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Autore: Heihei    24/03/2018    4 recensioni
Della vita che ha lasciato, a Beth non resta nient'altro che un buco in testa e qualche incubo. Quindi cerca di tornare indietro, seguendone le tracce.
Nel frattempo, le certezze di Daryl vacillano e ritorna su ciò che ha lasciato, seguendone la luce.
Questa storia NON mi appartiene; mi sono limitata a tradurla con il consenso dell'autrice, che è Alfsigesey. Potete trovare la storia originale su fanfiction.net
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Up the road.

 

 

Ancora a un miglio di distanza dalla fattoria, Daryl rallenta e fa un cenno ad Aaron prima di fermarsi e spegnere il motore. Si volta a guardare la strada che si sono lasciati alle spalle: rispetto alle altre, sempre stracolme di auto arrugginite, corpi in decomposizione e ferite di battaglia, quella è libera. È semplicemente vuota e polverosa; una retta che svanisce nell’oscurità dell’orizzonte.
Tuttavia, vede una figura scura apparire sulla linea sfocata attraverso la quale il cielo si fonde con la strada. Si fa sempre più grande, per poi rallentare. È lontana, ma abbastanza vicina da permettergli di capire cos’è.
Forse quelli del Grady non sono così stupidi come sembrano.
Svita il tappo della sua borraccia e fa un lungo sorso mentre aspetta che Aaron scenda dalla sua auto, controlli i dintorni e lo raggiunga. Tiene anche lui gli occhi incollati su quella fetta di strada adombrata dal cielo, e sono illuminati da uno scorcio di consapevolezza. Deve averlo visto anche lui.
“Quando l’hai notato?”, gli chiede, con la voce ridotta a poco più di un sospiro.
“All’inizio è stata solo un’impressione, ma quando abbiamo attraversato quella serie di dossi mi è sembrato che fosse più vicino, perché ho sentito il rumore di un altro motore mischiarsi ai nostri”, risponde Daryl indicandogli la figura.
“Che hai intenzione di fare?” Aaron inarca vistosamente le sopracciglia mentre afferra la borraccia. Sembra preoccupato.
“Può essere che siano semplicemente prudenti, che vogliano solo vedere cosa stiamo combinando, o magari hanno un piano”, scrolla le spalle. “Avrebbero potuto dividerci, ucciderci e prendere tutto ciò che avevamo, ma poi gli hai detto che stiamo andando a fare rifornimento. Forse è quello che vogliono.”
“Che stavi dicendo sul fatto che potrebbero essere solo prudenti?” Aaron ha speranza, ma dietro alle sue iridi si nasconde una tempesta. Sta chiaramente considerando anche le opzioni peggiori.
“Ad ogni modo, dobbiamo saperlo con certezza. Se sono idioti, non ci servono; se sono prudenti, buono a sapersi.”
Daryl sta provando a formulare un piano nella sua mente, focalizzandosi sullo spazio che li circonda.
“Rassicurante”, dice Aaron.
“Sì. Avere qualcuno di intelligente fa la differenza. Certe stupide cazzate li faranno uccidere.”
“Peccato che di questi tempi tra le stupide cazzate rientri anche la fiducia nelle persone.”
Qualcuno li sta seguendo e probabilmente è qualcuno del Grady. Se il loro piano è rubare le loro provviste e ucciderli, è difficile averne la conferma prima che si presentino. Se invece stanno solo cercando di tenerli d’occhio perché non si fidano dei loro potenziali salvatori, allora sono più furbi di quanto pensasse. Non vuole rischiare di perdere la moto o qualsiasi altra cosa, ma, capendo quanto sia cruciale per loro sapere il motivo per cui li stanno seguendo, prende la sua decisione definitiva. Ordina ad Aaron di salire su un albero e di mettersi fuori dalla visuale di chiunque possa essere di passaggio, poi lascia delle tracce nel bosco, fino a una vecchia casa un quarto di miglio più avanti. Quando ritorna dove ha lasciato il suo compagno, cerca di cancellare al meglio le sue tracce prima di arrampicarsi su un albero di faggio.
Passa quasi un’ora prima che quel qualcuno si presenti. Con gli occhi attaccati alla strada, Daryl comincia a sentire il pesante rumore degli stivali sull’asfalto, quando una figura robusta si avvicina alla sua moto. Non riesce a sentire nessun altro al di fuori di lui.
Il rumore dei passi si fa sempre più forte, finché Licari non è proprio sotto di loro, accovacciato a terra a ispezionare le finte tracce che ha lasciato apposta per lui. Ha un coltello legato all’avambraccio e una pistola nella cintura dei pantaloni, ma almeno non è armato fino ai denti come loro e sembra sia venuto da solo.
Daryl incrocia lo sguardo di Aaron. Sembra che pensi che abbia buone intenzioni, ma non si muove dalla sua posizione. Il fatto che sembra che Licari sia venuto da solo e con poche armi non significa necessariamente che non sia venuto con l’intenzione di ucciderli. Magari ha lasciato qualcuno indietro ad aspettare, o magari è solo un arrogante bastardo che pensa di riuscire a sbrigarsela da solo.
Quando comincia a seguire le tracce e sparisce dalla loro vista, Daryl fa cenno ad Aaron di restare dov’è e comincia a scendere dall’albero il più silenziosamente possibile. Lo segue a debita distanza finché non vede la baracca. Sa bene che le orme conducono lì, ma non entra. Resta immobile ad osservarla per qualche minuto con uno sguardo teso. Sicuramente non ha l’atteggiamento di uno che vuole ucciderli.
Abbastanza soddisfatto, Daryl torna indietro. Per un attimo è a disagio quando trova l’albero di Aaron vuoto, ma alcune orme gli indicano dov’è andato, facendolo tornare a respirare tranquillamente. Infatti, Aaron è di nuovo in strada, tra l’auto e la moto, mentre gli indica il mezzo di Licari scuotendo la testa. È davvero solo.
Spalla a spalla, tornano dove l’hanno lasciato, con le armi alzate e pronte all’uso. È proprio dove Daryl l’ha visto l’ultima volta, accovacciato nella boscaglia ad osservare la baracca. Quando li sente arrivare, scatta in piedi e guarda con ferocia sia la canna del fucile di Aaron che la punta della balestra di Daryl. Non sembra sorpreso di non averli visti uscire dalla baracca. Più che altro, sembra in imbarazzo.
La sua faccia arrossata si contrae in un ringhio, ma non da nessuna spiegazione sulla sua presenza lì.
“Perché ci stavi seguendo, Licari?”, chiede Aaron, e Daryl non può fare a meno di pensare che abbia fatto bene a parlare per primo. Non riesce a immaginare se stesso mentre pone quella domanda senza dare l’impressione di volerlo uccidere con i denti, le frecce o le pallottole. La voce di Aaron, invece, è calma e indagatrice, come se stesse discutendo di qualche problema intellettuale.
“…Voi due sbucate fuori dal nulla”, Licari stringe il suo coltello con forza, anche se probabilmente sa che non può essergli utile in quelle condizioni, “tu soprattutto”, dice, inclinando la testa verso Daryl, “e vi aspettate che ci fidiamo di voi così facilmente?”
“No”, risponde Aaron, sempre con calma e tranquillità. Ancora una volta, Daryl pensa che sta dicendo tutto quello che anche lui vorrebbe dire, ma in modo migliore, senza far sembrare che voglia dare inizio a uno scontro. “Ci saremmo preoccupati di più se vi foste fidati di noi così presto.”
Le labbra di Licari si curvano leggermente, ma poi chiude gli occhi e comincia a parlare, sforzandosi in tutti i modi di addolcire i toni. “Noi vogliamo credervi, ma non vi conosciamo abbastanza.”
“Com’è giusto che sia”, Aaron annuisce. “Vieni con noi, facci delle domande e conosciamoci meglio, se è quello che ti serve per prendere una decisione.”
Licari sbuffa e per un secondo sembra che voglia ribattere. “Non riesci mai a conoscere una ragazza al primo appuntamento.”
“O ci hai seguiti per ucciderci, oppure perché vuoi scoprire qualcosa in più su di noi. Quale delle due opzioni è la verità?”, Aaron va dritto al punto e, ancora, la sua frase non sembra per niente minacciosa.
In tutta risposta, Licari inclina leggermente la testa, guarda il terreno e ripone il coltello al suo posto per poi alzare le mani.
Daryl abbassa la balestra e può sentire il suo compagno rilassarsi a sua volta. “Forza”, fa cenno a entrambi di seguirlo. “Se andiamo con una sola auto risparmieremo carburante”, aggiunge borbottando.
Dopo aver nascosto la moto di Daryl e l’auto di Aaron, salgono nel furgone di Licari e ripartono. Alla fine, è il veicolo che di fatto ha più spazio per contenere le provviste che dovranno recuperare.
Percorrono l’ultimo miglio verso la fattoria in un’atmosfera di pura tensione. Licari si asciuga continuamente il sudore dalla fronte con un certo fastidio, ma fuori non fa così caldo. A Daryl viene spontaneo chiedersi se sia stato da quelle parti con qualcun altro al di fuori dei suoi amici sbirri, dopo la fine del mondo.
“Cos’è successo al sesto membro del vostro gruppo?”
Aaron è seduto al posto del passeggero, così da poter osservare Licari mentre guida. Daryl, stravaccato sui sedili posteriori, è determinato a non proferire parola se non per dare indicazioni.
“Gira a sinistra”, mormora.
Licari li guarda entrambi e mette addirittura la freccia, cosa che fa inarcare di riflesso un sopracciglio a Daryl.
“L’abbiamo trovata ieri, nei boschi”, spiega, “non ha parlato con nessuno al di fuori del dottore. Sembra quasi che si conoscessero… da prima. Non sta bene. È ferita, ha un brutto taglio sul braccio e non ricorda l’ultima volta che ha fatto un pasto decente.”
A dispetto di se stesso, nell’ascoltare quelle parole, Daryl sente una stretta al cuore. Spera sia tutto vero. Spera che, nonostante tutti gli errori che hanno commesso, stiano provando ad essere brave persone. Tuttavia, nel formulare quel pensiero, si sente quasi in colpa.
Non possono essere nient’altro che mostri.
“Ha detto di chiamarsi Lily”, continua Licari, “e che qualcuno la stava seguendo, ma il dottore ha i suoi dubbi a riguardo. È stata qui fuori troppo a lungo, magari l’ha solo immaginato.”
“È alla fine della strada, non puoi sbagliare.” Daryl gli indica la direzione dal parabrezza, con la gola improvvisamente ristretta. Una parte di lui vuole ancora ucciderli tutti, ma fa un respiro profondo e si sforza di ricordare.
Lei diceva che ci sono ancora brave persone. Non dimenticarlo.
Fondamentalmente se ci ha mai creduto davvero è solo grazie a lei, ma è facile pensare a Licari e a quegli altri come cattive persone, come a una missione da compiere. Non avrebbero mai potuto essere le brave persone di cui parlava, non se sono stati la ragione per cui l’ha persa.
“Noah ci ha detto alcune cose su come funzionava l’ospedale”, dice senza rendersene davvero conto, prendendo atto che la rabbia in lui è riesplosa, spingendolo a superare il limite per cui doveva solo starsene seduto e dare indicazioni.
Licari impallidisce e lo guarda dallo specchietto retrovisore, mentre più avanti compare la fattoria dei Greene. Quella visione lo colpisce come un pugno, costringendolo a guardare altrove. È come rivedere un vecchio amico, ma mutilato e abbandonato a se stesso. Ormai è solo un’altra rovina a spezzare il paesaggio.
“...Il ragazzo ha avuto qualcosa da ridire su come funzionavano le cose al Grady”, ripete, ma in realtà Noah non ha mai amato parlarne. Ha solo raccontato qualcosa sul suo anno trascorso a fare da schiavo a Dawn e al suo distretto post-apocalittico, ma Daryl può immaginarlo. Prendevano le persone più deboli e si facevano servire, usandole. Davano loro un tetto sulla testa e del cibo, ma solo perché si legassero a loro. Era un sistema malato.
“Non è così ad Alexandria.”
“Le cose sono diverse ora”, risponde Licari con una certa calma. Quelle parole hanno assunto una qualità atona, ma Daryl riesce comunque a percepire un’esausta sincerità. “Lo sono da molto tempo.”
“Lo spero per voi”, mormora.
Giunto alla fine del sentiero, il furgone si ferma.
“È così”, ribatte Licari con fermezza. “Le cose non erano a posto prima, ma con la fuga di Noah e con quello che è successo a Beth...”
Non parlare di lei”, taglia corto Daryl con un ringhio, aprendo velocemente la portiera e schizzando fuori con la mascella contratta e i pugni stretti.
Si allontana di qualche metro e cerca di calmarsi, respirando più profondamente. L’aria che tira lì intorno è familiare, così come il profumo e tutta una serie di sensazioni che iniziano a crollargli addosso. È stato lì che ha cominciato a sentirsi bene per davvero. A volte pensa a quando Rick si è presentato al gruppo, a quando la fine del mondo non era ancora la fine di Daryl Dixon. Rick stava facendo i suoi primi passi da leader, ancora in lutto per il definitivo collasso della civiltà, della legge e dell’ordine. Lui tutte quelle cose non le aveva mai avute e quindi la vita non era poi così diversa, o almeno non lo è stata fino alla morte di Merle. Là, per un po’, la vita è collassata anche per lui.
Non era mai stato uno a posto. Fino al suo arrivo alla fattoria, aveva vissuto solo un disastro dopo l’altro, altri pugni nello stomaco da quando era nato. Alla fattoria Greene aveva trovato uno scopo; prima ritrovare Sophia, poi aiutare il gruppo a ritrovare se stesso. All’epoca, il fatto che qualcuno avesse bisogno di lui era un’esperienza del tutto nuova. Infatti, nella sua intera esistenza, mai nessuno ne aveva avuto bisogno e per qualche giorno quella fattoria aveva cambiato le cose.
Poi, ovviamente, è andato tutto a puttane.
La casa è così sfiancata e solitaria mentre lo osserva attraverso le sue finestre rotte, con il portico mangiucchiato dalle termiti. Deve distogliere lo sguardo almeno per un attimo, almeno per ricomporsi. Poi, la guarda ancora. Anche Aaron e Licari l’hanno vista, infatti avanzano nella sua direzione.
C’è una fossa enorme scavata nel prato. Daryl non sa esattamente se sia davvero una tomba, ma c’è qualcosa che gli dice che ci sono delle ossa lì dentro, probabilmente un mucchio di ossa. La terra è rovinata e ammucchiata su se stessa, costellata da una serie di grosse pietre. È passato un bel po’ di tempo da quando è stata scavata, è chiaro. Una serie di erbacce risalgono verso l’esterno.
“È una specie di fossa comune?”, Aaron guarda Daryl come se si aspettasse che lo sappia.
“Prima non c’era”, ammette lui, continuando ad osservare il prato.
L’ultima volta che è stato lì, una mandria di vaganti gattonava avanti e indietro, a destra e a sinistra. Ci dovrebbero essere delle ossa sparse sul terreno, ma niente. Qualcuno ha ripulito tutto.
Non importa. È morta.
“Invece importa.”

Deglutendo, Daryl si allontana dalla tomba e raggiunge il portico logoro, avanzando fino alla porta d’ingresso. È chiusa e su di essa, nonostante sia coperto dall’ombra, c’è un messaggio:

-HO UNA BRUTTA FERITA ALLA TESTA
SONO SOLO
(*)
POTREI MORIRE DA UN GIORNO ALL’ALTRO
OGNI NOTTE LEGO IL MIO BRACCIO AL LETTO
NEL CASO MI TRASFORMASSI
NON LASCIATE CHE FACCIA DEL MALE A QUALCUNO-

Daryl fissa quella strana richiesta incantandosi per quasi un intero minuto, il tempo che gli altri due lo raggiungano. Non sa esattamente come si sente al pensiero che qualcun altro sia stato e abbia vissuto lì dopo che loro se ne sono andati. Ha senso, perché rispetto ad altri quel posto è quasi intatto, bello e fuori mano, ma chiunque sia stato quello sconosciuto, non prova comunque una bella sensazione a riguardo.
Al di là di questo, non può fare a meno di porsi alcune domande più pratiche: se avesse consumato tutte le provviste? Se fossero spariti tutti i vestiti per bambini e altre cose simili? Se gli album di famiglia si fossero bruciati?
Aaron lo supera e bussa rumorosamente alla porta, ma non ricevono nessuna risposta, né da un umano, né da un vagante. Aspettano abbastanza da capire che all’interno non c’è nessuna mandria pronta ad assalirli, finché Daryl non apre la porta. Controllano le stanze, ma non sembra ci sia alcun essere, morto o vivente. Aaron nota che le lenzuola al piano di sopra sono disfatte, ma non polverose. Qualcuno ci ha dormito di recente, ma non c’è altro segno.
“Se è rimasto qualcosa, il cibo dovrebbe essere nel seminterrato”, brontola Dary.
“Licari, vieni con me”, dice allora Aaron, dividendoli.
Non gli piace molto l’idea che Aaron resti da solo con lui, ma non è stupido, ci avrà già pensato. L’unica cosa che può fare a questo punto è drizzare le orecchie, nel caso si fossero sbagliati su quell’uomo.
Comunque, aveva bisogno di un momento per stare da solo.
Nel soggiorno c’è un album di foto sul tavolino, completamente ricoperto di polvere. Magari lo sconosciuto deve averlo preso per curiosità senza mai rimetterlo al suo posto, prima di morire per quella brutta ferita alla testa. Sfoglia velocemente le foto dei bambini, ma poi decide di poter fare la cosa giusta prendendone alcune. Maggie le vorrà, pensa, chiedendosi se possa essere davvero così.
Maggie vuole sopravvivere e a volte sembra che non sappia come farlo se non guardando avanti. Sempre al futuro, mai al passato. Eppure, prende una foto in cui è con suo padre e suo fratello fuori allo stagno delle anatre, e poi un’altra di un suo compleanno, dove abbraccia la sua matrigna e tutti sembrano felici.
Beth sembra così piccola in quelle foto, così diversa dalla donna che ricorda. Ne è solo un piccolo pezzetto; un grande paio di occhi blu con delle treccine bionde che culminano in dei riccioli scomposti. Sorride in tutte le foto e rivedere quel sorriso gli scalda il cuore, mentre pensa a come deve essere stata la sua vita prima dell’apocalisse.
Il suo mondo è sempre stato una merda, ma quello di Beth dev’essere stato molto dolce, almeno per un po’. Aveva una famiglia che la amava, degli amici, dei cavalli, un mondo sconfinato di possibilità, tanto da mangiare e un posto caldo dove riposare quand’era stanca. Niente di brutto sarebbe potuto accaderle.
Alla fine dell’album trova finalmente delle foto più recenti, ma ancora non gli sembra la stessa. Era cambiata molto in quegli anni, dopo la loro fuga alla fattoria. La ragazza delle foto viveva ancora in un mondo dove i morti erano morti, dove suo padre era ancora in vita e non esistevano proiettili con il suo nome scritto sopra. Daryl non riesce comunque a ricordare quant’era bella. Non riesce a costruirla, così come non riesce a immaginare quel lampo di vitalità che aveva negli occhi. La sua bocca si curva verso l’alto e, sforzando la memoria, può a malapena rivedere la sua figura, finché non gli si sfoca la vista e comincia ad imprecare.
Non smetterà mai di fare male.
Perdere suo fratello è stato come essere investiti da un camion. Può ancora ricordarlo, ma ha imparato a superarlo, a metterlo da parte. Così come ha fatto con Hershel. Anche in quel caso ha fatto fottutamente male, ma sforzandosi è riuscito a lasciarli andare.
Ma Beth. Qualcosa, nel perderla, è stato diverso. Non fa solo male, brucia. Vederla cadere ha scavato un buco nel suo petto che è ancora pulsante. A volte pensa che ha fatto più male di qualsiasi altra cosa e forse è stato davvero così, o forse la sua memoria non è abbastanza ferrata, ma se una cosa è certa, è che non passerà.
Non può metterla da parte, non può lasciarla andare.
Mette insieme altre foto della famiglia Greene e le infila nella sacca che avrebbe consegnato a Maggie quando sarebbe tornato. Sceglie, tra le ultime pagine, la foto di Beth che terrà per sé: è in piedi in cortile, contro il tronco di un frassino bianco. Sorride proprio nella sua direzione, con gli occhi di chi ha una bella vita che la aspetta.

 

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“Non lotterò più.”
Beth parla col suo riflesso nello specchio rotto del bagno, mentre cerca di formulare un piano.
“Non voglio. Voglio ricordare.”
In parte è una bugia. Da quando ha scoperto quello che è successo a Shawn e ai suoi genitori, ha sempre avuto paura di andare a fondo, paura che i ricordi la investissero in un altro momento vulnerabile.
E la bambina?
Se avesse dovuto assistere alla morte della piccola Judith senza poter fare niente?
E che mi dici di Daryl?
Se fosse stato fatto a pezzi davanti a lei, come Patricia?
Se fosse stata troppo debole per riuscire a salvare tutti loro?
Beth stringe la presa agli angoli del lavandino, mordendosi le labbra con più forza del dovuto mentre assottiglia gli occhi, ancora incollati a quella figura riflessa nel vetro rotto e sporco. Sibila un respiro ansioso e indietreggia, mollando la presa. Su quel mobile è cresciuto uno spesso strato di polvere. Nel mese in cui è stata via, la pioggia e il vento hanno portato ancora più sporcizia in casa.
Non ricorda molto del Grady e non vuole neanche farlo. Tuttavia, sente che questa cosa potrebbe fare la differenza. Pian piano, nei mesi che hanno seguito il suo risveglio, ha ricordato alcune cose, ma la maggior parte sono “ritornate” nei giorni immediatamente successivi. Certe volte, pensa che potrebbe aver perso per sempre il resto dei ricordi; altre, spera che tornino.
Ma prima di compiere questo passo, prima di rivolgere la parola a quelli del Grady, deve ricordarsi il più possibile su di loro, se può. Non vuole stabilirsi lì, anche se è stata casa sua. Ha messo a posto le ossa nel cortile, perché qualcuno avrebbe dovuto metterle a riposare; ha riordinato quel tanto che bastava per non vivere come un animale e il suo unico tentativo di riparazione è stato quello della porta d’ingresso. Non è di certo in grado di aggiustare il tetto o le finestre, o di abbattere il fienile, ma anche se si mettesse a lavoro, ciò significherebbe restare lì, da sola.
Non devi per forza essere sola.
La donna che ha seguito per giorni non è una predatrice. Non è pericolosa, e non lo è neanche in senso positivo. I poliziotti, tra l’altro, sembrano essere cambiati. Sembrava che volessero aiutarla sul serio, che fosse un atto genuino, il loro. O almeno, questo è quello che spera che sia successo. È molto più probabile che l’abbiano presa per abusare della sua presenza come hanno sempre fatto, ma vuole dar loro il beneficio del dubbio.
E se poi, osservandoli, si rivelassero delle brave persone? Che dovrei fare? Unirmi a loro, invitarli alla fattoria?
Non è un’idea così folle, ma il solo pensiero la fa star male. Non solo per le persone che hanno dimostrato di essere quando li ha conosciuti, ma anche perché agire in quel modo significherebbe arrendersi. Ha cercato la sua famiglia per tutto questo tempo e non ne ha trovato traccia, fatta eccezione per un messaggio da parte di sua sorella che non era neanche per lei. Magari, se all’inizio si fosse unita a Wanda e Hiatt, non sarebbe stato così male, ma dopo mesi passati in solitudine a cercarli, unirsi a qualcun altro significherebbe smettere di farlo.
Non posso fingere di non aver visto quelli del Grady.
Se sono brave persone potrei unirmi a loro, ma non so se voglio farlo davvero.
Se non sono brave persone dovrei ucciderli, ma non so se voglio farlo davvero.

Grattandosi la fronte, Beth si mette a letto e lega il polso alla spalliera. Ormai è un’abitudine, anche se giorno dopo giorno diventa sempre più sicura che quando chiude gli occhi li riaprirà la mattina dopo.
Non c’è fretta, si dice, ma i pensieri sulla gente del Grady e su quella donna continuano a tormentarla, volendole impedire di fare sogni tranquilli. Eppure, ci vorrà qualche giorno prima che quella donna possa essere in condizioni da andare da qualsiasi parte e l’accampamento le è sembrato quasi una cosa stabile. Può prendersi un giorno per riposare prima di cominciare ad osservarli, non corre un rischio chissà quanto grande. Le serve un giorno per dormire, pensare, ricordare.
Ha della carne di cervo nello zaino e un paio di bottiglie d’acqua che ha riempito nel pozzo più vicino. Si è rintanata nella sua stanza, l’unica in tutta la casa ad avere ancora le finestre intatte, anche se lo specchio in bagno è rotto. Non c’è niente che le impedisce di restare raggomitolata a letto tutto il giorno. A un certo punto, però, sente un fastidioso pizzico alla vescica che la costringe ad alzarsi.
Si infila gli stivali, prende lo zaino e la pistola ed esce dall’abitazione. Non esce mai di casa senza aver sistemato tutte le sue provviste. Non può sapere se sarà costretta a fuggire. Imbocca un sentiero tra gli alberi, lo stesso dove ha nascosto la sua auto, e si accovaccia a terra.
La fattoria è silenziosa e isolata. Uno degli errori che avevano commesso è stato quello di sentirsi al sicuro. Non si erano mai imbattuti in una mandria di quella portata, né potevano immaginare che la perdita di ogni cosa potesse avere effetti perversi su certe persone.
Controlla che la sua macchina sia il più possibile fuori dalla vista di chiunque, accertandosi di averla nascosta proprio come voleva, e ritorna nella sua stanza.
Si sta sfilando di nuovo gli stivali quando lo sente arrivare, il rumore del motore di un furgone in lontananza. È sempre più vicino, cresce a ritmo costante, ed è diretto proprio verso di lei.
Si rimette le scarpe e corre alla finestra. Con un groppo in gola, può ben vedere che quel furgone si sta avvicinando fin troppo velocemente. Non farebbe mai in tempo ad andarsene prima del suo arrivo, sarà costretta a uscire dal retro.
Con lo zaino in spalla e la pistola tra le mani, si fionda giù per le scale a passi leggeri, proprio mentre sente il veicolo parcheggiare fuori casa sua. Mentre dei passi pesanti fanno scricchiolare i gradini del portico, Beth raggiunge il retro, cercando di mantenere i suoi movimenti silenziosi, ed esce.
Una volta fuori, resta incollata alle mura laterali della casa. Non vuole rischiare che possano vederla mettendosi a correre davanti all’entrata principale. Non riesce ad avere una visuale del furgone abbastanza buona per capire quante persone ci siano dentro. In punta di piedi, prosegue da quel lato contenendo il più possibile l’affanno del suo respiro. Non sembra che siano già entrati in casa.
Il suo cuore accelera quando non li sente più. O sono rimasti fermi per qualche particolare circostanza, o si sono accorti della sua presenza e stanno aspettando il momento giusto per assalirla. All’improvviso, un forte BANG BANG proveniente dalla porta d’ingresso la fa sobbalzare. Si ammutoliscono di nuovo e, sentendosi ancora più ansiosa, si sporge quel tanto che basta per vedere che si tratta di tre uomini adulti, per poi ritornare velocemente al suo posto. Li ha guardati a malapena, ma ha visto abbastanza per essere ancora più nervosa. Ha notato un uomo vestito di nero entrare in casa per primo, in gran parte coperto dall’ombra. Gli altri due sono rimasti indietro a guardargli le spalle. Ce n’è uno che ha visto con meno chiarezza degli altri, perché oscurato dall’imponente figura muscolosa che è quasi sicura appartenga a Licari.
Da quanto sia riuscita a capire, non c’è nessuno ad aspettarli nel furgone. Sono solo in tre. Poteva andarle peggio, ma la situazione è comunque talmente pessima da farle scoppiare il cuore. Tre vaganti sono un gioco da ragazzi, ma potrebbe dire lo stesso di tre uomini cresciuti e armati fino ai denti, soprattutto se uno di loro non ha sicuramente un bel ricordo di lei? Non deve neanche pensarci.
Per percorrere la strada più breve per raggiungere l’auto, dovrebbe passare davanti al furgone. Se hanno qualcun altro nei paraggi, è meglio non rischiare di farsi vedere. Meglio fare più strada ed essere invisibili.
Mentre quei tre uomini entrano in casa e iniziano a perquisirla, Beth inizia lentamente a ripercorrere i passi con cui è venuta. Non devono essere necessariamente pericolosi. Magari cercano solo scorte, magari un rifugio. Forse non avrebbero alcuna intenzione di ferirla, ma non può metterci la mano sul fuoco. Cercando di essere il più possibile come un fantasma, ritorna sul retro della casa.
“Pesche sciroppate.”
Sente quella che è sicuramente la voce di Licari e le prende quasi un infarto per quanto è vicina. Abbassando lo sguardo, realizza di essere quasi entrata nella visuale della finestra del seminterrato. Voltandosi, osserva che ce n’è un’altra. È praticamente in trappola: non può andare in nessuna direzione senza che loro la vedano.
Stringendo i denti, poggia la schiena al muro e si siede a terra, con la pistola pronta per ogni evenienza.
Beh, sempre meglio di niente”, dice un’altra voce.
Quando ci avete detto che avevate un posto dove fare rifornimento...”, Licari non finisce la frase, ma non sta accusando il suo interlocutore. Più che altro, sembra che voglia porgli una domanda.
“In realtà, è più una specie di pellegrinaggio personale”, risponde l’altro. Ha una voce più mite e calma rispetto a quella di Licari, che lei ricorda per la sua sfacciataggine.
“È per questo che il tuo amico ha bisogno di stare da solo?”
La voce più gentile aspetta qualche minuto prima di rispondere, in cui l’aria fritta viene riempita solo dal rumore del cibo che viene infilato nei loro zaini.
L’ho seguito per settimane prima di parlare col suo gruppo.” Smette di riempire la sua sacca e, prima di continuare, sospira. “Non mi sono avvicinato prima di essere certo di potermi fidare di loro così come sono certo che cala la notte alla fine di ogni giorno. Non ho avuto la stessa sensazione nei confronti di nessuno di voi. Siamo qui adesso solo perché lui ha garantito per voi, nonostante quello che gli avete tolto. Non dimenticarlo.
Non intendevo mancargli di rispetto… però devi capire che siamo stati guidati da tre persone diverse, ed erano tutte e tre fuori di testa. Non mi piace che chi mi guarda le spalle abbia perso ogni tipo di lucidità. Lui può fare tutti i pellegrinaggi personali che vuole...”, la voce di Licari diventa più chiara mentre si avvicina alla finestra, e Beth si rannicchia ancora di più contro il muro, “...ma io devo pensare ai miei. Se ci unissimo a voi, avrei bisogno di sapere se ci state portando in un’altra città folle. Sei sicuro che stia bene? Sei sicuro che sia stabile?”
È normale che sia instabile.” L’altro uomo, sempre con calma, pronuncia quelle parole con una compassione che Beth non si aspettava di sentire. “Tutti lo siamo. Ora è così che vanno le cose.”
“...Riesce a controllarlo?”
“Forse lui è la persona più brava a gestire la sua instabilità che sia rimasta sulla faccia della terra.” Il suo tono sembra essersi alleggerito, ma è solo un attimo, perché poi ricomincia a dire cose di un certo spessore. “Non aprire mai l’argomento. Lui non ne parla, non è pronto. Fallo presente anche al tuo gruppo.
“Sì, va bene...”, taglia corto Licari, pensieroso. “Sai, al tempo ci avevo pensato, a cosa lei aveva potuto significare per lui.”
Dopo quelle parole, il silenzio ritorna ad essere il sovrano indiscusso. Beth lascia che brevi respiri entrino ed escano dal suo corpo, cercando di non girare la testa verso una delle finestre per non farsi sentire da Licari, ormai a pochi centimetri da lei.
“Probabilmente, significava ogni cosa.”
Per un’altra serie di minuti, continua a sentirli maneggiare le scorte di cibo.
Andiamo”, dice Licari, “controlliamo le camere da letto al piano di sopra. Mi pare di aver visto dei vestiti.”
Non appena il rumore dei loro passi svanisce dal seminterrato, è libera di muoversi, ma non ha più così tanta fretta di andarsene. Licari e il resto della gente del Grady stanno pensando di unirsi a qualcun altro. Se riuscissero davvero ad andare avanti, ad aiutare le persone, ad aiutarle sul serio, perché non avrebbe dovuto dar loro una possibilità?
Si ferma di nuovo davanti alla porta del retro, ma non prosegue. Chiude gli occhi, cerca di ricordare com’erano le cose al Grady, ma ricorda di aver provato solo rabbia e paura nei confronti di quelle persone. Ricorda che alcuni uomini erano soliti abusare delle donne, dal momento che erano praticamente le loro schiave. I peggiori erano Gorman e O’Donnel, ma fortunatamente sono morti, tutti e due per mano sua. Non ricorda di aver mai saputo qualcosa su Licari. Non l’aveva mai trattata male, ma non avevano neanche mai interagito davvero, né aveva fatto niente per frenare tutta quella situazione.
Non sembra neanche quasi più lo stesso gruppo. Lui non ha parlato di loro come Beth immaginava che avrebbe fatto quando erano ancora lì. Magari sta esagerando, magari non c’è un secondo fine dietro la preoccupazione per la sua gente e dietro gli aiuti offerti a quella donna. Può essere.
O forse no.
I pensieri continuano a gravarle in petto, scavando come un pugnale. Licari potrebbe essere a posto, la gente del Grady potrebbe essere cambiata.
L’uomo dalla voce calma sembra a sua volta a posto, oltre che molto fiducioso nel suo amico vestito di nero con la testa chinata, intrappolato nella penombra della casa.
Voglio la mia gente.
Beth si fa scappare un gemito, ma si copre subito la bocca. Odia stare da sola, ma anche se quei tizi non le sembrano così malvagi, non sono la sua famiglia. Non sono Daryl.
Il cuore palpita dolorosamente sotto le sue costole. È sicura di non essere mai stata felice al Grady. L’ultima volta che è stata felice… è stata quando era con lui, ne è sicura. È sicura che lui sia stato l’ultimo frammento di felicità che ha perso.
Osservando il bosco, pensa di voler scappare, pensa di voler andare il più lontano possibile da quelle persone e continuare a cercare per il mondo ciò che ha perso.
Va’ via da lì e non voltarti.
Espira profondamente, sentendosi come se avesse pianto per ore, anche se i suoi occhi non sono per niente umidi. Quasi senza rendersi conto di quello che sta facendo, si volta a osservare la casa dalla finestra, per gettare un’ultima occhiata alla sua infanzia prima di abbandonarla definitivamente.
Mi dispiace tanto.
Non può fidarsi di loro, non riesce a immaginare di stare con qualcun altro. Non vuole stare da sola, ma lo è stata fino a quel momento e non le ha creato poi così tanti problemi. Almeno è sicuro.
Decisa su come agire, Beth osserva il paesaggio alle sue spalle dal riflesso della finestra, accertandosi che la strada sia libera per quando dovrà scappare. Il vetro è rotto, così si alza in piedi per affacciarsi nel corridoio che porta al soggiorno.
In piedi, illuminato dalla luce che entra dalla finestra rotta, vede finalmente il terzo uomo.
Le da le spalle e tiene la testa bassa; cucite sulla sua schiena ci sono due figure che ricorda nei minimi dettagli.
Sono le ali che pensava di aver perso.

 

∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂



Daryl lascia andare Licari e Aaron giù per le scale senza di lui, mormorando qualcosa sulla necessità di tenere d’occhio l’ingresso affinché nessuno arrivi a loro insaputa. Non è davvero necessario, ma almeno gli permette di avere qualche minuto in più per smettere di digrignare i denti e per abbassare la testa, in attesa di sbollire la rabbia.
Tornare lì sarebbe dovuto essere come ri-spezzare un osso guarito male, o almeno questo è quello che ha pensato fino a qualche ora fa. Ora che è lì, non ne è più così sicuro. La ferita infatti non guarisce; sono passati otto mesi e continua a sanguinare in un flusso costante.
Non ha neanche bisogno di chiedersi il perché. Ha trascorso varie notti insonni a pensare a cosa avrebbe potuto fare di diverso, a come sarebbero ora le cose se fosse ancora viva, se avesse impedito che la prendessero e che la uccidessero, ma non è mai stato bravo con quella roba, su ogni fronte. Tuttora, a distanza di tempo, non riesce a capire cosa esattamente abbia provato per lei. Quando erano insieme, non sapeva ancora come prendere quelle sensazioni e trasformarle in qualcosa di umano, qualcosa che lei potesse capire. E anche se fosse riuscito a comprenderle, non avrebbe mai potuto andare fino in fondo, perché sa di fare schifo con queste cose. Daryl non è esattamente un tipo che guarda al futuro, ma è stata lei a farglielo fare per la prima volta e lo sta ancora facendo. Ha fatto sì che riuscisse a sperare di nuovo, che immaginasse di poter raggiungere un posto migliore, un giorno, e di viverci addirittura. Con lei.
Ha messo via quella foto troppo in fretta. Non ha ancora finito di guardarla.
Tirandola fuori dalla tasca, esita per un secondo mentre sfiora la carta spessa, per poi incontrare subito i suoi occhi. Ora le sue mani sono più ferme, ma il cuore gli trema ancora.
Daryl!”
Lo ha sentito per davvero, ma è impossibile. Per un attimo, mentre gira la testa per controllare da dove provenga quel richiamo, pensa di essersi definitivamente giocato il cervello.
È stata Beth Greene a chiamarti. Ha bisogno di te.
L’aveva chiamato molte volte, in passato, per ricevere il suo aiuto. Altre volte lo faceva a bassa voce, con una piccola risata sulle labbra.
Quella voce ha continuato a ripetere il suo nome nei suoi sogni, ma adesso, nella sua testa, sembra così reale, proprio come la ricordava.
“DARYL DIXON!”
Quando la sente per la seconda volta, un ronzio gli infesta le orecchie e il cervello. Si volta di scatto giusto in tempo per vederla fare il suo ingresso dalla porta del retro, ed è proprio la ragazza che ha perso. Ha gli occhi lucidi come cocci di vetro.
Non riesce a pensare a nessuna motivazione plausibile per tutto ciò. Non riesce a pensare a nulla al di fuori del fatto che casa sua dev’essere infestata dal suo fantasma, o che magari Licari sia sbucato fuori all’improvviso per ficcargli la lama del pugnale nel cranio e adesso lei sia lì per condurlo a miglior vita.
Entrambe le ipotesi gli attraversano la testa come flash solo dopo la sua reazione, solo dopo aver assecondato il suo più profondo desiderio. Non gli importa se sia reale o meno, perché vuole renderlo tale finché può. Infatti, accorcia le distanze tra lui e quell’angelo, finendole addosso.
Le ginocchia cedono sotto il suo peso, trascinandola giù con lui. Il suo corpo è caldo, reale. Quando gli circonda le spalle con le braccia, sembra quasi che stia peggio di lui, che tremi mentre fa pressione sulla sua schiena, stringendo l’abbraccio. Ha gli occhi coperti dalle sue ciocche bionde; preme le labbra contro la curva della sua spalla così morbida e profumata, proprio come lei, proprio come ricordava. Affonda le dita ruvide tra i cuoi capelli; ha il fiato corto e per qualche istante non vuole staccarsi dalla sua pelle, neanche per guardarla di nuovo. Può sentirla singhiozzare a sua volta e stringersi a lui quasi con la sua stessa forza.
Sente i battiti del suo stesso cuore rimbombare attraverso i loro corpi, per poi concentrarsi sui suoi e capire cosa significano davvero, perché era da tanto ormai che pensava che fossero fermi. Ora, invece, vanno a ritmo con i suoi mentre gli riversa addosso il suo respiro veloce e spezzato. Le lacrime cadono; è viva.
È la stessa ragazza, la stessa anima che credeva di aver perso, in carne ed ossa. Mentre si attorciglia contro il suo corpo, sente ogni parte di lei, in quel momento, tutta per sé.

 

∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂



Ha passato così tanti mesi a pensare a come sarebbe stato rivederlo, a chiedersi se fosse cambiato.
Ora quel momento è finalmente arrivato e non pensa neanche che non era così che aveva immaginato di rincontrarlo. Non ne ha il tempo, perché i suoi piedi stanno già correndo, impazienti di raggiungerlo.
Quando l’ha riconosciuto, ha perso ogni tipo di controllo su se stessa. L’ha chiamato per nome e quello che prima era un gemito ora si è trasformato in un grido mentre entra in casa per ricongiungersi con lui.
Se fosse stata più lucida, avrebbe certamente considerato i rischi di sorprendere un uomo alle spalle, così all’improvviso, ma ora come ora non le importa, così come non le sarebbe importato anche se avesse avuto qualche minuto in più per pensarci, anche se avesse potuto sforzarsi psicologicamente e fermarsi, prendendo coscienza della situazione anche solo per un singolo battito.
È diverso. Ha i capelli più lunghi e disordinati di quanto ricorda che siano mai stati, e persino il modo in cui si trattiene le sembra più teso. La rigidità che gli percorre la schiena, le braccia e il collo lo fa sembrare una statua. Si sente schiacciata dall’espressione che indossa, aggravata dal suo sguardo, anch’esso improvvisamente così rigido. Quando però incrocia finalmente quei suoi tristi occhi blu, si sente come se stesse facendo il suo primo vero respiro dopo mesi.
A quel punto, Daryl si fionda su di lei, facendola inciampare sulle ginocchia mentre cade sul pavimento con un tonfo. Così, inginocchiata su di lui, l’unico motivo per cui non è andata a sbattere contro il muro è il modo in cui la tiene stretta a sé.
Assaporando questa nuova aria nei polmoni, Beth lo sente respirare contro la sua spalla, mentre le cinge i fianchi con le braccia.
La stringe con così tanta fermezza che è quasi doloroso, come se volesse farle sentire il più possibile quanto abbia sentito la sua mancanza. Il cuore sta quasi per scoppiarle in petto quando le accarezza i capelli con le dita e si distacca lentamente: a meno che la sua mente lesionata non sia degenerata a tal punto da farle avere allucinazioni così vivide e perfette, è davvero lui, proprio come lo ricordava. Lo trattiene ancora, lasciando che si chiuda intorno a lei e che continui ad accarezzarla.
Terrorizzata che possa dissolversi nel nulla, strofina i palmi contro le sue spalle e la sua schiena, scendendo lungo le braccia. Lui indietreggia leggermente, lasciando che le sue dita, con una delicatezza inaspettata e disperata, percorrano il suo collo e disegnino col pollice delle linee immaginarie sulla sua guancia, fino a raggiungere la fronte, dove Dawn l’ha marchiata. Ha gli occhi spalancati e ancora vitrei di lacrime; la bocca è leggermente schiusa, ma non riesce a dire nulla.
Con improvvisa rapidità, fa scivolare la mano sulla punta delle sue labbra, per poi lasciarla cadere giù, mentre un brivido le pizzica il collo.
“Sei tornato a casa”, gli sussurra, buttandogli i capelli indietro per poter guardare meglio i suoi occhi. Se potesse, li berrebbe come se fosse l’unica riserva d’acqua rimasta nel deserto.
Tutto il suo corpo si rilassa contro di lei e si lascia scappare un sospiro. Chiude gli occhi e preme la fronte contro la sua.
“Sì, sono a casa.”

 

 

(*) In inglese gli aggettivi non hanno genere, quindi Daryl naturalmente non riesce a capire se chi ha scritto il messaggio sia maschio o femmina. Per immedesimarmi in lui, allora, l’ho tradotto col maschile.


Nota traduttrice: Mi scuso immensamente per il ritardo, ma è un periodo un po' frenetico e il tempo è sempre più ristretto.
Spero che il capitolo vi piaccia e che non mi abbiate maledetta troppo!

 

   
 
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