mia zia finalmente mi stavo preparando per la visita della Regina. Voi l'avete mai vista? Io nemmeno» precisò, al diniego di Charlotte «ed ero così curiosa! E Miss Herbert mi aveva promesso che poi saremmo andate al British Museum, con Mr Herbert ma...ma poi, ecco, Miss Williams è venuta a salutarmi, e mi ha dispensato qualche...consiglio»
Charlotte la fissò, in silenzio. Poteva ben immaginare quale consiglio avesse dispensato quella strega.
«Mi ha detto che certo non potevo farmi vedere dalla Regina conciata così» e indicò il suo abito, che effettivamente Charlotte aveva visto indossare solo a sua nonna...e forse nemmeno a lei «che avrei fatto una pessima figura. Che era inutile che gironzolavo intorno a Mr Herbert perchè egli è già promesso a Miss Norton e che quindi...»
«Ma questa è una bugia» la interruppe Charlotte, perplessa «non è vero, Miss Howard. Mr Herbert non è fidanzato, o la servitù sarebbe stata la prima a venirlo a sapere, credetemi. Mr Herbert è privo di ogni dote, purtroppo, e di ogni titolo. Miss Norton è troppo altezzosa per potersi fidanzare con lui, seppur egli sia un giovane per bene»
Cassie la fissò, perplessa. «Allora...Miss Williams mi ha mentito...?» chiese, come se fosse la notizia più orribile del mondo.
«Temo di sì, Miss Howard...»
«Io...non capisco, perchè mentirmi? Io non ho nessun interesse verso Mr Herbert» precisò l'altra, arrossendo in viso «cerco solo la compagnia sua e di sua sorella, come se fossero miei cugini. Io qui non conosco nessuno e loro mi sono sembrati così alla mano...perchè mentirmi così?»
«Non saprei, Miss Howard, ma fossi in voi chiederei a Miss Herbert. Le state molto simpatica e sono sicura che...»
«No, assolutamente! Non voglio imbarazzarla con certi discorsi ridicoli, e vi chiedo la cortesia di non dirle nulla, Miss Murphy, ve ne prego! Va bene così, io...farò finta di nulla, attenderò il mio ritorno a casa come se nulla fosse. La Regina...la conoscerò un'altra volta» ammise la giovane, triste.
«Sono sicura che ci sarà altra occasione, Miss, non preoccupatevi. E riguardo a voi...non avete nulla da invidiare alle altre ragazze, se posso permettermi. Siete una ragazza bella e molto per bene, e l'abbigliamento certo non è una cosa a cui un uomo baderebbe, non trovate?»
«Immagino di no...grazie Miss Murphy» mormorò Cassie, sorridendo appena.
«Allora, com'è andata?»
Charlotte sollevò gli occhi dai propri piedi, come era solita fare quando scendeva le scale, e si ritrovò a guardare Mark in fondo alle scale.
«Ma che ci fai tu qui?» sibilò preoccupata la ragazza, prendendolo per un braccio e cercando di trascinarlo via da là.
«Ero troppo curioso, non potevo resistere. Allora, abbiamo ragione? Miss Williams è una vipera?»
«Puoi scommetterci. Ha detto a Miss Howard che praticamente è troppo brutta e grassa, e vestita male, per presentarsi in pubblico. Povera ragazza, era totalmente in crisi. Dovrò farlo intendere a Miss Herbert, lei saprà come aiutarla»
«E così forse ci leviamo di mezzo Miss Williams. Anche se certo è un toccasana per gli occhi eh...» precisò l'italiano, prendendosi uno scapellotto dietro la nuca «Che c'è?!» protestò divertito, consapevole di aver ravvivato la fiamma della gelosia dell'irlandese.
«Sei un porco» brontolò Charlotte, trascinandolo verso l'ingresso.
«Ma che ho detto?» sussurrò Mark, sorridendo sotto i baffi «Aspetta, dai, fammi curiosare in giro»
«Conti, se ti vede Lady Howard lo sai che sono guai, vero?»
«Perchè, un pasticcere deve stare confinato in cucina?»
«Finchè c'è lei si»
«Dai, una cosa veloce, solo il salotto!»
«Una cosa veloce...» sussurrò agitata Charlotte, trascinandolo in fretta e furia verso la stanza prescelta. Una volta entrati richiuse velocemente la porta, per attutire i suoni.
«Caspita, che roba...ti immagini ad avere noi una casa così?» chiese Mark, girandosi intorno prima di sedersi su una poltrona. Accavallò le gambe e finse di fumare un sigaro immaginario, con tanto di aria da nobile mentre la fissava.
«Cara, stasera abbiamo il gran ballo a corte, vero?» chiese, con un forte accento inglese.
Charlotte rise appena, a bassa voce, scuotendo poi la testa. «Tu sei matto...»
«Matto? Peste e corna! Non era stasera il gran ballo? Eppure ero sicuro di sì...oh beh, vorrà dire che balleremo solo noi. Mi permetti questo ballo, tesoro?» annunciò, prima di alzarsi ed inchinarsi da bravo cavaliere.
«Conti, dai, basta scherzare...»
«Eddai Murphy, solo un ballo!» sibilò il ragazzo ancora a testa china.
Charlotte sospirò: meglio assecondarlo, così quella farsa sarebbe finita e con un pizzico di fortuna nessuno li avrebbe visti ballare nel salotto dei padroni.
«E va bene...» brontolò, stringendogli la mano. Il ragazzo si sporse verso il grammafono, fece partire la musica e prima che l'altra potesse obiettare abbassò il volume al minimo, così basso che a malapena si sentiva.
Tornò a guardarla, prima di stringersi appena per un lento1. Charlotte avvampò ma non disse nulla, stringendo la sinistra del ragazzo con la propria destra e portando l'altra intorno al collo. Mark la strinse più a sé, petto contro petto, e presero a muoversi lentamente, con la musica di sottofondo.
Il tempo sembrò fermarsi, la realtà quasi modificarsi. Non sentiva nessuno intorno a lei, solo la musica e il profumo del ragazzo. Il sole penetrava dalle ampie finestre, illuminando tutta la sala. Mark le sorrise prima di farle fare una giravolta, facendola ridacchiare appena. Tremava, e se ne rendeva conto. Cercò di calmarsi, ma percepiva quasi la paura di quel che stava per accadere. L'ansia da prestazione la strinse lo stomaco in una morsa di ferro: e se avesse sbagliato? Se le puzzava l'alito? Se non avesse colto nel segno la bocca? Ad occhi chiusi era difficile, non era sicura di potercela fare, e poi...
«Murphy...?»
Sollevò di scatto gli occhi sul ragazzo, quasi dimenticandosi che c'era anche lui, lì con lei. La musica si era fermata, ma loro danzavano ancora in un ritmo quasi naturale del corpo.
«Guarda che se ci pensi così tanto sbagli sicuro» commentò il ragazzo, come ad averla letta nel pensiero. Charlotte arrossì prima di ridere appena, in imbarazzo.
«E' che non ho mai...» il ragazzo la interruppe di nuovo, come due secondi prima, ma questa volta sentì qualcosa di morbido e soffice posarsi sulla sua bocca. Sgranò appena gli occhi, irrigidendo poco la schiena. Il cuore cominciò a martellarle nel petto come un tamburo, prima che un brivido le scivolasse lungo la schiena.
Mark si staccò lentamente, fissandola con un sorrisetto divertito.
«Sì, sei davvero una frana Murphy» annunciò, da vero esperto.
«Ma io...!» cercò di obiettare Charlotte, per difendere il proprio orgoglio. Tutto vano, Mark la ribaciò di nuovo, con più trasporto di prima. La strinse più a sé e chiuse persino gli occhi, cosa che fece anche lei quasi automaticamente. Sentiva la bocca di lui stampargli baci sulla pelle, con un'attenzione con cui si possono baciare solo le persone che si amano. Lo spinse via di colpo, appena.
«Mi fai parlare?!» brontolò appena, cercando di ritrovare un contegno. Forse anche per paura che qualcuno si ritrovasse ad aprire la porta del salotto proprio in quel momento.
«No» precisò Mark, riprendendola a sé per baciarla con passione, come se non potessero stare staccati uno all'altra.
Mi sembra giusto, pensò Charlotte, arrendendosi.




«Bentornati, signore e signori. E' stata una visita gradevole?» annunciò la governante mentre due cameriere raccoglievano i soprabiti di tutti.
Si era fatto più tardi del previsto, e così quando arrivarono a casa era passata l'ora del pranzo da quasi due ore.
«Sì, grazie Claire. Puoi servirci qualcosa da mangiare ed anticipare il thè, per favore? Abbiamo una fame da lupi» annunciò Alfred, facendo gli onori di casa.
«Certamente, Lord» rispose Miss Rossi con un inchino, prima di incamminarsi svelta verso le cucine.
«Chi ha fame?» chiese Alfred, sorridendo allegro.
«Oh io sto morendo» commentò entusiasta Ethel. Era su di giri, se ne rendeva conto, ma la conoscenza della Regina era stata speciale. Avevano conversato molto, come due vecchie amiche, e prima di salutarsi la Regina l'ha salutata sperando di rivederla presto. Quante volte l'aveva detto ad altre persone? Forse tante, ma quella volta l'aveva detto a lei.
«Quando mai non hai fame? Diventerai un bue fra qualche mese» il commento gelido di Daisy arrivò inesorabile. Si guardò istintivamente allo specchio verticale nell'ingresso, consapevole di aver soddisfatto lo spirito critico e cattivo di Daisy. Ma non potè farne a meno: era alta più di lei, ma sicuramente era anche più in carne, seppur di poco. Aveva tutto sommato un fisico slanciato, ma sapeva che il vestito mascherava bene il sedere tondo, le cosce morbide...Daisy era l'unica che riusciva a farle una visita medica con i vestiti addosso.
«Non ascoltare mia sorella, Ethel, stai benissimo» precisò Alfred, prendendola sotto braccio. Ethel si irrigidì appena a quel contatto, che non percepiva più dal ballo a casa di lui. Ma non disse nulla, limitandosi a sorridere.
«Andiamo?» chiese Candice, prendendo sottobraccio Alfred. Ethel lentamente sfilò il braccio da quello del ragazzo, sorridendo appena. Alfred si girò appena verso di lei mentre Candice lo trascinava verso la sala da pranzo.
«Miss Howard?» chiese Ethel a Josephine, una volta dentro la camera.
«Non ha voluto pranzare, Miss Herbert» rispose la cameriera con tono sommesso. Ethel ebbe la sensazione di aver sentito Daisy e Candice sbuffare, quasi a trattenere una risata. Si girò verso George, che sembrò non aver colto o sentito nulla.
«Lady Maud e Lady Howard?» chiese ancora, sedendosi lentamente.
«Hanno mangiato entrambe nelle rispettive stanze, Lady Maud credo stia arrivando per il thè. Volete che controllo?»
«Si, grazie, e chiedi a Miss Howard se vuole unirsi a noi per favore» precisò gentile Ethel.
«Subito, signora» mormorò l'altra, uscendo svelta dalla stanza.
«Da quando in qua dai ordini alla servitù al mio posto, Ethel?» chiese piccata Daisy. Cadde il silenzio.
«Non stavo dando gli ordini, Daisy, sto cercando di essere gentile con un'ospite, nonché tua cugina, che preferisce chiudersi in camera piuttosto che stare con noi. Evidentemente non si sente abbastanza a suo agio, e dobbiamo fare in modo che lo sia»
«E chi l'ha detto?»
«Ti ricordo che è la nipote di zia Adel. Pretende che ci comportiamo bene con lei»
«Si, beh, allora sai cosa ti dico?»
«Daisy, taci» Alfred intervenne, e questa volta era serio. Fissava la sorella deciso, con una vena che gli pulsava pericolosamente sulla tempia. Ethel non l'aveva mai visto così serio, sapeva che stava per scoppiare.
«Cosa vuoi, tu!» esclamò spazientita Daisy, facendo esplodere quel che Ethel temeva. Alfred si alzò così velocemente che colse tutti di sorpresa. Si sporse sul tavolo e con una velocità inaudita colpì la guancia di Daisy con uno schiaffo deciso. Ethel si alzò a sua volta dal tavolo, spaventata, e George fece altrettanto, cercando di farlo sedere.
«Che ti serva da lezione, quella che nostro padre non ha fatto in tempo a darti!» gridò Alfred furioso, risedendosi a forza spinto da George.
«Alfie, ehi amico...calmati...» mormorava George, la voce così gutturale che sembrava quasi un rantolo.
«Alfred, per amore del cielo...» mormorò Candice, piccata.
«Non ti intromettere!» esclamò Alfred, facendo sgranare gli occhi ad Ethel.
«Ok, Alfred, basta, non...perchè non ci calmiamo?» chiese Ethel, tremando appena per la paura. Non lo aveva mai visto così. Daisy era rimasta con la mano sulla guancia colpita, gli occhi gonfi di lacrime.
Poi la porta si aprì e Lady Maud apparve sulla soglia della stanza, accompagnata da Miss Howard.
«C'è qualche problema?» chiese con educazione l'anziana madre, respirando ancora il putiferio appena accaduto. Daisy si alzò di scatto e spingendo appena via Miss Howard uscì dalla stanza.
Alfred e George si ricomposero, calmi, il primo ancora col fiatone.
«N-no» precisò, tornando a sedersi. George rimase in piedi e spostò la sedia a zia Maud prima, a Miss Howard poi.
«Ho sentito delle grida...» insistette Lady Maud, calma.
«Parlavamo di politica, zia» commentò subito Ethel, deglutendo.
«Le bugie non sai dirle, cara, ma grazie comunque per lo sforzo» precisò la donna, facendola sorridere appena.
Tacquero tutti a lungo. Alfred fissava il suo biscotto nel piatto, Candice mangiava con l'aria offesa, George come se nulla fosse successo e Cassie intimorita, pallida: aveva dovuto sentire quel caos dalla sua stanza.
«Ho ricevuto un invito inatteso» annunciò alla fine Lady Maud, estraendo dalla tasca dell'abito una lettera, che porse ad Alfred.
«Cos'è?» chiese curiosa Ethel, cercando così anche di distrarre gli altri.
«Un invito ad un ballo in costume, in memoria di Shakespeare2»
«Un ballo?» ripetè Candice, dimenticandosi ogni offesa e spalancando un sorriso raggiante: doveva sembrarle di essere nata in un regno fatato, dall'espressione che si pose sul viso.
«Si, al Royal Albert Hall...Ci saranno vari Reali europei, i nostri inclusi ovviamente, e molte personalità della politica e non. Siamo tutti invitati, e c'è ovviamente l'obbligo del costume. Inoltre, chi vuole, potrà inscenare una piccola fetta di un'opera del Poeta, è tutto scritto nell'invito comunque»
«Due giorni prima dell'incoronazione del Re e la Regina, geniali. E' l'ideale, a Londra ci saranno i vari parenti della famiglia reale, Re e Regine a loro volta di altri paesi. Raccoglieranno una fortuna» calcolò George, improvvisamente eloquente.
«Ovviamente dovrete andarci, senza eccezioni» precisò Lady Maud, seria come se stesse parlando di una riunione di Gabinetto.
«Cosa? Dai zia...vestirci in costume...» commentò Ethel, ridacchiando.
«Perchè io e te non insceniamo Romeo e Giulietta?» chiese sognante Candice, girandosi verso il proprio fidanzato.
«Non fanno propriamente una bella fine...» brontolò Alfred, poco in vena di sorrisi.
«Ma che importa? E' romantico!»
«Se posso permettermi» s'intromise Ethel, sorridendo appena «Romeo e Giulietta sarà sicuramente fatto e rifatto da molte coppie. Se volete attirare l'attenzione, Miss, vi consiglio qualche scena di “Molte rumore per nulla”, con la coppia Beatrice e Benedetto. Sono due personaggi che piacciono e divertono, ma commuovo anche»
«Ed ecco la nostra acculturata» commentò ironico George, finendo il suo thè prima di buttare un'occhio all'orologio da taschino.
«E sia, allora! Io farò Beatrice e tu Benedetto» precisò Candice, sorridendo verso Alfred. Questo si limitò a sorridere appena, incerto, prima di lanciare un'occhiata ad Ethel.
“Che c'è?”, sembrava volergli dire mentre lo guardava con aria innocente, come quando da piccoli lei faceva i danni e lui doveva sorbirsi la punizione, da bravo cugino maggiore.
«Fate quel che volete, purchè vi sbrighiate. Mancano due mesi, e quel tipo di abito va fatto su misura» precisò Lady Maud, finendo il suo thè
Quando tutti finirono la campanella risuonò in cucina, dando la notizia alle cameriere che potevano risalire a sparecchiare.
«Noi andiamo a casa» annunciò Candice, prima di uscire dalla sala «ti aspetto all'ingresso caro!»
«Arrivo» annunciò Alfred, mogio. Uscirono in fila indiana, e gli unici ad attardarsi furono Ethel ed Alfred: la prima perchè non aveva fretta, il secondo perchè non aveva voglia.
«Alfred?» lo richiamò la ragazza, sorprendendolo.
«Dimmi...»
«Perchè hai schiaffeggiato Daisy...?»
«Perchè se lo merita, e tu lo sai» precisò secco Alfred.
«Sì ma, voglio dire...perchè te la sei presa così tanto?» chiese Ethel senza nemmeno accorgersene. Che cosa pretendeva come risposta?
Alfred le si avvicinò, fissandola dal basso. «Perchè quel che ho detto è vero. Noi siamo una famiglia, e voi ne fate parte. Tu...sei come una sorella per me, Lulù, e sarà sempre così no?» mormorò, accarezzandole una guancia.
Ethel annuì, sorridendo appena. Lo salutò, rimanendosene dentro al salotto, le mani poggiate sullo schienale della sedia. Che cosa si aspettava? Una morsa allo stomaco la allarmò. Non osare nemmeno pensarlo.
Non poteva permettersi cambi di sentimento, non dopo tutto quel tempo...





 
1Era raro trovare gente “normale” che sapesse ballare il valzer, che era invece tipico della classe benestante. Il popolo ballava al più le quadriglie, e quando la musica lo consentiva anche una versione primordiale dell'attuale lento.
2Lo Shakespeare Memorial Ball è un evento realmente accaduto il 20 giugno 1911, per una raccolta fondi dedicata alla fondazione “Shakespeare Memorial”. Fu un grande evento che ebbe un enorme successo, vuoi anche perchè molti reali europei erano a Londra per l'incoronazione di Re Giorgio V, che ci sarebbe stata da lì a due giorni. La serata raccolse 10.000 sterline, una cifra esorbitante per quei tempi.
  
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