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Autore: Afaneia    24/03/2018    4 recensioni
In una Kanto dominata dal colosso multinazionale della Silph SpA, che monopolizza il mercato con politiche aziendali inflessibili e alleanze poco trasparenti, il signor Fuji, fondatore del celebre Centro Pokémon Volontario di Lavandonia, si è sempre schierato contro la corruzione e a difesa della dignità dei Pokémon.
Suo figlio però ha scelto una strada diversa: disposto a qualsiasi accordo pur di allontanarsi dall'opprimente presenza di suo padre, il dottor Emir Fuji si è specializzato in ingegneria genetica e si è trasferito sull'Isola Cannella, dove dirige un Laboratorio Pokémon dedito a esperimenti d'avanguardia. Da quando ha lasciato Lavandonia non ha più voluto avere niente a che fare con suo padre.
Un giorno, il Laboratorio Pokémon organizza un viaggio di ricerca in Guyana...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Mew, Mewtwo, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Inconoscibile

Capitolo V - Inconoscibile.


Il laboratorio lavorò incessantemente per l'intero mese di agosto, sotto il sole torrido e soffocante dell'Isola Cannella, e i risultati delle analisi su Mew si rivelavano più sconcertanti ogni giorno che passava.

La tipologia di mosse apprese presentava uno spettro singolarmente ampio, troppo rispetto a qualsiasi altro Pokémon noto sino a quel momento. Sembrava che fosse in grado di apprendere ed eseguire qualsiasi mossa le fosse proposta o mostrata un'unica volta, indipendentemente dal Pokémon che si trovava di fronte, e di ricordarla poi a tempo indeterminato. Questo tornava ad accostarlo a Ditto, ma solo in modo molto superficiale: Mew non si limitava a imitare durante una fase di Trasformazione, ma apprendeva realmente le mosse che aveva di fronte, e non le scordava più.

«Questo almeno è confortante» aveva commentato Portia durante una riunione per fare il punto, nella calura soffocante del dodici di agosto. «Dale voleva due mosse. Possiamo dargliene tre: Trasformazione, Botta, Psichico. Di queste mosse siamo certi. Dopo la conferenza stampa dovremo prendere tempo per stilare una lista completa delle altre... anche se per ora non sembrano finite.»

Ma non era solo la quantità delle mosse a sgomentarli. Se la sua unica peculiarità fosse stata quella di conoscere un quantitivo di attacchi pressoché illimitati, il mistero non sarebbe stato poi tanto insondabile: Mew avrebbe costituito per la Silph una potenzialità infinita, e basta.

Ciò che non si erano aspettati era che Mew si rivelasse inaspettatamente forte.

La sua simpatia e la sua dolcezza li aveva ingannati tutti. A misura che la sottoponevano a prove via via crescenti, Mew non si mostrava in difficoltà né spaventata; ma neppure sembrava aggressiva. Non manifestava un comportamento territoriale né proteso verso l'attacco: semplicemente, Mew giocava, e obbediva ai loro ordini perché li amava e si fidava di loro in tutto e per tutto. Era la creatura più grata e più inoffensiva che Emir avesse mai visto, e ciò era ancor più stupefacente perché era potente quanto un Dragonite; e se le cose stavano veramente così, se ella poteva eguagliare o chissà, magari persino superare un Pokémon sino ad allora considerato invincibile come Dragonite, allora Mew si poteva a buon diritto considerare il Pokémon più forte del mondo. Ma allora perché non si ribellava?

Eppure, di nuovo, le cose non si fermavano qui. Dolarhyde si affacciò alla porta del suo studio attorno al venti di agosto, verso l'orario di chiusura, sventolando con una mano un plico di fogli e domandando: «Ce li hai cinque minuti per me?»

A giudicare dalla sua espressione, quei cinque minuti sarebbero durati almeno mezz'ora, ma Emir non era mai stato un tipo molto frettoloso di timbrare il cartellino. Gli fece cenno di accomodarsi, cercando alla meglio di sgomberare il tavolo per far spazio a qualsiasi cosa avesse da mostrargli, e Vincent entrò e chiuse la porta.

«Ho i risultati delle analisi che mi avevi chiesto.»

Emir si sentì immediatamente sollevato. «Alla buon'ora, Vincent. Non volevo metterti fretta, ma lo sai quanto...»

«Beh, Emir, non è che io ci abbia messo così tanto perché non ne fossi capace, sai» lo interruppe Vincent. «Ho dovuto fare altre analisi oltre a quelle che mi hai chiesto.»

Se Emir non l'avesse conosciuto da troppi anni per non sapere che Vincent era un collaboratore di cui potersi fidare, gli avrebbe chiesto per quale razza di motivo aveva trattenuto così tanto i risultati di analisi da cui dipendeva il lavoro di tutti, per il solo sfizio di fare analisi supplementari non richieste e soprattutto non autorizzate. Ma Vincent non l'aveva deluso mai una sola volta da quando avevano lavorato a Porygon, e se aveva preso un'iniziativa del genere doveva esserci un valido motivo.

«Che cos'hai cercato?»

Vincent spalancò il plico sulla sua scrivania e gli passà un primo foglio. Emir vi gettò uno sguardo mentre ascoltava.

«All'inizio ho fatto quello che mi hai detto: ho confrontato il suo patrimonio genetico con quello di Ditto. È come avevi detto tu: c'è correlazione.» Emir provò una fitta di delusione a quelle parole. Era tutto lì, dunque? Nient'altro che un Pokémon strettamente imparentato con la creatura più amorfa di tutto il mondo conosciuto?

Dolarhyde colse il disappunto nel suo sguardo e si affrettò a specificare: «Aspetta un momento, Emir. Sì, c'è correlazione, ma anch'io la pensavo come te... non ero convinto. Non ho detto nulla a Valérien, per il momento, e ci siamo concentrati solo sul tipo... comunque potrai leggere tutto lì. I dati confermano che è uno Psico, ma questo lo sapevamo già dai test sperimentali» Sfogliando le pagine stampate che Dolarhyde gli porgeva via via, Emir scorse, annotata a margine, la scrittura esitante di Valérien, che ancora non aveva imparato a scrivere il giapponese tanto bene quanto lo parlava. «Allora ho cercato concordanze con altri tipi Psico. Sono partito dalla famiglia evolutiva di Abra... guarda le coincidenze genetiche.»

Sul nuovo foglio che Vincent gli porgeva c'erano alcuni dati cerchiati più volte a mano in penna rossa. Emir ebbe la precisa sensazione che il suo cuore saltasse un battito: la percentuale di corrispondenza genetica differiva da quella di Ditto solo di uno scarto talmente piccolo da essere non considerabile.

«L'apparecchiatura ha dato due volte lo stesso risultato» disse con decisione.

«Già, sembra ovvio, no?» replicò Vincent trionfante, ed Emir ne dedusse di aver appena fatto esattamente l'obiezione che egli si aspettava da lui. «Ho riavviato e resettato tutti i macchinari, ho usato campioni diversi, ho rifatto tutto due volte. Il risultato è lo stesso, con scarto trascurabile.»

L'unica ipotesi plausibile per decifrare quei dati era ammettere che Mew fosse imparentato con entrambe le specie. Combattendo da un lato con un crescente scetticismo e dall'altro con un senso d'angoscia crescente, Emir annuì e disse: «Va bene. Ipotizziamolo.»

Vincent annuì. «È quello che ho detto anch'io. Ipotizziamolo. Tu che cos'avresti fatto a questo punto al mio posto?»

Emir rifletté rapidamente. «Avrei confrontato con un terzo Pokémon non correlato geneticamente.»

«Esattamente. Ho preso un Tentacruel. Vuoi indovinare qual è stato il risultato o preferisci girare pagina?»

Emir non perse neppure tempo a sfogliare ancora il plico. Tutto ciò era troppo per essere anche solo ipotizzabile. «Senti, Vincent... io mi fido di te, ma stavolta è evidente che qualcosa non ha funzionato. Chiamo Zafferanopoli e mi faccio mandare un tecnico per domattina, così controlliamo che cosa c'è che non va.»

Vincent non parve deluso né amareggiato dalla sua reazione: al contrario, si limitò a sollevare le mani in segno di resa. «Come vuoi, Emir: è giusto vagliare tutte le possibilità. Ma sono sei anni che lavoro su questi macchinari, e credo di conoscerli ormai. Vogliamo scommettere?»

Per qualche meccanico riflesso risalente alla sua infanzia, Emir rispose d'istinto: «Io non scommetto.»

«Non avevo dubbi» rispose Vincent ridendo. «Allora domani faremo visionare tutti i macchinari, ma in cambio tu stanotte devi guardare i miei risultati. Me lo prometti?»

«Posso promettertelo, ma non cambierà comunque le cose» ribadì Emir con troppa durezza. «Lo sai anche tu che c'è un errore, Vincent. Deve esserci un errore.»

«Questo lo stabilirà il tecnico domani» disse Vincent con voce squillante, alzandosi in piedi: aveva raggiunto l'obiettivo che si era prefissato, quello di renderlo dubbioso, e ora poteva andarsene a casa con la soddisfazione di lasciarlo subissato dal dubbio e dall'angoscia. «Allora, buona serata, mio caro. Non scordarti la promessa, eh?»

Ma prima che Vincent facesse in tempo ad aprire la porta, spinto da non sapeva bene quale istinto, Emir lo richiamò: «Hai parlato con qualcuno di questi risultati?»

Vincent tornò a voltarsi verso di lui con aria profondamente compiaciuta. «No, Emir, te l'ho già detto. A Valérien ho dato solo i risultati relativi al gene del tipo. Tutto il resto lo sappiamo solo io e te.»

«Bene» borbottò Emir, sentendosi profondamente imbarazzato per ciò che aveva appena detto. Dopotutto, che cosa mai poteva cambiare? Quei dati erano sicuramente frutto di un errore. Ditto, Abra e Tentacruel non avevano tra di loro alcun tipo di legame genetico. I risultati che aveva di fronte in quel momento non avevano il benché minimo valore scientifico. Per darsi un contegno, sollevò la cornetta del telefono per chiamare Zafferanopoli; eppure, prima di digitare il numero, in un attimo di esitazione, aggiunse in fretta: «Non parlarne con nessuno, per ora. Voglio dire... è inutile creare allarmismi per niente.»

«Come vuoi, Emir» rispose Vincent sorridendo di vittoria. «Domani sera ne riparleremo io e te.»


Quella notte Emir non dormì.

Si era portato a casa i risultati degli esperimenti di Vincent più per mantenere la promessa che perché avesse davvero intenzione di leggerli – e anzi, mentre cenava si era detto di no, che non li avrebbe letti perché neppure ne valeva la pena: quando fosse arrivato, il tecnico avrebbe aggiornato il software, o sistemato un cavo o cambiato un pezzo, avrebbe riavviato i macchinari, e i risultati sarebbero stati diversi. L'aveva promesso a Vincent, certo, ma perché sprecare tempo a leggere quella che presto si sarebbe rivelata carta straccia?

Eppure quel plico lo chiamava, c'era qualcosa, in quelle paginate di dati, che proprio non smetteva di attrarlo a sé... era stupido e sciocco, si ripeteva, ed era una sensazione che neppure avrebbe sapito spiegare con qualcosa come l'intuito o il genio di uno scienziato.

L'ipotesi che Vincent aveva insinuato avrebbe spiegato tutto, certo. Una specie ormai quasi estinta, ridotta a una manciata di esemplari che vivevano in nuclei isolati in una zona sperduta della giungla... era un'ipotesi troppo romantica, troppo positivista per essere vera; ma se lo fosse stata, non avrebbe forse potuto spiegare per quale motivo Mew si dimostrava in grado di apprendere qualsiasi mossa le venisse insegnata?

Sentendosi arso vivo da questi dubbi come da un fuoco, quando passò nel salottino che dava sulla scogliera, dopo cena, nel vano tentativo di cercare qualcosa da fare per distrarsi in quella grande casa vuota, si rese conto che ogni tentativo di resistenza era inutile. Il plico era adagiato sul tavolo, là dove l'aveva lasciato quando era rincasato un paio d'ore prima, e sentendosi profondamente rassegnato Emir andò a sedersi sul divano e l'aprì.

Consultò dati per la maggior parte della notte. Portò la documentazione nella sua biblioteca privata, recuperò manuali di genetica, articoli, riviste, pubblicazioni scientifiche, qualsiasi cosa avesse raccolto negli ultimi quindici anni che parlasse anche solo lontanamente di quell'argomento, e confrontò ogni singolo dato degli esperimenti di Vincent con quelli ufficiali.

Intorno all'alba era ragionevolmente certo che, se il tecnico non avesse trovato nessun difetto o errore nella strumentazione di laboratorio, egli sarebbe diventato pazzo, perché simili risultati rasentavano l'impossibilità statistica.

Quella mattina, al lavoro, doveva apparire tanto stanco e nervoso che neppure Rotwang osò gettargli una frecciatina; e in quanto a Vincent, che pure era la causa di tutto quel tormento, quel giorno pareva introvabile: evidentemente aveva deciso di evitarlo fino a che qualcosa di certo non fosse venuto fuori.

Per quanto il tecnico cercasse in ogni modo di fargli capire che avrebbe preferito lavorare da solo e che la sua presenza lo infastidiva, Emir presenziò al suo sopralluogo per tutto il pomeriggio, appollaiato in silenzio in un angolo del laboratorio; e il cielo sa quanto avrebbe avuto da fare. Ma non intendeva lasciare nulla d'intentato, e quando l'uomo, col cappello in mano – dato il curioso, quasi ancestrale rispetto che gli isolani manifestavano per chi aveva studiato – venne a dirgli che tutto era a posto, Emir lo aggredì letteralmente.

«È impossibile. Controlli meglio.»

Dopo una certa esitazione, il tecnico riprese: «Dottore, io posso anche controllare meglio, ma bisognerebbe allora che fosse lei a dirmi che cosa cercare di preciso.»

«Non lo so. Un'avaria.»

«Il signore per telefono mi ha detto che ottenete risultati falsati. Io non rilevo alcun malfunzionamento, ma se vuole possiamo fare una prova con dati di cui siete già certi, e vedere come va.»

Emir fece chiamare Vincent e gli ordinò di fare il tentativo sotto i suoi occhi, ma tutta la sua foga e la sua lotta si rivelarono vane: il tecnico sembrava aver ragione. I risultati non erano mai stati tanto chiari, e Vincent mai tanto gongolante. Emir avrebbe voluto provare ancora, tentare tutte le possibilità, arrivare a smontare e rimontare pezzo per pezzo tutto il laboratorio, se necessario, e di più ancora; ma a quanto pareva il tecnico era pronto a sfidarlo a prendere il suo posto, se proprio di lui non si fidava, ed egli non avrebbe saputo cosa dirgli esattamente di cercare.

Alla fine di quella giornata eterna, lui e Dolarhyde rimasero soli a sedere nell'ufficio deserto.

«Allora? Vuoi brindare con una birra?» chiese Vincent con voce squillante. «Anche se a vederti avresti bisogno di un caffè, amico. Non sembri entusiasta.»

No, Emir non si sentiva entusiasta per niente, perché riscrivere la storia della biologia non era esattamente un pensiero confortante, e soprattutto non era quello che aveva in mente la Silph.

Seduto a braccia incrociate, rigidamente ancorato alla sedia, borbottò soltanto: «Non sappiamo ancora quello che abbiamo scoperto.»

«Perché trovare una correlazione genetica con tre esemplari casuali ti pare poco?»

Non era poco per niente. Da un punto di vista scientifico, trascurare quei risultati sarebbe stato un imperdonabile delitto: ma come si poteva fare a prenderli in considerazione proprio in quel momento?

«Mi sembra anche troppo» rispose contrariato, forse un po' troppo piano perché l'altro potesse udirlo.

«Devo stampare altre copie dei risultati?» chiese Vincent dopo un poco, quando il silenzio si fece troppo prolungato perché fosse casuale e la necessità di far qualcosa fu troppo impellente. «Se vogliamo dirlo agli altri, sarebbe meglio che potessero...»

«Noi non vogliamo affatto dirlo agli altri» lo interruppe Emir bruscamente. Vincent ne rimase tanto confuso che faticò qualche istante a rispondere.

«In che senso?»

«Nel senso che questi risultati devono rimanere tra noi due fino alla conferenza stampa» sbottò Emir alzandosi in piedi. Quel giorno aveva perso già abbastanza tempo a star dietro a macchinari che si erano rivelati infidamente funzionanti, e rimettersi al lavoro, magari, lo avrebbe aiutato a reprimere l'ansia. Avere la potenziale chiave dei misteri della vita tra le mani, francamente, non era un pensiero molto rassicurante. «O vuoi che Dale ci faccia pressioni per pubblicare anche questi risultati a settembre?»

Dale ebbe un attimo di smarrimento. «Ma andiamo, Emir... deve saperlo anche lui che, se si tratta di quello che sospettiamo, non ci basterebbe un anno di lavoro.»

«Già» commentò Emir causticamente. «Peccato che dovrò contrattare con lui per ottenere sei mesi, e ho bisogno di tempo.»


Emir aveva preso parte a una conferenza stampa solo una volta, qualche anno prima, per presentare pubblicamente l'introduzione di Porygon. Non gli era piaciuto molto. Non si era mai sentito portato per parlare in pubblico: era stato a disagio anche durante la sua discussione di laurea, durante la quale persino il suo controrelatore aveva ammesso di non aver nulla da controbattere alla sua tesi e la sua commissione gli aveva tributato il massimo punteggio possibile; ma parlare così, di fronte a uno stuolo di giornalisti che da un momento all'altro avrebbero potuto chiedergli qualcosa d'inaspettato, o prospettare al suo lavoro qualcuna di quelle obiezioni di carattere etico alle quali tutt'ora egli, dentro di sé, non riusciva a dare una risposta convincente, quello proprio lo angosciava.

Sul fatto che dovesse esser proprio lui a parlare, però, Dale si manteneva irremovibile, allora come anni prima: il capo del team di ricerca era lui, le notizie che riguardavano il laboratorio dovevano perciò essere pronunciate dalla sua viva voce, che fosse sicura di sé oppure no, che fosse carismatica oppure no; inoltre, per apparire vicina ai cittadini e dunque ai clienti, la Silph mirava a mantenere un rapporto capillare col territorio, ed era dunque fondamentale che i telespettatori vedessero e sentissero una personalità kantense, piuttosto che un qualsiasi membro straniero dell'équipe.

Ma contro ogni sua più angosciata previsione, la conferenza stampa fu un successo. Mew era troppo bella e troppo incantevole perché i giornalisti riuscissero a pensare a qualcosa di diverso da lei; e in quanto a quell'unica domanda ch'egli aveva veramente paventato da loro, e alla quale aveva prospettato per giorni ogni possibile risposta, non vi fu il clamore ch'egli si era aspettato. Qualche gli chiesero qualche dichiarazione riguardo all'esemplare maschio e alle circostanze della sua morte, Emir non poté fare altro che rispondere onestamente:

«L'esemplare M1 è stato il primo e inizialmente l'unico che abbiamo trovato, ma era già ferito e in condizioni estremamente gravi, sicuramente avvelenato, quando il mio collega, il dottor Lestournelle, si è imbattuto in lui. Il nostro chirurgo, il dottor Rotwang, ha lavorato per tutta la notte per salvarlo e si è comportato in modo esemplare, ma non gli è stato possibile fare di più con i soli mezzi a nostra disposizione. Abbiamo portato il corpo qui col permesso delle autorità locali per poterlo studiare, e siamo certi che potremo scoprire grandi cose sul patrimonio genetico e l'origine di questi Pokémon.»

Tutto ciò era poi, del resto, la pura verità: avevano trovato M1 per puro caso, la ferita non era stata causata dal loro operato, Rotwang aveva fatto molto più di ciò che era umanamente e professionalmente possibile fare; nessuno di loro avrebbe avuto alcun motivo per colpevolizzarsi della sua morte. Dal punto di vista legale, neppure la Silph era colpevole: nessuna legge la obbligava ad attrezzare un'équipe di ricerca di fossili con la strumentazione necessaria a curare qualsiasi Pokémon ritrovassero. Ma il senso di colpa ch'egli proprio non riusciva a rintuzzare per quella morte era tanto opprimente ch'egli si sorprese che quella sola risposta bastasse a soddisfare i giornalisti, e che non gli facessero altre domande. Eppure la verità avrebbe dovuto essere la stessa per tutti, anche per lui; ma allora perché a lui non bastava?

Ma se Emir aveva ceduto alle direttive della Silph in tutto e per tutto, presentando i risultati degli esperimento e rispondendo alle domande dei giornalisti esattamente come gli era stato, più o meno velatamente, suggerito da altri, sulle fotografie era stato chiaro fin dall'inizio della conferenza stampa: per quanto i giornalisti scalpitassero e protestassero, non avrebbe permesso di fotografare Mew da vicino. Avrebbero potuto riprenderla per tutto il corso della conferenza stampa accanto a lui, separata da loro da tutta la larghezza del tavolo, ma per la sicurezza e la tranquillità del Pokémon non si poteva concedere di più. Naturalmente Emir sapeva che questa era una bugia: Mew era il Pokémon meno stressato, e anzi più lieto della presenza umana ch'egli avesse mai visto; se l'avesse lasciata fare, sicuramente avrebbe giocato con tutti i presenti e si sarebbe lasciata coccolare e accarezzare – ma era proprio questo ch'egli mirava a impedire. Oltre a una puerile gelosia verso il Pokémon più raro del mondo, ch'egli non avrebbe avuto poi troppa difficoltà ad ammettere ad alta voce, c'era qualcos'altro che lo metteva a disagio all'idea di mostrare al mondo quanto Mew fosse docile e giocosa verso gli estranei. Certo, per il momento nessuno al mondo era nelle condizioni di farle del male; ma che cosa avrebbe detto il mondo quando si fosse reso conto che il Pokémon più raro, e forse più potente, del mondo era giocosa e tenera come un gattino particolarmente affettuoso?

«Una grande idea davvero, Emir, quella di impedire gli scatti ravvicinati» gli disse Dale con la massima soddisfazione, più tardi nel suo ufficio, davanti a un caffè freddo che Emir aveva fatto preparare appositamente per ingraziarselo. Sembrava essersi totalmente dimenticato della discussione che avevano avuto il mese precedente, per quanto amareggiante fosse stata, e questo voleva dire soltanto che era veramente soddisfatto dei risultati che avevano portato. «Non la facevo un esperto di marketing, ma pare che io debba rivalutarla da questo punto di vista. Ma voi geni sorprendete sempre noi persone normali, non è vero?»

«Non è stata una scelta di marketing, signor Dale» rispose Emir senza alcuna finta modestia. Incuriosita da quell'affascinante signore in giacca e cravatta che esitava a darle confidenza, e nel quale ella aveva subito identificato un nuovo amico con cui giocare, Mew li aveva seguiti nel suo studio, e ora stava cercando di avvicinare Dale con scarsi risultati. «Scienza e coscienza ci impongono di tutelare i Pokémon da ogni fonte di stress superfluo. Mew è estremamente a suo agio con gli estranei, come può vedere, ma non ne ha mai incontrati così tanti tutti assieme, e in più c'era il problema dei flash. Gli stimoli luminosi...»

«Sì, sì, lei ha perfettamente ragione, dottore» lo interruppe Dale con l'aria di non voler ascoltare una sola parola di più. «In ogni caso, abbiamo deciso di concedere un'intervista in esclusiva alla rivista Amico Pokémon, vi chiameranno in settimana per concordare un giorno in cui parlare con voi e scattare qualche foto... sotto la sua supervisione, naturalmente. Così potrà controllare tutto quello che vuole e accertarsi che tutto sia fatto come dice lei.»

Mew era veramente a suo agio con gli estranei, e si offendeva molto se l'attenzione che richiedeva non le veniva concessa immediatamente. Nella fattispecie, quel giorno aveva deciso che il signor Dale sembrava proprio la persona giusta con cui giocare, dato che non lo aveva mai visto, e il fatto ch'egli non riuscisse ad accennarle che qualche sorriso imbarazzato mentre lei gli fluttuava attorno, cercando in ogni modo di richiamare la sua attenzione per mezzo della lunga coda e di squittii indignati, la irritava tremendamente. Se l'avesse richiamata, Mew avrebbe smesso all'istante, ma Emir preferì lasciar perdere. Dale non sembrava infastidito da lei, quanto piuttosto impacciato e imbarazzato come qualcuno che non sapesse bene come comportarsi; il che non era poi sorprendente, considerando che uno dei suoi massimi motivi di vanto era sempre stato di non aver mai giocato, neppure una volta, con i Pokémon delle sue nipoti.

«Non è proprio una rivista scientifica, signor Dale» si limitò a obiettare in tono neutro. Non aveva voglia di discutere per quel motivo.

«No, ma è una rivista che i lettori acquistano» ribatté Dale trionfalmente. «E l'acquisteranno a maggior ragone se conterrà l'unico poster di grandi dimensioni del Pokémon più raro e più bello del mondo. Verrà qui un fotografo esperto nella ripresa di Pokémon in ambienti naturali, quindi verrà fuori un bellissimo lavoro. Sulle riviste scientifiche potete pubblicare tutte quelle altre cose che fate voi scienziati per parlare tra di voi; io non me ne intendo.»

«Già, ecco... a questo proposito, signor Dale.»

Per quello che doveva dirgli ora, Emir aveva bisogno della sua massima attenzione, e possibilmente del suo buonumore. Si passò un paio di volte la mano sulla coscia, sfregando con simulata noncuranza la stoffa dei pantaloni: Mew era estremamente incuriosita dai rumori inaspettati, ed Emir ebbe la soddisfazione di vederla destinargli all'istante tutta la sua attenzione, lasciando finalmente in pace Dale. L'accarezzò piano tra gli occhi con due dita, e Mew si acciambellò sul suo grembo con aria molto compiaciuta. «Forse dovremmo parlare di come proseguire le ricerche, ora che sono state avviate. Come le ho accennato per telefono, i risultati che abbiamo ottenuto fino a ora sono... sbalorditivi.»

«Beh, me lo dica lei, dottore. Siete voi i miei soldati sul campo, per così dire.» Dale si sistemò più comodamente sulla poltrona. «Lei è ottimista riguardo ai prossimi esperimenti?»

«Sono... un po' più che cautamente ottimista. Oserei quasi dire moderatamente ottimista.»

Dale scoppiò a ridere. «Da quando la conosco, questo è il massimo che le abbia mai sentito dire. Moderatamente ottimista, eh? Di che cosa si tratta?»

Emir esitò su cosa dirgli. «Non vorrei darle false speranze, ma... il corredo genetico di Mew sembra molto interessante. Forse potremmo ottenere qualcosa sul modello della famiglia evolutiva di Eevee, ma...»

Se Dale fosse stato un Pokémon, ora avrebbe drizzato le orecchie e si sarebbe messo in allerta come sotto una minaccia. Ma minacce non ce n'erano, ed egli chiese: «Eevee? Ho capito bene?»

«Non si ecciti troppo, la prego» si affrettò a interromperlo. «Abbiamo solo indizi vaghi per ora, nulla che ci faccia davvero pensare a un'applicabilità come quella di Eevee, ma ci sono delle speranze, questo sì. Per ora le analisi hanno evidenziato delle compatibilità molto interessanti con svariati Pokémon, ma naturalmente dobbiamo tenere in conto il fatto di avere a disposizione un solo esemplare. Questo ci rallenta considerevolmente. Per questo motivo volevo chiederle come intendete indirizzare il nostro lavoro.»

Dale era eccitato come un bambino che avesse in mano un regalo totalmente inaspettato che non avesse il coraggio di scartare.

«Che cos'è che sperate, esattamente?»

Era esattamente dove Emir voleva portarlo, sull'orlo di quella trappola dalla quale non gli sarebbe stato possibile dire di no a nessuna richiesta. Negli ultimi sei anni, Emir aveva ormai imparato ad approfittare del vantaggio acquisito su di lui e a manovrarlo nel miglior modo possibile; stringendosi nelle spalle, egli abbassò lo sguardo sulle proprie dita che giocherellavano con le piccole zampe di M2 e rispose: «Per il momento, il DNA di Mew ha presentato compatibilità con quello di ben tre Pokémon scelti in modo del tutto casuale. Naturalmente non abbiamo potuto proseguire in questa direzione in questo lasso di tempo, ma...»

«Basta così.»

Emir osservò il signor Dale alzarsi in piedi e percorrere l'ufficio a grandi passi, strofinandosi le mani: egli non era uno scienziato e tutto il suo interesse in quel laboratorio era legato al ricavo che ne derivava alla Silph, ma era perfettamente in grado di intuire le potenzialità di un progetto quando queste gli venivano prospettate chiaramente. «Cerchiamo di capirci bene, Emir. Quali sarebbero le conseguenze di una scoperta del genere, secondo lei?»

Sforzandosi di non tradire la minima sfumatura d'apprensione a questo riguardo, Emir replicò:«Potenzialmente illimitate, sicuramente imprevedibili.»

«Imprevedibili, eh?» Dale si fermò bruscamente in mezzo alla stanza. «E di quanto tempo avreste bisogno per disporre di dati più certi?»

«È proprio per questo che volevo parlarle chiaramente, signore... i tempi stretti sono un limite non indifferente quando si tratta di dati così sensibili.» Dale ebbe uno scatto d'impazienza mentre riprendeva a passeggiare per non guardarlo, ed Emir si affrettò a correggere il tiro.«Voglio dire, lei s'immagina che cosa accadrebbe se dovessimo annunciare, per esempio, che Mew è capace di evolvere in più di un Pokémon, per poi dover ritrattare tutto sei mesi dopo?»

«Il suo team non ha mai commesso errori» obiettò Dale nervosamente.

«Non abbiamo neppure mai lavorato con gli occhi dell'intero mondo addosso» gli ricordò Emir candidamente.

Di fronte a quell'obiezione, neppure Dale poteva più trovare alcunché da ribattere. Continuò ad aggirarsi nervosamente qua e là per il suo ufficio, ma sempre meno risolutamente, e infine finì per fermarsi.

«Cielo, deve proprio farmelo dire, non è vero, Emir?» chiese ironicamente. «Come vuole, allora, avete carta bianca, e tutto il tempo che vi occorre... ma se le cose stanno così avrò bisogno di essere aggiornato molto più spesso sui risultati. Lei spesso se ne dimentica, ma io ho garantito per questo laboratorio, e ho anch'io, come lei, qualcuno a cui rendere conto. Io m'impegno per lei di fronte agli azionisti, ma se non ci saranno risultati, dottore...»

«I risultati ci saranno, signor Dale. Ha la mia parola.»

«Voglio tanto crederle, dottore.»

La concessione che gli era appena stata strappata sembrava averlo lasciato stremato, come dopo una lunga malattia. Appoggiandosi alla sua scrivania, Dale osservò a lungo Mew, che giocava con una penna sulle ginocchia di Emir, e trasse un lungo sospiro incerto. «Beh. A questo punto, se non le spiace... sarà meglio che vada, prima che cambi idea.» Ma poi, solo un attimo prima che Emir facesse in tempo ad alzarsi per accompagnarlo alla porta, un pensiero nuovo gli balenò in fondo agli occhi, e si fermò. «Anzi no, aspetti... stavo per dimenticare. So che lei non legge molto i giornali, ma ha saputo quel che ha scritto il signor Fuji riguardo a Mew?»

L'ultimo articolo di protesta di suo padre aveva trovato sui giornali una grandissima risonanza, ma all'ondata di sotterranea indignazione che avevano destato le sue parole, Emir lo sapeva, non avrebbe fatto seguito alcunché. L'elevata moralità di suo padre, che aveva salvato ampi gruppi di Pokémon selvatici dagli abusi di Team Rocket o dalle devastazioni dei loro habitat naturali e che era perciò celeberrimo e amatissimo in tutta Kanto, non poteva destare nient'altro che viscerale e istintiva approvazione nelle plasmabili masse; ma quanto a influenzare veramente i gusti degli acquirenti, o addirittura veri dibattiti politici, questo era al di fuori di ogni portata, ed Emir aveva smesso ormai da tempo di sentirsi soffocare dall'ombra di suo padre.

«Mio padre ha sempre avuto un certo talento per mettersi in ridicolo, già» ammise con ostentata degnazione. «Ha notato che mi chiama per nome e cognome per dimostrare che non gli importa che io sia suo figlio? A ogni modo mi spiace molto, signor Dale. Mi spiace che getti discredito sul nome dell'azienda.»

L'articolo gliel'aveva portato Portia qualche giorno prima, forse reputando che sarebbe stato meglio per lui venire a sapere di quel disgustoso panegirico dalle labbra di un'amica piuttosto che dagli sguardi di tutto il paese; ed Emir l'aveva ringraziata e tranquillizzata, aveva letto il giornale e poi l'aveva gettato nel cestino, senza neppure scomporsi troppo. Quelle che aveva scritto suo padre erano solo parole, nient'altro che discorsi vacui e altisonanti che sarebbero stati dimenticati nel giro di una settimana lasciando tutto perfettamente immutato; ma di fronte a Dale si sforzò almeno di mostrarsi contrito.

«Già, abbiamo tutti dei casi del genere in famiglia, eh?» commentò Dale. «Ma senta, se lei gli parlasse non l'ascolterebbe? Non le chiederei una cosa tanto privata se non fosse importante. Non vorrei sembrarle paranoico, ma lei capisce... dai giornali ai talk show il passo è breve, e in televisione è tutta un'altra storia...»

«Io e mio padre non ci rivolgiamo la parola da quando sono partito» gli ricordò Emir; ma di fronte allo sguardo supplice di Dale, che in fin dei conti si era appena piegato ad acconsentire alla sua richiesta, si sentì in dovere almeno di prendere in considerazione questa possibilità. Non l'avrebbe fatto egualmente, ma sarebbe servito quantomeno a tenerlo buono per un po'. «Comunque sia... posso provare. Ma devo dirle subito che non credo che mi ascolterà» si affrettò a specificare preventivamente.

Questa sola promessa bastò comunque a tranquillizzare un poco Dale, che poteva almeno lasciare l'Isola senza sentire di esser stato sconfitto su tutta la linea. «La ringrazio, Emir. A questo punto è davvero meglio che vada, non le pare?»

Era l'ora, prima che intervenisse qualsiasi mutamento di ordine infinitesimale nell'atmosfera della stanza a fargli cambiare idea. Scostando gentilmente Mew, che dovette accomodarsi sulla scrivania con uno stridio di protesta, Emir si affrettò ad alzarsi. «Ma certo. Venga, l'accompagno.»

«Oh, no, no. La ringrazio, ma è meglio che si metta subito al lavoro. Mi farebbe sentire un po' più tranquillo» rispose Dale in un patetico tentativo di scherzare. Emir si sentì quasi dispiaciuto per lui. Sembrava che l'avergli concesso un periodo di tempo così ampio per la ricerca – perché un lasso di tempo indeterminato, per la Silph SpA, non corrispondeva che a sei od otto mesi di lavoro al più – lo avesse devastato come vendere la verginità di una sua propria figlia. Si sforzò di assumere un'aria sicura di sé per tranquillizzarlo.

«Non si preoccupi, signor Dale. Le garantisco che siamo già tutti al lavoro su Mew.» O almeno lo sarebbero stati, non appena lui e Dolarhyde avessero illustrato a tutti i loro esperimenti riservati; ma non era precisamente una bugia.

«Molto bene» ribadì Dale con scarsa convinzione. «Allora... mi faccia risapere qualcosa la prossima settimana, va bene?»

Dopodiché, dopo un'interminabile esitazione, come vincendo un'istintiva ripugnanza, si chinò sulla scrivania, da dove Mew seguiva tutti i suoi movimenti con espressione imbronciata e offesa, e l'accarezzò due volte sul capo. Fu un gesto tanto goffo e privo di spontaneità che persino Mew ne rimase stupefatta; ma Dale, che pareva aver riscosso la massima soddisfazione da quel gesto, si avviò alla porta con aria incredibilmente gongolante.

«Siamo d'accordo allora, giusto, Emir?»

Ancora troppo inorridito dal gesto che gli aveva appena visto fare per poter articolare una frase di senso compiuto, Emir si sforzò di balbettare: «Na... naturalmente.»

Senza aggiungere nient'altro, Dale gli rivolse un sorriso speranzoso e chiuse la porta dietro di sé.

Per un po', Emir rimase a fissarsi negli occhi con una Mew ancora un po' stupefatta dal comportamento di Dale; ma infine al suo sguardo interrogativo Emir risponse stringendosi nelle spalle con aria rassegnata, ed entrambi lasciarono perdere, come a concludere entrambi, simultaneamente e tacitamente, che di quel gesto inusitato e goffo e insospettabilmente affettuoso non c'era modo di venire a capo. Mew era straordinariamente empatica da questo punto di vista, e più di una volta egli si era ritrovato ad accorgersi che era dotata di una capacità di decifrare l'espressività facciale in tutto paragonabile a quella di un essere umano. Era un Pokémon estremamente intelligente, per quanto si comportasse come un cucciolo.

«Si vede che gli sei molto simpatica» commentò Emir, e Mew annuì vigorosamente.

Sulla capacità di Mew di farsi amare e proteggere praticamente da chiunque entrasse in contatto con lei non c'era molto da stare a riflettere: gli appariva come un mistero insondabile ormai da quando l'avevano trovata, ed Emir, quel giorno, era un po' più stanco del normale. Poteva concedersi di non riflettere sui grandi misteri del mondo dei Pokémon e della biologia per un pomeriggio, dopo tanto tempo.

«Andiamo a trovare Valérien?» propose allegramente. La piccola vittoria che aveva riportato lo rendeva insospettabilmente soddisfatto di sé, e a quella sensazione di serenità poteva concedere almeno qualche ora di tempo, prima di tornare all'angoscia del lavoro dei giorni seguenti. «Vediamo se ha voglia di giocare con noi oggi. Che ne pensi?»

Mew trillò di gioia.



Buonasera a tutti!

Capitolo un poco di passaggio, ma posso anticiparvi che non vedo l'ora di finire di sistemare e iniziare a copiare il prossimo, che è uno dei miei preferiti!

Riguardo a questo posso specificare un paio di cosette: la prima è che Amico Pokémon è una rivista che si trova effettivamente nelle case di molti NPG nel gioco. Nel corso della stesura del capitolo ho dato qualcosa come sette nomi diversi a questa rivista, senza che nessuno mi convincesse, prima di ricordarmi che potevo tranquillamente attingere a materiale canonico preesistente. (Ormai saprete che sono un po' fissata con questi dettagli).

Sebbene forse sia già abbastanza chiaro e intuitivo dal testo, volevo chiarire un po' anche il riferimento a Dragonite come Pokémon più forte del mondo, come viene descritto nel capitolo. Ho cercato di attenermi il più fedelmente possibile anche al metagame della sola prima generazione, in cui Mew e Dragonite erano gli unici a possedere la somma di statistiche di base pari a 500: la loro forza dovrebbe perciò essere equiparabile, ma prima della scoperta di Mew Dragonite sarebbe stato, secondo questa logica, il Pokémon più forte di tutti quelli noti (anche più forte dei tre Uccelli leggendari). Lo scrivo solo per chiarire questo dettaglio; in ogni caso, potete controllare la lista dei Pokémon in base alle loro statistiche qui.

Detto questo, non posso che ringraziare cristal_93 e Mad_Dragon per le loro recensioni, ricevere opinioni e critiche costruttive è sempre un piacere!

Un abbraccio enorme a tutti e alla prossima


Afaneia

   
 
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