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Autore: Signorina Granger    24/03/2018    9 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
[Prequel di “Magisterium”]
Hogwarts, 1933: prima di Harry Potter, dei Malandrini, di Tom Riddle, quando Albus Silente non era ancora Preside e il nome di Grindelwad spopolava in Europa, disseminando terrore.
Quando Charlotte Selwyn, Regan Carsen e William Cavendish invece che insegnanti erano solo tre studenti come tanti altri, alle prese con studio, amicizie e non, obblighi e soprattutto demoni da affrontare.
[Per leggere e/o partecipare non è necessario aver letto “Magisterium”]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
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Capitolo 19: I Patronus 
 
Venerdì 21 Marzo


Quando mise piede nella Sala Grande già gremita di studenti per fare colazione Regan Carsen sorrideva, di ottimo umore, e il suo sorriso non poté che aumentare quando una ragazza dai capelli biondi lo raggiunse sulla soglia per abbracciarlo e baciarlo, scatenando commenti e applausi da parte degli amici del ragazzo. 

“Chiudete la bocca, invece di farle prendere aria per niente.” 
Fu Regan a ridere quando Stephanie si fu voltata verso i suoi amici, rivolgendo loro un’occhiata torva prima di tornare a sorridergli, accarezzandogli i capelli lisci con le dita:

“Buon compleanno, Reg.”
“Grazie… questa sì che è un’accoglienza come si deve, dovresti dare qualche consiglio agli idioti che mi hanno svegliato buttandomi giù dal letto.”

“Lasciali perdere… Faccio colazione con te, naturalmente.” La bionda sorrise e, preso il ragazzo sottobraccio, lo seguì verso il tavolo dei Serpeverde con Jack e Sean al seguito mentre Gabriel invece esitò prima di imitarli, lanciando un’occhiata incerta in direzione del tavolo da cui la ragazza era venuta e trovando Elena impegnata a parlare con Axel con scarsa allegria. 

Era piuttosto giù da più di una settimana, in realtà, da quando era tornata a casa dalla sua breve visita a Londra. 

Sentendosi chiamare da Jack Gabriel si ridestò, girando sui tacchi per raggiungere gli amici e fare colazione e ripromettendomi di sedersi accanto ad Elena a lezione per parlarle. 



“Sapresti dirmi come si arriva alla Sala Comune dei Serpeverde?

In un’altra situazione probabilmente Katherine avrebbe sorriso e fatto una battutina sulla richiesta della compagna di Casa, ma voltandosi e intercettando lo sguardo cupo di Elena cambiò idea, intuendo che non fosse proprio il caso.

“Certo… vai nell’ingresso, scendi le scale per i Sotterranei, è una specie di labirinto arrivarci ma posso spiegartelo, Gabri me l’ha insegnato al primo anno.”

Elena annuì e poco dopo, quando Katherine le ebbe brevemente spiegato come trovare la parete giusta, la Grifondoro la ringraziò per poi superarla e continuare a scendere le scale, diretta al pian terreno sotto lo sguardo accigliato della Capitana:

“Elena, va tutto bene? È per qualcosa che ha fatto Gabriel? Conosco un mucchio di modi per farlo soffrire, se ti può servire.”
“No, non serve… Gabriel non c’entra.”

Katherine fece solo in tempo a pensare che non l’aveva mai sentita parlare con quel tono prima che la ragazza sparisse dalla sua visuale, costringendola a ripetersi di lasciar perdere e di continuare a cercare Edward.


*


Beatrix prese posto accanto a Katherine e la salutò, sospirando quando ricevette solo un cupo borbottio come risposta: Katherine teneva il mento appoggiato su una mano, gli occhi chiari fissi su Sean Selwyn e un’espressione a metà tra il vacuo e il malinconico sul volto.

“Kat, cerca di non pensarci… tieni, mangia qualcosa.”
“Sarebbe molto più facile non pensarci se non li avessi davanti agli occhi ogni giorno! Non ho fame, grazie.”

“Katy, stai male?”

Nate rivolse un’occhiata preoccupata alla sorella maggiore e Beatrix gli sorrise, scuotendo il capo:

“Tranquillo, si riprenderà. Ma sta bene Nate, non ti preoccupare.”
“Ma è così strana da giorni!”

Katherine si voltò verso il fratellino, che le aveva raggiunte con fare ansioso, e mormorò di aver bisogno di un abbraccio prima di stritolare il ragazzino, che si pentì immediatamente di aver dimostrato apprensione per lei e iniziò a protestare sotto lo sguardo divertito di Beatrix. 

“Kat, lasciami! Sì, stai bene, l’ho capito!”
“Va bene, va bene… ora gira al largo, io e Beatrix dobbiamo parlare di cose da grandi.”
“Non sono un bambino!”
“Certo che lo sei.”

La ragazza liquidò rapidamente il fratello, che si allontanò sbuffando, per rivolgersi alla cugina passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri:
“D’accordo, basta parlare di me o di Sean… ho bisogno di distrarmi, quindi perché non mi dici cosa hai deciso di fare con tuo padre?”
“Non ho nessuna intenzione di farmi riconoscere adesso solo perché vuole accasarmi con qualcuno, lo sai benissimo. No, l’ombra di questa famiglia sulle spalle mi ha stancata da tempo e se mi facessi riconoscere sarebbe solo peggio… voglio sparire, Kat, smetterla di essere associata ai Burke, quindi ho detto a mio padre che se lo può scordare. Sarò anche solo una ragazza, ma sono maggiorenne e non avrà mai il mio consenso.”

Beatrix serrò la mascella, rivolgendo un’occhiata torva ad un tortino – come se fosse tutta colpa sua – mentre Katherine annuiva, sospirando:

“Bene, finalmente una buona notizia…”


*


Se fino a meno di due settimane prima aveva guardato alla felicità di Evangeline con irritazione ora era lei quella che sorrideva 24h su 24, destando quasi divertimento da parte della sua migliore amica:

“Non ti vedevo così allegra da molto, sai? Beh, sempre meglio della versione depressa degli ultimi tempi.”
“Decisamente. Tra l’altro, non trovi meraviglioso che al momento siamo entrambe così felici?”

Aurora sorrise mentre si alzava da tavola per lasciare la Sala Grande insieme ad Evie, che sorrise e annuì, lasciandosi prendere sottobraccio dall’amica:

“Certo. Oh, guarda, c’è il tuo principe azzurro.”

Evie accennò in direzione di Sean e Aurora si voltò immediatamente, sorridendo al ragazzo che le stava raggiungendo e che ricambiò mentre le metteva un braccio sulle spalle, chinandosi per darle un bacio su una guancia:

“Buongiorno signorine.”
“Ciao.”

Aurora ricambiò il sorriso mentre Evangeline alzava gli occhi al cielo ripensando a quanto fossero stati idioti quei due, prima che la voce di Jack giungesse alle sue orecchie:

“Sì, lo penso anche io, ma almeno adesso sono entrambi contenti.”
“Per fortuna, Aurora depressa non mi piaceva affatto. Sei pronto per Difesa contro le Arti Oscure? Di qualunque cosa si tratti la “sorpresa”, ti batterò.”
La bionda sfoggiò un piccolo sorriso che il ragazzo ricambiò, inarcando un sopracciglio e guardandola dall’alto in basso con cipiglio divertito:
“Come siamo presuntuose… vedremo Evie, vedremo.”


*


Jade Bones aveva preso ufficialmente una decisione: non avrebbe più sopportato le moine di quei due. 
La sera prima, mentre leggeva un po’ prima di dormire, aveva visto Iphigenia stesa sul suo letto senza imitarla, gli occhi fissi sul soffitto del baldacchino con aria assorta, come se stesse pensando a qualcosa di importante.  Aveva preferito non disturbarla e non aveva indagato chiedendole nulla, anzi era stata proprio l’amica a rompere il silenzio qualche minuto dopo:

“Jade?”
“Sì?”
“Secondo te io piaccio ad Andrew?”

Jade a quel punto aveva esitato, sinceramente indecisa sul da farsi: disgraziatamente non poteva buttarsi dalla finestra, erano pur sempre nel piano interrato. Poteva sempre sbattere la testa contro il baldacchino per l’esasperazione, o in alternativa prendere l’amica a librate…

Ma era pur sempre una ragazza troppo di buon cuore per mandare l’amica in Infermeria e non aveva nemmeno molta voglia di alzarsi dal letto, così si limitò a voltarsi verso Iphigenia e a rivolgerle l’occhiata più eloquente del suo repertorio:

“No.”
“Oh. Davvero? Ok…”

Iphigenia si rabbuiò, delusa, e tornò a fissare il soffitto mentre Jade si tratteneva dal piangere per l’esasperazione, parlando di nuovo:

“Stavo scherzando! CERTO che lo penso, te ne sei resa conto adesso?! Cerco di lasciarvi da soli da settimane, ormai!”
“Davvero?! Io pensavo fossi arrabbiata con me!”

“Ora come ora no, cara, ma se continuò a fare la lumaca in questo modo mi arrabbierò parecchio!”



Così, quella mattina Jade raggiunse Axel quasi a passo di marcia, afferrandolo per un braccio e bloccandolo mentre il ragazzo si dirigeva verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure:

“Axel, devo chiederti una cosa.”
“Ciao anche a te… cosa ti serve, Jade?”
“Hai anche tu delle amiche un po’ lente, diciamo… secondo te come potrei fare per convincere Andrew a farsi avanti con Iphe?”

“Puoi sempre somministrargli del Veritaserum…”
“In effetti ci avevo pensato…”
Jade annui, parlando con tono pensieroso mentre il Grifondoro le si rivolgeva con gli occhi azzurri sgranati:
“Ma io stavo scherzando!”
“Davvero? Peccato… oh, basta, se continuano di questo passo ricorrerò ai mezzi estremi e userò un filtro d’amore, sono stanca di questa tiritera infinita!”


*


Quando erano entrati in classe e l’avevano trovata con i banchi addossati alle pareti per avere più spazio tutti gli studenti si erano incuriositi non poco e molti gioirono quando appresero dall’insegnante che quella lezione sarebbe stata dedicata esclusivamente ai Patronus. 
Molti, ma non Evangeline o Elena, che storsero il naso: la prima non aveva affatto un ricordo piacevole di quando, alla fine dell’anno precedente, l’insegnante aveva voluto fare un “esperimento” e proporre l’incantesimo alla classe, anche se di solito lo si affrontava all’ultimo anno. Alcuni suoi compagni ci erano riusciti ma non lei, ed Evangeline non era abituata a fallire, non le era mai piaciuto. 

Non per niente quella lezione aveva segnato un calo del suo interesse per la materia in questione, e anche di fiducia in se stessa. 
La Corvonero piegò infatti le labbra in una smorfia appena percettibile, ricordando cos’aveva detto solo poco prima a Jack e pentendosene amaramente: non era tanto sicura che ci sarebbe riuscita prima di lui, in effetti. 
Il ragazzo se ne accorse e le rivolse un’occhiata incerta, chiedendole se c’era qualcosa che non andasse, ma la bionda non disse nulla e si limitò a scuotere il capo, preferendo non parlarne: orgogliosa com’era, l’avrebbe fatto difficilmente. 



Elena invece, che era rimasta in un angolo con le braccia strette al petto, sospirò e chiese a voce alta il permesso di lasciare l’aula perché “non si sentiva molto bene”. L’insegnante le rivolse un’occhiata incerta, trovandola effettivamente visibilmente giù di corda e annuì per poi guardarla lasciare la classe senza dire altro: strano, di solito era difficile farla smettere di parlare.

“Signore, posso andare a vedere come sta?”

Gabriel in pratica raggiunse la porta ancor prima di sentire il permesso da parte dell’insegnante, affrettandosi a seguire la ragazza in corridoio e raggiungendola con poche, lunghe falcate:

“Elly!”
“Gabri, resta pure in classe, non serve che tu perda una lezione così importante.”

Elena si fermò sentendosi chiamare dal ragazzo, guardandolo con la stessa espressione tesa che le vedeva sul viso da diversi giorni mentre la raggiungeva, sorridendole mentre le metteva un braccio intorno alle spalle:

“Certo che serve, la perdo volentieri per stare con te. So che è un periodo difficile per te, Elly, ma credi di potermi concedere un sorriso? Mi manca.”
Elena abbozzò un sorriso, annuendo e guardandolo con affetto prima di appoggiare la testa sulla sua spalla, ringraziandolo a voce bassa.  

“Sei sicura di non voler prendere parte alla lezione? Magari più avanti te ne pentirai, è importante…”
“Oh, ti prego, so benissimo che non riuscirei ad evocare un bel niente oggi. Non mi verrebbero in mente che ricordi di famiglia che ormai non so più interpretare come veri o del tutto finti per colpa di mio padre.”



Gabriel l’aveva fatta entrare nella Sala Comune ed ora la stava pilotando, districandosi tra una poltrona, un tavolino e un compagno di Casa e l’altro.
Elena si sentiva quasi in trance, come se stesse camminando in un sogno e avesse le gambe fatte di zucchero filato, è quasi non si rese conto di dove stesse andando, ignorando le voci che la circondavano, gli sguardi e i commenti che fecero Jack e Regan da qualche parte, provvidenzialmente fulminati con lo sguardo subito dopo da Gabriel mentre la conduceva nella loro camera, mormorando che nella Sala Comune ci fossero fin troppe orecchie in ascolto per parlare.

Elena annuì distrattamente, quasi senza fare caso alle sue parole mentre il ragazzo apriva la porta della stanza dei ragazzi dell’ultimo anno, trovando Adrian seduto sul suo letto. 

Il ragazzo alzò lo sguardo e rivolse un’occhiata quasi seccata ad Elena prima di parlare, rivolgendosi al compagno:

“Gabriel, non puoi andare a fare i tuoi comodi con lei altrove?”
Elena, quando si fu risvegliata dallo stato di pseudo incoscienza ed elaborò ciò che il ragazzo aveva detto, divenne di una sfumatura ancor più intensa del colore dei suoi capelli mentre Gabriel sbuffava, fermo accanto alla porta e tenendo l’anta ben aperta:

“Dobbiamo parlare. Puoi lasciarci un po’ da soli, per favore?”
“Se proprio devo… Sean?! Dobbiamo togliere il disturbo, Gabriel reclama la stanza per lui e per la sua fidanzata!”
“TI HO DETTO CHE DOBBIAMO PARLARE!”

“Ma io veramente stavo per farmi la doccia!”

La voce di Sean giunse dal bagno e fu allora che Gabriel sbuffò, raggiungendo la porta chiusa a grandi passi per poi aprirla: 

“Te la farai dopo, ora fuori. Tutti e due!”
“Ehy, con calma!”

Sean sbuffò mentre Gabriel lo spingeva fuori dal bagno con solo un asciugamano annodato in vita, ignorando le sue proteste mentre spediva entrambi fuori dalla porta, ignorando anche Adrian quando gli consigliò caldamente di sfruttare il bagno lasciato libero da Sean per farsi una doccia fredda.

La porta venne chiusa alle loro spalle con un gesto secco e Sean sbuffò, bussando con irritazione:

“Almeno ridammi i vestiti, non voglio dare spettacolo!”
“Lascia perdere…”


Gabriel sorrise, sollevato, e si voltò di nuovo verso Elena prima di prenderla per mano e condurla verso il suo letto, sedendo accanto a lei:

“D’accordo, adesso che siamo soli dimmi cosa è successo.”
“Non era necessario mandarli via…”
“Sì, lo era, sono affari tuoi e non voglio che li ascolti tutto il castello.”

Elena abbozzò un sorriso, guardandolo con gratitudine e cercando di non pensare a quanto fosse sconveniente il suo trovarsi lì da sola con lui. 

“Hai visto tuo padre?”
“Sì. In sostanza, mi ha detto che quella aspetta un figlio. Non sembrava molto felice, a dire il vero, ma se fosse un maschio avrebbe finalmente un erede. Varrebbe molto più di me.”
“Sciocchezze.”

Gabriel le sorrise dolcemente, prendendole una mano tra le sue:

“L’hai detto a tua madre?”
“No. Non so come dirglielo, sarà un brutto colpo… non è riuscita ad avere altri figli dopo di me, è un tasto molto dolente per lei.”
“Non credo che dirglielo sia compito tuo, ma di tuo padre: dopotutto sono ancora sposati e tu sei qui, a scuola, non devi pensarci tu. Lo farà lui, se ha un minimo di coscienza.”

“Insiste nel voler parlare con me, ho tante di quelle lettere che non ho mai aperto… credo si senta in colpa.”
“Forse. Insomma, ha sbagliato e su questo non ci piove, ma credo che ti voglia davvero bene, Elly.”
“Non lo so… ha sbagliato, Gabri, anche nei miei confronti. Non ha fatto solo un torto a mia madre, è sparito più di una volta lasciando ME a rimetterla in sesto. È come se la persona che conoscevo quando ero piccola fosse morta.”


Gabriel non disse niente, esitando prima di avvicinarsi alla ragazza e stringerla a sè, accarezzandole i capelli: 

“Credo che tu gli voglia ancora molto bene, Elly… è per questo che stai così male, non vorresti ma è così. Ed è normale che sia così, non fartene una colpa, è pur sempre tuo padre.”
“Gabri?”
“Sì?”
“Se diventi come lui non sarò affatto come mia madre, ti verrò a cercare, ti troverò e ti ucciderò, hai capito?”
“Cristallino.”


*


Sean guardò con gli occhi chiari carichi di soddisfazione la sua aquila argentea sorvolare l’aula, scrutando i pochi altri Patronus già evocati che si muovevano nell’ampia stanza e i ragazzi sottostanti. 

“Non avevo alcun dubbio sul fatto che ci saresti riuscito in fretta… lo avevi evocato anche l’anno scorso, vero?”
“Sì. Sbaglio o il tuo somiglia molto a Wellington?”

Aurora sorrise e annuì quando, avvicinatasi al ragazzo, posò lo so guardo sul cavallo argenteo che trotterellava a pochi metri di distanza e che ricordava effettivamente molto il suo amatissimo cavallo in carne ed ossa.      

“Lo pensi anche tu? L’ho notato anche io, in effetti. Dopotutto ho pensato proprio a quando me l’hanno regalato, anni fa.”

Aurora sorrise teneramente mentre guardava il suo Patronus, ripensando ad un Natale ormai lontano, quando era bambina.


Aurora non era affatto felice, quella mattina. Non aveva trovato nessun regalo sotto l’albero e ora suo padre le aveva chiesto di seguirlo in giardino perché doveva “dirle una cosa”. Forse lui la madre avevano deciso che era diventata troppo grande per ricevere regali? Forse aveva intenzione di dirle questo? Aurora non capiva, ma non presagiva nulla di buono dall’espressione seria del padre, che la stava procedendo nell’ingresso della casa. Quando ebbe raggiunto il grande cortile la bambina si preparò ad un discorso sull’essere ormai diventata grande quando suo padre parlò, sorridendole per la prima volta da quando si era svegliata:

“Bene Aurora… quest’anno non avrai nessun regalo da scartare, mi dispiace.”

La bambina sì rabbuiò, guardandosi i piedi e chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato per non meritare la casa delle bambole che voleva, o i nuovi stivaletti con tanto di ghette per cavalcare come una “ragazza grande”. 

“Però c’è qualcosa per te lo stesso… non l’abbiamo incartato, non ci siamo riusciti, ma spero che ti piaccia lo stesso.”

Il padre accennò a qualcosa con il capo e, sentendo distrattamente sua madre ridacchiare alle sue spalle, la bambina puntò gli occhi su qualcosa che si stava rotolando in mezzo alla neve a pochi metri di distanza. 
Un’espressione di pura sorpresa attraversò il volto pallido della bambina, che si lasciò sfuggire un urletto di gioia prima di correre dal puledro che stava giocando nella neve:

“Ma è… un puledrino! Grazie! È un maschio o una femmina?”
“Un maschio.”
“Che carino… ma dobbiamo portarlo dentro, altrimenti avrà freddo! Vieni piccolo.”

Aurora sorrise e allungò una mano per sfiorarle il collo coperto dal manto sauro del puledro, che si alzò in piedi in un lampo (dimostrando di essere alto quanto lei, praticamente) e le annusò i capelli scuri con curiosità quando lei lo abbracciò prima di portarlo nella scuderia di famiglia insieme ai genitori.



“Tu a cosa hai pensato?”

Aurora si voltò verso il ragazzo, guardandolo stringersi nelle spalle con curiosità:

“È un segreto.”
“Dai, voglio saperlo!”
“Mi spiace, è una cosa nostra.”



Sean non amava il suo compleanno: era sempre uguale, e le persone quando entravano dalla porta dicevano sempre “Buon Natale”, invece di “Buon Compleanno Sean”.
Era seduto davanti alla scrivania nella sua camera, da solo, non avendo nessuna voglia di stare al piano di sotto ad aspettare che arrivassero i parenti… fu allora che la porta si aprì ed entrò sua sorella, i capelli pettinati da un’elfa, il vestitino che la madre le aveva comprato addosso ma senza scarpe e qualcosa in mano:

“Buon compleanno!”
“Grazie Charlie, almeno tu non lo scordi mai…” Sean sorrise con affetto alla bambina, che sorrise mentre gli si avvicinava. 

“Ma dove hai lasciato le scarpette?”
“Le ho tolte, mi danno fastidio. Guarda, è per te.”

Charlotte sorrise e gli mostrò il disegno che aveva fatto per lui con aria orgogliosa, mostrando la scritta “SEAN” a caratteri cubitali vicina ad un cuore e le due figure sottostanti.

“Siamo io e te che facciamo magie, e c’è anche Daisy… ti piace?”
“Charlie, ma tu… non sai scrivere!”

Sean prese il disegno e guardò la sorellina di quattro anni con la fronte aggrottata, ma Charlotte sorrise con aria fiera e annuì:

“Mi sono fatta aiutare da Aurora per scrivere il tuo nome. Guarda dietro.”

Con la stessa calligrafia sbilenca ed enorme, sul retro del foglio Charlotte aveva scritto “per il mio fratellone” e Sean sorrise prima di guardarla con affetto, scivolando dalla sedia per abbracciarla:

“Grazie.”


*


L’enorme pitone argenteo strisciava sul pavimento disegnando arabeschi con la lunga coda e tutti sembravano più che intenzionati ad evitare il Patronus e i suoi sibili quasi minacciosi, mentre Axel invece teneva gli occhi fissi proprio sull’animale. Confuso. 

“Steph, hai per caso una personalità segreta e nascosta da cui ci stai tenendo all’oscuro?”
“Non capisco! Io sono gentile e carina con tutti, perché un pitone?!”

Stephanie, confusa e sorpresa quanto se non più dell’amico, guardava a sua volta il Patronus mentre Regan, dopo aver evocato il suo leone, si avvicinava ai due:

“Immagino sia un chiaro avvertimento di non farti mai arrabbiare, Steph.”
“Pare di sì. Il tuo è un leone? Sul serio?Fammi capire, io sono Grifondoro e ho evocato un serpente, tu Serpeverde e hai evocato un leone?!”

“In effetti suona un po’ strano…”

Regan annuì, aggrottando la fronte mentre osservava il pitone con leggero scetticismo. 

“Siete proprio fatti l’uno per l’altra…”
Axel sorrise prima di allontanarsi per concentrarsi sul suo Patronus, cogliendo ugualmente l’occhiata torva che l’amica gli rivolse prima che Regan le chiedesse a cosa avesse pensato per evocarlo:

“Una volta mio padre mi ha portata al lavoro con lui, ho insistito tanto… guardavo i ragazzi dell’Accademia duellare e ho pensato che fosse il lavoro migliore del mondo. Credo di aver deciso cosa diventare quel giorno.”
“Determinata fin da piccola.”
“Ci puoi scommettere.”



Era seduto sul tappeto, in salotto, solo con i suoi fratelli. Aveva dieci anni, Edward ne aveva quattro e la piccola di casa, Elisabeth, solo uno.
La madre era in cucina, impegnata a preparare la cena, e gli aveva chiesto di tenere d’occhio i fratellini finché il padre non sarebbe rientrato. Axel aveva sorriso e assicurato alla madre che l’avrebbe fatto, guadagnandosi un sorriso e una carezza tra i capelli scuri. 

Ora, mentre Edward si rivolgeva alla sorellina cercando di farle dire il suo nome, Axel gli consigliò di abbassare la voce e di tranquillizzarsi visto che stava visibilmente turbando la bambina, che lo guardava con i grandi occhi chiari sempre più inquieti.

“Ma insomma, perché non capisce?”
“Non è che non capisce, ma è piccola, dice solo mamma e papà, dalle un po’ di tempo. È normale che non riesca a dire Edward.”

“Ma non è difficile! Non dice neanche Ed! Andiamo, Ed non è difficile.”
Entrambi guardarono la bambina, che però non disse niente e fece così sbuffare sonoramente il fratello, che si alzò in piedi subito dopo:

“Vedi?! È stupida!”
“Non dire così! Ecco, bravo, l’hai fatta piangere con i tuoi toni.”

Axel sbuffò e si sporse per prendere la sorellina, che allungò le braccine verso di lui per farsi prendere in braccio e appoggiare la testa sulla sua spalla mentre Edward, sbuffando, andava a sedersi sul divano e incrociava le braccia al petto.

“Su, non piangere, non è successo niente.”
Dopo pochi altri singhiozzi la bambina parve calmarsi e sollevò la testa, guardandolo con gli occhi chiari molto simili ai suoi prima di mettergli una manina su una guancia e sfoggiare un lieve sorriso semi sdentato:

“Accel!”
“Cosa hai detto?”
“Accel!”

Axel imitò il sorriso della sorellina e alzò lo sguardo per posarlo sul fratello minore, parlando con tono carico d’orgoglio:

“Visto, Ed? Con le buone maniere si ottiene tutto.”



Un Labrador?
Axel guardò il cane abbaiare e fargli le feste scodinzolando prima di sorridere, chinandosi per sfiorarlo con le dita mentre la risata cristallina Stephanie giungeva alle sue orecchie:

“Che carino! Devo dire che ti si addice, è adorabile e fedele come te.”
“Grazie.”
Axel sorrise con affetto all’amica, che ricambiò e gli spettinò affettuosamente i capelli scuri:

“Figurati, come faremmo io ed Elly senza il nostro saggio Axel?”
“Sareste finite, immagino.”


*


Andrew si grattò la testa, a disagio dopo aver provato e aver fallito di nuovo: l’incantesimo non gli riusciva, non nella sua forma più completa, e non ne comprendeva il motivo. 
Stava usando ricordi felici, dopotutto… cosa c’era che non andava?

Guardò il cavalluccio marino luccicante che gli fluttuò davanti, evocato da Jade poco prima, e si demoralizzò ancor di più: perché le sue amiche ci erano riuscite, ma non lui? 

“Non fare quella faccia… ce l’ho fatta io, puoi riuscirci anche tu. Non sono una cima, dopotutto, sei molto più bravo di me in questa materia!”

Iphigenia gli sorrise mentre il suo uccello delle tempeste codaforcuta si appollaiava sulla spalla della ragazza, muovendo la testa e guardando il ragazzo quasi con curiosità mentre Iphe gli sfiorava il braccio con fare consolatorio. 
Andrew però scosse il capo, limitandosi a chiederle a cosa avesse pensato e guardandola stringersi nelle spalle: 
“La mia famiglia. Cose semplici, niente di eccezionale… la felicità non sta sempre in cose grandiose, Andrew. Anche Jade ha pensato alla sua famiglia, no?”

“Sì, mio padre che mi insegna a nuotare.”

La bionda sorrise allegramente, sfiorando la testa del cavalluccio quasi con affetto mentre Iphigenia annuiva, continuando a rivolgersi al ragazzo:

“Visto? Pensa a qualcosa che riguardi tua madre, magari.”
“Ci proverò. Grazie.”


Non aveva ricordi di suo padre, lo aveva visto solo in vecchie foto che lo ritraevano giovane e con la divisa militare addosso, divisa grazie alla quale era morto in Francia quando lui aveva solo un anno. Perciò, non gli restava che frugare nei ricordi per cercare qualcosa su sua madre. 

Immediatamente, gli venne in mente qualcosa che risaliva a sette anni prima, uno dei compleanni più speciali che avesse mai avuto.


Era arrivata una lettera per lui e l’aveva consegnata alla madre in un misto tra orgoglio e soddisfazione: era raro che lui ricevesse personalmente una lettera, dopotutto, ma quella era proprio indirizzata a lui. 
Sua madre stava cucinando ma gli rivolse immediatamente la sua attenzione, pulendosi le mani nel grembiule prima di prendere la lettera in mano… Iona guardò il sigillo sulla ceralacca cremisi e spalancò gli occhi prima di abbracciare il figlio, immergendogli una mano nei riccioli rossi mentre le si inumidivano gli occhi. 

“Mamma, cosa c’è?! Dobbiamo aprirla!”
“Non serve, so già cosa dice, tuo padre aveva detto che sarebbe arrivata… sei diventato grande!”

“Papà? Come faceva a saperlo?!”
“È arrivata anche a lui, quando aveva undici anni… ti ho già detto che sei speciale, no? Quindi andrai a studiare in un posto speciale. Sono tanto fiera di te, piccolo.”

Gli sorrise e, dopo aver parlato tenendogli il viso tra le mani e gli occhi carichi d’affetto lo abbracciò di nuovo, mormorando che di sicuro anche suo padre era molto fiero di lui, ovunque si trovasse.
Andrew sul momento non capì appieno il senso delle sue parole o perché stesse piangendo, ma rimase in silenzio e si lasciò abbracciare, limitandosi a ricambiare la stretta.




“Expecto Patronum.”

Ripetè la formula per l’ennesima volta, quasi senza sperarci più, ma sorrise con stupore quando vide qualcosa uscire dalla sua bacchetta e prendere forma… la forma di una tigre.


“Visto? Avevo ragione, non avresti potuto non riuscirci.”
“Sì, avevi ragione tu… grazie per il consiglio.”
“Beh, dopotutto io ho ragione quasi sempre, non dovresti stupirti.”

Iphigenia inarcò un sopracciglio, guardando il ragazzo quasi a mo’ di rimprovero mentre Andrew sorrideva, annuendo e allungando una mano per darle un colpetto affettuoso sulla spalla:

“Scusa, hai ragione, dimenticavo che sei tu quella saggia.”

Jade avrebbe tanto voluto aggiungere “e stupida”, ma decise di non interromperli e si limitò ad alzare gli occhi al cielo, restando in silenzio e allontanandosi scuotendo il capo con disapprovazione.

“Ma cos’ha Jade?”
“Non so, è strana di recente…”


*


Il falco che era finalmente riuscito ad evocare, grazie ad un ricordo che vedeva protagonisti lui e suo padre quando aveva otto anni, in barca sulla Manica, e Jack aveva potuto tenere il controllo di un’imbarcazione per la prima volta in vita sua, stava planando sopra le loro teste, ma Jack smise di prestarci attenzione quando sentì la voce di Evangeline, che teneva la bacchetta stretta in mano e le braccia abbandonate lungo i fianchi, quasi tremando dall’altra frustrazione. 

“Non… non ci riesco. Perché non ci riesco?!”
“Evie, non è la fine del mondo, è solo un incantesimo…”
“Un incantesimo importantissimo, per cui danno un sacco di punti in più all’esame! Perché ci stanno riuscendo tutti e io no?!”

Jack le si avvicinò, sorridendole con fare comprensivo e mettendole una mano sulla spalla, suggerendole di rilassarsi:

“Non è un dramma, gli esami non sono domani, Evie… ci riuscirai, ne sono sicuro. Non demoralizzarti, ok?”
“Ok…”

Evie sbuffò, parlando a mezza voce e apparentemente poco convinta mentre Jack, sorridendole, le metteva un braccio intorno alle spalle e la campanella segnava la fine della lezione. 

“Coraggio, ora c’è Astronomia, la tua materia preferita… sorridi Evie, vederti giù di morale mi rattrista.”


*


“Non avresti dovuto restare a farmi compagnia, ti sei perso tutta la lezione! Una delle più importanti dell’anno, per giunta.”
“Ti ripeto che non è un problema, recupereremo. Se questo tuo insistere è un modo per dirmi che avresti preferito non avermi intorno, dillo apertamente.”

Elena sbuffò alle parole del ragazzo, rivolgendogli un’occhiata eloquente mentre attraversavano il corridoio insieme per raggiungere l’aula di Astronomia:
“Sai benissimo che non è così, ovviamente mi ha fatto piacere stare con te… È solo che non vorrei vederti prenderti indietro per colpa della mia famiglia.”          

“Non succederà, per una lezione non casca il mondo… Cavendish ne salta parecchie e non ha mai avuto troppi problemi.”
“Sì, ma Cavendish riesce a mettere nel sacco gli insegnanti perché è schifosamente intelligente. Quasi odioso, ma li mette tutti ai suoi piedi e nessuno si sogna di punirlo esageratamente.”

“Stai dicendo che io non sono intelligente, Elly?”  Gabriel aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo per incrociare quello della ragazza, che gli sorrise con affetto e scosse il capo mentre lo prendeva sottobraccio:

“No, certo che no… vai benissimo così come sei.”


*


“Ehy! Com’è andata la giornata?”

Charlotte sorrise quando, raggiunto il fratello, prese il ragazzo sottobraccio dopo averlo intercettato mentre si accingeva a raggiungere la Sala Grande per cenare. 
Il Serpeverde si voltò verso di lei e ricambiò il sorriso, altrettanto di buon umore:

“Bene, abbiamo evocato i Patronus.”
“Ci sei riuscito di nuovo subito, scommetto. Non vedo l’ora di imparare anche io, sono curiosa riguardo la forma del mio Patronus. Cosa potrebbe essere, secondo te?”

“Non so, magari un giaguaro, o un puma… un animale mansueto e coccoloso.”
Sean sorrise mentre la sorella minore sbuffava, intimandogli di non prenderla in giro prima di chiedergli a cosa avesse pensato per evocare la sua aquila:

“A te, a dire la verità.”
“Davvero? Che carino, grazie… quale ricordo in particolare?”  Charlotte parve illuminarsi alle parole del fratello, il suo sorriso si allargò e lo guardò con sincera curiosità, chiedendosi a cosa potesse aver pensato:

“Ricordi quando avevi quattro anni e per il mio compleanno mi facesti un disegno? Non sapevi scrivere ma hai chiesto ad Aurora di aiutarti per scrivere il mio nome e la “dedica”.”
“Sì, non farmici pensare, allora non avevo la percezione di non essere affatto in grado di disegnare alcunché.”

“Beh, è il pensiero che conta, e tu sei stata dolcissima, lo conservo ancora. ERI dolcissima, in effetti, cosa ti è successo dopo?”
“Non so proprio risponderti.”
“Sciocchezze, sotto sotto sei ancora adorabile, solo che tiri fuori il tuo lato tenero praticamente solo con me.”

Sean sorrise con affetto alla sorella, cingendole le spalle con un braccio per stringerla a sè e intuendo dal silenzio della Corvonero – che per una volta non ebbe nulla da obbiettare – che era d’accordo con lui. 




   
 
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