Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Mordekai    24/03/2018    0 recensioni
''Il destino della Fiamma d’Ambra era incerto.''
Una nuova avventura per i nostri due giovani eroi di Huvendal ha inizio, ma il destino ha deciso di farli separare. Arilyn, dopo il breve incontro con suo padre, Bregoldir e Rhakros, si addormenta con il sorriso sulle labbra in quel regno ultraterreno. Essendo viva e non uno spettro, i suoi ricordi saranno molto confusi. Solo uno shock violento permetterà alla giovane Thandulircath di recuperare i ricordi, ma fino ad allora lei si ritroverà in un regno diverso dal solito, minacciato da oscuri presagi che impregnano d'odio, terrore e violenza la terra bronzea.
Genere: Angst, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Draal In'llolus Gaeur. Regno dei Rovi Bianchi. Arena del Torneo.

C’era gran fermento nel Regno dei Rovi Bianchi, le strade e i vicoli gremivano dei suoi cittadini intenti ad assistere all’imminente spettacolo e ad elogiare il campione indiscusso: Galeren. Nell’arena circolare, sulla sabbia bianca erano già pronti i migliori gladiatori pronti a scontrarsi con i prigionieri e chi sarebbe vissuto fino alla fine, avrebbe sfidato il Generale. Sugli spalti tutti lo acclamavano, mentre era seduto nella sua tribuna d’onore e attendeva solo l’arrivo della Regina:

‘’Il tuo comportamento di ieri sera è stato molto sgarbato, Malrin. Perché sei fuggita dal banchetto?’’- domandò l’uomo alla ragazza dai capelli corvini.

‘’Ero alquanto disgustata da ciò che consideravate puro, padre.’’- rispose la giovane, cercando di frenare un bagliore nero come la notte dalle sue mani, per evitare altri futili richiami. Il generale e re del popolo dei Rovi Bianchi chiamò un Liuthen del Ghiaccio e gli ordinò di usare il suo potere non appena i prigionieri fossero entrati in campo. L’uomo indossava una divisa nera e azzurra, con ricami argentei sul simbolo del suo potere mentre, al posto del comune cappuccio, indossava una maschera nera che gli consentiva di vedere perfettamente quello che aveva davanti:

‘’Perdoni la mia villania sire, ma gli esperti Liuthen come me, richiedono sempre un compenso per servigi di qualsiasi genere.’’- esordì con voce distorta dalla maschera, osservando con i suoi occhi rossi il Re seduto alla sua sinistra.

‘’Riceverai due lastre di titanite e cinquanta monete di platino per il tuo servizio.’’- rispose il generale, mentre alle sue spalle giunse un servo con le due lastre perfettamente protette e legate da un pezzo di seta in una mano e nell’altra un piccolo sacchetto con le monete scintillanti. L’esperto Liuthen annuì alla loro vista e iniziò a concentrarsi per creare un perfetto spettacolo innevato. Mentre tutti sorridevano, la ragazza restò sorpresa e amareggiata da quel compenso eccessivo per una singola persona. In quel momento sopraggiunse anche la Regina, con il suo abito cerimoniale color cremisi e una piccola corona argentata con centinaia di piccole gemme incastonate.

Tutti i prigionieri, una volta svegliati bruscamente dal battere incessante di uno dei soldati sul metallo, vennero disposti in file da tre persone, i più vecchi davanti e i giovani dietro. Darrien non sembrava minimamente stanco, solo desideroso di mettere fine ad un torneo inutile.

‘’Un torneo per decretare il più forte. Baggianate.’’- disse tra sé e sé, osservando tutti i partecipanti emaciati e che a malapena riuscivano a reggere uno scudo ammaccato.

‘’Taci prigioniero se non vuoi essere decapitato.’’- replicò acido uno dei soldati, puntandogli la lama di un’ascia alla gola. Tale superiorità gli si rivoltò contro quando Darrien afferrò il suo polso e, sfruttando il suo potere, riuscì ad ustionarlo facendogli perdere la presa sull’arma. Un montante violento lo mandò al tappeto, facendogli sputare qualche dente. Il ragazzo prese l’ascia e gettò via il ferro arrugginito che doveva servirgli per la battaglia.

‘’Mi tornerà utile.’’- disse, osservando il filo e lo stato dell’arma. L’impugnatura era di legno con del cuoio intrecciato per rendere la presa meno scivolosa.

Quando suonò un corno, i cancelli si aprirono: sole e neve accolsero gli sfidanti, e i Campioni agitavano le loro armi lucenti in preda alla frenesia di poter spargere sangue e brandelli di carne ovunque, coronarsi delle loro inutili interiora. Le loro armature sembravano molto resistenti e l’unica cosa che si poteva vedere sotto i pesanti elmi decorati erano i loro occhi folli.

‘’Ricorda ragazzo, vince chi usa l’astuzia al posto dei muscoli. Non importa se hanno sfruttato un Liuthen del ghiaccio per rendere il tutto più allettante, tu combatti e dimostra di essere realmente ciò che hai detto.’’- esordì l’anziano prigioniero, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Darrien annuì flebilmente, le parole gli morirono in gola. Una assordante tromba annunciò l’inizio del torneo: gladiatori e prigionieri si scontrarono con le loro spade e i loro scudi, alzando cumuli di neve che volteggiarono in piccoli mulinelli trasparenti. Il primo a cadere fu proprio l’anziano saggio, trafitto senza scrupoli nello sterno e scaraventato contro le pareti.

‘’Sei solo putrida carne da macello.’’- sibilò un gladiatore con indosso una corazza che proteggeva il suo vigoroso corpo, lasciando scoperte le gambe e parte dei fianchi. Quei punti scoperti permisero al ragazzo di effettuare un fatale contrattacco affondando la lama nel fianco e sventrandolo da parte a parte. Alcuni spettatori gioirono, altri furono sorpresi dalla sconfitta del gladiatore ma nulla impedì le grida di gioia per quello spettacolo immonde.

‘’Gli esseri umani sono solo mostri sotto mentite spoglie, Darrien…’’- ricordò le parole della Figlia della Luna mentre osservava come la follia avesse un corpo e una voce, maledicendo sé stesso per confermare la verità. Una freccia sfiorò il suo fianco, lacerando il tessuto e la pelle, mentre altre due finirono nella neve con un piccolo tintinnio. Uno dei lottatori, con indosso un elmo che sembrava la testa di un serpente, ricaricò la sua Avelyn e scoccò altri tre dardi verso il ragazzo che avanzava. Gettò via l’arma quando mancò nuovamente il bersaglio e afferrò da sotto il manto gelido un pesante tridente in bronzo con incisione sulle punte e sull’asta. I due lottatori diedero spettacolo delle loro abilità combattive, ma quando i rebbi della lancia riuscirono a incastrarsi tra la lama ricurva e il manico dell’ascia, il ragazzo non mollò la presa e cercò di farsi leva con tutte le sue forze. La rabbia, il disgusto e la delusione si impadronirono di lui, tingendo i suoi occhi di un nero così imperscrutabile da creare piccole venature sotto di essi che fecero abbassare la guardia al suo avversario. Riuscì a liberarsi da quella presa e con un mulinello riuscì a sgozzarlo; l’impatto fu così violento da staccargli la mandibola e farla volare dall’altro lato del campo.

‘’Chi è quel prigioniero?’’- domandò improvvisamente la Regina, percependo un qualcosa che sembrava esser rimasto sopito per anni dentro di lei, una sensazione familiare.

‘’Non lo so, ma è davvero bravo. Arciere, vieni qui!’’- disse Galeren, ordinando con un cenno della mano al soldato di avvicinarsi.

‘’Sì, mio sire?’’- chiese l’arciere, tenendo già pronto il suo arco lungo.

‘’Se quel prigioniero dovesse ucciderne un altro dei miei preziosi gladiatori, non esitare a colpirlo nel cuore.’’- impartì l’uomo, visibilmente preoccupato per la morte dei suoi uomini. Altri prigionieri venivano massacrati dalla furia dei reziari rimasti, che li trafiggevano e scaraventavano il loro cadavere contro le mura innevate. Uno di questi, con indosso una minacciosa lorica dorata e bordata di pelliccia rossa, indicò Darrien come prossimo obiettivo: colpì la testa piatta del martello d’armi con il palmo della mano, con fare minaccioso. D’un tratto il ragazzo ricordò di avere un pugnale da lancio nascosto sotto la divisa e, non appena vide il combattente avanzare a grandi falcate, sfoderò il pugnale. Chiuse gli occhi, concentrandosi solo sui rumori prodotti dall’avversario.

‘’Restare immobile non ti salverà da morte certa!’’- urlò il gladiatore, alzando il martello lucente pronto ad un fendente.
Darrien scagliò il pugnale dritto nella sua gola, affondando fino al tallone dell’arma. Rivoli cremisi rigarono il suo petto e la sua bocca, cadendo nella neve e creando dei piccoli fiumi rossi in una distesa di bianco. La corsa dell’avversario si arrestò a pochi centimetri da lui, cadendo sulle ginocchia. La morte aveva già posato il suo velo opaco sull’uomo che, come se non pesasse nulla, si accasciò nell’arena. Erano rimasti solo due gladiatori e cinque prigionieri che avevano osservato la scena senza
muovere un muscolo:

‘’Uccidilo.’’- disse Galeren all’arciere che scoccò rapido due dardi, senza esitare. Nuovamente l’oscurità serpeggiò dalle mani di Darrien e con un semplice movimento del braccio sprigionò un fascio d’energia che distrusse le due frecce. Il silenzio si impadronì di quel torneo fatto di massacro, sangue e privo di dignità, lasciando interdetti l’arciere e il Re dei Rovi Bianchi; quest’ultimò digrignò i denti in preda alla rabbia e ordinò ai suoi gladiatori di rientrare, mentre i prigionieri vennero liberati dalla loro condanna.

‘’Un prigioniero che riesce per la prima volta a sconfiggere tre dei miei cinque migliori gladiatori. Sono sorpreso, ma allo stesso tempo iracondo. Per evitare un’altra perdita, lotterai contro di me!’’- esordì a gran voce il Re Galeren, mentre scendeva a testa alta dalla scalinata della tribuna, estraendo due spade lucenti. Darrien studiò il suo avversario, coperto solo da spalliere e gambali d’oro, che gli offriva una spada dalla lama lunga e sottile. Non appena la sua mano si posò sull’elsa, il Re e generale dei Rovi Bianchi sferrò una ginocchiata contro di lui, ma Darrien fu rapido ad evitare il colpo e a contrattaccare colpendo il ventre dell’uomo. Del sangue macchiò la lama del ragazzo, provocando maggior ira in Galeren che reagì con diversi affondi e montanti, alzando cumoli di neve che gli fecero perdere di vista il giovane:

‘’Tu non sei un prigioniero qualunque, vero? La tua morte sarà dunque onorevole. Fatti vedere così che possa sventrarti come si fa con i vit…’’- si paralizzò improvvisamente per un lacerante dolore alla spalla, provando una sensazione di freddo e stupore mai provati prima. Quando la nube di cristalli bianchi si dissipò, notò il ragazzo fermo, impassibile, con la spada ben tesa e conficcata nella spalla che sanguinava:

‘’Parli troppo e agisci poco. Come pretendi di essere un generale?’’- domandò Darrien con freddezza, affondando la lama fino al medio, mentre il sangue sgorgava copioso dalla ferita. Stava per colpirlo sulla testa con l’ascia che brandiva nell’altra mano, finché una voce femminile cessò quello scontro:

‘’Fermo! Basta così! Troppo sangue è stato sparso oggi…non voglio vederne altro.’’

Il ragazzo alzò lo sguardo prima verso la donna che lo implorò di fermarsi, poi notò il suo bracciò bloccato da un fascio nero e blu scuro e, successivamente, osservò che un’altra donna si stava concentrando per tenerlo bloccato. Darrien si liberò facilmente da quella presa magica e gettò via l’ascia da combattimento ed estrasse anche la spada dal corpo di Galeren che tremava dal dolore.

‘’Tu…sei proprio tu. Sei vivo.’’- disse la donna, sorridendo incredula.

‘’Sì, madre.’’- rispose Darrien, gelido. La rabbia serpeggiò sul suo volto con linee scure come la pece, notando che lo stesso destino era piombato su quella ragazza dai capelli corvini. Tutti rimasero stupiti da quella rivelazione, soprattutto il Re e la figlia.

‘’Sei un folle a pensare che lei sia tua madre, ragazzo. Lei ha vissuto e regnato per anni in questo meraviglioso e puro luogo, non è così Calithilbes?’’- domandò Galeren, leggermente indebolito dalla ferita inferta dal suo avversario. La donna prima guardò il suo popolo, poi il Re e infine sua figlia che era ancora incredula nell’aver scoperto di aver un fratello.

‘’No, mio amato. Lui è realmente mio figlio.’’- rispose, sospirando. Tutti i presenti negli spalti bisbigliarono tra loro, dubbiosi sulla veridicità. Molti pensavano fosse tutto pianificato, mentre altri disapprovavano tale opinione. La donna ascoltando il brusio incessante, alzò la manica sinistra del suo abito cremisi, mostrando lunghe cicatrici che si ramificavano dal braccio fino a giungere al polso. Il ragazzo, senza dire nulla, percepì che avrebbe dovuto fare lo stesso: si tolse il guanto e alzò la manica sinistra mostrando le stesse cicatrici, leggermente più chiare ma che si estendevano fino al dorso della mano.

‘’Venti anni. Sono passati venti anni da quando hai deciso di abbandonarmi e perché? Perché non avevi il fegato di resistere a quell’inferno congelato. Il Re di Huvendal, Searlas, è stato l’unico a non volermi lasciare nella morsa della Regina di Ghiaccio e mi ha accudito, addestrato e considerato suo figlio. Ciò che non sei stata capace di fare e, per volere del destino, anche lei ha i miei stessi poteri. Sappi che non ti perdonerò mai per quello che hai fatto.’’- concluse il ragazzo avvicinandosi, tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi. Dei soldati in livrea argentea bloccarono la sua avanzata puntandogli delle lance acuminate per proteggere la regina.

‘’Fermi. Abbassate le vostre armi e conducete il vincitore del Torneo nel palazzo. Dite alle serve di preparargli un bagno caldo, degli abiti puliti e del cibo fresco. Dopodiché conducetelo nel mio alloggio. È un ordine soldati. Invece voi prigionieri siete liberi da questo massacro. Andate.’’- disse improvvisamente la ragazza dai poteri oscuri, anticipando i suoi genitori nel prendere una decisione. I soldati obbedirono e scortarono Darrien nel palazzo, mentre quei pochi prigionieri rimasti gioirono e abbandonarono la struttura, in completo silenzio. Non appena tutti lasciarono il complesso, Galeren esordì furibondo:

‘’Perché non mi hai mai detto di avere già un figlio? Io odio ogni genere di segreto, soprattutto quando si tratta di legami di sangue. Perché Calithilbes? Rispondi!’’

‘’Per proteggervi da una maledizione che continua a risiedere nella mia anima, ma ho fallito. Volevo solo dimenticare il passato…’’

‘’E dimenticare l’esistenza di un figlio? Voi la chiamate purezza, madre?’’- domandò Malrin, contrariata da tale affermazione.

‘’La purezza chiede sempre un sacrificio e, per mantenerla tale, ho sacrificato il mio passato. Era una fiamma sopita, ma rivederlo è stata la scintilla che ha fatto divampare quel falò flebile del mio animo. Un giorno comprenderai anche tu, quando sarai regina.’’- replicò la donna, alzando la testa fiera della sua risposta.

‘’Ma non è questo il giorno.’’- disse sua figlia, scuotendo la testa, amareggiata. Osservò le sue mani che brillavano fiocamente, la stessa luce oscura che emanava Darrien, la stessa maledizione. Lasciò i suoi genitori in quel deserto di neve e pietra, dirigendosi nel suo alloggio; Galeren si mise al fianco della sua amata e, nonostante la delusione che stava provando, le sorrise facendole comprendere che non l’avrebbe abbandonata.

‘’Non devi forzare te stesso. Avverto chiaramente ciò che provi e…’’

‘’Nonostante la delusione per avermi mentito sull’esistenza di un altro figlio, siamo pur sempre una famiglia che ha affrontato e affronterà altre peripezie. Il nostro regno si basa anche su questo.’’- la interruppe l’uomo, stringendo la mano nella sua e dandole un bacio sul dorso. Altri servitori giunsero nel luogo per rimuovere le carcasse sanguinolenti dei gladiatori e ripulire i resti dei prigionieri, mutilati e irriconoscibili per i colpi inferti.

Nell’immenso palazzo, Darrien osservava la sfarzosità delle mura, in pietra marmorea con intarsi in oro e madreperla, sculture così dettagliate da sembrare vive fatte di cristallo e argento, luminosi candelabri in ottone lucidato e un gigantesco lampadario a foggia di corona, con decorazioni floreali di giada. Quello che lo stupì maggiormente furono i servi che indossavano abiti di seta ben lavorata, di colori diversi ma tutto con uno stemma che identificava l’appartenenza al regno: una fascia bianca sul braccio. Rispetto al popolo che aveva un sigillo con la professione che esercitavano, i servi dovevano essere i soli a non averne. Dopo il bagno caldo, capelli pettinati e tagliati, il ragazzo trovò nell’alloggio della sorellastra nuovi indumenti: una camicia a girocollo di lino, un pantalone nero, stivali dal tacco in ferro, un mantello con cappuccio a girandola non troppo lungo da ostruire i movimenti, una coppia di bracciali di cuoio rinforzati e infine dei guanti neri comodi da sembrare una seconda pelle.

‘’Il bianco non mi dona, ma dovrò accontentarmi.’’- disse, osservandosi allo specchio. Aveva un aspetto riposato, ma gli occhi tradivano una profonda tristezza e rabbia malinconica. Andò a sedersi sul letto al centro della stanza, attendendo l’arrivo della ragazza.

Lynmes Alno. Regno dei Rovi Rossi. Concilio delle Sette Sorelle. Mezzodì.

Il sole del mezzodì splendeva alto nell’azzurro firmamento, riflettendo i suoi caldi raggi sulle finestre delle taverne, delle ville e sui rosoni dalle vetrate colorate delle chiese del regno. I bambini giocavano a rincorrersi tra le strade trafficate, serpeggiando tra i commercianti intenti a vendere i loro ortaggi o strumenti da lavoro. Più avanti un fabbro dava dimostrazione delle sue doti creative, forgiando armi dalle forme complesse, scudi simili a cortecce d’alberi oppure giavellotti dalla punta retrattile:

‘’E questo è solo una parte dei miei progetti, cari cittadini.’’- disse a gran voce, mentre immergeva altro ferro bollente nell’acqua che sfrigolò rumorosamente.

La città brulicava di vita e di armonia, in lontananza dei menestrelli cantavano le loro avventure e gesta eroiche in paesi o villaggi più piccoli, intrattenendo adulti e bambini. Arilyn restò ad osservare meravigliata di come nessuno fosse preoccupato dell’imminente oscurità che avrebbe fatto cadere le sue scure sulle loro schiene. Quel pensiero negativo svanì quando la cavalcata si interruppe improvvisamente:

‘’Siamo arrivate. Quello è il Concilio.’’- esordì Imryll, osservando il gigantesco palazzo, sorvegliato assiduamente da soldati con corazze molto diverse da quelle della masseria, in groppa a dei favolosi e terrificanti destrieri. Le guardie riconobbero la Curatrice Bianca e una di loro si parò davanti, chiedendo:

‘’Sono leggero come una piuma e posso essere forte, breve o profondo. Porto la vita, ma nessuno può tenermi a lungo. Cosa sono?’’

‘’Il respiro.’’- rispose la Curatrice Bianca, sicura e con gli occhi fissi sulla sentinella a cavallo. Un cenno del capo fu l’esito positivo dell’indovinello e a precederle fu lo stesso soldato che le condusse fino all’ingresso. Il Concilio aveva la forma del fiore di rovo, ovvero cinque petali dipinti di rosso che terminavano in sezioni tondeggianti, al centro di essi vi era una cupola di vetro trasparente che brillava alla luce del sole sembrando quasi una gemma incastonata da qualche divinità.

‘’Vi chiedo di lasciare i cavalli al nostro scudiero Midone, lui si occuperà di tenerli nelle stalle su retro.’’- disse il soldato, smontando dal suo stallone e porgendo le redini ad un giovane dai capelli neri con indosso un’armatura leggera e un caftano violaceo, lo stesso che indossavano le Sette Sorelle. Uno dei servitori all’ingresso aprì il portone e lasciò che vi entrassero: Arilyn notò che il servitore e il soldato la osservavano sospettosi della sua provenienza e dell’assenza della fascia rossa sul braccio. I loro passi risuonavano nel grande corridoio decorato da quadri e candelabri di rame, mentre in lontananza si sentivano delle voci femminili discutere in modo concitato. Più si avvicinavano, più le voci diventavano cristalline:

‘’Legionario Dewdrop, sa perché è di nuovo qui?’’- domandò la Sorella Maggiore, in piedi sulla pedana di marmo, mentre tutte le altre erano sedute, con le mani incrociate e con il loro sguardi gelidi verso il soldato.

‘’No, Signore.’’- rispose con voce cavernosa da dentro l’elmo fatto di fitti rovi rossi. Quando Daernith notò l’avvicinarsi di Imryll ed Elfriede con un’altra ragazza, sbarrò gli occhi per la sorpresa. Il cavaliere volse lo sguardo verso le tre donne che erano alla sua sinistra: varie furono le sensazioni che provò in quel momento, dato che l’intera armatura sembrò prendere vita e le spine arcuate brillare e inspessirsi maggiormente. Hallothel, la seconda sorella che sedeva alla sinistra della Maggiore, con un cenno della mano congedò il soldato, ancora innervosito dalla presenza delle tre donne.

‘’Ordunque, abbiamo l’onore di conoscere l’ospite del nostro regno. Avvicinati, per favore.’’- esordì nuovamente la Sorella Maggiore, riprendendo il controllo di sé stessa e invitando con un sorriso Arilyn ad avanzare. Non appena lo fece, Daernith scese dalla pedana e raggiunse la ragazza. Aprì le mani e le poggiò sulle tempie della giovane Thandulicath:

‘’Non sentirai dolore, giovane ospite. Ora chiudi gli occhi.’’- disse la donna tranquillizzandola per poi concentrarsi. Arilyn obbedì: sentì diverse sensazioni come sicurezza, calore e protezione. Ci fu un lampo improvviso di luce bianca che invase la sala dei troni, lasciando sconcertate le altre Sei Sorelle; potevano percepire l’immensa forza che scaturiva dalla ragazza, il suo passato, ogni suo dolore, delusione e rammarico. Pochi secondi dopo il fulgore svanì e Daernith arretrò di pochi passi, tenendosi una mano sul cuore.

‘’Per l’amor della Fiamma d’Ambra. Il tuo è un passato burrascoso e la tua anima, nonostante sia forte, è in perenne agonia per la perdita di persone a te care. Sei stata in grado di sconfiggere due fratelli che assediavano il tuo regno di provenienza. La Regina Tyrahieh e…il Re della Prima Fiamma Gallart.’’- disse, cercando di tranquillizzarsi dopo aver visto il suo passato. Non appena furono nominati i due tiranni, le Sorelle rimasero nuovamente incredule:

‘’Cosa? Lei è stata in grado di sconfiggerli?’’- domandò Mylgred alzandosi. Sua Sorella Erthaor la fermò con un cenno della mano e decise di avvicinarsi. In silenzio prese le mani di Arilyn, le strinse nelle sue e sorrise, avvolgendole in un flebile bagliore dorato:

‘’Io sono Erthaor, la quinta sorella, unificatrice degli animi. Il tuo è un cuore puro giovane Araldo della Luce, nessun oscuro segreto ha tinto la tua anima e, pertanto, il Concilio accetta di averti nel regno dei Rovi Rossi. Benvenuta.’’- disse con armonia. Batté le mani un paio di volte e dall’oscurità comparve il messaggero del Concilio, sorpreso dalla presenza delle donne.

‘’Morkai, fidato messaggero, per cortesia porta alla nostra giovane Arilyn degli abiti puliti, la spilla del regno e comunica al fabbro della città di forgiarle una spada, ma sarà lei a scegliere come. E, in più, dobbiamo donarle un aspetto più curato e vigoroso.’’- furono le parole della donna, lasciando interdetta Hallothel e Mylgred: dopo un lungo silenzio, sentirono nuovamente la voce della loro sorella. La giovane Thandulircath arrossì per l’imbarazzo, ma aveva ragione il suo aspetto era trasandato. Il messaggero anticipò la richiesta e, da dietro una colonna della sala dei troni, trascinò un baule di legno meticolosamente curato e pulito:

‘’Mi sono permesso di anticipare la Vostra richiesta, come ho sempre fatto. Non bisogna far attendere oltre un nuovo ospite o meglio, membro del regno dei Rovi. All’interno di questo baule troverà abiti cuciti con maestria, la spilla e una pergamena con i nomi del fabbro, della zaros e dei culiars. Vogliate scusarmi adesso, ma devo andare ad informarli di questo piacevole evento.’’- disse il ragazzo con un mezzo sorriso, nonostante i suoi occhi esprimessero freddezza. Privo di emozioni.
Lo scudiero che si occupava dei cavalli venne chiamato dalle Sette Sorelle che gli ordinarono di procurarsi un mulo da trasporto e legarlo alla sella del cavallo della Curatrice Bianca e accompagnarle nel viaggio di ritorno; Imryll volse lo sguardo alle sue spalle, notando nella penombra ancora il generale in armatura, percependo la delusione in quest’ultimo e l’armatura che brillava flebilmente.

‘’Prima che tu vada, vorremmo sapere il tuo nome.’’- disse Hallothel, rimasta in silenzio per troppo tempo.

‘’Arilyn Saavick, ultima dei Thandulircath. Vi ringrazio per avermi accettato nel vostro regno.’’- rispose inchinandosi e sorrise.

‘’Perfetto. Puoi andare adesso, giovane Thandulircath. A presto.’’- replicarono le sorelle all’unisono, salutando la ragazza con un cenno del capo. Non appena furono all’esterno, ad attenderle c’era lo scudiero che stringeva bene le redini del mulo per evitare scatti bruschi. Quando tutto fu pronto, salirono in sella ai cavalli e ripresero il cammino di rientro, lasciandosi alle spalle il Concilio; per un breve attimo le sembrò di vedere qualcuno vestito di nero, immobile tra la folla intento ad osservarla andare via. I suoi occhi, rossi come il fuoco, la scrutarono fin dentro l’anima come alla ricerca di debolezze e paure e il sorriso di pura perfidia lo rendevano un tetro spettro tra i cittadini. Scomparve in un battito di ciglia, come se fosse solo una allucinazione provocata dal turbinare di pensieri che la affliggevano continuamente. Il viaggio di ritorno fu sereno, nessun sciacallo in agguato o belve fameliche pronte a sbranarli: il loro cammino fu solo interrotto dal passaggio di una famiglia lupi dal pelo argentato e occhi ambrati, così lucenti da sembrare gemme preziose incastonate in statue viventi. Superato il fitto sentiero di betulle, licheni e abeti, si intravedevano le torri della masseria, con i loro tetti spioventi e il movimento frenetico delle carrucole di trasporto: il sole era più basso ma ancora splendente, illuminando nuvole grigiastre e riflettendosi sulle pietre levigate della struttura e sulle corazze dei soldati intenti a dare il cambio ai loro compagni. Delle urla attirarono l’attenzione delle donne e dello scudiero che si voltarono per comprenderne la provenienza; un cespuglio di lantana camara si aprì in due per la violenta comparsa di due ragazzini e un soldato che li inseguiva. Quando i due giovani fuggitivi notarono il piccolo gruppo a cavallo, si paralizzarono e vennero bloccati dal soldato:

‘’Riconsegnate la refurtiva e non vi punirò.’’- disse l’uomo boccheggiando. I due pargoli avevano una carnagione pallida tendente al blu, mentre i loro occhi erano castani e i capelli neri. Tra le mani sporche di terra stringevano delle more, mirtilli e qualche mela. Un’altra voce si udì dalla radura, una voce che nessuno conosceva:

‘’Vogliate perdonarmi, i miei nipoti sanno essere pestiferi. Scusatevi subito.’’- disse un uomo dalla stessa carnagione bluastra mentre si faceva strada tra piccoli arbusti; stessa carnagione bluastra, ma occhi bianchi e capelli rossi, legati in una lunga treccia. Il fisico, seppur asciutto, era temprato dagli anni e le cicatrici che aveva sulle braccia lo dimostravano: forza e vigore concentrate in un solo uomo. I piccoli bambini compresero di aver sbagliato e mormorarono delle scuse, imbarazzati. Quando Arilyn lo vide, riconobbe la pettinatura ed esordì con voce carica di stupore:

‘’Faolan? Faolan dei Silenti?’’
L’uomo si voltò, anch’egli sorpreso che quella ragazza lo conoscesse, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, Faolan replicò con felicità:

‘’Arilyn? Arilyn di Huvendal? Che bello rivederti, sono passati anni dal Grande Inverno! Qual buon vento ti porta nel Broym Fleu?’’- chiese lui avvicinandosi alla ragazza.
‘’Mi sono svegliata su una zattera quasi una settimana fa. Non ho memoria di come ci sono arrivata o di quello che è successo prima di giungervi. Ricordo, però, di una crudele battaglia contro Gallart e il suo esercito di Guardiani. E…a causa sua ho perso mio padre. Il secondo esercito della Fiamma ha varcato i confini del nostro regno causando ingenti perdite. Ryre ci ha tradito ma ha ricevuto la giusta condanna.’’- rispose con amarezza la ragazza, distogliendo lo sguardo e abbandonandosi ad un ricordo ormai lontano. Faolan posò la sua mano sul braccio di Arilyn e disse, con fermezza:

‘’È il destino a scegliere le sorti di ognuno di noi. Ricordati che tuo padre è stato un valoroso stratega e combattente di Huvendal e ha sacrificato la sua vita per proteggerti. Il suo spirito alberga ancora in te e non ti abbandonerà. Voglio donarti questa piccola moneta.’’- afferrò la moneta da una piccola sacca che teneva legata sul fianco e la porse alla ragazza:

‘’Quando un ricordo amaro o una sensazione di sconforto ci affligge, noi Silenti la stringiamo tra le dita intonando una lieve preghiera o incoraggiamento per ritrovare serenità. Adesso vi lasciamo tornare alla vostra residenza, buona fortuna per il tuo rientro.’’- e così facendo, Faolan si allontanò con i suoi nipoti al seguito. Una volta rientrate nella masseria e posato il baule all’interno, Midone se ne andò salutando con un inchino le tre donne, lasciandole da sole; prima di aprirlo però Imryll chiese alla giovane Thandulircath come conoscesse il Silente e non temesse che il suo popolo potesse punirla con la morte:

‘’Più di due anni fa il nostro popolo era un alleato dei Silenti, ma decisero di non combattere perché la Regina del Ghiaccio non era un potenziale nemico per la pace del loro regno. Però scelsero di aiutarci infondendo con la loro magia il nostro arsenale e quello del nuovo alleato, i Custodi delle Stelle. Non ricorrono alla pena di morte se parli per primo, è stata una decisione presa durante il Festival delle Rose ad Huvendal, non sono più rigidi come allora.’’

‘’Affascinante.’’- fu l’unica risposta che poté dare la Curatrice Bianca, recuperando una chiave per il baule ancora sigillato. Quando lo aprì, il lucchetto cadde sul pavimento con un tonfo sonoro e un gradevole odore di primula rossa provenne dall’interno di quel legno scuro, rivelando il contenuto: una camicia rossa damascata con chiusura sulla scollatura, corpetto di cuoio nero, pantaloni di tela e stivali lunghi. Sul fondo del baule giacevano la spilla dei Rovi Rossi, la pergamena con i nomi delle persone che avrebbe incontrato l’indomani e una piccola effige rotonda, raffigurante sempre il sigillo del regno. Arilyn, dopo aver poggiato i nuovi indumenti nella sua camera, tornò indietro per leggere i nomi sul foglio e fu sorpresa di notare che il fabbro aveva un cognome familiare:

‘’Oghan Ethwen?!’’

‘’Sì, è l’unico fabbro di tutto il regno dei Rovi. Lo conosci?’’- domandò la Curatrice Bianca, mentre trasportava il baule ormai vuoto nella cucina per poterlo utilizzare nuovamente.

‘’Sì, almeno credo.’’- rispose Arilyn, continuando ad osservare la pergamena con le indicazioni per raggiungere la zaros dopo aver visitato il fabbro del paese. Riprese il suo allenamento e, seppur interrotto per questioni di vitale importanza, la giovane Thandulircath volle rispettare l’impegno preso. Nessuna staccionata o albero vennero distrutti questa volta, ed Elfriede fu felice di questo progresso, notando però che Arilyn faticava ancora a non lasciarsi condizionare dai ricordi tendendo ad aumentare l’intensità dei colpi quando non serviva.
Quando terminarono, il sole era ormai dormiente dietro le montagne e, per recuperare le energie, si distesero nell’erba ad osservare le stelle. Il rumore metallico delle carrucole che venivano bloccate sulle torri, sancivano il riposo delle sentinelle e il crepitare di fiaccole era una piacevole melodia.

‘’Elfriede…’’- disse Arilyn, osservando ancora la luna, come se cercasse le esatte parole da dire con il suo aiuto.

‘’Sì? Dimmi Arilyn.’’

‘’Come era la tua vita prima di questa? Intendo prima di lavorare per una nobile donna come Imryll.’’

Quella domanda così innocente meravigliò la donna, lasciandola per un po’ in silenzio. Stava per scusarsi dell’insolenza per averle chiesto come fosse il suo passato, ma quando Elfriede si schiarì la voce e raccontò, con un sorriso malinconico sul volto, la sua vita:

‘’Provengo da una famiglia nobile di un lontano regno dell’ovest. Fin dall’età di otto anni mi hanno insegnato le arti dell’eccellente domestica, una sciocca ed inumana guida scritta da un folle. Ogni regola andava eseguita alla lettera, altrimenti venivi punita per la tua insolenza. Raggiunta la maggior età potevi scegliere se andare via oppure lavorare in uno dei piccoli palazzi degli aristocratici, ma decisi di fuggire perché la tua innocenza ti veniva strappata e dovevi sottostare ad ogni tipo di desiderio, anche quelli della carne…’’- si interruppe brevemente, stringendo le mani attorno in lembo della camicia, un senso di disgusto e rabbia si dipinse sul suo volto.

‘’Perdonami per aver riaperto una ferita del tuo passato. La mia curiosità ha portato a tramutare la tua calma in dolore.’’- disse Arilyn, cercando il suo sguardo.

‘’No Arilyn, è una curiosità giustificata. Non ti ho mai raccontato della mia vita, mentre tu lo hai fatto e non mi sembrava cortese nascondermi. Ora torniamo dentro, dato che le notti in questo luogo stanno diventando sempre più fredde.’’- replicò Elfriede, alzandosi e sgranchendosi le gambe. Prima di entrare nella masseria, si voltò sorridendole nuovamente:

‘’Non nego che mi manca il mio regno, ma qui sono me stessa. Non mi preoccupo di nulla, la Curatrice Bianca mi concede tutto, anche di vedere la mia amata Atlantia.’’
In quel momento la porta si aprì e Imryll attese che le due donne rientrassero, mentre una piacevole fragranza si espanse nel salone: sulla tavola erano già pronti due piatti di stufato di coniglio con patate, erba cipollina e pepe, pane raffermo e dell’idromele. La Curatrice Bianca invitò Arilyn ed Elfriede di concedersi un bagno caldo e riacquistare le forze grazie alla cena preparata. Quel gesto inaspettato fu apprezzato, ma Elfriede chiese il motivo:

‘’Perché mia Signora?’’

‘’Perché, per una volta, volevo ringraziarti per gli enormi sforzi che hai fatto per me e per questa masseria. Domani sei libera da ogni mansione.’’- rispose la donna, scostando dal viso della ragazza piccoli trucioli di terra. La giovane sorrise e la ringraziò infinitamente per quel gesto di cortesia. Dopo essersi lavate e indossato abiti puliti, le tre donne cenarono insieme e come se fossero amiche di lunga data, si raccontarono leggende dei propri regni o eventi unici accaduti anni e anni fa. Arilyn sorrideva nell’ascoltare quelle storie e, dopo molto tempo, si sentiva quasi a casa nonostante alcuni momenti malinconici o che la sua mente giocava con ricordi terrificanti.
I raggi della luna argentata vennero proiettati lungo le pareti delle stanze, donando l’aspetto di un mondo etereo e ultraterreno. La giovane Thandulircath continuava ad osservare la foresta illuminata a tratti dalle lucciole, mentre sfiorava la mano fasciata. Le continue fasciature con le erbe medicinali e unguenti stavano facendo effetto, nonostante i movimenti le fossero difficili e alquanto dolorosi:

‘’La tua mano guarirà in fretta Arilyn, non temere. Devi fare movimenti lenti e costanti, unito all’allenamento quotidiano tornerai a brandire qualsiasi arma. Adesso riposiamoci, è stata una lunga giornata.’’- disse nel dormiveglia Elfriede, sorridendo. Forse stava sognando ad occhi aperti, forse sognava la sua amata Atlantia. Arilyn annuì leggermente e, anche lei finalmente, poté posare il capo sul cuscino e lasciare che tutta la stanchezza accumulata scorresse via. Il dio del sonno non si fece attendere e condusse in un piacevole sonno ristoratore la ragazza.

Il letto era scomparso e si ritrovò distesa in un campo di orchidee variopinte, circondata dal verde smeraldo della flora. Il cielo era di un azzurro quasi accecante, ma la faceva sentire libera da qualsiasi tormento. Qualsiasi pericolo. Si mise a sedere, osservando la radura che vibrava di vita propria. Una folata di vento leggermente freddo sorprese Arilyn con centinaia di petali danzanti che assunsero una tonalità arancione brillante.

‘’Mi dispiace interrompere la tua idilliaca pace, ma volevo rendere lo spettacolo ardente.’’- disse una voce che raggelò la ragazza. Si allontanò rapidamente di qualche passo, mentre un terrificante e famelico fuoco iniziò a divorare tutto ciò che toccava, rendendo gli alberi degli scheletri deformi e oscurando il cielo di impenetrabile fumo. Un uomo dalla lunga chioma bianca, protetto da una corazza che sembrava anch’essa viva, era lì fermo ad osservare compiaciuto il suo operato: piccole e splendenti lingue di fuoco danzavano dalle punte acuminate della corazza, mentre un perfido ghigno si formò sul suo volto:

‘’Che meraviglia! Un quadro che esprime terrore e devastazione scaturito da un elemento così forte. Così puro. Ma tu lo temi Arilyn, non è così?’’- domandò l’uomo, volgendo il proprio sguardo tetro verso la ragazza. Le fiamme erano alte, come una impenetrabile muraglia che si stagliavano al cielo terso; solo un piccolo pezzo di terra fiorita non era stata divorata, continuando a splendere di luce propria.

‘’Gallart? Come…Tu dovresti essere morto. Perché sei qui?’’- domandò lei, preparandosi ad attaccare con il suo potere. Il defunto Re del Fuoco era lì, che sorrideva beffandosi della paura della ragazza e disse:

‘’Il dio del sonno apre infiniti portali per visitare luoghi e persone. E io volevo vedere come stavi.’’


 
§
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Mordekai